Introduzione
7
Nel secondo capitolo, dopo una parte essenzialmente descrittiva che riguarda la
struttura e i canali di provenienza dei fondi (par. 2.1 e 2.2), si esaminano le cause alla base dei
movimenti internazionali di capitali (par. 2.3) e la loro volatilità (par. 2.4), il loro impatto
sulle economie dei paesi destinatari (par. 2.5) e le risposte di politica economica (par. 2.6).
Vengono poi analizzati gli attacchi speculativi contro le valute e le conseguenti crisi valutarie
(par. 2.7), il grado di mobilità dei capitali e la relazione con la volatilità dei cambi (par. 2.8), i
fondamenti teorici e le caratteristiche delle crisi finanziarie (par. 2.9 e 2.10).
Nell’ultimo capitolo viene analizzata l’esperienza con il sistema di cambi flessibili
considerando diverse proposte di riforma (par. 3.1), si descrivono le caratteristiche, gli
obiettivi e l’efficacia dei controlli di capitale e dei controlli valutari (par. 3.2), viene esaminata
in maniera approfondita la proposta di Tobin di un’imposta sulle transazioni in valuta estera
(par. 3.3), si valutano le capacità stabilizzatrici delle target zone (par. 3.4) e s’individuano le
possibili aree d’intervento per riformare il sistema finanziario internazionale (par. 3.5).
8
CAPITOLO I
VOLATILITÀ DEI TASSI DI CAMBIO
9
In questo capitolo, dopo aver definito la volatilità dei tassi di cambio (e il concetto di
disallineamento ad essa collegato), si esamina come questa è variata in relazione ai diversi
regimi di cambio e al processo di liberalizzazione finanziaria; si valuta, poi, l’impatto della
volatilità sul volume del commercio internazionale e la capacità di alcuni modelli di prevedere
i movimenti futuri dei cambi; infine, si prendono in considerazione una serie di fattori che
possono contribuire a spiegarla e in una certa misura ad influenzarla.
1.1 Misure alternative della volatilità del tasso di cambio
L’interesse per la questione della volatilità dei tassi di cambio deriva dai costi
economici e sociali conseguenti alle fluttuazioni eccessive dei cambi. Considerando due
misure alternative della volatilità questi costi sono chiaramente identificabili.
Forse la più antica teoria per la determinazione del tasso di cambio è la teoria della
parità dei poteri d’acquisto (PPA), attribuita a Cassel (1918). In base alla versione relativa
della PPA, la variazione percentuale del tasso di cambio fra le valute di due paesi, in un certo
periodo, dovrebbe essere uguale approssimativamente al differenziale d’inflazione, cioè alla
differenza fra le variazioni percentuali degli indici dei prezzi dei due paesi, sempre che il
tasso di cambio si trovi in equilibrio all’inizio del periodo.
1
Comunque si tratta di una teoria di lungo periodo del tasso di cambio di equilibrio, nel
senso che lascia spazio nel breve periodo a deviazioni anche consistenti da essa. Se il tasso di
cambio (cioè, il prezzo interno di una unità di valuta estera) varia in misura superiore al
cambiamento nei prezzi relativi dei beni, il tasso di cambio, secondo questa visione, mostra
una volatilità eccessiva. Infatti, si è spesso giunto a definire l’eccessiva volatilità del tasso di
cambio come l’esistenza di deviazioni considerevoli e prolungate dalla PPA.
2
Di conseguenza, la misura più semplice della turbolenza nei mercati valutari è la
media delle variazioni percentuali in termini assoluti dei tassi di cambio durante un certo
intervallo di tempo.
3
In base a questa misura, per il periodo dei tassi di cambio fluttuanti,
iniziato nella primavera del 1973, la variazione percentuale media mensile dei tassi di cambio
dei paesi più industrializzati del mondo, ad eccezione del Canada, ha superato costantemente
la variazione percentuale media mensile del corrispondente indice aggregato o aggregato
relativo dei prezzi.
4
I vari approcci monetari e di portafoglio alla determinazione del tasso di cambio hanno
fornito spiegazioni dell’overshooting, cioè, delle variazioni di breve periodo del tasso di
cambio che oltrepassano quelle di lungo periodo dello stesso cambio determinate in base alla
PPA in termini relativi, senza prendere in considerazione l’esistenza di effetti speculativi di
traino, informazione imperfetta, o errori persistenti nella formazione delle aspettative.
5
1
Gandolfo (1994), p. 365-366.
2
Bergstrand (1983), p. 6.
3
Frenkel e Mussa (1980), p. 374. Cfr. Bergstrand (1983), p. 6.
4
Bergstrand (1983), p. 6.
5
Bergstrand (1983), p. 6.
Capitolo primo
10
La spiegazione delle ampie e durature deviazioni dalla PPA è interessante per la
connessa possibilità di un’allocazione non efficiente delle risorse. Infatti, i movimenti dei
cambi influenzano la competitività internazionale di un paese: in particolare, un
apprezzamento riduce tale competitività, allontanando le imprese e i fattori di produzione
nazionali dai settori dei beni negoziati a livello internazionale e spingendoli verso quelli dei
beni non negoziati; mentre, nel caso di un deprezzamento si verifica il contrario. Quindi, il
paese sostiene dei costi nella misura in cui le risorse rimangano temporaneamente inutilizzate
durante lo spostamento dei fattori dal settore dei beni negoziati a quelli dei beni non
negoziati: maggiori fluttuazioni dei cambi implicano semplicemente maggiori costi di
aggiustamento.
