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ZUCCHERO DEL WEB:
PUÒ L'AUTOEFFICACIA ESSERE UN FATTORE DI PROTEZIONE
RISPETTO ALLA CREDULITÀ ONLINE DEGLI ADOLESCENTI?
INTRODUZIONE
Immaginiamo alcune persone incatenate, con il collo e la testa anch’essi legati in modo che
possano vedere soltanto il muro di fronte a sé; dietro di esse vi è un grande fuoco e, tra i
prigionieri e tale fuoco, vi è un muretto su cui altre persone fanno passare degli oggetti o
delle forme. Ciò che coloro che sono incatenati vedrebbero sarebbero le ombre di quello che
le persone al di qua del muretto proiettano sul muro attraverso il fuoco. Se solo uno dei
prigionieri riuscisse a liberarsi dalle catene e oltrepassasse la parete, scoprirebbe un mondo
nuovo al di fuori della caverna. Questo è il mito della caverna di Platone, che spiega come la
conoscenza porti ad avere una visione ampia e vera del mondo, mentre l’ignoranza ci
costringa incatenati a guardare soltanto delle ombre ingannevoli.
La metafora di questo mito può essere interpretata anche secondo il contesto dell’enorme
quantità di informazioni a cui siamo sottoposti e della conoscenza soggettiva che guida il
nostro giudizio. Le ombre proiettate dal fuoco sarebbero le notizie false che circolano a
partire da una fonte ingannevole, mentre il mondo al di fuori della caverna sarebbe la verità
che potrebbe essere raggiunta se solo possedessimo la conoscenza.
Nel capitolo 1 del presente lavoro di tesi, vengono delineati l’origine e le caratteristiche delle
fake news, facendo uno specifico riferimento a quelle online, e vengono descritti gli elementi
che le contraddistinguono secondo vari contributi teorici, tra cui quelli di Riva (2018) e di
Lewandowsky (2012). In seguito, l’analisi passa alla comprensione dei meccanismi che
spingono le persone a credervi, come l’influenza informativa e normativa (Deutsch & Gerard,
1955), gli stili e le dinamiche di pensiero (Petty e Cacioppo, 1986; Kahneman et al., 1982), il
principio del conservatorismo e il confirmation bias (Pacilli, 2021), i costrutti di filter bubble
(Pacilli, 2021; Pariser, 2011) ed echo chamber (Pacilli, 2021; Bright et al., 2020; Sustein, 2001)
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e, infine, le emozioni morali. Questo primo capitolo si chiude con gli interventi che
potrebbero combattere le fake news, passando dal debunking e il continued influence effect
(Pacilli, 2021; Johnson & Seifert, 1994) al prebunking e la teoria dell’inoculazione
(Lewandowsky & Van Der Linden, 2021; McGuire, 1961; 1964).
Nel capitolo 2, il focus si restringe sulle racial hoaxes, le cosiddette bufale razziali (Russell-
Brown, 1998), esaminando il background degli stereotipi sugli immigrati e delle teorie
dell’identità sociale (Tajfel, 1981) e della categorizzazione del sé (Turner, 1987).
Successivamente, viene dato risalto al ruolo dei valori e dei domini morali nel giudizio di
importanza di una notizia (Schwartz, 1992; 1994; Haidt, 2012). In seguito, viene evidenziato
un elemento chiave che potrebbe fungere da fattore di protezione o di resistenza nei
confronti della persuasività delle fake news: l’autoefficacia (Bandura, 1977). Tale credenza
nelle proprie capacità di riconoscere una notizia falsa e di non cadere nella sua trappola
viene studiata nel contesto della credulità e della condivisione, ponendo l’attenzione su una
categoria particolare, quella degli adolescenti.
I giovani, infatti, sono il target dello studio sperimentale descritto nel capitolo 3.
