2
Il Capitolo 2 si propone anch’esso di soffermarsi sul commercio
internazionale, ma in un’ottica decisamente più istituzionale e coprendo un
lasso di tempo decisamente più breve. Com’è noto, infatti, il commercio
internazionale ha conosciuto un’evoluzione istituzionale molto precisa, che ha
portato, con il tempo, alla nascita del GATT (General Agreement on Tariffs and
Trade) e successivamente della WTO (World Trade Organization). Proprio la
storia del GATT ha conosciuto alcuni passaggi fondamentali - come il
“Kennedy Round”, il “Tokyo Round” e l’”Uruguay Round” - cui ha fatto
seguito la nascita della WTO. Scopo di questo capitolo è di seguire da vicino
tale evoluzione, avendo sempre in mente le tematiche ambientali, ma
riservando comunque l’approfondimento delle medesime al capitolo
successivo.
Al Capitolo 3 è stato riservato il compito di analizzare in dettaglio i
rapporti intercorrenti tra le istituzioni del commercio internazionale (e
soprattutto del GATT) e le problematiche ambientali, con una specifica
attenzione riservata ai principali elementi del dibattito relativo alle politiche
ambientali (standard, eco-duties, eco-labels, etc.) ed ai principali articoli del GATT
che toccano più o meno direttamente queste tematiche. Si è trattato di
un’evoluzione lenta e graduale, che di fatto non si è svolta in maniera
autonoma, ma sulla scia (e talvolta anche a rimorchio…) della progressiva
maturazione, in ambito internazionale, di una consapevolezza ambientale e
della difficoltà di coniugare contemporaneamente sviluppo economico e
tutela ecologica. La trattazione svolta all’interno di questo capitolo consente
infatti di constatare come, per parecchio tempo, l’unica preoccupazione del
GATT sia stata quella dello sviluppo dei traffici internazionali, senza alcun
interesse accessorio ed anzi con una non trascurabile dose di unilateralismo.
Solo il mutamento dell’orientamento della parte più avvertita dell’opinione
pubblica internazionale e la nascita del concetto di “sviluppo sostenibile”
3
hanno determinato quel “salto di qualità” percettivo e culturale che ha indotto
anche il GATT ad occuparsi delle implicazioni ambientali connesse allo
sviluppo del commercio internazionale. Il capitolo in questione evidenzia
come si sia trattato di una maturazione non priva di difficoltà e problemi,
palesemente frutto del contrasto tra interessi diversi e, in particolare, tra una
visione più miope e ristretta, attenta solo all’utile immediato, e una visione di
più ampio respiro, ben consapevole del fatto che l’unico sviluppo possibile
per il nostro pianeta è uno sviluppo che sia “sostenibile”, vale a dire che non
arrivi a compromettere, per avidità e/o stoltezza, il futuro stesso della specie
umana.
Il quarto e ultimo capitolo è stato invece dedicato all’analisi del rapporto
tra WTO ed ambiente. Tale analisi ne ha seguito in un primo tempo
l’evoluzione storica e successivamente si è concentrato sulla disamina dei
lavori del CTE (Committee on Trade and Environment) della stessa WTO. Una
particolare attenzione è stata riservata anche alle conclusioni della Quarta
Conferenza ministeriale della WTO, tenutasi nel novembre 2001 a Doha, nel
Qatar, che ha introdotto elementi nuovi e degni di riflessione, e ha impostato
il lavoro per i prossimi anni.
Nelle conclusioni, abbiamo cercato di tirare le somme degli argomenti e
delle considerazioni svolte nei quattro capitoli che compongono il lavoro e di
integrarle e aggiornarle alla luce delle indicazioni emerse dal recente vertice di
Johannesburg, evidenziando l’attualità del tema, la sua costante evoluzione e
la necessità, per ben comprenderlo, di “uscire” dallo stesso ambito WTO, vale
a dire di non lasciarsi confinare in una prospettiva angustamente commerciale
e di tenere conto che i problemi in gioco hanno una portata ben più ampia,
che coinvolge ambiti diversi, nessuno dei quali può essere deliberatamente
trascurato, pena non solo l’incapacità di acquisire un quadro realmente
4
completo, ma di riuscire a comprenderlo nelle sue molteplici e variegate
sfumature.