6
Tabella 1.1
Media delle variazioni percentuali in termini assoluti
Dati mensili: aprile 1973 – febbraio 1983
(in percentuali)
Canada Francia Germania Italia Giappone UK USA
Tassi di cambio
rispetto al dollaro
0,81 1.99 2,19 1,75 2,04 1,85 1,59*
Indice dei prezzi
all’ingrosso
0,84 0,99 0,46 1,38 0,79 1,18 0,85
Indice dei prezzi
al consumo
0,78 0,89 0,41 1,30 0,86 1,10 0,70
Prezzi relativi
all’ingrosso
0,47 0,86 0,49 0,98 0,82 0,60 na
Prezzi relativi al
consumo
0,32 0,35 0,40 0,69 0,75 0,65 na
Note: * è una media ponderata del valore del dollaro USA in valuta straniera; “na” indica non applicabile.
Fonti: Board of Governors of the Federal Reserve System (registrazione); IMF (1983).
L’eccessiva volatilità del tasso di cambio può anche essere misurata dalla
imprevedibilità delle fluttuazioni del tasso di cambio, concordando, perciò, con l’idea
largamente sostenuta che l’onere sugli scambi derivi non tanto dall’ampiezza delle
fluttuazioni in certi anni quanto dall’incertezza circa le possibili variazioni.
7
Le fluttuazioni
dei tassi di cambio modificano i prezzi in valuta nazionale delle esportazioni e delle
importazioni di beni e servizi acquistati a credito. Lo stesso avviene per quanto riguarda i
rimborsi dei debiti denominati in valuta estera: basti pensare, infatti, che le difficoltà che
alcuni paesi in via di sviluppo affrontarono all’inizio degli anni ottanta nel servire il proprio
debito estero derivavano, in parte, dal forte apprezzamento del dollaro, la valuta in cui erano
negoziati i loro rimborsi del debito.
8
6
Bergstrand (1983), p. 6-7.
7
Yeager (1976), p. 252. Cfr. Bergstrand (1983), p. 7.
8
Bergstrand (1983), p. 7.
Volatilità dei tassi di cambio
11
Di conseguenza, una misura alternativa della volatilità del tasso di cambio è
rappresentata dalla deviazione standard delle variazioni percentuali mensili nel prezzo di una
valuta estera. La deviazione standard misura quanto la variazione mensile di un tasso di
cambio si discosta dalla variazione media mensile; cioè, la deviazione standard è un indice del
grado d’imprevedibilità nella variazione mensile del tasso di cambio. Se la variazione
percentuale mensile del tasso di cambio si discosta molto dalla sua variazione media (cioè, se
la deviazione standard della variazione percentuale mensile è elevata), allora è grande
l’incertezza che circonda i movimenti del tasso di cambio, imponendo un onere alla società in
termini di maggiori costi per le transazioni internazionali. Inoltre, a causa della sua natura
quadratica, la deviazione standard impone proporzionalmente più peso sulle variazioni dei
cambi che più si discostano dalla norma. Anche usando la deviazione standard la volatilità del
tasso di cambio risulta eccessiva in confronto a quella degli indici aggregati o aggregati
relativi dei prezzi (vedi tabella 1.2).
9
I mercati a termine dei cambi permettono di assicurare il valore in valuta nazionale di
un pagamento futuro per una transazione con l’estero contro il rischio di cambio. Infatti, il
“premio” o lo “sconto” a termine di una valuta estera corrisponde approssimativamente al
costo dell’operazione di copertura per un operatore commerciale. Tuttavia, un esportatore o
un importatore, perfino dopo essersi accordato per vendere o comprare valuta a termine, può
ancora rimanere esposto ad un costo opportunità a causa della variazione del tasso di
cambio.
10
Tabella 1.2
Deviazione standard delle variazioni percentuali mensili
Dati mensili: aprile 1973 – febbraio 1983
(in percentuali)
Canada Francia Germania Italia Giappone UK USA
Tassi di cambio
rispetto al dollaro
1.03 2,65 2,87 2,34 2,76 2,28 2,06*
Indice dei prezzi
all’ingrosso
0,70 1,18 0,50 1,18 1,16 0,73 0,94
Indice dei prezzi al
consumo
0,36 0,30 0,30 0,57 1,00 0,87 0,37
Prezzi relativi
all’ingrosso
0,63 1,10 0,54 1,23 1,15 0,72 na
Prezzi relativi al
consumo
0,40 0,41 0,41 0,62 1,01 0,89 na
Note: * è una media ponderata del valore del dollaro USA in valuta straniera; “na” indica non applicabile.
Fonti: Board of Governors of the Federal Reserve System (registrazione); IMF (1983).
9
Bergstrand (1983), p. 8.
10
Bergstrand (1983), p. 7.
Capitolo primo
12
Infatti, l’evidenza ha dimostrato come il tasso di cambio a termine non sia uno
stimatore non distorto del futuro tasso di cambio a pronti, visto che meno del 10 per cento
delle effettive variazioni mensili dei tassi di cambio sono previste con esattezza dai premi o
sconti dei cambi a termine, e come perciò non contribuisca a contenere i costi opportunità
associati ai contratti a termine in condizioni di eccessiva variabilità dei tassi di cambio a
pronti.
11
La considerazione dell’imprevedibilità delle fluttuazioni attraverso la deviazione
standard fa emergere gli ulteriori costi connessi con una variabilità eccessiva dei cambi.