Un’introduzione teorica spiega la presenza di diversi tipi di autoefficacia: Empathic Self-
Efficacy, Social Self-Efficacy, autoefficacia della disinformazione e Regulatory Emotional Self-
Efficacy (Di Giunta et al., 2010; Khan & Idris, 2019; Caprara et al., 2008). L’obiettivo della
ricerca empirica è stato quello di comprendere l’effetto dei quattro tipi di self-efficacy sul
comportamento di sharing e sulla credulità alle fake news, in relazione al diverso contenuto
morale delle notizie. Dopo aver misurato il livello di ciascun’autoefficacia negli adolescenti,
ai partecipanti è stato somministrato un questionario che indagava la loro valutazione di
credibilità di cinque notizie costruite ad hoc, ciascuna relativa ad un dominio morale. Dai
risultati è emerso come l’autoefficacia di disinformazione sia un fattore di protezione dal
comportamento di sharing delle fake news, mentre, per quanto riguarda la credulità, tutti i
tipi di autoefficacia mostrano dei punti di debolezza nella resistenza alla persuasione, con
particolare rilevanza nei domini di Care e Purity.
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Capitolo 1
FAKE NEWS: UN CONCETTO RECENTE
Premessa
“Alcune persone sono attratte solo da storie, fatti, che hanno spiegazioni drammatiche,
eccitanti, sinistre. Vogliono credere a spiegazioni più intriganti di quanto la realtà
normalmente non sia. Ecco perché uso questa metafora: è come se le fake news fossero lo
zucchero, che appaga i palati. Ai bambini piace lo zucchero più di quanto apprezzino il sapore
di un cuore di carciofo sottaceto […], perché il loro gusto non è ancora sviluppato” (David
Quammen in Petrini, 2020, p.171).
Al giorno d’oggi siamo costantemente bombardati da un’infinita quantità di informazioni.
Non appena apriamo gli occhi al mattino, afferriamo il cellullare e scorriamo tra le notizie;
mentre siamo sul treno o sul pullman per andare in università o al lavoro, apriamo i social
per scoprire le ultime news; la sera prima di andare a dormire facciamo un ultimo check per
assicurarci di non esserci persi nulla durante la giornata.
È quindi lecito cadere in alcune delle trappole delle fake news? Certo che sì. La quantità a cui
siamo sottoposti è troppo elevata rispetto alla ridotta attenzione con cui scorriamo le
notizie; a questo si aggiunge una serie di bias cognitivi e di stili di pensiero che non ci
permettono di elaborare dettagliatamente alcune informazioni.
Tuttavia, potremmo allenare la nostra mente a riconoscere le menzogne all’interno di un
articolo e ad evitare di condividerle per diffondere maggiormente la disinformazione. È a
questo punto che giunge in nostro aiuto la psicologia, fornendoci strategie applicative per
rafforzare la nostra resistenza alla persuasione.
1. Fake news: origini e definizione
Millenni di anni fa, le informazioni venivano scolpite nella pietra o riportate su papiri; coloro
che avevano accesso al controllo di tali informazioni erano leader, sovrani, imperatori e
faraoni, che, controllando la conoscenza, avevano potere sulle persone.
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Nel VI secolo d.C., uno dei massimi storici bizantini, Procopio di Cesarena, pubblicò delle
notizie false per screditare l’allora imperatore Giustiniano (Burkhardt, 2017).
Questo è un primo esempio di fake news nella storia e fa parte della cosiddetta ‘era pre-
stampa’, secondo la suddivisione proposta da Burkhardt (Burkhardt, 2017). Nell’era
successiva, quella ‘post-stampa’, il controllo dell’informazione, e con esso il potere di
influenzare le persone, passò nelle mani dei letterati, che potevano diffondere conoscenza
attraverso libri e giornali. Le successive due ere, quella ‘dei mass media’ e quella ‘di
Internet’, segnano una crescente diffusione delle fake news, che comporta maggiori
conseguenze. Specialmente nell’ultima era, vi è la proliferazione di centinaia di siti di notizie
false, alcuni di satira e altri che intenzionalmente mirano ad ingannare le persone: il sito
DHMO.org, per esempio, afferma che il monossido di diidrogeno porti a cancro e piogge
acide; il sito MartinLutherKing.org scredita l’attivista e basa la sua (falsa) credibilità sul
dominio .org, spesso utilizzato dalle organizzazioni no-profit.