Sotto il profilo metodologico, infine, occorre sottolineare come la stesura
di una tesi come la presente comporti una costante integrazione tra una
bibliografia specifica – vasta, anche se non sempre aggiornatissima e quasi
tutta in lingua inglese -, i contributi reperibili su alcune riviste di settore e il
materiale reperibile in rete, che è quantitativamente notevole, spesso assai
aggiornato, ma di qualità diseguale. Internet risulta inoltre molto importante
per la possibilità che offre di accedere senza problemi a documenti (trattati,
convenzioni, protocolli, etc.) che altrimenti sarebbero di ben più lenta e
difficile reperibilità.
5
Capitolo 1
IL COMMERCIO INTERNAZIONALE DAL 1820
AD OGGI
1.1. Cenni storici
L’evoluzione dell’economia internazionale dal 1820 ad oggi ha
rappresentato in larga misura una risposta ai cambiamenti determinatisi
all’interno dell’ambito politico, economico e tecnologico in cui si svolgono le
relazioni economiche tra i vari Paesi del mondo. La storia di questo periodo
testimonia l’esistenza di un lento ma inesorabile spostamento delle varie aree
dell’economia mondiale verso una sempre maggiore integrazione.
Il commercio internazionale è aumentato in misura esponenziale nella
seconda metà del XIX secolo, superando di gran lunga la crescita della
produzione mondiale. Particolarmente importanti si dimostrarono, a questo
proposito, il movimento in favore del libero scambio, mantenutosi vivo fino
al 1870, anche se già nel 1880 poteva dirsi fallito ed era mantenuto in vita solo
dal Regno Unito e da alcuni Paesi europei
1
; ed i vasti progressi compiuti nel
campo dei trasporti a vapore, che accrebbero rapidamente il flusso di persone
e beni attraverso i continenti e da un continente all’altro. Questa espansione
dell’economia internazionale fornì il meccanismo che consentì la grande
1
Cfr. W. ASHWORTH, A Short History of the International Economy since 1850, London 1962.
6
crescita economica dell’Europa occidentale e, sia pure in misura meno
rilevante, dei possedimenti coloniali dei più importanti Paesi europei
2
.
A seguito del trasferimento di consistenti masse di popolazione
principalmente dall’Europa in direzione dell’America settentrionale e
meridionale, si resero disponibili capitali per lo sviluppo economico di quei
Paesi che fungevano da sbocco per questi grandi flussi migratori
3
.
L’evoluzione del mercato internazionale durante tutto il secolo e la diffusa
adozione del gold standard
4
dopo il 1860 facilitarono il trasferimento
internazionale di merci e di capitali. Lo sviluppo del commercio internazionale
venne inoltre promosso dalla lenta diffusione di una rete commerciale
multilaterale.
L’Europa sfruttò le vaste risorse agricole e di materie prime presenti nei
nuovi territori per contribuire ad alimentare la sua crescente popolazione e
per rifornire le proprie industrie manifatturiere con molte delle materie prime
di cui aveva bisogno
5
. In conseguenza di ciò, il XIX secolo sperimentò su
scala in precedenza sconosciuta la crescita del reddito pro capite.
2
Cfr. A. G. KENWOOD – A. L. LOUGHEED, The Growth of the International Economy 1820-
2000. An introductory text, fourth edition, Routledge, London and New York 1999, p. 334.
3
Cfr. A. MADDISON, Dynamic Forces in Capitalist Development, Oxford 1991. Cfr. Altresì F.
