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INTRODUZIONE
Sono in atto mutamenti rischiosi che stanno interessando l’ambiente, sia quello
che ci circonda sia quello in zone più lontane da noi. Deforestazione, erosione
e perdita di fertilità del suolo, avanzamento della desertificazione,
inquinamento dell’aria e dell’acqua, lunghi periodi di siccità, effetto serra,
buco dell’ozono, estinzione di specie animali sono termini che quasi ogni
giorno i mass media ci ripropongono. Molto spesso, però, sono descritti come
eventi cui non è possibile porre rimedio e ci vengono presentati puntualmente
in seguito a disastri naturali.
Meno conosciute, però, sono le azioni di intervento che vengono realizzate, o
sperimentate, in ogni parte del mondo, che riescono ad avere effetti positivi
anche nell’immediato.
Da queste premesse è iniziato il mio lavoro di ricerca intorno ad alcune azioni
rivolte verso uno "sviluppo sostenibile"
1
. Realizzare uno "sviluppo sostenibile"
significa principalmente adottare metodi di prevenzione tali da evitare ulteriori
danni e catastrofi. Molti degli interventi che si realizzano non vengono
divulgati in modo approfondito come, invece, accade pei i danni a cui tali
interventi tentano di porre rimedio.
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1
Nel “Rapporto Brundtland”, documento redatto dalla Commissione mondiale sull'ambiente e lo
sviluppo (WCED) nel 1987, viene coniato il concetto di "sviluppo sostenibile", definito come: ‹‹quello
sviluppo che soddisfi i bisogni dell’attuale generazione senza compromettere la capacità di quelle future
di rispondere ai loro››.
Cfr. Nebbia G., Lo sviluppo sostenibile, San Domenico di Fiesole, Edizioni Cultura della Pace, 1991, p. 5.
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La mia analisi, quindi, si è concentrata su un esempio eccellente di buona
pratica svolto in un Paese dell’Africa che maggiormente risente dei
cambiamenti ambientali in atto, il Kenya. La principale protagonista di questo
cambiamento è stata Wangari Muta Maathai, promotrice del Green Belt
Movement, movimento da lei stessa ha fondato nel 1977.
È un personaggio non molto conosciuto in Occidente, ma che, grazie al suo
movimento, ha lottato non solo per la salvaguardia dell'ambiente ma anche per
i diritti delle donne, svolgendo una parte attiva durante gli anni che hanno
portato il Kenya verso la democratizzazione. Wangari è stata la prima donna
del continente africano a conseguire un dottorato e a ottenere una cattedra
universitaria (1971), ma soprattutto è stata la prima donna africana a ricevere il
Premio Nobel per la Pace (2004).
Il mio lavoro è stato rivolto principalmente alla ricerca delle connessioni tra la
salvaguardia delle condizioni ambientali, la conquista dei diritti civili e il
perseguimento della pace, motivo per cui Wangari ha ricevuto il Premio Nobel.
In Italia, soprattutto, manca una documentazione esaustiva che la riguarda.
Nella stesura della mia tesi, infatti, ho fatto riferimento principalmente ai tre
libri scritti da lei e tradotti in italiano: La religione della Terra; Solo il vento mi
piegherà; La Sfida dell’Africa
2
.
Il primo capitolo è diviso in tre paragrafi. Il primo paragrafo tratta i principali
eventi storici che si sono susseguiti in Kenya, iniziando dal suo passato
_______________________________________________________________
2
Maathai W., La Religione della Terra, Milano, Sperling & Kupfer, 2010; Maathai W., Solo il vento mi
piegherà, Milano, Sperling & Kupfer, 2007; Maathai W., La sfida dell’Africa, Modena, Nuovi Mondi,
2010.
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coloniale, radice di molti dei problemi attuali del Paese. Il secondo paragrafo
ripercorre gli eventi che hanno caratterizzato la biografia di Wangari Muta
Maathai: dalla nascita in un paesino rurale, agli studi compiuti negli Stati Uniti,
dalle vicende sulla sua vita privata che si sono intrecciate a quelle del
movimento da lei creato, al suo attivismo politico, nonché tutte le lotte, con
vittorie e sconfitte, che ha sempre affrontato con profonda dignità e
ostinazione. Il terzo paragrafo tenta di spiegare i motivi che hanno portato, nel
1977, alla fondazione del Green Belt Movement.
Il colonialismo ha operato profondi cambiamenti in Kenya anche dal punto di
vista ambientale e, quando Wangari ritornò dagli Stati Uniti, dopo che il suo
Paese aveva ottenuto l’indipendenza dalla Gran Bretagna, questi mutamenti le
parvero tanto disastrosi da spingerla a porvi un rimedio.
Il secondo capitolo inizia con la storia del Green Belt Movement, descrivendo
più dettagliatamente i motivi che hanno portato alla sua nascita, i metodi
utilizzati per perseguire uno "sviluppo sostenibile", la sua evoluzione in
territori fuori dal Kenya e come continui il suo lavoro, nonostante la morte
della sua ideatrice, avvenuta il 25 settembre 2011.
