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giapponesi della Restaurazione sentivano un’inferiorità psicologica oltre che
tecnologica: per fare in modo che i paesi esteri considerassero il Giappone
come una potenza al pari di quelle occidentali, la classe dirigente effettuò quindi
una serie di riforme dall’alto, volte all’acquisizione di modelli politici, sociali e
tecnologici provenienti dall’estero. La musica rappresentò un importante
corollario alle trasformazioni che erano in atto, per un’opera di creazione di
un’identità forte e competitiva. Fu applicato un criterio confuciano, soprattutto
nel campo dell’istruzione: la musica faceva parte dell’educazione all’armonia
mentale e nel nuovo progetto sociale la musica non poteva essere che quella
appartenente al nuovo modello stesso. Si può quindi affermare che lo y?gaku
non venne introdotto in Giappone per il suo valore estetico, ma per i risultati che
avrebbe permesso di conseguire all’interno della nuova società. La musica
d’Occidente venne così adottata attraverso un’ottica molto pragmatica.
Nella prima fase di apprendimento, i musicisti impararono ad avere a che
fare con la scala eptatonica in luogo della tradizionale pentatonica, impararono
l’armonizzazione di una melodia, il ritmo regolare, la lettura del pentagramma.
In pochi decenni la cultura musicale occidentale venne sufficientemente
acquisita tanto da essere considerata parte del patrimonio culturale nazionale.
Ciò permise la formazione di un mondo musicale di tendenza occidentale
particolarmente raffinato, prima con la nascita di una figura del tutto
inconsistente all’interno della musica tradizionale giapponese, il compositore, e
successivamente con le scuole “tedesca” e “francese” e la formazione delle
prime orchestre. Alla fine della seconda guerra mondiale il paese poteva
vantare una vita musicale ricca, articolata e di livello internazionale.
Ovviamente non cessarono gli studi di musica tradizionale, ma date le
enormi differenze teoriche, estetiche e pragmatiche
1
, la separazione tra y?gaku
e h?gaku rimarrà sempre abbastanza netta, nonostante tentativi di fusione dei
due sistemi. Come avrò modo di illustrare nel corso del primo capitolo, la
musica giapponese è omofona oppure eterofona e sovrappone diverse linee
1
Si veda il capitolo 1.
6
non correlate in base ad una struttura armonica. Ciò deriva dall’estrema
attenzione data al suono in sé, al mondo sonoro come universo indistinto e al
conseguente apprezzamento della qualità musicale del rumore. Per decenni
per esempio un programma quotidiano radiofonico dal titolo “Paesaggi sonori”
ha trasmesso registrazioni di suoni-rumori della natura.
2
Questa sensibilità si
fonda su un rapporto preferenziale dell’uomo con la natura. Una conseguenza
sul piano musicale è rappresentata dal diverso gusto rispetto alla qualità del
suono, di cui viene apprezzata non la precisione dell’intonazione, ma la
ricchezza e la complessità date dalla presenza di suoni estranei. Esempi ne
sono la sempre presente vibrazione metallica di una corda non fermata dal
capotasto che aggiunge una serie di armonici negli strumenti a corda oppure
l’uso rumoroso della voce in alcune rappresentazioni teatrali: si tratta di
elementi che servono a simulare la presenza della natura all’interno
dell’esecuzione.
Anche il concetto di tempo differisce notevolmente da quello occidentale.
Nella musica di origine europea il pensiero del tempo di sviluppa lungo due
coordinate parallele e complementari, quella della consequenzialità e quella
della ciclicità del tempo. In Occidente si è sempre cercato di mediare tra un’idea
di tempo che sviluppa il materiale in un continuo divenire e la constatazione che
esso sia perennemente identico a sé stesso, fatto di cicli sempre uguali che si
susseguono.
