7
culturali e teologici del periodo. Tutto ciò non è soltanto un definire lo sfondo del
processo dei volgarizzamenti, ma individuarne le motivazioni. Si vuole mettere in
luce come la tradizionale periodizzazione, che fissa un momento cruciale tra il XV e
XVI, nell’ambito della spinta al cambiamento e alla riforma, sia da estendersi tanto
ad un universo cattolico quanto a quello del nascente orizzonte protestante. Si pone
in evidenza il fatto che le “due riforme”, nell’ambito protestante e cattolico,
attecchirono su un terreno comune, caratterizzato dalla volontà di espandere e
radicare il cristianesimo entro un orizzonte di maggior conoscenza e
interiorizzazione e, pur nella dichiarata opposizione successiva, perseguirono fini
analoghi. Lo spirito di riforma, prima di assumere caratteri distintivi, è un clima
culturale e religioso generalizzato. Si fonda non solo su una più acuta coscienza dei
problemi, ma anche sul rilevamento della situazione oggettiva, di quegli aspetti di
crisi che s’erano andati acutizzando all’interno della Chiesa: dall’ ignoranza del
clero, alla scarsa familiarità con le fonti cristiane, alla superficialità quasi
superstiziosa di molte pratiche
1
. Questa premessa è importante per arrivare alla
dimensione delle traduzioni bibliche. C’è una forte correlazione tanto tra la spinta
alla riforma e la vastità del fenomeno di volgarizzazioni delle Sacre Scritture, tanto
tra la varietà e permeabilità dei diversi canali che si fanno portatori della riforma e
l’analoga influenza sul carattere molteplice dei volgarizzamenti biblici di questo
periodo storico.
Il punto di partenza è che la diffusione della Bibbia nelle lingue vernacole si lega in
un binomio stretto con le finalità della riforma, sia cattolica che protestante. Ciò
comporta un’accelerazione della domanda di Bibbie tradotte e una conseguente
1
Cfr. sul tema G. FILORAMO, D. MENOZZI, Storia del Cristianesimo. Età Moderna.
Laterza, Bari 1997; M. ROSA, Clero e società nell’Italia moderna, Laterza, Bari, 1992; OTTAVIA
NICCOLI, La vita religiosa nell’Italia moderna. Secoli XV-XVIII,Ed. Carocci, Roma 2002.
8
crescita degli esperimenti di volgarizzazione provenienti da diversi fronti. Il risultato
è un campo vasto ed articolato di nuove versioni. La traduzione della Bibbia diventa
così un tema di ricerca fondamentale nella storia della vita religiosa italiana tra
Quattro e Cinquecento, dato che fu il libro più stampato e diffuso tra quelli religiosi
in volgare ed ebbe un’importanza centrale nelle aspettative di tutti i movimenti di
riforma. Oltre alle numerose ristampe di una versione medievale, tra Quattro e
Cinquecento, segno di una notevole richiesta da parte del pubblico, molte furono le
nuove traduzioni che uscirono in prima edizione, raggiungendo il culmine in pieno
Cinquecento.
È evidente che la compenetrazione tra un clima sociale ricco di fermenti e il
fenomeno della grande richiesta di nuove traduzioni bibliche è profonda ed
articolata. Varie le motivazioni. Basti pensare che il ritorno personale alla
meditazione della Parola di Dio pura e semplice, priva di mediazioni, era individuato
come punto nodale di ogni cammino indirizzato alla riforma ecclesiastica, comune a
diversi fronti. Ciò, convertendo la religiosità collettiva, rituale e guidata in devozione
libera e personale, basata sulla meditazione intima, sul rapporto del singolo con Dio,
accentua fortemente l’esigenza di un testo tradotto e comprensibile, non più dalle
elites ma dalla totalità dei credenti. La diffusione della Bibbia è legata alla
convinzione crescente che essa sia “breve et singular via di poter pervenire a la
mistica spiritual perfettione”
2
. È proprio questo il filo rosso, comune a tutti gli
ambiti, che rende il fenomeno delle volgarizzazioni bibliche tutt’altro che secondario
nello scenario sociale dell’epoca e nella spinta alla riforma.