Innanzitutto, una maggiore volatilità contribuisce ad aumentare i costi di transazione per
ottenere valuta estera a pronti o a termine, accrescendo il differenziale tra le quotazioni di
acquisto e di vendita, generalmente ritenuto una buona stima dei costi stessi, che comunque
rimangono una piccola frazione del valore della transazione.
12
Inoltre, gli investitori,
mantenendo posizioni aperte nette creditorie o debitorie in valuta estera, sostengono dei costi,
direttamente proporzionali alla volatilità, per gli utili o le perdite in conto capitale che ne
derivano. Poiché i mercati a termine dei cambi non sono progettati per compensare un rischio
di cambio indeterminato, l’operazione di copertura comporta dei costi per riallocare la
ricchezza in modo da neutralizzare l’incertezza relativa alle variazioni dei cambi.
13
Anche se rimangono parecchie differenze, si accetta generalmente che il tasso di
cambio di equilibrio di breve periodo si determini come i prezzi di altre attività finanziarie.
Secondo alcuni approcci monetari che sottolineano l’importanza delle aspettative, i tassi di
cambio (e i prezzi di altre attività finanziarie), sarebbero influenzati dai valori presenti e attesi
nel futuro di vari fattori reali e monetari. Un cambiamento non anticipato di politica
economica può causare volatilità del tasso di cambio, essendo influenzato direttamente dalla
domanda e offerta correnti di valuta e indirettamente, ossia attraverso i tassi di cambio attesi
in futuro e i mercati internazionali di capitale, dalla domanda e offerta future di valuta.
Altri approcci monetari, giustificando in tal modo la volatilità eccessiva dei tassi di
cambio rispetto a quella degli indici aggregati dei prezzi, sottolineano come nei mercati
valutari dei cambi il prezzo della valuta estera si aggiusti istantaneamente per eliminare lo
squilibrio, e come invece nella maggior parte dei mercati dei beni (diversi da borse merci
organizzate) questo possa persistere a causa di razionamenti quantitativi e di prezzi vischiosi.
In base all’approccio di portafoglio i tassi di cambio si determinano simultaneamente
ai prezzi di altre attività finanziarie in quanto i detentori di ricchezza aggiustano
continuamente i loro portafogli per mantenere l’equilibrio finanziario, in risposta ai continui
shock reali, monetari e fiscali che avvengono in un’economia, ossia ai cambiamenti non
previsti nei fattori economici sottostanti che causino delle variazioni nell’offerta relativa delle
diverse attività finanziarie.
14
Perciò, nel breve periodo, ci si deve aspettare che i tassi di cambio (e i prezzi delle
altre attività) si aggiustino continuamente ed istantaneamente per ristabilire l’equilibrio,
esibendo così una volatilità proporzionale alle dimensioni, mutevoli nel tempo, degli shock
economici. Al contrario, gli indici aggregati dei prezzi risponderebbero molto lentamente ad
un disturbo inatteso, poiché i mercati dei beni possono trasmettere lo squilibrio attraverso
meccanismi di aggiustamento dei prezzi (vischiosi) o delle quantità. Confrontando la volatilità
dei tassi di cambio con quella dei prezzi di altre attività finanziarie e di beni negoziati in
mercati organizzati come quelli dei cambi (dove gli shock sottostanti sono dispersi in maniera
11
Mussa (1979). Cfr. Bergstrand (1983), p. 7.
12
Fieleke (1975), p. 409-426. Cfr. Bergstrand (1983), p. 7.
13
Bergstrand (1983), p. 8.
14
Bergstrand (1983), p. 9.
Volatilità dei tassi di cambio
13
simile, a prescindere dalle peculiari caratteristiche economiche ed istituzionali che
influenzano il grado di volatilità dei prezzi), i tassi di cambio risultano in genere i meno
volatili, e perciò i mercati valutari sarebbero davvero ampi, profondi ed elastici.
15
Tabella 1.3
Deviazione standard e media delle variazioni percentuali mensili nei tassi di cambio e
nei prezzi di altre attività
Dati mensili: aprile 1973 – febbraio 1983
(in percentuali)
Canada Francia Germania Italia Giappone UK USA
Tassi di cambio
rispetto al dollaro
1,03
(0,81)
2,65
(1,99)
2,87
(2,19)
2,34
(1,75)
2,76
(2,04)
2,28
(1,85)
2,06*
(1,59*)
Indici dei corsi
azionari
5,69
(4,45)
6,84
(4,92)
3,56
(2,61)
7,07
(5,66)
3,05
(2,36)
6,94
(4,60)
4,27
(3,22)
Tassi d’interesse
a breve termine
6,92
(4,94)
6,52
(4,84)
7,37
(5,28)
8,10
(4,31)
6,45
(4,26)
8,83
(6,32)
9,15
(6,72)
Rendimenti delle
obbligazioni a
lungo termine
3,29
(2,36)
2,21
(1,50)
3,51
(2,66)
2,12
(1,46)
3,84
(2,55)
4,58
(3,58)
3,91
(2,80)
oro cotone ferro stagno grano zinco Prezzi di materie
prime 8,42
(5,90)
7,39
(5,62)
5,54
(3,03)
6,92
(4,86)
8,20
(4,53)
5,44
(2,55)
generi
alimentari
bevande materie
prime
agricole
metalli beni di prima
necessità
assortiti
Indici dei prezzi di
panieri di beni di
prima necessità
5,25
(4,05)
6,72
(4,95)
3,28
(2,55)
5,94
(3,52)
3,74
(2,90)
Note: * è una media ponderata del valore del dollaro USA in valuta straniera. I valori tra parentesi indicano la
media delle variazioni percentuali in termini assoluti. Per quanto riguarda i tassi a breve e a lungo termine, le
osservazioni per Francia ed Italia partono dal febbraio 1975 (per i primi) e dal febbraio 1977 (per i secondi).