D. SCOTT (ed.), World Migration in Modern Times, Englewood Cliffs 1968.
4
Il sistema del gold standard è quello per cui l’oro divenne lo standard internazionale, vale a dire
il punto di riferimento di tutte le monete nazionali. Le banche centrali erano obbligate in ogni
momento, su richiesta del detentore, a convertire i biglietti di banca in oro ed erano in grado di
mantenere l’impegno perché lo Stato non imponeva l’emissione di carta moneta oltre un certo
rapporto, in modo che risultasse sempre garantita la convertibilità in oro dei biglietti di banca in
circolazione. Altrettanto avveniva sul piano internazionale, ove non sussistevano limitazioni alla
libera convertibilità delle principali monete in oro e divise estere, alla libera trasferibilità all’estero
delle divise così acquistate a favore sia dei residenti sia dei non residenti nello Stato. Tranne
pochissime eccezioni, le unità monetarie dei vari Paesi avevano un contenuto aureo, anche se di
fatto più che monete circolavano biglietti di banca convertibili in moneta e assegni. Poiché l’oro
entrava e usciva liberamente dagli Stati e la moneta era liberamente convertibile in oro, ne
derivava un sistema quasi automatico di parità tra le diverse monete (cfr. A. COMBA, Il neo
liberismo internazionale. Strutture giuridiche a dimensione mondiale dagli accordi di Bretton
Woods all’organizzazione mondiale del commercio, Giuffrè, Milano 1995, p. 11; cfr. altresì B.
EICHENGREEN (ed.), The Gold Standard in Theory and History, New York 1985).
5
Cfr. W. WOODRUFF, Impact of Western Man, New York 1966.
7
Una caratteristica assolutamente peculiare dell’economia internazionale
prima del 1914 è che essa risultò dominata da un solo Paese, la Gran
Bretagna. Come prima nazione a conoscere l’industrializzazione, ad adottare il
gold standard e ad accettare il libero scambio come propria politica
commerciale, il Regno Unito dettò di fatto il ritmo della crescita dell’economia
mondiale, fornendo i mercati, i capitali e la forza lavoro necessari allo
sviluppo economico di una larga parte del pianeta
6
. E’ vero che, dopo il 1870,
Francia, Germania e – in misura minore – gli Stati Uniti cominciarono a
svolgere un ruolo di maggiore rilievo nel promuovere l’espansione
dell’economia internazionale e nel determinarne i caratteri
7
. Anche così,
tuttavia, la perdurante preminenza della Gran Bretagna negli affari finanziari
mondiali e la sua adesione ai principi del libero scambio pure in un periodo
caratterizzato da un generale ritorno degli Stati alle politiche protezionistiche
le conferirono un’indiscussa posizione di primato nell’economia
internazionale. E’ probabilmente per questa ragione che, prima del 1914, non
si rese in alcun modo necessaria la stipulazione di accordi internazionali su
questioni economiche e finanziarie. In effetti, se un qualche influsso direttivo
veniva esercitato nel XIX secolo sulla crescita e il funzionamento
dell’economia internazionale, questo aveva origine principalmente in Gran
Bretagna, la cui influenza sul commercio e la finanza internazionali era
assolutamente predominante.
Malgrado la tendenza di lungo periodo verso l’integrazione economica
internazionale, il movimento che abbiamo descritto fin qui racchiudeva in sé
anche i germi della sua distruzione, che puntualmente si verificò nei due
decenni successivi al termine della Prima Guerra Mondiale. In primo luogo,
6
Cfr. A. H. IMLAH, Economic Elements in the Pax Britannica, Cambridge (Massachusetts)
1958.