Ci si sofferma poi sugli ideali condivisi dalle persone che prendono parte alle
iniziative del Movimento delle Cinture Verdi. ‹‹Con il tempo mi sono quindi
resa conto che il lavoro del GBM non era guidato solo da passione e dalla
lungimiranza, ma anche da qualche intangibile principio fondamentale››
3
.
Queste parole di Wangari fanno da premessa all’esposizione dei quattro
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3
Maathai W., La religione della Terra, Milano, Sperkling & Kupfer Editori, 2010, p. 3.
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principi fondamentali: amore per l’ambiente, gratitudine e rispetto per le
risorse della Terra, autopotenziamento e automiglioramento, spirito di servizio
e volontariato. Successivamente ho narrato come l’impegno a favore
dell’ambiente si sia evoluto in un impegno educativo con l’Istituto "Wangari
Maathai" per la Pace e gli Studi ambientali.
Il terzo capitolo prende come spunto il libro La sfida dell’Africa. Wangari, in
questo libro, ci ha spiegato quali siano i problemi attuali che affliggono non
solo il territorio keniota, ma anche tutto il continente africano e propone delle
possibili soluzioni. Ho individuato le tre principali "sfide", a ognuna delle quali
è dedicato un paragrafo, che l’Africa deve ancora combattere per riuscire a
compiere pienamente il suo sviluppo. I problemi contemporanei dell’Africa
sono ancora una conseguenza del suo passato coloniale, ma una grave
responsabilità la rivestono anche i Paesi più ricchi che giocano il doppio ruolo
di finanziatori del suo sviluppo e di principali artefici del suo degrado
ambientale, sociale, politico ed economico.
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CAPITOLO PRIMO
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Wangari Muta Maathai: una vita per il riscatto
dell’A frica
1.1 Notizie storiche sul Kenya: dal passato coloniale a un
presente difficile
La zona costiera del Kenya è sempre stata interessata, già dall’VIII sec. d.C.,
dalle rotte commerciali di Arabi e Persiani. Gli scambi commerciali
riguardavano soprattutto tessuti, avorio, oro e vetro. I commercianti fondarono
come loro basi numerose città-stato, delle quali la più potente era il sultanato
dell’Oman. Ogni città-stato aveva una propria indipendenza, ma ben presto
entrarono in conflitto tra di loro per il predominio delle coste. Frutto
dell’influsso della cultura araba e persiana fu la nascita dello "swahili", termine
che deriva dall’arabo sawāhili che significa costa, diventato lingua ufficiale del
Kenya
1
.
Durante il suo viaggio iniziato per raggiugere l’India, avvenuto nel 1498,
Vasco da Gama toccò le coste del Kenya approdando prima a Malindi e poi a
_______________________________________________________________
1
Cfr. Vocabolario Treccani, swahili, in http://www.treccani.it/vocabolario/swahili/.
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Mombasa. I portoghesi, arrivati con Vasco da Gama, imposero la loro
supremazia nei contrasti fra le varie città-stato, ma la loro avanzata terminò con
la reazione violenta del sultanato dell’Oman .
Le prime esplorazioni interne del territorio ebbero luogo nella metà
dell’Ottocento, allorché gli europei scoprirono il Monte Kenya e il
Kilimangiaro. Come racconta Wangari Maathai: ‹‹Si dice che gli esploratori
Johan Ludwing Krapf e Johannes Rebmann, imbattendosi nel monte (Kenya)
nel 1849, chiedessero alla guida - un membro del clan dei kamba intento a
trasportare una zucca - come fosse chiamato nella loro lingua. Pensando che i
due tedeschi si riferissero alla zucca, l’uomo rispose: "Si chiama kīī-nyaa", che
divenne poi il nome della montagna e in seguito dell’intero Paese. In tutta
l’Africa, gli europei hanno rinominato ciò che hanno incontrato››
2
.
Inghilterra e Germania, entrambe attratte dalla fascia costiera dell’Africa
orientale, nel 1886 raggiunsero un accordo per dividersi la zona d’interesse,
creando così nuove delimitazioni territoriali, senza tener conto delle differenze
tra le comunità preesistenti
3
. Nessuna delle città-stato fu abbastanza forte da
riuscire a opporsi all’avanzata europea.
L’invasione europea divenne inarrestabile soprattutto quando il sultanato
dell’Oman, vedendo negli inglesi un forte alleato contro l’emergente sultanato
di Seyyid Said, fu costretto a elargire delle concessioni commerciali alla British
East Africa Company
4
.
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2
Maathai W., Solo il vento mi piegherà, Milano, Sperling & Kupfer Editori, 2010, p. 5.
3
Cfr. Enciclopedia De Agostini, Kenya, in http://www.sapere.it/enciclopedia/Kenya.html.
4
Cfr. Enciclopedia Treccani, Kenya, in http://www.treccani.it/enciclopedia/kenya_(Dizionario-di-
Storia)/.