Territorio e infrastruttura nell'ipotesi di un nuovo collegamento autostradale tra Modena e Lucca - Problematiche e opportunità
Le vicende dell'autostrada Modena-Lucca hanno radici assai lontane. Si tratta di un’ipotesi di collegamento di cui si è iniziato a discutere fino dagli anni ’30, quando si cominciò a impostare la rete autostradale del Paese, ma il dibattito si è incanalato ben presto sugli stessi binari lungo il quale era più volte deragliato il progetto di collegamento ferroviario tra le due città. Infatti, a fronte di studi che ne rimarcavano la fattibilità tecnica e l’opportunità nell’ambito del disegno della rete infrastrutturale, le forti contrarietà di alcuni gruppi politici (stabilmente al governo in tutti gli enti locali a partire dal secondo dopoguerra), hanno impedito qualsiasi mossa puntando a far arenare il processo decisionale.
Della Modena-Lucca si è tornati a parlare nel 2001, quando è stata inclusa nell’elenco delle opere strategiche della c.d. “legge obbiettivo”.
Mentre le comunità locali interessate (l’alta valle del Secchia, la Lucchesia, la Garfagnana) sono sempre state favorevoli, le Regioni hanno costantemente avuto un atteggiamento rigido. In una realtà dove per realizzare grandi opere pubbliche è indispensabile la concertazione, non era di certo pensabile che il Governo centrale, fra l’altro in un contesto complessivo caratterizzato da scarse risorse, conducesse una battaglia per realizzare un’opera contro il parere delle Regioni interessate.
A inizio 2006, ANAS ne ha approvato lo studio di fattibilità. L’occasione del possesso di un documento aggiornato e redatto in conformità alle direttive europee non dovrebbe essere persa scegliendo di non farne nulla; sarebbe auspicabile l’avvio di un processo concertativo a partire dall’evidenza dei risultati, affinché i sistemi locali potessero cogliere le occasioni di rinnovamento e sviluppo che in un progetto di simile portata potrebbero celarsi.
L’attualità di questo collegamento è confermata da almeno quattro occasioni che permetterebbe di cogliere:
- la possibilità di realizzare un’alternativa al passaggio obbligato per l’asse Bologna-Firenze per i collegamenti tra Nord e Centro-Sud, secondo l’itinerario che prevede anche l’altra nuova autostrada tra Livorno a Civitavecchia;
- la possibilità di rimodellamento della configurazione del sistema dei trasporti emiliano e toscano, attualmente gravitante sui capoluoghi di regione e tendente al collasso;
- la possibilità di collegare direttamente il porto di Livorno al distretto ceramico di Sassuolo, alle grandi infrastrutture intermodali di Modena, Verona, Trento e, attraverso il valico del Brennero, al centro Europa;
- la possibilità di “indurre sviluppo” nelle aree collinari e montane interessate, che soffrono per l’isolamento dai grandi sistemi urbani.
La sensazione è invece che questo studio di fattibilità, come tutti i suoi predecessori, non riesca ad alimentare in modo sufficiente un dibattito costruttivo sul tema. Anzi l’impressione è che la situazione sia rimasta immutata rispetto a prima dello studio di fattibilità. Perché questo ennesimo studio sulla possibilità di realizzare un collegamento diretto e veloce tra le città di Modena e Lucca, storicamente legate da relazioni sia di carattere economico sia culturale, rischia di rimanere bloccato sempre ad un livello di fattibilità senza riuscire ad avanzare nel sul iter realizzativo?
Come cercare di andare oltre alla visione dell’infrastruttura non solo come un semplice elemento tecnico di trasporto ma come occasione di sviluppo per i territori attraversati?
Un modello virtuoso di sviluppo potrebbe essere determinato dall’intersezione tra la politica di infrastrutturazione (nazionale) che effettua le scelte localizzative degli assi portanti del sistema dei trasporti e gli enti locali, che possono essere nella condizione di condivisione o non condivisione delle scelte centrali. In entrambi i casi, ma soprattutto nel secondo, sembra decisivo per il successo della politica – intesa come la capacità di condurre l’iter decisionale nella sua completezza, dalla fase istruttoria alla fase realizzativa – il possesso di una capacità di coordinamento degli indirizzi programmatori dello sviluppo territoriale volto a fare emergere tutte le potenzialità che la realizzazione dell’asse infrastrutturale proposto dal governo centrale possiede, e che non sono immediatamente “visibili”. Il progetto infrastrutturale si configura allora come “progetto di territorio” nella misura in cui è in grado di sollecitare tutte le potenzialità attivabili nel contesto in esame.
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Informazioni tesi
Autore: | Roberto Olivari |
Tipo: | Laurea II ciclo (magistrale o specialistica) |
Anno: | 2005-06 |
Università: | Politecnico di Milano |
Facoltà: | Architettura |
Corso: | Pianificazione territoriale urbanistica e ambientale |
Relatore: | Matteo Bolocan Goldstein |
Coautore: | Meri Barichello |
Lingua: | Italiano |
Num. pagine: | 175 |
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