Ma il termine fake news risale al 2016, precisamente con le elezioni del presidente
americano e con la Brexit (Martel, 2020). Nel periodo del referendum per la Brexit, infatti, il
diritto dei cittadini di essere adeguatamente informati circa ciò che stavano per votare è
stato violato da molte testate giornalistiche (Lewandowsky & Van Der Linden, 2021). Allo
stesso tempo, come in quasi tutte le campagne elettorali in cui le notizie vengono costruite
ad hoc per gettare fango su un candidato e per favoreggiare l’altro, il 70% delle affermazioni
di Trump si sono rivelate false o infondate (Lewandowsky & Van Der Linden, 2021).
Come possiamo definire, quindi, le fake news? Esse sono “informazioni prefabbricate che
imitano i contenuti dei media nella forma, ma non nel processo organizzativo o nell’intento”
(Lazer et al., 2018, p. 1094). Secondo l’Oxford Dictionaries, la parola internazionale dell’anno
2016 è stata post-truth (post-verità), cioè “circostanze in cui i fatti oggettivi sono meno
influenti nel plasmare le opinioni pubbliche rispetto alle emozioni e alle convinzioni
personali” (Dictionary, O.E., 1989).
Le motivazioni alla base della produzione di fake news sono principalmente due. Prima di
tutto i cosiddetti titoli ‘click-bait’ hanno la funzione di generare introiti dalle inserzioni
pubblicitarie, rendendo la creazione delle fake news innanzitutto un motivo economico
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(Pacilli, 2021). La seconda motivazione è di tipo sociale, per influenzare le persone per
quanto riguarda tematiche politiche, ambientali e sociali (Pacilli, 2021).
2. Il contesto dei social media
L’era moderna è caratterizzata dalla diffusione delle notizie via web, dalla condivisione di link
e post tramite chat e dalla ricerca di informazioni sulle piattaforme social.
Immaginiamo Internet come una vasta rete di strade di ogni genere e imbocchiamo una
strada specifica e particolare, quella dei social network.
Un social network “è la rete di relazioni sociali che circonda gli individui, i collegamenti tra
persone che possono fornirsi o meno supporto sociale” (Heaney & Israel, 2008, p. 190);
quando un computer media le relazioni e le connessioni tra le persone, si tratta di un social
network online (Garton & Wellman, 1997).
Boyd ed Ellison (2007) affermano che un social network è caratterizzato da tre elementi: uno
spazio virtuale in cui l’utente può creare un proprio profilo, una rete di altri utenti con cui
può mettersi in contatto e la possibilità di analizzare i messaggi e le connessioni con gli altri.
A questa definizione, Riva (2016) aggiunge che i social network sono una piattaforma che
offre all’utente di gestire sia la propria rete sociale che la propria identità. Per rete sociale si
intende l’insieme di persone legate da una relazione sociale (Riva, 2018), mentre per identità
sociale si intende la percezione del sé in termini di appartenenza a un gruppo (Hogg,
Vaughan & Arcuri, 2016).
Con l’avvento dei social network, non vi è più una netta separazione tra ambiente online e
ambiente offline, per cui sia le reti sociali che l’identità di un individuo entrano a far parte di
un unico nuovo spazio, quello dell’‘interrealtà’ (Riva, 2016), in cui ogni comportamento
messo in atto nel mondo digitale ha delle conseguenze nel mondo reale, e viceversa.
Con il suo vasto potere, quindi, il web riesce a diffondere e dare per vero qualsiasi tipo di
informazione, creando allo stesso tempo un luogo pericoloso di proliferazione di false
notizie. In questo nuovo contesto, l’individuo passa da essere semplice fruitore passivo di
informazioni ad attivo produttore delle stesse (Lewandowsky, 2012).
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Riva (2018) distingue le fake news odierne dalla disinformazione che è sempre esistita in
base a due elementi: la dimensione emotiva e l’uso dei social media. Infatti, le fake news
hanno la capacità di toccare le emozioni del lettore, a tal punto da indurlo a credervi, proprio
sfruttando il potere divulgativo dei social media, che rendono tali notizie false molto più
accessibili rispetto al passato. La percezione che Internet sia oggettivo porta l’individuo ad
abbassare la guardia mentre naviga in rete, ignorando il fatto che un motore di ricerca come
Google utilizza un algoritmo che si dichiara infondatamente accurato, filtra le risposte e
raccoglie dati sugli utenti anche a loro insaputa (Bianchini, 2017).