Il secondo capitolo scende nell’ambito più specifico del lavoro svolto. Se
l’aumento esponenziale delle traduzioni bibliche è un fenomeno rilevante a cavallo
del Cinquecento, la diffusione nella preghiera personale e comunitaria del gruppo dei
2
Come scriveva l’agostiniano Girolamo Regino (OTTAVIA NICCOLI, La vita religiosa nell’Italia
moderna. Secoli XV-XVIII, Carocci, Roma 2002. Pag. 100).
9
Sette Salmi Penitenziali parte da lontano e detiene una posizione privilegiata anche
in ambito medievale. Chiaramente, l’aumento delle volgarizzazioni investe anche
questo angolo specifico della Bibbia, risolvendosi in una proliferazione di traduzioni
che spesso riguardano solo il gruppo dei Penitenziali. Si vogliono così delineare le
caratteristiche salienti e i temi tipici di questo gruppo e poi, nello specifico, la
struttura tematica del Salmo VI, il primo dei Sette Penitenziali, oggetto di analisi del
lavoro svolto.
I capitoli seguenti, comprendono, secondo un criterio cronologico, il percorso di
analisi delle traduzioni maggiori e minori che hanno costellato il panorama
cinquecentesco.
Nel terzo capitolo si analizza la versione di Nicolò Malerbi, risalente alla fine del
Quattrocento. Questa, detiene una posizione privilegiata, in quanto punto di partenza
delle traduzioni bibliche volgari a stampa e, come tale, dà il via alla molteplicità di
edizioni successive.
Si analizza il percorso che ha condotto all’elaborazione della Bibbia malerbiana. Si
indagano le motivazioni sociali e culturali di cui il Malerbi investe il suo lavoro,
sopratutto basandoci sull’analisi del testo introduttivo alla prima edizione della
Bibbia malerbiana: l’ “Epistola a Laurentio”, che contiene molte informazioni utili
per delineare l’ importanza di una volgarizzazione biblica nel contesto dell’epoca.
Segue, secondo lo schema mantenuto anche per gli autori successivi, l’analisi
linguistica, tematica e stilistica del Salmo VI, che sarà condotta anche attraverso un
confronto comparativo con il testo latino della Vulgata di S. Gerolamo.
Il quarto capitolo, procedendo cronologicamente, ci porta alle soglie del
Cinquecento e alla nuova dimensione culturale che si sta affermando con
l’umanesimo. Ne deriva un contesto letterario che non può non influenzare i nuovi
criteri chiave per le traduzioni bibliche. È una fase che si pone criticamente in
10
antitesi rispetto alla vecchia traduzione malerbiana e comprende una serie di tentativi
di superamento di questa, basati sui nuovi modelli di rigore filologico. Si prende
dunque in considerazione la versione del libro dei Salmi di Girolamo Benivieni,
esempio dei nuovi criteri con cui ci si propone di tradurre il testo biblico. Segue
l’analisi del testo del Salmo VI, primo esempio analizzato di una versione metrica.
Il quinto capitolo è dominato da un personaggio fondamentale nell’ambito dei
volgarizzamenti biblici: Antonio Brucioli. Basilare non soltanto per la sua versione,
la seconda integrale dopo quella malerbiana, ma anche per la sua posizione che si
gioca in una dimensione di confine tra mondo protestante, di cui il Brucioli avverte
fortemente il richiamo, e ortodossia cattolica, a cui cerca di conformarsi. La sua
Bibbia risente di questo dualismo e lo riflette, diventando anch’essa un’opera di
“confine”, importante e contrastata nel mondo cattolico, basilare in quello
protestante. Altro elemento di novità è il ricorso nel suo lavoro ad un confronto con i
testi originari non solo latini, ma greci ed ebraici, secondo i principi della nuova
filologia umanistica.
Il sesto capitolo, mette in luce una fase importante dell’atteggiamento ecclesiastico
nei riguardi delle traduzioni bibliche. Si tratta di quella tendenza che viene mantenuta
per qualche tempo, prima di intraprendere la via del divieto nei riguardi dei testi sacri
in lingue vernacole, che mira a prendere in carico ed accogliere in ambiente
ecclesiastico, l’ambito delle traduzioni bibliche, per fornire un testo lontano dai
rischi di un’esegesi riformata. È in realtà un nuovo tentativo di riportare al controllo
un settore strategico che rischia di sfuggire di mano, con il crescere della sua
rilevanza sociale. Tale compito viene lasciato per lo più all’iniziativa dei domenicani.
