Introduzione
Pertanto, fin dai tempi più remoti, città e Stati hanno elaborato
politiche per dotare certi particolari luoghi – un quartiere, un porto,
un’area produttiva – di quei vantaggi fiscali e normativi atti a creare
una condizione di vantaggio commerciale e produttivo, dando luogo a
vere e proprie aree a “fiscalità di vantaggio”, dette aree economiche
speciali (Aes).
Queste Aes sono sempre state, e sono ancora oggi, innanzitutto
costruzioni legislative atte a consentire che un luogo potesse assumere
caratteri affini (anche se non uguali) all’extraterritorialità, con
condizioni e regole non altrimenti disponibili o permesse sul restante
territorio di appartenenza.
Le aree economiche speciali, in genere Zone, Depositi, Punti o
Porti Franchi, hanno infatti una lunga e documentata storia. Il Medio
Oriente, il Mediterraneo pre-romano e romano, l’India, la Cina,
l’Africa orientale hanno storicamente ospitato esperienze di Aes che –
per scopi e struttura – possono ancora essere percepite come molto
vicine a quelle moderne.
In particolare, per quanto concerne la nozione di Zona Franca,
in origine, era riferita pressoché unicamente alla Zona Franca
Doganale e con essa solitamente si intendeva un’area geograficamente
II
Introduzione
o amministrativamente circoscritta al cui interno le attività
commerciali e/o industriali beneficiavano di uno speciale regime
fiscale. La finalità di tali misure era ed è, dunque, quella di agevolare
gli scambi e i commerci attraverso la sospensione dell’applicazione
delle leggi doganali.
Attualmente, con la globalizzazione, le Zone Franche sono
diventate canali preferenziali per gli investitori, luoghi dove è
possibile operare con maggiori sicurezze rispetto alla eterogeneità e
all’indeterminatezza di situazioni che normalmente si trovano in
territori stranieri. Infatti, la nozione di Zona Franca non è più limitata
esclusivamente alla previsione di franchigie doganali, ma si è
arricchita di quella di Zona Franca d’Impresa riconducibile
all’attribuzione di vantaggi fiscali a favore di una limitata area
geografica nella quale sono attribuiti, alle imprese ivi localizzate,
significativi benefits di natura non solo tributaria, ma anche
economica e finanziaria. È evidente, pertanto, che alla contrazione
dell’interesse fiscale, in termini di gettito tributario, deve fare da
contraltare una potenziale crescita sia economica che occupazionale
per le aree sottosviluppate o arretrate.
III
Introduzione
Nel tempo l’idea di zone a “fiscalità di vantaggio” si è
sviluppata in direzioni differenti, cui sono corrisposte differenti
denominazioni. Infatti, le Nazioni Unite, in uno Studio del 1991 (U.N.
Center on Transnational Corporations, The Challenge of Free
Economic Zones, New York), ne individuano 23 tipi, anche se, poiché
buona parte di queste tipologie riprende sempre un certo numero di
caratteri in comune, le diverse zone si presentano come quasi
equivalenti.
Attualmente, proprio sulla base di tali caratteri comuni, si sono
individuate due grandi categorie di Zone Franche:
1) Zone Franche classiche, intese come aree caratterizzate da
agevolazioni in virtù delle quali le merci, che vi sono immesse,
godono di franchigia doganale;
2) Zone Franche di seconda generazione (o d’eccezione),
caratterizzate dalla presenza accanto alle agevolazioni fiscali
(imposte dirette, tributi locali) di altri vantaggi finanziari sociali
e amministrativi per le imprese o i lavoratori che in esse vi
operano.
Appartengono alla prima categoria la Zona Franca (ZF), il
Deposito Franco (DF), le Foreign Trade Zone (FTZ), i Free Port (FP),
IV
Introduzione
il Porto e il Punto Franco (PF). Alla seconda categoria, invece,
appartengono le Export Processing Zone (EPZ), le Special Economic
Zone (SEZ), le Industrial Zone (IZ).
Tra le varie forme di “fiscalità di vantaggio” la Francia ha
individuato nelle Zone Franche Urbane (ZFU), uno strumento per lo
sviluppo locale.
Si tratta di un istituto che ha poco o nulla a che vedere con il
tradizionale concetto di Zona Franca (ZF). Infatti, mentre quest’ultima
mira, in linea generale, ad incrementare lo sviluppo dei traffici e del
commercio internazionale e ad attrarre investimenti esteri, la Zona
Franca Urbana ha diversa natura ed è orientata a finalità più
solidaristiche.