3
Nel pensiero giapponese, la dottrina che più di tutte ha contribuito
alla creazione del concetto di tempo è quella buddhista: il buddhismo vede,
nella concezione della natura e dell’esistenza, una pluralità di eventi e di
fenomeni caratterizzati dall’impermanenza e dalla transitorietà. Il passato non
esiste perché non è più, il futuro non esiste perché non è ancora. La sola realtà
effettiva è il momento, che esiste e scompare in un attimo. Tutte le arti
giapponesi, dal teatro, alle arti visive, alla musica, concentrano la percezione
estetica non sul movimento e sul divenire, ma sul raggiungimento di una stasi,
2
Cfr. Galliano, Luciana, Concetti di un!Estetica Musicale Antica nella Musica Contemporanea
Giapponese , Atti III convegno di Studi Giapponesi (AIStuGia), Roma, 1997, p. 211.
3
Ibidem, p. 212.
7
un istante indipendente ed in sé concluso. La musica tradizionale giapponese è
quindi composta da una serie di istanti indipendenti gli uni dagli altri, non esiste
un’architettura che governa il tempo, caratteristica invece della musica
d’Occidente.
4
Tutte queste differenze teoriche ed estetiche non resero il processo di
apprendimento dello y?gaku semplice ai musicisti giapponesi del periodo della
Restaurazione. Solamente la lettura della notazione occidentale della musica fu
fonte di problemi e difficoltà negli studenti delle varie scuole di musica che
andavano creandosi all’inizio del XX secolo. Questo perché si trattava di
un’imposizione dall’alto e non di una libera scelta. Lo studio dello y?gaku a
discrezione del musicista fu un’evoluzione del secondo dopoguerra, quando
compositori sempre più consapevoli iniziarono ad affermarsi nel panorama
musicale giapponese ed internazionale, dando origine alla prolifica produzione
di musica occidentale da parte di giapponesi.
A fronte dell’occupazione americana, dal 1945 al 1952, la società
giapponese iniziò ad evolversi seguendo i modelli sociali degli Stati Uniti. In
ambito musicale venne introdotto il jazz e tutto ciò che era legato ad esso,
come il ballo da sala. La teoria musicale del jazz prevede un’approfondita
conoscenza di quella classica, per questo motivo se i giapponesi riuscirono ad
apprezzare e a riprodurre il jazz fu solo grazie al lavoro svolto tra la fine
dell’Ottocento e l’inizio del Novecento da coloro che si dedicarono allo studio e
alla divulgazione dello y?gaku.
Se ci si avvicina per la prima volta alla scena musicale in Giappone,
potrebbe sembrare che essa sia dominata dalle esecuzioni del repertorio
classico europeo sul versante colto e di quello americano sul versante
dell’intrattenimento. In realtà ad una più approfondita analisi risulterà chiaro
come invece l’attività musicale giapponese sia molto ampia, vivace e
differenziata, anche in confronto agli standard europei. Il patrimonio nazionale,
popolare e colto è quanto mai vivo e vasta è anche l’editoria del settore:
4
Ibidem, p. 213.
8
esistono numerose case editrici e riviste specializzate di cui molte di alto livello,
a differenza di paesi europei come l’Italia, dove la musica non popolare viene
considerata appannaggio di una non ben definita élite di critici e musicisti
professionisti che ne dovrebbe possedere i diritti di ascolto ed esecuzione.
L’attività è ricca perché molto differenziata: non è necessario essere musicisti di
professione per coltivare la passione musicale. La propensione all’attività
pratica fa in modo che esista un elevato numero di orchestre e gruppi da
camera amatoriali, cantanti e cori non professionisti ma tuttavia molto preparati.
Il processo attraverso il quale il Giappone del XIX secolo, evoluto
culturalmente ma non tecnologicamente, è riuscito in un secolo ad adottare i
modelli occidentali e successivamente ad utilizzarli per competere con i paesi
d’oltre oceano si fonda sull’integrazione e sulla compattezza sociale acquisite
durante il lungo periodo di isolamento. La profonda diligenza con la quale i
giapponesi hanno studiato e imparato dall’Occidente è sicuramente stata il
punto di forza attraverso cui una società relativamente povera come quella di
fine Ottocento è riuscita a sottrarsi alla soggezione nei confronti delle potenze
straniere, elaborando un proprio itinerario di sviluppo.