Da qui, l’analisi di una delle traduzioni integrali realizzata da un monaco
domenicano: Sante Marmochino. La vicenda delle traduzioni bibliche prese in carico
dai domenicani si costruisce per antitesi rispetto all’opera e alle vicende del Brucioli,
11
verso il quale i monaci del convento domenicano di S. Marco a Firenze mantengono
un atteggiamento di opposizione e di antagonismo. Si contrappongono da una parte
la versione di un laico simpatizzante luterano, dall’altra uno degli esempi di
traduzione redatta all’interno di un monastero e garantita nella sua ortodossia
cattolica.
Il settimo e l’ottavo capitolo, più che per progressione cronologica, procedono per
gruppi tematici. Si tratta, infatti, dell’analisi di testi riconducibili a due diverse
modalità di traduzione della Bibbia e, nello specifico, del Salmo VI.
Nel settimo capitolo, si prendono in esame due esempi di Salmo VI appartenenti ad
una traduzione di tipo esplicativa. È una modalità caratterizzata dalla forma
prosastica e dalla tendenza ad allargare ed amplificare la tematica, unendo alla
traduzione, l’esegesi, con finalità pedagogica.
L’ottavo capitolo si occupa, invece, dell’ analisi del testo di alcuni Salmi VI tradotti
seguendo la forma metrica e la resa poetica. In entrambi i capitoli ciò che risulta è
che, nell’ambito della medesima tipologia di traduzione, i risultati si presentano
comunque molto differenziati ed autonomi.
Nel nono capitolo, si ritorna ad un procedimento cronologico. Dopo la metà del
Cinquecento intervennero dei grossi cambiamenti nel clima religioso e culturale
italiano: mentre prima, il lavoro di traduzione biblica si svolse in Italia e quasi tutte
le edizioni vennero pubblicate a Venezia, le nuove traduzioni sono in maniera
crescente preparate e pubblicate all’estero: a Ginevra. Ciò corrisponde alla sempre
più decisa presa di posizione ecclesiastica e al cambiamenti subentrati dopo il
Concilio di Trento. Le traduzioni analizzate sono dunque prodotte a Ginevra, nuova
meta e rifugio degli esuli italiani. Sono un gruppo di versioni esplicitamente poste in
un universo riformato e finalizzate al culto protestante.
12
Con la versione del Diodati, esule italiano a Ginevra, agli inzi del Seicento, si
chiude anche simbolicamente il percorso che in quasi due secoli ha caratterizzato la
storia complessa e controversa dei volgarizzamenti biblici.
L’ultimo capitolo, infine, vuole proporre altri testi del Salmo VI, esempi di diversi
tipi di volgarizzazioni in prosa e in versi che hanno contribuito alla varietà di
esperimenti traduttivi biblici, compresi nel panorama del Cinquecento.
La proposta, è quella di seguire le dinamiche complesse di un periodo storico in
definizione, tramite l’angolo di visuale delle volgarizzazioni bibliche che si
avvicendano per oltre un secolo, e che rappresentano, in un ambito letterario e
religioso insieme, il frutto della fase storica a cui appartengono.
13
1.
LA STAGIONE DEI VOLGARIZZAMENTI BIBLICI
I.I. Il periodo pre-tridentino. I perché di una grande richiesta
È il 1471, sono passati appena cinque anni dal primo volgarizzamento della Bibbia
uscito in Germania. A Venezia, presso Vindelino Spira, esce a stampa la prima
edizione integrale del testo biblico in lingua italiana: la traduzione di Nicolò
Malerbi.
Notevole fu la sua fortuna. Nel giro di pochissimi anni riesce a far fronte
all’immediata popolarità, con una serie rapidissima di ristampe. Un successo
immediato, che risponde ad una forte domanda di volgarizzamenti biblici, ben prima
della comparsa sulla scena europea di Lutero.
L' Italia si pone, dunque, alla fine del Quattrocento, al secondo posto nella
produzione delle Bibbie in volgare. Il tutto, all’alba di un periodo controverso. Non
senza passaggi problematici, momentanee aperture e nuove restrizioni, nel giro di
pochi decenni la Chiesa arriverà a definire la propria posizione nei riguardi dei
volgarizzamenti.