7
Cfr. A. MILWARD – S. B. SAUL, The Development of the Economies of Continental Europe
1850-1914, London 1977. Sugli Stati Uniti, cfr. M. WILKINS, The Emergence of Multinational
8
tale integrazione dipendeva in larga misura dalla bilancia dei pagamenti
britannica, che divenne molto meno favorevole dopo il 1900, determinando
in tal modo l’inevitabile collasso del commercio internazionale e della rete di
pagamenti che si era evidenziata nell’economia mondiale a partire dal 1870. In
secondo luogo, la decisione di abbandonare le politiche di libero scambio da
parte di Paesi come Germania, Stati Uniti, Francia e Russia, che fino a quella
data avevano svolto un ruolo di rilievo nel commercio internazionale,
provocò ulteriori tensioni negli scambi planetari.
Il primo conflitto mondiale modificò profondamente il quadro
economico internazionale. I fenomeni che ne conseguirono – vale a dire il
declino della posizione economica internazionale della Gran Bretagna,
l’emergere degli Stati Uniti quale prima potenza industriale e finanziaria del
pianeta, e le difficoltà economiche sperimentate dall’Europa in generale e in
particolare dalla Germania – resero palesemente impossibile un semplice
ritorno al sistema economico internazionale prebellico. Il tentativo, operato
negli anni Venti, di restaurare il gold standard si risolse in un completo
fallimento e, di fronte al crescere delle difficoltà economiche, aggravate
successivamente (a partire dal 1929) da una depressione di portata mondiale
8
e
da un crescente senso di insicurezza politica, i singoli Paesi si mostrarono
prevalentemente inclini a rinchiudersi in se stessi per affrontare e risolvere i
loro problemi economici. Per di più, mentre i governi erano sollecitati ad
affrontare queste crisi svolgendo un ruolo più attivo negli affari economici
interni, le politiche economiche internazionali risultavano sempre più
subordinate a scelte di politica interna intese soprattutto a difendere i livelli di
Enterprise: American Business Abroad from the Colonial Era to 1914, Cambridge
(Massachusetts) 1970.
8
Sul modo in cui si pervenne alla crisi del 1929, cfr. D. H. ALDCROFT, From Versailles to Wall
Street, 1919-1929, Hardmondsworth 1987. Sulla “Grande Depressione” vera e propria, cfr. K.
BRUNNER (ed.), The Great Depression Revisited, Boston 1981.
9
occupazione e di produzione
9
. Di fronte al collasso della tradizionale cornice
delle istituzioni economiche internazionali ed al manifestarsi di un approccio
di tipo più nazionalistico alle questioni economiche, non c’era molto spazio
per la cooperazione tra governi alla ricerca di una soluzione multilaterale da
conferire ai problemi economici mondiali
10
; di conseguenza, mentre la spinta
allo sviluppo del commercio portò infine alla stipulazione di qualche accordo
internazionale mirante a stabilizzare i tassi di cambio, i tentativi operati negli
anni Trenta al fine di risolvere i problemi commerciali e finanziari o presero la
forma di accordi bilaterali, oppure vennero realizzati all’interno di un contesto
di blocchi regionali in competizione tra loro.
Il successo riportato nell’ottenere il consenso internazionale su una vasta
gamma di questioni economiche a partire dall’inizio degli anni Quaranta in
avanti si pone in stridente contrasto con l’impostazione decisamente più
nazionalistica risultata prevalente nel periodo tra le due guerre e con le molto
più limitate forme di intese internazionali caratteristiche del periodo
antecedente alla Prima Guerra Mondiale. Ciò, tuttavia, non accadde per il
fatto che vari Paesi erano meno preoccupati, negli anni Quaranta, dei livelli di
occupazione interni e dei tassi di sviluppo economico, ma piuttosto per
ragioni esattamente contrarie. Fu perché i governi non potevano permettersi
che le economie nazionali risultassero minacciate da eventi esterni che si rese
necessario creare, come atto politico deliberato, un sistema economico
internazionale nell’ambito del quale fosse possibile, per i singoli Paesi,
9
Cfr. C. P. KINDLEBERGER, The World in Depression, 1929-1939, Harmondsworth 1987.