Le prime ZFU in Francia sono state introdotte con la Legge n.
96-987, del 14 novembre 1996 (Pacte de Relance pour la Ville), che
ne ha istituite 44, dette di prima generazione, alle quali hanno fatto
seguito ulteriori 41 ZFU istituite dalla Legge n. 710 dell’ 1 agosto
2003 (Loi d’orientation et de programmation pour la ville et la
rénovation urbane), dette di seconda generazione, ed infine, con la
Legge n. 369 del 31 marzo 2006 (Loi pour l’égalité des chances) sono
state istituite le ultime 15, dette di terza generazione.
V
Introduzione
Le varie disposizioni normative nazionali volte ad istituire le
Zones Franches Urbaines, in quanto suscettibili di falsare la
concorrenza, sono state autorizzate dalla Comunità Europea con le
Decisioni n. 159/96 (quelle di prima generazione), n. 211/2003
(quella di seconda generazione), in ultimo la Decisione n. 70/A/2006
(per quelle di terza generazione).
Le agevolazioni fiscali di cui godono le ZFU sono state giudicate
compatibili (in quanto non costituiscono Aiuti di Stato) poiché
soddisfano i principi enunciati dai Regolamenti CE n. 69/2001 e n.
70/2001 del 12 gennaio 2001, della Commissione Europea, che
disciplinano, in deroga, gli aiuti ed, in particolare, il regime del “de
minimis” e degli aiuti alle piccole e medie imprese.
Le ZFU in Francia sono dei quartieri o aree urbane
particolarmente sensibili e/o svantaggiate dal punto di vista
economico e/o sociale con almeno 10.000 abitanti, con le seguenti
caratteristiche:
- per la determinazione di queste zone occorre un certo numero di
criteri quali: una elevata disoccupazione, una presenza significativa
di popolazione con meno di 25 anni, un basso tasso di
scolarizzazione, un potenziale fiscale basso;
VI
Introduzione
- per non creare un problema di concorrenza la legislazione francese
ha stabilito che i beneficiari siano esclusivamente aziende a
diffusione locale, secondo la stretta definizione comunitaria
(Regolamento CE n. 70/2001);
- i vantaggi fiscali consistono nell’agevolazione per 5 anni degli
oneri sociali, delle imposte sugli utili, della tassa professionale e
delle imposte sui fabbricati.
Tali aree offrono una fiscalità di vantaggio a beneficio di
piccole imprese allo scopo di imprimere dinamicità alla zona e
contrastare la disoccupazione e la delinquenza.
Sulla base dell’esperienza francese anche il Legislatore Italiano ha
ritenuto opportuno sperimentare l’istituto delle Zone Franche Urbane.
L’art. 1, comma 340 e seguenti, della Legge Finanziaria per
l’anno 2007 ha previsto, infatti, la creazione di Zone Franche Urbane
nelle regioni del Mezzogiorno d’Italia e del centro storico di Napoli,
caratterizzate da fenomeni di particolare esclusione sociale, al fine di
favorirne lo sviluppo economico e sociale.
Le misure previste a sostegno delle Zone Franche Urbane
intendono dare una risposta alle sollecitazioni emerse al Tavolo del
Mezzogiorno predisposto nell’anno 2006 e coordinato dalla
VII
Introduzione
Presidenza del Consiglio dei Ministri e dal Ministero dello Sviluppo
Economico, al quale hanno partecipato, oltre le parti economiche e
sociali, tutte le regioni del Mezzogiorno.
Il dispositivo, però, non è mai stato attuato in virtù di alcuni
rilievi mossi dalla Commissione Europea nel corso degli incontri
preliminari informali intervenuti tra la stessa e i rappresentanti e i
tecnici del Governo Italiano.
Pertanto, proprio ai fini dell’approvazione comunitaria, con la
Legge Finanziaria per l’anno 2008, all’art. 2, dal comma 561 al
comma 563, si è provveduto a riscrivere la normativa prevista nella
precedente Finanziaria. In questo modo è stato eliminato il riferimento
geografico al Mezzogiorno e le Zone Franche Urbane sono divenute
strumentali al contrasto dei fenomeni di esclusione sociale per le aree
di tutto il territorio italiano. In particolare, secondo i parametri fissati
dalla Delibera CIPE n. 5 del 30 gennaio 2008, le ZFU sono aree
individuate tra le aree urbane e i quartieri caratterizzati da particolari
svantaggi sotto il profilo economico e sociale, misurati attraverso
l’indice di disagio socio-economico, calcolato con dati del
Censimento 2001, e ottenuto dalla combinazione di quattro indicatori
di esclusione socio-economica calcolati per le zone interessate: tasso
VIII
Introduzione
di disoccupazione, tasso di occupazione, tasso di concentrazione
giovanile, tasso di scolarizzazione.