Il diffondersi dell’eresia protestante, il collegamento tra propagazione delle dottrine
d’oltralpe, proliferazione di traduzioni della Bibbia e moltiplicazione dei suoi lettori,
finiranno per stabilizzare, nella visione della Chiesa, il binomio tra diffusione della
Bibbia in volgare ed espansione di dottrine riformate. E' la strada che porterà
all’Indice e alla censura nei riguardi dei sacri volgarizzamenti.
Eppure, la lunga consuetudine degli italiani con la Bibbia, influì non poco sulle
tergiversazioni ecclesiastiche.
14
La Chiesa esitò a lungo prima di adottare misure restrittive. Bisognerà attendere
l’Indice del 1559 per imbattersi nel primo divieto che verrà comunque rimesso in
discussione fino alla promulgazione dell’Indice clementino del 1596
3
.
L’azione incerta ed oscillante di Roma sembra essere stata fortemente condizionata
dalla difficoltà di sradicare un’antica consuetudine, riconosciuta anche dai padri
riuniti a Trento. Le tradizioni locali ebbero, infatti, un peso indiscutibile sulle
posizioni favorevoli ad un rapporto personale del credente con la Bibbia, assunte da
molti vescovi presenti al concilio tridentino e, successivamente, da alcuni dei più
influenti membri della Congregazione dell’Indice. Quest’ ala ecclesiastica, avversa a
stabilire un nesso tra divulgazione della Scrittura e propagazione della Riforma, tra
lettura della Bibbia e adesione all’eresia e decisa ad ammettere una circolazione
seppur vigilata delle traduzioni, avrebbe condotto una battaglia che si sarebbe
conclusa dopo cinquant’anni di contrasti con una clamorosa sconfitta …
Il periodo antecedente allo stabilizzarsi delle posizioni ufficiali attraversa una fase
di forte fermento, di mobilità interna, caratterizzato da due tendenze, che si
incontrano ed entrano in contasto: la richiesta crescente di traduzioni di testi sacri in
volgare e l’esigenza da parte della Chiesa di bilanciare queste pressioni, di aumentare
il controllo di fronte alla minaccia del “sola scriptura” riformista
4
.
Eppure, il dato di fatto, è che la nuova sensibilità di fronte all’esigenza di testi
tradotti e accessibili ad un tipo di contatto religioso più personale e meno mediato è
solo in parte riconducibile all’influsso delle nascenti dottrine luterane.
È qualcosa che nasce dal profondo della stessa cultura cattolica, che viene da
lontano, che prende piede in maniera autonoma e si sviluppa non necessariamente
all’ombra del riformismo protestante, bensì nell’ambito del cattolicesimo.
3
G. FRAGNITO, La Bibbia al rogo. La censura ecclesiastica e i volgarizzamenti della
Scrittura.1471-1605, Il Mulino, Bologna 1997.
4
Per un analisi storico-culturale del periodo della riforma cfr. D. CANTIMORI, Eretici italiani del
Cinquecento, Biblioteca Sansoni, Firenze 1967.
15
La volontà di riforma della Chiesa non è affatto un elemento nuovo nell’ambito
cattolico e non deve quindi essere associato in automatico ad una comune fonte
riformata. Bisogna distinguere le due correnti, sebbene l’atteggiamento di crescente
attenzione e controllo ecclesiastico di fronte alla minaccia imminente, spesso finirà
per accomunarli in un unico atteggiamento censorio.
Le forme sono discontinue, gli esiti si andranno profondamente diversificando, nel
momento in cui alla fase di fluidità religiosa subentrerà quella della distinzione e
della definizione, tipica dell’età post-tridentina. Eppure questa esigenza di riforma
cattolica che non attinge a spunti protestanti è forte. Muove i passi già dal
Quattrocento. Prende forme diverse a seconda dei gruppi sociali e culturali che se ne
fanno portatori, ma la meta è comune: riforma ecclesiastica.
Il fermento di rinnovamento può passare attraverso le parole appassionate del
Savonarola
5
, che nell’invito al cambiamento morale e religioso, contro abusi e
corruzione del clero, insiste sulla “renovatio”, destando nuovi desideri di conoscenza
biblica. Problemi prima di competenza esclusiva del clero, dopo il Savonarola
cominciarono ad attirare l’interesse dell’umanesimo e la curiosità dei laici.