Fonti: Board of Governors of the Federal Reserve System (registrazione); IMF (1983); OCSE (vari numeri).
Connesso con la volatilità è il disallineamento, con cui normalmente s’intende una
deviazione del tasso di cambio reale dal suo valore d’equilibrio che può manifestarsi in una
prolungata variazione delle riserve valutarie, o in un allontanamento degli obiettivi di politica
interna dai loro valori desiderati. Potendosi valutare solo rispetto al tasso di cambio reale in
un dato istante, il disallineamento non ci dice nulla su come quest’ultimo si muove nel tempo.
Inoltre, visto che il tasso di cambio reale d’equilibrio non deve necessariamente rimanere
costante, soprattutto quando si usino gli indici ufficiali dei prezzi nella sua costruzione, la sua
variabilità nel tempo non è in sé un indice di disallineamento.
16
Un tasso di cambio reale immutabile nel tempo sarebbe la diretta conseguenza del
fatto che la PPA vale continuamente, in quanto ci sarebbe una corrispondenza istantanea tra il
15
Bergstrand (1983), p. 9.
16
Bleaney (1992), p. 558.
Capitolo primo
14
tasso di cambio nominale e i movimenti dei prezzi relativi, ma questa è un’ipotesi alquanto
semplicistica, considerando l’elevata variabilità di breve periodo mostrata in realtà dai tassi di
cambio reali.
17
Il disallineamento è semplicemente un giudizio quantitativo su fino a che punto un
dato tasso di cambio reale non è in linea. È, quindi, opportuno passare in rassegna le
principali metodologie usate per stimare il livello corretto del tasso di cambio. Una volta,
forse, il metodo più duraturo per calcolare il tasso di cambio d’equilibrio era rappresentato
dall’approccio che si basa sulla PPA: identificato un periodo base in cui un paese si trova in
equilibrio esterno, il valore d’equilibrio nel periodo corrente è pari al tasso di cambio
nominale nel periodo base, corretto per il differenziale d’inflazione tra il periodo base e quello
corrente. Tuttavia,
ξ non è facile individuare un periodo base d’equilibrio,
ξ in caso di disturbi reali che alterano i prezzi relativi tra il periodo base e quello corrente,
è necessario un allontanamento dalla PPA che tenga conto dei cambiamenti nelle condizioni
economiche reali,
18
ξ la PPA non funziona certamente nel breve periodo e, specialmente negli ultimi tempi,
sembra non essere valida nemmeno nel lungo.
19
In base ad un’alternativa che va incontrando consensi sempre più ampi, il tasso di
cambio d’equilibrio è quello che rende il conto corrente “sottostante” (che è il conto corrente
attuale corretto dei fattori temporanei) pari ai flussi di capitale normali netti nei successivi due
o tre anni, dato il sentiero di crescita del prodotto reale e dell’inflazione e l’effetto ritardato
dei tassi di cambio passati. Naturalmente, il problema è come calcolare i flussi di capitale
normali netti. Considerando la natura di equilibrio generale dell’esercizio, è difficile definire
tali flussi, ad esempio, per gli Stati Uniti, senza fare riferimento all’andamento probabile e/o
desiderato dei risparmi e degli investimenti in Europa, in Giappone e nei paesi emergenti,
andamento che a sua volta dipende dalle leggi fiscali, dai tassi di crescita della popolazione e
perfino dal modo in cui eventuali crisi debitorie vengono risolte. Comunque, va detto che:
ξ in realtà, qualsiasi fattore che abbia un effetto non transitorio sul saldo ex-ante
risparmi/investimenti, si ripercuoterà sul tasso di cambio d’equilibrio;
ξ i flussi di capitale normali netti sono una variabile flusso (e non una variabile stock) che
non si presta facilmente a criteri di sostenibilità;
ξ il saldo delle partite correnti o della bilancia dei pagamenti non sembra spiegare le
effettive variazioni del tasso di cambio meglio di altri fattori.
20
Il sustainability approach suggerisce di individuare, innanzitutto, la previsione
implicita del mercato per quanto riguarda il sentiero futuro del tasso di cambio (sulla base del
tasso di cambio corrente, dei differenziali d’interesse e di altri dati) e, in secondo luogo, di
valutare il suo impatto sulla bilancia dei pagamenti e sull’indebitamento estero. Quindi, se
sono necessari “parecchi” anni prima che il rapporto debito/PIL si stabilizzi intorno ad un
livello “elevato”, allora la previsione implicita del mercato è “insostenibile”. Questo
approccio è meno ambizioso degli altri nel senso che mira soltanto a identificare un tasso di
17
Tronzano (1992), p. 83.
18
In particolare, tre fattori sono stati importanti nel corso degli anni settanta e ottanta:
ξ le variazioni permanenti nelle ragioni di scambio (comprese quelle nei prezzi petroliferi);
ξ le differenze secolari tra i paesi nella produttività del lavoro, mascherate dagli indici aggregati dei prezzi e
distorte non solo tra beni negoziabili e non, ma anche tra le diverse industrie di beni negoziabili;
ξ il passaggio da una posizione creditoria netta a una debitoria (e viceversa).
19
Frenkel e Goldstein (1991), p. 107-108.
20
Frenkel e Goldstein (1991), p. 108-109.
Volatilità dei tassi di cambio
15
cambio insostenibile e, implicitamente, le sue probabili variazioni future (cioè, il segno del
disallineamento).