10
Nessun successo significativo ebbero ad esempio le conferenze internazionali promosse nel
quadro della Società delle Nazioni in materia di economia monetaria e di scambi internazionali
(tra esse occorre citare le tre conferenze internazionali sull’abolizione dei divieti e delle restrizioni
alle importazioni e alle esportazioni, tenutesi a Ginevra rispettivamente nell’ottobre-novembre
1927, nel luglio e nel dicembre 1928, nonché la Conferenza economica monetaria tenutasi a
Londra nel luglio 1933), anche se deve essere riconosciuto loro il merito di aver contribuito ad
individuare alcuni principi che vennero successivamente attuati dalle organizzazioni internazionali
sorte alla fine del secondo conflitto mondiale (cfr. REY, Institutions économiques internationales,
Bruxelles 1988).
10
esercitare la propria sovranità economica senza mettere in pericolo il
benessere degli altri Paesi. Inoltre, anche il fatto che il conseguimento degli
obiettivi economici nazionali della piena occupazione e degli alti tassi di
crescita potesse essere aiutato dall’esistenza di un’economia mondiale in grado
di ben funzionare contribuì a rendere i vari Paesi più desiderosi di collaborare
alla creazione di istituzioni economiche internazionali intese ad eliminare le
carenze finanziarie ed i diffusi impedimenti al commercio internazionale che
avevano determinato il collasso dell’economia mondiale negli anni Trenta
11
. In
un certo senso, quindi, l’emergere, dopo il 1945, di un’economia
internazionale sostanzialmente gestita (se non proprio diretta) dagli Stati Uniti
rappresentò in larga misura il risultato della diffusione di questa stessa
economia a livello nazionale caratteristica del periodo successivo al 1920 e
soprattutto del fatto che gli USA, dopo il 1945, erano – almeno a livello
economico e commerciale – l’unica superpotenza mondiale.
Fu soltanto negli anni Cinquanta, tuttavia, che riprese a manifestarsi in
forma significativa la tendenza verso una maggiore globalizzazione
dell’economia. Ciò accadde principalmente a seguito dell’avvio di un
programma di liberalizzazione del commercio internazionale condotto sotto
gli auspici del GATT
12
e di uno stabile ambiente finanziario creato in
conseguenza dell’istituzione del Fondo Monetario Internazionale (FMI)
13
. Il
11
Cfr. A. MADDISON, The World Economy in the 20th Century, OECD, Paris 1989.
12
Il GATT (General Agreement on Tariffs and Trade) venne stipulato il 30 ottobre 1947 a
Ginevra sulla base di due principi fondamentali: da un lato, un approccio multilaterale e non
discriminatorio al commercio internazionale; dall’altro, la condanna delle restrizioni commerciali
di tipo quantitativo. L’accordo consentiva inoltre l’istituzione di un Segretariato con sede a
Ginevra, per cui il GATT assunse fin da subito una struttura istituzionalizzata.
13
L’obiettivo ultimo dell’FMI era di creare le condizioni per le quali il trasferimento di beni e
servizi da un Paese all’altro potesse avvenire senza essere condizionato da restrizioni commerciali
o da controlli sui pagamenti internazionali. Per conseguire questo scopo, il Fondo Monetario
Internazionale si poneva tre obiettivi principali, ciascuno dei quali rappresentava chiaramente un
riflesso delle lezioni apprese durante il periodo tra le due guerre mondiali. In primo luogo,
attraverso l’eliminazione dei controlli sui cambi si sarebbe dovuto realizzare un sistema
multilaterale di pagamenti basato sulla convertibilità su scala mondiale delle monete.
Secondariamente, avrebbe dovuto essere mantenuta una ragionevole stabilità dei tassi di cambio,
avrebbero dovuto essere evitate le svalutazioni intese ad accrescere i margini di competitività e,
11
codice di condotta elaborato dal GATT, in particolare, prevedeva che ogni
Paese membro dovesse godere di un ragionevole accesso ai mercati dei suoi
partner commerciali, offrendo in cambio analogo accesso al suo mercato
interno agli esportatori stranieri. Si riteneva infatti che, in questo modo, il
commercio internazionale si sarebbe espanso con grande rapidità, dal
momento che tutti i Paesi avrebbero potuto contare su equi rapporti
commerciali, superando tutte le difficoltà che avevano paralizzato le relazioni
economiche internazionali nel corso degli anni Trenta.