Si estende nei circoli culturali, se ne fa portavoce Erasmo da Rotterdam
6
, esponente
del’ “umanesimo cristiano” richiamandosi ad un tipo di religiosità interiore,
personale, caratterizzata da una forte tensione etica e civile e da una vasta attività di
restauro del testo religioso, che è poi la fonte per una più profonda interiorizzazione
del messaggio evangelico.
5
Girolamo Savonarola (1452-1498) fu frate domenicano, priore di S.Marco a Firenze. Predicatore,
propose una nuova forma di governo che limitava i poteri della Signoria, denunciò le vanità mondane
della Chiesa e della corte di Papa Borgia, schierandosi a favore di un recupero dell’ascetismo
medievale. Nel 1498 fu scomunicato, poi arrestato ed impiccato.
6
Erasmo da Rotterdam (1469- 1536) già nella traduzione latina del Nuovo Testamento del 1516 aveva
insistito sulla necessità di rendere la Sacra Scrittura comprensibile a tutti gli strati della società e nella
prefazione del 1522 alla Parafrasi del Vangelo di Matteo si era augurato che il contadino, il fabbro, il
muratore, le prostitute e i mezzani e perfino il turco potessero leggere il testo sacro nella loro lingua
materna.
16
Prende le forme dell’ “evangelismo” e del suo richiamo al puro annuncio
evangelico, da molti considerato come un’ espressione di sola riforma cattolica, da
altri già una tendenza mascherata di eresia. Ma la maggior parte degli esponenti di
tale corrente, distinguevano le proprie dottrine da quelle dei riformatori, anzi, alcuni
di loro ritenevano che la propria azione fosse a salvaguardia del cattolicesimo
7
.
Si esprime nel movimento ascetico e mistico della devotio moderna, che in Italia
esercitò un ruolo nella promozione della traduzione dei testi biblici, invitando il
credente ad una più raccolta e più intima religiosità, fondata sullo studio e sulla
meditazione delle Sacre Scritture, contrapposta alle pratiche collettive di pietà.
È una sottile insofferenza che si avverte da più fronti verso un tipo di religiosità
formalistica, che continua a servirsi di una predicazione vuota di contenuti e intessuta
di oscure disquisizioni teologiche, radicata sulla tradizionale, netta distinzione tra
chierici titolari del sapere e laici oggetti passivi dell’istruzione.
Si tratta dell’espressione di un disagio religioso largamente diffuso nei ceti popolari
come pure nelle classi più colte e si manifesta in vari luoghi, dai chiostri, alle piazze,
alle botteghe con gli stessi caratteri di energia vaga e indeterminata.
La stessa familiarità del popolo con la predicazione dovette influenzare non poco il
confronto con il testo sacro quale fase successiva all’ascolto. Un rapporto dinamico
intercorreva tra predicazione e lettura, tra trasmissione orale della Parola e verifica o
approfondimento sul testo scritto da parte di chi era in grado di leggere e voleva
capire quello che si apprestava ad ascoltare o aveva ascoltato. L' intimo collegamento
tra oralità e scrittura era destinato a trasformare molti ascoltatori in lettori e
consumatori di traduzioni bibliche. Senza poi contare che tanti predicatori, nel
trattare dai pulpiti i grandi temi della salvezza -predestinazione, libero arbitrio,
7
A cura di G.FILORAMO e D. MENOZZI, Storia del Cristianesimo, l’Età Moderna. Laterza, Bari
1997. Pag. 156
17
giustificazione per sola fede- moltiplicavano inevitabilmente una domanda di
conoscenza diretta della Scrittura da parte di un uditorio in cerca di risposte.
Il quadro è mosso ed articolato. Esigenze interne, novità esterne, spunti riformati e
movimenti cattolici si incontrano, a volte si intrecciano oppure viaggiano solo in
parallelo, autonomamente.
Tuttavia, il ritorno alla Scrittura, come messaggio comprensibile a tutti, proprio
perché rivolto a tutti, a cui accostarsi senza mediazioni gerarchiche, senza la distanza
di una lingua “sacra” e inavvicinabile come il latino, è un’esigenza largamente
condivisa, qualunque siano poi le motivazioni ad essa correlate.