21
Comunque, un livello sostenibile nel rapporto debito/PIL non è
necessariamente ottimale, potendo implicare un risultato indesiderabile per gli altri obiettivi
economici.
22
Un metodo meno diretto consiste nel rinunciare a stimare l’eventuale disallineamento
nei tassi di cambio reali e, invece, dedurne l’esistenza dai suoi “effetti sfavorevoli”, tra i quali
ci sono: la generazione di cicli di espansione e recessione nelle industrie dei beni negoziabili,
che determinano cambiamenti occupazionali; e l’incoraggiamento del protezionismo. Tuttavia
(per quanto riguarda il primo effetto),
ξ è necessario controllare altri fattori (ciclici e di lungo periodo) che determinano
cambiamenti occupazionali, prima di poter isolare l’effetto indipendente del tasso di cambio
reale,
ξ il legame tra il tasso di cambio reale e l’allocazione settoriale delle risorse dipende dal
tipo di disturbo che muove il cambio,
23
ξ i costi devono essere paragonati con quelli relativi a regimi di cambio alternativi.
Le stesse osservazioni possono essere mosse nei confronti degli effetti del
disallineamento sul protezionismo. Pur essendo un tasso di cambio sopravvalutato il migliore
indicatore precursore di una legislazione protezionistica, anche altri fattori (tra cui i
cambiamenti di lunga durata nella competitività che non sono dovuti a variazioni dei tassi di
cambio) hanno svolto una funzione importante.
24
In effetti gli economisti hanno trovato grandi difficoltà nello stimare il tasso di cambio
reale d’equilibrio con una certa accuratezza, facendo ricorso soprattutto a qualche media
osservata storicamente, ritenuta la miglior misura disponibile; di conseguenza, risultando il
disallineamento un concetto in larga misura non quantificabile per tale incertezza, l’interesse
si è focalizzato sulla volatilità, che, come detto in precedenza, di solito è considerata una
misura della dispersione dei movimenti del tasso di cambio reale in un certo periodo di
tempo.
25
La volatilità e il disallineamento, pur essendo due concetti che riguardano la
compatibilità dei movimenti dei cambi con un’allocazione intertemporale e regionale
efficiente delle risorse mondiali, di solito sono stati studiati separatamente a causa della
doppia funzione del tasso di cambio, che, da una parte, in quanto prezzo di un’attività,
contribuisce all’equilibrio dei mercati finanziari internazionali, e dall’altra, come uno dei
termini delle ragioni di scambio, a quello dei flussi commerciali internazionali.
26
Quindi, supponendo che i tassi di cambio siano determinati in gran parte nei mercati
finanziari per il peso delle transazioni finanziarie rispetto a quelle reali, la volatilità viene
considerata una proprietà dei prezzi delle attività in un mercato efficiente, e quando è
eccessiva tende ad essere giudicata nei confronti di un benchmark desunto dall’equilibrio del
21
Infatti, per stimare un tasso di cambio d’equilibrio, si dovrebbe specificare un livello d’equilibrio nel rapporto
tra debito e PIL. Inoltre, perfino nella versione meno ambiziosa di questo approccio, i risultati dipendono dal
tasso d’interesse reale pagato sul debito estero, dal differenziale d’interesse reale, dalla quota dello squilibrio
iniziale in conto corrente che è imputabile a fattori temporanei e reversibili, dall’effetto che la reputazione del
debitore ha sulla volontà del creditore di effettuare ulteriori investimenti in un paese.
22
Frenkel e Goldstein (1991), p. 109.
23
Mentre una politica monetaria restrittiva può produrre un apprezzamento reale e una contrazione della
produzione industriale, un aumento della domanda estera determinerà un apprezzamento e un’espansione della
produzione industriale.
24
Frenkel e Goldstein (1991), p. 109-110.
25
Bleaney (1992), p. 558.
26
Hung (1990), p. 2.
Capitolo primo
16
mercato finanziario. Invece, per studiare il disallineamento, è necessario definire il tasso di
cambio di equilibrio, cioè quello che determinerà l’equilibrio esterno nell’optimal time
period.
27
Inoltre, di solito si ritiene che un disallineamento a lungo termine sia un problema più
grave rispetto a un’elevata volatilità di breve periodo, potendo generare austerità non
necessaria, costi di aggiustamento, recessione, deindustrializzazione, inflazione e
protezionismo. I risultati empirici di uno studio condotto da Hung su un modello che tiene
conto sia dell’equilibrio intertemporale esterno che di quello dei mercati finanziari (Kouri,
1983a), hanno indicato che la maggior parte delle valute ha mostrato un elevato grado di
disallineamento nei periodi presi in considerazione, mentre la volatilità dei cambi non è
sembrata eccessiva.
28
Il legame che esiste tra volatilità e disallineamento è sottile: il disallineamento non
implica necessariamente la volatilità, e anche se la volatilità implica un certo grado di
disallineamento, può essere di grandezza o durata insufficienti per risultare effettivamente
importante. Comunque, la volatilità misura il disallineamento potenziale, nel senso che il
grado medio di disallineamento osservato tenderà ad aumentare con la volatilità, anche se il
tasso di cambio reale medio non è disallineato.
29
Tuttavia, si dovrebbero considerare anche gradi variabili di persistenza (correlazione
seriale positiva) o di regressione verso la media
30
(influenza negativa del livello corrente) nei
movimenti del tasso di cambio reale, fattori importanti quanto la volatilità per determinare il
grado medio di disallineamento, la cui influenza non è colta dalle misure di breve periodo
della volatilità comunemente usate. A tal scopo si potrebbe fare ricorso ad indicatori della
volatilità a più lungo termine, in particolare usando la deviazione standard del livello del tasso
di cambio reale per un arco temporale di più anni.