A seguito di questa e di altre istituzioni economiche internazionali create
per iniziativa collettiva o sotto l’egida delle Nazioni Unite, il periodo che va
dal 1950 al 1973 è risultato uno dei più prosperi nella storia dell’economia
mondiale
14
. Tuttavia, anche se si deve riconoscere parte del merito di questa
prosperità all’esistenza di istituzioni economiche internazionali, non si deve
dimenticare che, almeno in una fase iniziale, la ripresa postbellica ebbe un suo
peso, mentre l’accelerazione determinatasi in campo tecnologico si pose alla
radice – da sola o in combinazione con altri fattori – della maggior parte dello
sviluppo di quegli anni. In effetti, uno dei maggiori fattori di crescita del
periodo postbellico è stato e continua ad essere tutt’oggi il progresso
tecnologico su scala vasta e al tempo stesso intensiva, nel senso che mai prima
d’ora ci sono state tante scoperte tecnologiche su base annua e questa
tendenza sembra destinata a perdurare anche nel nuovo millennio.
nel caso in cui si fossero resi necessari aggiustamenti dei cambi, questi avrebbero dovuto essere
realizzati in forma ordinata. Infine, allo scopo di consentire ai Paesi membri di sviluppare
politiche nazionali di piena occupazione, il Fondo si accinse al quasi impossibile compito di
combinare la stabilità dei tassi di cambio con l’indipendenza nazionale nelle politiche monetarie e
fiscali (cfr. S. HORIE, The International Monetary Fund, London 1964).
14
Nel periodo in questione, il PIL dei 16 più importanti Paesi dell’OCSE crebbe ad una media
annua del 4,8% in termini reali, mentre la produttività del lavoro crebbe ad una media di circa il
4,5% l’anno (cfr. A. BOLTHO (ed.), The European Economy: Growth and Crisis, Oxford
University Press, London 1982).
12
Nel corso degli anni Cinquanta e Sessanta, i principali attori del
commercio mondiale sono stati i Paesi industrializzati dell’Europa
occidentale, il Canada, gli Stati Uniti, il Giappone e alcuni Stati dell’Asia-
Pacifico, mentre anche i Paesi ad economia centralizzata hanno fatto
registrare una crescita significativa
15
. Dal canto loro, i Paesi in via di sviluppo
(PVS), anche se nel loro insieme hanno beneficiato del crescente processo di
globalizzazione, sono rimasti in posizione molto subordinata rispetto ai Paesi
sviluppati. Una politica di aiuti su larga scala da parte di questi ultimi è però
riuscita a fornire un grande stimolo a quei Paesi del Terzo Mondo che hanno
cercato di adottare una propria autonoma politica di sviluppo.
Come già era accaduto in passato, tuttavia, anche il sistema economico
planetario in tal modo creato racchiudeva in sé i germi della propria rovina.
Tanto il GATT quanto l’FMI, infatti, operavano prevalentemente in base alle
esigenze della CEE (Comunità Economica Europea) e del Nordamerica, e
questo aveva rapidamente determinato il sorgere di una profonda
insoddisfazione tra i Paesi produttori di materie prime, che avevano
cominciato a guardare al GATT come ad un’istituzione intesa essenzialmente
a favorire le politiche commerciali dei Paesi ricchi
16
. A seguito di queste
proteste, nel 1964 venne costituita – nell’ambito dell’ONU – l’UNCTAD
(United Nations Conference on Trade and Development), un’organizzazione che
avrebbe dovuto meglio tutelare gli interessi dei Paesi produttori di materie
15
Cfr. A. MADDISON, Economic Growth in the West, George Allen & Unwin, London 1964.