Così come in Francia, anche in Italia, lo strumento per attuare lo
sviluppo economico - sociale delle aree degradate è sempre quello
della “fiscalità di vantaggio” per le piccole realtà imprenditoriali
(micro, piccole e medio imprese, secondo la definizione della
Comunità Europea) che intendono insediarvisi. Si tratta di
agevolazioni fiscali e previdenziali a beneficio delle nuove attività che
si avviano nelle ZFU tra l’1 gennaio 2008 e il 31 dicembre 2012, cioè:
1) esenzione totale dall’imposta sui redditi della società per i
primi cinque anni d’imposta;
2) esenzione dall’imposta regionale sulle attività produttive;
3) esenzione dall’imposta comunale sugli immobili;
4) esonero dal versamento dei contributi previdenziali sulle
retribuzioni da lavoro dipendente.
Anche in questo caso le agevolazioni hanno una durata limitata
nel tempo. Infatti, le esenzioni proseguono in misura via via
decrescente negli anni successivi. Per le imprese già localizzate
nell’area all’1 gennaio 2008, le agevolazioni sono riconosciute nei
limiti del “de minimis”.
IX
Introduzione
Tuttavia, nonostante siano state identificate per la prima volta nel
documento congiunto sul Mezzogiorno del 2006 (firmato dai
Presidenti delle Regioni meridionali, dal Presidente della
Confindustria e dai Segretari Generali di Cgil, Cisl e Uil) e
successivamente disciplinate con la Finanziaria del 2007 (da ultimo
modificata dalla Finanziaria del 2008), ad oggi, le Zone Franche
Urbane non sono ancora operative. Infatti, dopo esser state
individuate, a seguito di apposita istruttoria condotta dal Gruppo
Tecnico (GT) per le ZFU del Ministero dello Sviluppo Economico –
Dipartimento per le Politiche di Sviluppo e coesione (MISE-DPS), 22
ZFU in 11 Regioni, l’iter di approvazione è attualmente sospeso in
attesa sia della Delibera CIPE recante l’individuazione, la
perimetrazione delle ZFU e l’allocazione delle risorse, sia dei Decreti
attuativi da parte dei Ministeri dell’Economia e del Lavoro.
Dopodiché si dovrà provvedere alla notifica formale alla DG della
Concorrenza della Commissione Europea, al fine di ottenere
l’autorizzazione, ex art. 88 par. 3, del Trattato CE, che ne consentirà
l’effettiva entrata in vigore.
In attesa della definizione dell’iter di approvazione delle Zone
Franche Urbane in Italia il presente lavoro si prefigge di fornire, per
X
Introduzione
quanto possibile, una disamina esaustiva del dispositivo, facendo
riferimento anche al caso Taranto.
XI
Capitolo primo
LE ZONE FRANCHE NELL’ORDINAMENTO
INTERNAZIONALE
Sommario: 1. Le Zone Franche: definizione e normativa. 2. Origini, storia e sviluppo.
2.1. Dal Secondo Dopoguerra ad oggi. 2.2. Le Zone Franche nel contesto italiano. 3.
Costituzione e riconoscimento di una Zona Franca. 4. Vantaggi di natura commerciale. 5.
Vantaggi di natura fiscale.
1.1 LE ZONE FRANCHE: DEFINIZIONE E NORMATIVA
Le Zone Franche sono aree o zone che presentano una
regolamentazione dell’attività economica che si discosta in parte o
totalmente da quella del Paese in cui tali entità sono collocate.
Si tratta, in particolare, di aree costruite all’interno dei territori
nazionali di un Paese per raggiungere diversi obiettivi, quali quello di
aumentare il commercio internazionale, diminuire la disoccupazione e
velocizzare lo sviluppo economico.
Le Zone Franche nell’ordinamento internazionale
Generalmente, malgrado siano situate all’interno dei territori
nazionali, vengono definite come zone escluse dalla linea doganale
per quanto riguarda la legislazione fiscale e doganale.
Per Zona Franca, infatti, s’intende in generale: «uno spazio
escluso dal territorio doganale d’uno Stato o anche, eccezionalmente,
di due stati contermini, ed ai cui limiti esterni non vengono riscosse le
imposte di dogana, cioè i cosiddetti «dazi» d’importazione o di
esportazione, al fine di favorire per lo più il commercio
internazionale e talvolta lo sviluppo industriale o agricolo degli spazi
stessi e indirettamente di quelli circostanti»1.