31
27
Hung (1990), p. 2-3.
28
Hung (1990), p. 1 e 4.
29
Bleaney (1992), p. 558.
30
Presunta tendenza del tasso di cambio reale a muoversi verso un valore di equilibrio di lungo periodo,
compatibile con la PPA, in un arco di tempo finito, forse molto lungo (Tronzano (1992), p. 77).
31
Bleaney (1992), p. 558-559.
Volatilità dei tassi di cambio
17
1.2 Volatilità dei tassi di cambio e regimi di cambio
Dopo collasso del sistema di Bretton Woods nel 1971, i paesi hanno adottato una
varietà di differenti accordi di cambio, dando origine ad un sistema ibrido. I maggiori paesi
industriali hanno scelto un regime di fluttuazione (spuria), come è il caso degli Stati Uniti e
del Giappone, o un regime a fluttuazione limitata con parità dichiarate, fisse ma aggiustabili
in modo discreto, e con ampliamento dei margini di oscillazione, come quello del Sistema
Monetario Europeo (SME); gli altri paesi hanno scelto un sistema di parità fisse o aggiustabili
(crawling peg) rispetto ad una valuta estera.
Il sistema di Bretton Woods ha mostrato che, in caso di parità fisse, esiste un unico
rapporto tra il livello dei prezzi interno e quello del resto del mondo (cioè un unico tasso di
cambio reale) compatibile con l’equilibrio della bilancia dei pagamenti e la piena
occupazione, obiettivi che possono essere conseguiti contemporaneamente se i paesi fissano
le parità nominali in base alle divergenze nelle politiche economiche o se coordinano tali
politiche in modo da ottenere un unico livello dei prezzi.
32
In un sistema con parità fisse, la capacità di una politica monetaria espansiva di
stimolare l’attività economica nazionale è condizionata dalla mobilità dei capitali in risposta
ai differenziali nei tassi d’interesse. In particolare, con una mobilità di capitale elevata, i tassi
d’interesse devono essere gli stessi in tutti i mercati, in quanto una loro diminuzione
all’interno di un paese provocherebbe un deflusso di capitali e il deprezzamento della valuta.
Le autorità monetarie, avendo l’obbligo di impedire la fluttuazione del tasso di cambio al di
fuori di una certa banda stabilita, ad un certo punto devono intervenire a sostegno del cambio,
determinando un deflusso delle proprie riserve valutarie, con la conseguente riduzione
dell’offerta di moneta che riporterebbe i tassi d’interesse a livello di quelli mondiali. La
Banca centrale, per opporsi a ciò, potrebbe anche sterilizzare l’effetto della perdita di riserve
acquistando titoli attraverso operazioni di mercato aperto, ma in tal caso il drenaggio di
riserve probabilmente continuerebbe fino al loro esaurimento, costringendola comunque alla
fine ad innalzare i tassi d’interessi.
33
Quindi l’indipendenza della politica monetaria di un paese risulta essere tanto più
limitata quanto più sono stretti i margini consentiti di oscillazione del tasso di cambio intorno
alla parità, quanto maggiore è la reattività dei movimenti di capitale al differenziale
d’interesse (coperto) e della bilancia dei pagamenti alle variazioni del tasso di cambio, e
quanto più è contenuto il premio di rischio richiesto dagli speculatori per fornire una
copertura formale.
34
Durante i primi anni del sistema di Bretton Woods le autorità monetarie hanno goduto
di una certa libertà di azione per la scarsa sensibilità dei movimenti di capitale al differenziale
d’interesse coperto dovuta ai numerosi impedimenti alla mobilità dei capitali e alla mancanza
di familiarità con i mercati valutari dei cambi. Ma alla fine degli anni ’60, tale sensibilità è
aumentata, causando ampi flussi speculativi di capitali non appena le parità sono diventate
non realistiche e, perciò, limitando parecchio il perseguimento di una politica monetaria
indipendente.
35
32
Modigliani e Askari (1998), p. 161.
33
Modigliani e Askari (1998), p. 162.
34
Modigliani e Askari (1998), p. 162.
35
Modigliani e Askari (1998), p. 162.
Capitolo primo
18
All’inizio degli anni ’70 ci si aspettava che con un sistema di tassi di cambio flessibili
i paesi sarebbero stati capaci di perseguire una politica monetaria indipendente, che il
movimento di lungo periodo dei tassi di cambio sarebbe stato determinato probabilmente
dalla PPA, e che la riduzione dei guadagni sicuri derivanti dalla speculazione (a causa del
rischio accresciuto) avrebbe determinato una riduzione della speculazione dirompente e
perciò delle crisi finanziarie internazionali. Tali aspettative si sarebbero in larga misura
realizzate non fosse stato per la massiccia liberalizzazione finanziaria internazionale,
verificatasi negli anni successivi, e i problemi connessi con l’accresciuta mobilità dei
capitali.
36
In assenza di movimenti di capitale, tassi di cambio nominali flessibili
permetterebbero ai paesi di adottare una politica monetaria compatibile con il pieno impiego e
l’equilibrio della bilancia dei pagamenti, assumendo implicitamente rigidi i salari nominali
rispetto alle variazioni dei prezzi. Anche con un grado significativo di mobilità dei capitali i
paesi mantengono il controllo della loro politica monetaria, con la connessa possibilità
dell’overshooting del tasso di cambio, conseguenza del fatto che i mercati delle attività
finanziarie raggiungono l’equilibrio più rapidamente di quelli dei beni.