In un’era in cui l’individuo è sia consumatore che produttore di informazioni, i filtri dei
contenuti perdono il loro potere, così la misinformazione viene lasciata a briglie sciolte
(Quattrociocchi & Vicini, 2016). Un ulteriore esempio del ruolo di ‘spettautore’ dell’utente è
Wikipedia. L’enciclopedia online è gestita e aggiornata dagli utenti stessi, per cui la sua
attendibilità andrebbe attentamente verificata, prima di considerare oro colato ogni
informazione scritta in essa. Il libero accesso alla modifica e alla scrittura di contenuti in
Wikipedia attira la produzione di informazioni false e offensive nei confronti di celebrità o
Paesi, per esempio, riportando la data di morte di un personaggio pubblico ancora in vita o
diffamando un’istituzione (Grandi, 2017).
3. Come riconoscere e distinguere una fake news
È necessario dare una definizione di ‘fatto’, al fine di distinguerlo da una fake news. Un fatto
è qualcosa di reale ed immediatamente evidente, visibile ed oggettivo, che può essere
verificato e che si basa sull’esperienza e sulla conoscenza (Riva, 2018); un fatto sociale,
invece, si basa non sull’evidenza, ma su attività e convenzioni sociali (Riva, 2018).
Un errore comune è quello di considerare sinonimi i termini ‘fake news’ e ‘notizie false’. La
differenza sta nell’intenzionalità: una notizia è falsa quando vi è un errore di tipo
giornalistico, come mancanza di competenza o responsabilità; mentre una fake news fa
riferimento ad informazioni false intenzionalmente diffuse per ingannare (Meneses, 2018).
Infatti, queste ultime hanno l’intento di imitare la realtà, nei contenuti e nella forma, per
apparire il più vere possibili. Pertanto, per dare una definizione chiara e specifica:
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“le fake news sono un tipo di disinformazione online, con un contenuto totalmente o
parzialmente falso, creato intenzionalmente per ingannare o manipolare uno specifico
pubblico, attraverso un formato che imita una notizia, attraverso informazioni false che
potrebbero o meno essere associate ad eventi reali, con una struttura (titolo, immagini,
contenuto) che attragga l’attenzione dei lettori e li persuada e credere nella menzogna, per
ottenere più click e condivisioni, quindi maggiori introiti pubblicitari e guadagni ideologici”
(Baptista, 2020, p.5).
Un termine che salta all’occhio in questa definizione è ‘disinformazione’. Tra tutti questi
termini simili è facile confondersi, per cui è importante fare chiarezza sul significato e sulle
differenze tra di loro. Ireton e Posetti (2018) forniscono un quadro chiaro dei cosiddetti
‘disturbi informativi’, partendo da un continuum che va dalla falsità all’intento di ingannare:
- mis-information: si tratta di informazioni false (errori giornalistici dovuti a mancata
professionalità), trasmesse con la convinzione che siano vere;
- dis-information: sono informazioni intenzionalmente false, manipolate, modificate e
create appositamente per ingannare;
- mal-information: si riferisce ad informazioni vere, che vengono però pubblicate per
arrecare danni ad una persona, un gruppo o un’istituzione.
È chiaro, quindi, che il termine a cui bisogna fare riferimento per intendere le fake news è
dis-information; altri termini utilizzati sono ‘hoaxes’ e ‘bufale’, rispettivamente per la lingua
inglese ed italiana (D’Errico, 2021).
Bianchini (2017) propone una classificazione del falso simile a quella precedente,
distinguendolo sulla base di tre tipi di errore:
- errore linguistico formale, che caratterizza il ‘falso erroneo’;
- errore di metodo, proprio del ‘falso infondato’, cioè non basato sul metodo scientifico;
- errore di contenuto, quando sembra apparentemente basato sul metodo scientifico,
ma è intenzionalmente un ‘falso ingannevole’.