Le due riforme, l’ambito protestante e quello cattolico, nel richiamo comune a
radicare il cristianesimo entro un orizzonte di maggior conoscenza ed
interiorizzazione, perseguono fini analoghi, che non possono prescindere dal nodo
essenziale della volgarizzazione biblica, della riscoperta della Scrittura.
Questo lo scenario in cui si inserisce e si motiva la sorprendente fioritura di versioni
bibliche che prendendo le mosse nel Quattrocento raggiungerà la sua fase più intensa
nel cuore del Cinquecento.
Contrastate, guardate con sospetto dall’autorità ecclesiastica, oppure appoggiate e
favorite come arma di risposta alle parallele traduzioni di parte protestante,
seguiranno cammini differenti, condizionati dai cambiamenti repentini
dell’atteggiamento ufficiale, durante questa fase di grande fluidità.
18
2.
I SALMI PENITENZIALI E IL SALMO VI
2. I. Il gruppo dei penitenziali
Il Salterio
8
è la raccolta dei canti religiosi di Israele. La Chiesa cristiana, ne ha fatto
una delle sue preghiere ufficiali, adottate tanto nell’ambito della meditazione
personale che nella recita comunitaria. Queste espressioni di lode, di supplica o di
ringraziamento, anche se strappate ai salmisti in circostanze tipiche della loro epoca
e della loro esperienza personale, hanno una risonanza universale, poiché esprimono
l’atteggiamento che ogni uomo deve avere di fronte a Dio. Riassumono la storia di
ogni singolo credente, che in questa esperienza globale di salvezza, trova e
riconosce le dinamiche del proprio cammino di fede, in tutte le sue espressioni di
lode, ringraziamento, supplica, lamento, attesa, speranza.
Composizioni poetiche, di preghiera o insegnamento, presenti nel culto sia
israelitico sia cristiano, i Salmi, da sempre preghiera per eccellenza, diventano il
libro biblico privilegiato nell’ambito della devozione medievale.
Lo testimonia il numero dei volgarizzamenti del libro del Salterio. La sua vasta
diffusione, prima in latino, poi in volgare, spessissimo in edizioni autonome rispetto
all’ intera Bibbia, ne provano la grande popolarità, che non si attenua nemmeno nei
periodi di predilezione da parte del pubblico dei testi neotestamentari.
Quella che precede il Concilio di Trento è soprattutto una fase in cui la forte ondata
di predicazione favorisce il ritorno ai libri del Nuovo Testamento, al Vangelo, alle
lettere paoline, in particolar modo. La diffusione delle nuove tendenze di riforma
cattolica, che auspicavano il ritorno alla purezza e alla semplicità di un messaggio
8
Dal greco Psaltêrion, propriamente il nome dello strumento a corde che accompagnava i canti, i
salmi.
19
evangelico contribuirono, infatti, ad una fase di minor attenzione al Vecchio
Testamento. Eppure, i Salmi fanno eccezione. L’entità dei volgarizzamenti
dimostrano che il successo di queste preghiere continua a detenere una posizione
privilegiata
9
.
Nei cataloghi delle biblioteche, tra l’eterogeneo repertorio di scritti dal contenuto
biblico, gli esemplari di traduzioni integrali o parziali della Scrittura, la vasta gamma
di scritti in cui estratti del testo biblico sono stati diffusi in volgare, la presenza dei
Salmi è costante.
A fronte di una parca presenza di Bibbie, nei periodi in cui accostarsi ai libri sacri
era ancora alla portata intellettuale di pochi, gli inventari testimoniano un’estesa
diffusione di Vangeli e di singoli libri della Scrittura, tra questi spiccano per quantità
i Salmi ed in particolare, i Salmi Penitenziali.
Quando poi si aprirà il periodo di fioritura dei volgarizzamenti biblici tra
Quattrocento e Cinquecento, accanto alle versioni integrali, continueranno ad
abbondare quelle del libro dei Salmi, spesso pubblicate a parte rispetto all’intera
versione, oppure in un secondo momento per scelta dell’autore, proprio a
testimonianza della vasta utenza di questi, anche disgiunti dal resto della Bibbia.
Ma proprio in questa fase di affollamento di traduzioni bibliche, molti degli autori
concentreranno la propria attenzione su un “angolo” particolare all’interno del
Salterio: il gruppo dei Sette Salmi Penitenziali. Ricorrente questa scelta.