La tendenza attuale, comunque, è di limitare l’uso
dell’espressione a quei casi, oggi di gran lunga prevalenti, che si
possono riscontrare specialmente lungo le rive del mare e talvolta di
fiumi (zone portuali marittime e fluviali o punti franchi) oppure ai
confini dello Stato e solo raramente nelle parti più interne di questo.
Non la si applica, invece, ai casi, quasi ovunque scomparsi o in via di
sparizione ma frequenti in passato, di interi porti qualificati franchi o
addirittura di intere città marittime comprensive degli stessi.
1
UDINA M. - CONETTI G., Zone Franche in Enciclopedia Giuridica
Treccani, Vol. XXXII, Roma, 1998.
13
Le Zone Franche nell’ordinamento internazionale
Per dare una definizione di Zona Franca quanto più esaustiva
possibile occorre capire come la Zona Franca sia cambiata nel tempo
in rapporto alle trasformazioni del sistema commerciale e produttivo,
come si è sviluppata, assumendo nuove funzioni e, infine, come abbia
differenziato incentivi e garanzie.
Nel “Testo Unico delle Leggi Doganali Italiane” approvato con
il D.P.R. del 23 gennaio 1973, n. 43, per Zona Franca (ZF) s’intende
una parte del territorio doganale, non delimitata da recinzioni, dove è
ammesso il consumo di determinati prodotti in esenzione o con la
riduzione di imposta, entro limiti quantitativi stabiliti2.
Nello stesso documento vengono contrapposti alle Zone
Franche i Depositi Franchi e i Punti Franchi, rispettivamente indicati
come: i primi, edifici in prossimità della linea Doganale marittima, in
cui le merci sostano in sospensione di tributi e senza prestazione di
garanzia. Le merci introdotte possono essere sottoposte soltanto alle
manipolazioni usuali (vagliatura, disinfestazione, condizionamento ed
etichettatura, ecc.) che non ne alterino la natura3. I secondi,
infrastrutture in cui le merci sostano senza prestazione di garanzia e,
2
Le così dette Zone Franche per contingenti, previste per la Regione Aosta
e la Provincia di Gorizia, le zone di Livigno, Campione d’Italia, Lago di Lugano,
Ponte Tresa, Porto Ceresio; http://www.sdc.web.it.
3
Ibidem.
14
Le Zone Franche nell’ordinamento internazionale
oltre alle manipolazioni usuali, possono subire processi di lavorazione
industriale4.
Nella “Convenzione Internazionale per la Semplificazione e
l’Armonizzazione dei Sistemi Doganali”, conclusasi a Kyoto il 18
maggio 1973 e approvata dall’Assemblea Federale il 7 marzo 19765,
la definizione di zone franche è formulata secondo un’accezione più
ampia, precisamente: «[…] una parte del territorio di uno Stato in cui
le merci introdotte sono considerate “come fossero fuori del
territorio doganale” per quanto attiene ai diritti ed alle tasse
d’importazione e non sono sottoposte agli usuali controlli delle
autorità doganali»6.
Nello stesso 1973, anno della Convenzione Internazionale di
Kyoto, la definizione di Zona Franca data dall’Ordinamento
dell’Unione Europea (UE), secondo l’art. 1 (ora abrogato) della
4
Ibidem.
5
L’ordinamento generale di tale Convenzione (art. 11, par. 1) prevedeva,
che qualunque membro del Consiglio (creato dalla Convenzione istitutiva di un
Consiglio di Cooperazione Doganale conclusa a Bruxelles il 15 dicembre 1950) e
qualsiasi Stato membro dell’Organizzazione delle Nazioni Unite o delle sue
istituzioni specializzate potesse diventare partecipante della Convenzione:
a) firmandola senza riserva di ratifica;
b) depositando uno strumento di ratifica (dopo averlo firmato con
riserva di ratifica);
c) aderendovi.
Tuttavia, qualsiasi Stato non membro delle Nazioni Unite o delle sue istituzioni
specializzate poteva aderirvi se avesse ricevuto anticipatamente invito a tale
scopo dal Consiglio. La Convenzione era aperta fino al 30 giugno 1974 alla firma
e dopo questa data, era aperta all’adesione.
6
FINARDI S. – MORONI E., Stati d’Eccezione: Zone e Porti Franchi
nell’economia-mondo, Milano, 2001, pag. 60.
15