37
Infine, considerando una mobilità dei capitali quasi perfetta, la politica monetaria può
non ottenere i risultati sperati in termini di produzione e occupazione. Un’espansione
monetaria ridurrebbe i tassi d’interesse e si avrebbe un deprezzamento del tasso di cambio
nominale (e di quello reale solo nella misura in cui i salari e i prezzi interni non variano o
variano in misura inferiore al tasso di cambio nominale). Se le aspettative di inflazione e di
cambio sono elastiche, il tasso a pronti può deprezzarsi ulteriormente soprattutto se la politica
macroeconomica del paese manca di credibilità agli occhi degli investitori e degli speculatori
per l’inflazione passata e l’entità dei deficit pubblici. Infatti il deprezzamento può condurre ad
una maggiore inflazione (attraverso le importazioni) e a sua volta ad un ulteriore
deprezzamento, instaurando un circolo vizioso.
38
In pratica, anche se il sistema dei tassi di
cambio fissi di Bretton Woods, caratterizzato da una crescente mobilità dei capitali, ha ridotto
la capacità di perseguire una politica monetaria indipendente per tutti i paesi (con la sola
eccezione degli USA), questa indipendenza non è stata maggiore durante il regime di tassi
fluttuanti.
39
Quindi le variazioni nei tassi di cambio per il periodo di cambi fluttuanti sono
riconducibili non tanto a cambiamenti transitori o fondamentali nei flussi commerciali quanto:
ξ alle differenze nei tassi d’interesse tra i vari paesi (soprattutto tra Stati Uniti, Giappone e
Germania), che riflettono le differenze nella loro crescita economica, nei loro tassi d’interesse
e nelle loro politiche monetarie;
ξ alla liberalizzazione dei movimenti di capitale;
ξ agli spostamenti di fondi per sfruttare i differenziali d’interesse, per motivi speculativi o
precauzionali, cercando di minimizzare i rischi di perdite in cambi anticipando i movimenti
futuri (creando però un effetto di traino sia nel mercato a pronti che in quello a termine poiché
le valute forti diventano più forti e quelle deboli più deboli sotto l’influenza di rapidi
spostamenti di fondi);
36
Modigliani e Askari (1998), p. 163.
37
Modigliani e Askari (1998), p. 163-164.
38
Modigliani e Askari (1998), p. 164.
39
Modigliani e Askari (1998), p. 168.
Volatilità dei tassi di cambio
19
ξ e, in un mondo di mutevoli incertezze politiche, ai timori degli operatori nei confronti
delle prospettive future di una particolare economia, di pericoli esterni o di cambiamenti di
politica interna, timori che si traducono in una corsa verso le valute che appaiono meno
vulnerabili a tali rischi e quindi in una maggiore volatilità dei tassi di cambio.
40
Uno dei più chiari fatti stilizzati del recente periodo di fluttuazione spuria è stato il
sorprendente grado di variabilità dei tassi di cambio (anche se per alcuni economisti il
comportamento dei tassi di cambio muta sostanzialmente in relazione ai periodi storici e non
necessariamente ai regimi di cambio). In particolare, la volatilità del tasso di cambio reale
misurata dalla deviazione standard del logaritmo del tasso di cambio (livello), è stata
significativamente maggiore rispetto al precedente periodo di cambi fissi, essendo stati i tassi
di cambio nominali la più importante fonte delle fluttuazioni nei tassi di cambio reali.
41
I graduali movimenti di lungo periodo nei tassi di cambio per conciliare le divergenze
economiche fondamentali tra i paesi, sono stati considerati uno dei benefici del sistema dei
cambi fluttuanti. Dal 1979, i movimenti nei tassi di cambio hanno mostrato due distinte
caratteristiche: ci sono stati una gran volatilità di breve periodo e ampi movimenti ciclici in
opposte direzioni nei tassi di cambio durante un intervallo di tempo relativamente breve, che
difficilmente possono essere considerati desiderabili per adeguare i trasferimenti di risorse
reali alle differenze nei rendimenti sociali tra i vari paesi, visto che comunque i fondamentali
non cambiano così rapidamente o in misura così grande. Questi fatti indicherebbero che la
volatilità dei tassi di cambio e il ciclo di lungo periodo nei loro movimenti sono stati più ampi
di quanto ci si sarebbe potuto aspettare, con conseguenze potenzialmente negative per la
crescita del commercio internazionale e per i costi degli aggiustamenti economici, e che di
conseguenza i tassi fluttuanti non hanno raggiunto uno dei loro scopi prefissi, cioè appropriati
movimenti nei tassi di cambio reali.
42
Per quanto riguarda la volatilità dei tassi di cambio, il sistema finanziario
internazionale ha mostrato una certa elasticità, cioè una certa capacità di ripresa. Mentre con
tassi di cambio fissi i paesi hanno contenuto le divergenze non aggiustando le parità in modo
corretto, e perciò gli scombussolamenti sono stati sensazionali, con tassi di cambio flessibili i
cambiamenti sono stati più graduali e non si sono verificate crisi drammatiche, considerando
l’elasticità del sistema nel 1973-74 e nel 1979-80 durante gli shock petroliferi.