16
In particolare, si riteneva che il modo in cui le riduzioni tariffarie erano state stabilite
nell’ambito del GATT, vale a dire riduzioni reciproche da parte dei Paesi contraenti, erano
inadatte ai Paesi in via di sviluppo, dal momento che le riduzioni tariffarie così realizzate
potevano esercitare negative influenze sui loro programmi di sviluppo. Per di più, la struttura
tariffaria dei Paesi industrializzati era sfavorevole alla crescita delle esportazioni di manufatti da
parte dei PVS, dal momento che la più bassa gravava sulle materie prime e la più alta sui prodotti
finiti, ciò che favoriva il fatto che le ultime fasi della produzione manifatturiera potessero essere
realizzate nel mondo industrializzato. Inoltre, il ricorso a restrizioni quantitative sulle importazioni
da parte dei Paesi industrializzati tendeva a coprire un certo numero di beni – come il cuoio ed i
prodotti derivati, i motori elettrici, gli articoli sportivi ed i prodotti tessili -, molti dei quali erano
stati esportati in grandi quantità dai Paesi in via di sviluppo.
13
prime, anche se il suo operato non risultò particolarmente incisivo
17
, dal
momento che le barriere di carattere non tariffario erette contro l’ingresso di
manufatti nei Paesi industrializzati si sono moltiplicate dopo il 1973,
specialmente in Europa, ed hanno inciso assai negativamente sulle economie
dei PVS. In effetti, per tutto il periodo in cui i PVS hanno cercato di
espandere le loro relazioni commerciali con il resto del mondo, essi hanno in
realtà dovuto fare i conti con un significativo deterioramento della loro
situazione commerciale.
Il sistema dei tassi di cambio dell’FMI fu il primo, all’inizio degli anni
Settanta, a percepire le tensioni che si stavano determinando nel momento in
cui il meccanismo di regolazione dei prezzi stava cominciando a cedere il
passo alla fluttuazione delle valute. Nello stesso tempo, le riduzioni tariffarie
realizzate sotto la guida del GATT cedettero il passo, negli anni Settanta, ai
sistemi di controlli quantitativi sulle importazioni, che erano anche più
restrittivi delle tariffe. Inoltre, la spinta in favore delle unioni doganali e delle
aree di libero scambio, che quasi inevitabilmente portava con sé qualche
forma di discriminazione commerciale, impediva pure l’evoluzione verso il
libero scambio su scala planetaria. A giudizio di taluni studiosi, fu soprattutto
l’Europa occidentale a racchiudersi in se stessa, con il passare del tempo,
dando vita ad un blocco commerciale vasto e costantemente crescente,
caratterizzato da molti benefici per i Paesi membri e da problemi commerciali
per gli altri, soprattutto in campo agricolo
18
. Secondo questa interpretazione,
non poche responsabilità debbono essere attribuite proprio all’Unione
Europea, la quale, pur continuando formalmente ad operare nel quadro del
GATT, si rese sempre più responsabile di pratiche discriminatorie in campo
17
Cfr. S. GOLT, Developing Countries in the GATT System, Trade Policy Research Centre,
London 1978. Cfr. inoltre A. I. MacBEAN – P. N. SNOWDEN, International Institutions in
Trade and Finance, Institute for International Economics, London 1981.
18
Cfr. KENWOOD – A. L. LOUGHEED, op. cit., p. 280 sg.
14
commerciale, che il GATT stesso vietava esplicitamente
19
. Nel corso degli
anni Ottanta, inoltre, anche gli Stati Uniti cominciarono a sviluppare una
propria politica tariffaria autonoma, al di fuori del quadro del GATT.
Oltre a quelle citate, ci sono due altre aree in cui il commercio
internazionale è stato ancor più stravolto dall’azione dei Paesi industrializzati.