L’obiettivo del mio elaborato è di dare una spiegazione di come la musica
abbia avuto un notevole ruolo nel processo di modernizzazione e abbia
rappresentato un importante mezzo di crescita sociale.
Il motivo per cui ho deciso di affrontare quest’argomento deriva dalla mia
passione per la musica e dai miei passati studi in merito, grazie ai quali sono
stato in grado di attingere a fonti bibliografiche tecniche in campo musicale. La
musica in Giappone non è un argomento frequente nelle pubblicazioni
riguardanti l’Asia orientale: è stato difficile reperire fonti bibliografiche in italiano
o in inglese, e ancora più difficile è stato trovarne in giapponese.
9
Ho deciso di dividere il mio lavoro in cinque capitoli. Il primo capitolo spiega i
modelli teorici ed estetici della musica tradizionale giapponese in un paragone
con quelli occidentali, e illustra in che modo le due culture siano completamente
estranee l’una all’altra. Il secondo capitolo prende in esame il momento di
introduzione ufficiale dello y?gaku, cioè l’era Meiji, e le peculiarità caratterizzanti
le produzioni musicali del periodo. Il terzo capitolo illustra la fase di
assimilazione vera e propria della musica occidentale, nel contesto storico delle
ere Taish? e Sh?wa. Nel quarto capitolo ho deciso di concentrarmi sulla musica
giapponese contemporanea, con particolare riferimento agli esecutori di musica
classica ed ai musicisti jazz. Nell’ultimo capitolo infine affronto la traduzione
inedita della prefazione di un testo giapponese, Seiy⒕ no Oto, Nihon no Mimi
༸ͷԻɺຊͷࣖ (Il suono occidentale e l’orecchio giapponese) di
Nakamura K?suke, pubblicato dalla casa editrice Shunj?sha nel 1987, unico
testo in lingua giapponese che illustra l’argomento in maniera dettagliata.
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Capitolo 1
Teoria ed estetica del pensiero musicale giapponese classico
1. L’origine del pensiero musicale giapponese classico
Sin dagli albori del proto-stato giapponese (IV secolo) è evidente un processo
di scambio e commistioni culturali con l’Asia continentale, in particolare con la
Cina costiera del sud-est e con la Corea, mediatore privilegiato fra le due
culture. Questo tratto distintivo permane poi nella tradizione giapponese a
partire dalla figura simbolica dell’imperatore e dai riti a egli connessi. Tant’è che
in tempi moderni, il 9 marzo 1894 furono celebrate le nozze d’argento
dell’imperatore Meiji (era che va dal 1867 al 1912) attraverso la
rappresentazione di uno spettacolo di bugaku ָ(letteralmente “danza e
musica”), un genere che comprende brani musicali derivati da musiche
importate dal continente tra il V e l’VIII secolo, accompagnati da danze. I
venticinque anni di matrimonio non rappresentano un evento tradizionale in
Giappone, infatti all’epoca fu creato un comitato per studiare le celebrazioni
tipiche delle monarchie europee.
5
Da un resoconto dell’evento, risulta chiaro
come durante il periodo della cosiddetta Restaurazione Meiji, caratteri di
tradizione e modernizzazione venissero uniti.
“Le cerimonie principali iniziarono all’interno dei sacri ed invisibili confini
del Santuario di Corte, continuarono nelle sale di rappresentanza del
Palazzo Imperiale dove assistettero dignitari giapponesi e stranieri, e
culminarono con l’imperiale rassegna delle forze armate nel Campo di
Parata Militare ad Aoyama, [a cui] l’imperatore e l’imperatrice arrivarono
insieme uscendo dal Palazzo sulla carrozza della cerimonie di stato. Le
5
Cfr. Wade, C. Bonnie, Musica in Giappone. Un Percorso tra Oriente e Occidente, Ricordi.
Milano, 2009, p. 18.