43
Comunque, gli effetti negativi della volatilità probabilmente sono connessi con la sua
componente di imprevedibilità che può essere simile sia rispetto ai cambi fissi che a quelli
flessibili, pur essendo i tassi di cambio più volatili durante i periodi di cambi flessibili. Inoltre,
pur essendo i tassi di cambio flessibili intrinsecamente più volatili, non è certo che la
relazione di causalità corra esclusivamente, o in maniera predominante, dal regime di cambio
alla volatilità: le condizioni economiche sottostanti possono essere più volatili nei periodi di
cambi flessibili, e possono rendere necessario il passaggio da un regime di cambi fissi ad uno
di cambi flessibili. E anche se i sistemi a cambi flessibili sono più volatili, non comportano
necessariamente una perdita di benessere in tali periodi superiore a quella che si avrebbe
eventualmente con un regime di cambio alternativo.
44
Per quanto riguarda lo SME, caratterizzato da una mobilità dei capitali quasi perfetta,
da parità fisse credibili, da riserve limitate delle Banche centrali e dalla mancanza di
cooperazione politica, i livelli dei tassi d’interesse sono stati quasi uguali in tutti i paesi
40
Roosa (1983), p. 13-15.
41
Hasan e Wallace (1996), p. 67-69.
42
Modigliani e Askari (1998), p. 168-169.
43
Modigliani e Askari (1998), p. 169-170.
44
Hasan e Wallace (1996), p. 71-72.
Capitolo primo
20
membri. In sostanza, ciò si è tradotto in una politica monetaria uguale per tutti, dettata dalla
più potente e credibile di tutte le Banche centrali, la Bundesbank, la cui politica monetaria
eccessivamente restrittiva (e la conseguente insufficienza della domanda aggregata) ha
ostacolato gli investimenti e la creazione di posti di lavoro determinando elevati tassi di
disoccupazione. Soprattutto i paesi con difficoltà occupazionali come l’Italia (o la Francia)
hanno potuto fare poco per alleviare la loro situazione: infatti, ogni tentativo di abbassare i
tassi d’interesse si sarebbe tradotto in una fuga di capitali inimmaginabile, impedendo alla
Banca centrale il mantenimento del tasso di cambio all’interno dei margini di oscillazione
intorno alla parità stabilita e perciò spingendo il paese fuori dello SME.
45
Ad ogni modo, i tassi di cambio reali dentro e fuori lo SME hanno avuto dinamiche
molto differenti. I movimenti nei tassi di cambio nominali sono stati limitati all’interno dello
SME, tranne che in occasione dei riallineamenti. I differenziali d’inflazione sono stati
persistenti, anche se con una certa tendenza a ridursi nel tempo. Tra i riallineamenti, i tassi di
cambio reali dovrebbero muoversi nella direzione indicata dai differenziali d’inflazione,
purché sufficientemente ampi rispetto alla variabilità consentita nei tassi di cambio nominali.
Questi movimenti possono quindi essere compensati parzialmente o completamente in
occasione di riallineamenti dei tassi di cambio nominali.
46
E’ chiaro che l’introduzione dello SME ha ridotto la volatilità dei tassi di cambio reali,
secondo le convenzionali misure di breve periodo, sia all’interno del sistema che rispetto alle
valute esterne al sistema stesso. Però i regimi di cambio che limitano la variabilità di breve
periodo possono incorporare un certo grado di persistenza (correlazione seriale positiva) che è
riflessa nelle misure di lungo periodo della volatilità e che in determinate condizioni potrebbe
determinare un grave disallineamento e minacciare la stabilità del regime. Visto che il
movimento persistente di una variabile nella stessa direzione si traduce in una varianza
crescente del livello del tasso di cambio aumentando l’intervallo temporale della misurazione,
la differenza tra la volatilità dei tassi di cambio reali all’interno e all’esterno dello SME è
meno marcata utilizzando la misura di più lungo periodo (che probabilmente include almeno
un aggiustamento dei tassi di cambio nominali) che quelle convenzionali di breve periodo.
47
Pozo (1992) ha esaminato la volatilità della sterlina inglese rispetto al dollaro
statunitense nel periodo 1900-1940 per accertare in che misura i cambiamenti nei regimi di
cambio influenzano l’incertezza affrontata dai fruitori dei mercati valutari. Il periodo in
questione è particolarmente interessante da questo punto di vista, essendo stato caratterizzato
da diversi tipi di regimi di cambio: fino al 1914 e tra il 1925 e il 1931 la Gran Bretagna ha
mantenuto i tassi di cambio fissi sotto un gold standard; dal 1919 al 1925 ha funzionato un
sistema di cambi perfettamente flessibili; infine, negli altri periodi (1914-1919 e 1931-1939)
si è avuta una fluttuazione manovrata. Un altro motivo per prendere come riferimento il
periodo 1900-1940 è che diversi studi (ad esempio, Stockman, 1983; Mussa, 1986; Baxter e
Stockman, 1989) hanno focalizzato l’attenzione sugli effetti dei differenti regimi valutari sul
comportamento dei tassi di cambio reali dopo la seconda guerra mondiale, riscontrando una
maggiore volatilità dopo il crollo del sistema di Bretton Woods, mentre molto pochi hanno
preso come riferimento la prima metà del secolo scorso (o periodi precedenti).
48
45
Modigliani e Askari (1998), p. 165.
46
Bleaney (1992), p. 560.
47
Bleaney (1992), p. 561-564.
48
Inoltre, Baxter e Stockman (1989, p. 377-400) hanno rilevato come, sotto regimi di cambio alternativi,
risultino poco evidenti sistematiche differenze nel comportamento degli aggregati macroeconomici o dei flussi
commerciali internazionali. Pozo (1992), p. 1213.