All’interno del libro dei Salmi, costituito da centocinquanta componimenti, la
raccolta di Sette Salmi, detti Penitenziali, è una categoria che risale al Medioevo, ed
è una delle tante raccolte liturgiche del Salterio.
9
Questo ruolo privilegiato del Salterio è testimoniato anche da una serie di opere, di carattere più o
meno devozionale attorno ai Salmi. Innanzitutto paiono frutto di un’ autentica devozione quelle
stampe dello pseudo- geronimiano Salterio abbreviato. Esistono anche molteplici edizioni in latino e
in traduzione italiana delle Virtutes Psalmorum. Si tratta di un elenco delle proprietà miracolose dei
Salmi. Tale approccio al testo biblico, decisamente superstizioso, trova il suo completamento nelle
edizioni de Il Salmista secondo la Bibia, che unisce alle Virtutes volgarizzate il testo latino dei Salmi,
proposto come una formula di tipo magico (Es.: Questo Salmo dicendolo, o facendolo dire, si vale a
guardarse dalle cattive persone e farà usar con le virtuose…). Leggermente diversa è la Breve
espositione de tutti li Salmi, nella quale a ciascun Salmo latino è premessa una presentazione volgare
nella quale si spiega il significato storico-letterale del Salmo e le sue virtù. ( E. BARBIERI, Le Bibbie
italiane del Quattrocento e del Cinquecento. Storia e bibliografia ragionata delle edizioni in lingua
italiana dal 1471 al 1600. Vol. I. Editrice Bibliografica, Milano 1992. Pag. 134-135).
20
È un sottoraggruppamento dei Salmi che conobbe una fortuna parallela, ancora più
consistente, di quella dell’intero libro. Si ricollega ai riti medievali di penitenza. Più
precisamente, la recita di questi Sette Salmi si inserisce nell’ambito della penitenza
comunitaria. Pregare con i Salmi Penitenziali, era un atto di pubblica contrizione.
Significava porsi davanti a Dio con la propria storia di peccato alle spalle, in cerca di
misericordia. Così come Israele nella profondità della sofferenza e della miseria,
confessa i peccati della sua storia, della storia dei padri, della ribellione permanente,
dal passato fino al momento attuale, così il popolo cristiano ispirandosi a tali
invocazioni torna a rivolgersi a Dio, invocandolo nell’ammissione delle proprie
colpe. I cristiani hanno sempre pregato con Israele questi Salmi e così hanno
rinnovato la stessa coscienza, l’ammissione di far parte di una storia come quella
indicata nei Salmi, composta di ribellioni, e di peccati. La confessione di ciò porta
alla conoscenza di sé e alla purificazione della memoria, alla richiesta di perdono.
La determinazione dei Sette Salmi, e cioè della tradizione che comprende i numeri
6, 31, 37, 50, 101, 129, 142, la troviamo già al tempo carolingio, già allora con il
titolo di Psalmi Poenitentiales. Da questo periodo, tale raccolta si diffuse largamente
tra i fedeli ed entrò presto nei libri liturgici
10
.
Pur largamente utilizzati nell’ambito della penitenza pubblica, e adattati come
espressione di richiesta di un perdono comunitario, i Salmi Penitenziali, sono in
realtà preghiere dal tono individuale. Sono entrate con il tempo nell’uso della
comunità, ma più che l’espressione al singolare dell’“io” collettivo, sono rivolte
all’individuo determinato, in un bisogno particolare. Sono grida dell’anima,
espressione di una fede personale
11
.
Sono elencati dagli studiosi, infatti, tra i salmi detti di “Lamentazione individuale”
12
e presentano delle caratteristiche tematiche e strutturali che conferiscono loro una
certa unità.
10
S. DI ZENZO FLORO, Studio critico sull’attribuzione a Dante Alighieri di un antico
volgarizzamento dei sette salmi penitenziali. Ed. Laurenziana, Napoli 1984. Pagg 35-36.
11
Introduzione al libro dei Salmi in La Bibbia di Gerusalemme. Note e commenti a cura di un gruppo
di biblisti italiani sotto la direzione di F. VATTIONI. Ed. Dehoniane, Bologna 1974. Pag 1111.
12
Sono un sotto-gruppo del vasto insieme delle Lamentazioni individuali che comprende 38 Salmi.