La prima e più grave distorsione dei principi del GATT è stata rappresentata
dall’introduzione da parte della CEE, negli anni Sessanta, della cosiddetta
politica agricola comune
20
. La seconda si è verificata nel corso degli anni
Settanta, quando ha avuto luogo un frequente e diffuso ricorso, da parte dei
Paesi industrializzati, alle restrizioni di carattere non tariffario sulle
importazioni, in particolare per contenere la crescente penetrazione
commerciale giapponese sui mercati americano ed europeo. Non si intende
tuttavia soffermarsi qui sui problemi che sorsero e vennero affrontati, con
maggiore o minore successo, durante le periodiche conferenze tariffarie
(denominate rounds) del GATT, poiché saranno oggetto di trattazione
specifica nel Capitolo 2.
Se si considera che il GATT venne fondato nel 1947, si può
legittimamente affermare che già nel 1960, a seguito delle varie disposizioni
che consentivano la possibilità di fare eccezioni alle regole generali che
sovrintendevano alla liberalizzazione del commercio, l’economia
internazionale stava evolvendo rapidamente verso una realtà di
regionalizzazione in conseguenza della quale, all’interno di ogni area regionale
di libero scambio, le principali norme del GATT erano state accantonate, dato
19
Cfr. R. POMFREY, Unequal Partners: the Economics of Discriminatory International Trade
Policies, Blackwell, Oxford 1988.
20
La politica agricola comune era intesa ad assicurare che gli agricoltori della CEE fossero in
grado di poter contare su redditi comparabili a quelli ottenuti negli altri comparti produttivi dei
Paesi membri. Per conseguire questo obiettivo, furono imposte restrizioni all’importazione di
prodotti alimentari da Paesi esterni alla Comunità, vennero sostenuti i prezzi dei prodotti agricoli
15
che i Paesi membri di queste organizzazioni regionali operavano una costante
discriminazione in favore degli altri membri e contro gli esclusi
21
.
L’evoluzione successiva del GATT, trasformatosi nel gennaio 1995 in WTO
(World Trade Organization), non ha per il momento portato ad una soluzione
definitiva di questi problemi, che restano sempre il frutto di una netta
contrapposizione tra i Paesi industrializzati e quelli in via di sviluppo.
Il boom commerciale internazionale verificatosi all’inizio degli anni
Settanta determinò tassi d’inflazione costantemente crescenti, che nel 1973-74
risultarono aggravati da aumenti senza precedenti nei prezzi dei prodotti
petroliferi. Nel 1974, l’economia mondiale entrò in crisi e nel successivo
quarto di secolo si dimostrò incapace di ritornare ai giorni felici del periodo
1950-1973, caratterizzato da bassi tassi di inflazione e di disoccupazione. Ciò
segnò la fine della fase di crescita internazionale e il sorgere di un periodo di
difficoltà che durò fino alla fine degli anni Novanta.
Nei Paesi industrializzati, gli anni successivi al 1974 furono caratterizzati
da una crescita economica contenuta, accompagnata in genere da elevati tassi
di inflazione e soprattutto di disoccupazione. Nel resto del mondo, si
manifestarono la comparsa e lo sviluppo di parecchi Paesi di recente
industrializzazione, tra i quali – per non citarne che alcuni – Corea del Sud,
Hong Kong, Taiwan, Singapore (le cosiddette “tigri asiatiche”), Brasile,
Argentina, Messico, Israele, Spagna, Grecia e Portogallo. Politiche
economiche intese a favorire la crescita mediante la promozione delle
esportazioni produssero elevati tassi di sviluppo nella maggior parte di questi
Paesi e in particolare tra le “tigri asiatiche”, che all’inizio degli anni Ottanta si
erano ormai affermate come nuove realtà industriali mondiali.
comunitari e venne addirittura decisa l’eliminazione delle eccedenze agricole, nel caso in cui essa
si rendesse necessaria.
21
Cfr. KENWOOD-LOUGHEED, op. cit., p. 296 sg.