2
Una definizione di voce – rumor in inglese – viene fornita da Paolo Toselli
[2004: 6], secondo cui questa sarebbe:
Un’informazione che apporta una verità (la rivelazione di un segreto
insospettabile), sia essa ancora non confermata pubblicamente da fonti ufficiali,
ovvero smentita da queste, relativa a una persona o a un evento legati all’attualità. Si
tratta di una “notizia” breve, di un flash poco verificabile, risultante anch’esso ad un
processo di discussione collettiva. La voce può trasformarsi in leggenda e viceversa.
Altro genere è quello delle «bufale», notizie di eventi non avvenuti, costruite
appositamente, molto spesso, per essere introdotte nel circuito dei mass media. Si
tratta sovente di una vera e propria trappola, congegnata da autori di scherzi o
ideatori di falsi fatti di cronaca [Toselli 2004: 6]. Carlo Formenti parla al riguardo
di «bufale buone», intendendo con questa etichetta le bufale costruite ad arte, le
quali “sfruttano la Rete per mettere a nudo i punti di debolezza degli altri media”
[Molino, Porro 2003: XI].
False notizie, dicerie, voci infondate e leggende trovano condizioni favorevoli
alla loro diffusione e accettazione, soprattutto in momenti e situazioni in cui si ha
bisogno di certezze, speranze e spiegazioni, e ci si deve confrontare con la
censura o la disorganizzazione dei normali circuiti di comunicazione
dell’informazione. Attenzione particolare deve però essere data alle «bufale», che
si rivelano trappole in cui cadono anche i mezzi di informazione più seri, inganni
confezionati ad arte finalizzati a screditare, depistare, confondere le acque
[Toselli 2004: 17].
Diventa sempre più complesso tracciare una netta demarcazione tra leggenda,
voce, bufala e fatto di cronaca.
Questo ovviamente non significa che si abbia a che fare solo con uno dei due
fenomeni, cioè solo con leggende piuttosto che esclusivamente con esperienze
reali: “i due mondi convivono, influenzandosi l’un l’altro, e costituendo assieme
la nostra «realtà»” [Toselli 2004: 227]. Voci e leggende metropolitane sono
oggetto di credenza e di diffusione perché assolvono a funzioni psicologiche e
sociali che fanno sì che il loro contenuto appaia come verosimile, interessante, ed
importante.
3
Secondo Luca Damiani il concetto fondante di quelle che vengono definite
leggende urbane, o metropolitane
1
, è “la necessità di abbellimento e
completamento della realtà, di costruzione di una piccola mitologia per un
quotidiano quasi sempre insufficiente, una minuta mitopoiesi” [2004: 132] su cui
è stato scritto molto per cercare di spiegare in qualche modo quegli eventi
sorprendenti di cui si è spesso sentito parlare, come per esempio le voci su
presunti coccodrilli albini e ciechi nelle fogne di New York o i cani che in realtà
sono dei roditori appestati importati dall’Oriente da ignari turisti.
Le leggende sono dunque forse necessarie per dare uno sfogo pulsionale
all’angoscia collettiva? Oppure è concreto il dubbio secondo cui le “leggende
sono un parassita sociopsicologico nato a ridosso di eventi misteriosi e non
decifrabili, in altre parole un codice popolare (forse la vecchia vox populi) per
decodificare una verità intuita” [Arona 1994: 15]? Le moderne megalopoli
coltivano ancora in esse, paradossalmente, alcuni aspetti molto simili a quelli del
mondo medievale: le leggende, ma soprattutto l’immaginario che esse mettono in
moto, “corrono il rischio di diventare la cultura dominante e di creare un ulteriore
ecosistema in cui due mondi (il reale e ciò che si suppone tale) convivono,
influenzandosi l’un l’altro” [Arona 1994: 15].
“Il confine fra realtà e fiction è uno zig-zag del possibile, una serpentina insidiosa
che riesce a trarre in inganno anche i più smaliziati, spesso facendo leva sulle
paure più profonde” [Laurenzi 2004]: animali e creature misteriose sono
protagonisti di leggende urbane e di hoax. Rilette a freddo, molte di queste
appaiono come grottesche sceneggiature di scherzi [Laurenzi 2004]:
I ragni urlatori che popolano il deserto dell'Iraq in mano ai soldati americani: sono
giganteschi e quando ti azzannano ti iniettano una sostanza simile alla novocaina. I
poveri e deformi gatti bonsai: crudelmente allevati dentro una bottiglia fra lancinanti
torture. E poi il cucciolo di drago conservato in formalina. Urban legends e hoax, brevi
storie dal contenuto sorprendente e dalle infinite varianti, mescolano elementi reali
con alcuni verosimili e altri decisamente falsi, unendoli a luoghi comuni, aneddoti,
sentito dire.
1
Damiani definisce le leggende metropolitane come “racconti di fantasia che soddisfano un bisogno
4
Per Pandolfi [1992: 123]:
L’evoluzione fantastica è «non darwiniana», essa si è costituta non su prove certe,
documentabili e misurabili come la scienza attuale vuole, ma è stata invece prodotta e
generata da notizie e racconti, dal visto ma non dal misurato, dal narrato e non
raccolto. L’evoluzione fantastica è una congerie di «si dice», un’evoluzione pettegola
del «narrano che».
Secondo Tibaldi [1980: 11]: “Le creature della fantasia continuano a vivere e a
trasformarsi. La loro realtà non è biologica, ma sussiste nella mente, nelle
persone, nelle culture tradizionali, nella memoria della specie umana”. E continua
[1980: 49]:
I mostri, reali o immaginari, sono parte della nostra vita. Più è la loro estraneità
rispetto alla forma cui siamo abituati, più alta è la loro capacità di coinvolgerci, di
introdursi nella nostra vita quotidiana. Il fatto che la letteratura mondiale sia
abbondantemente popolata da mostri, insieme al fatto che essi nascano soprattutto da
miti e leggende, è l’elemento fondativo di una paleontologia dell’immaginario.
Secondo Izzi [1982: 34]:
Il mostro è tale solo nei confronti di un «normale» che è stabilito in base alla
omogeneità ad una collettività. Quindi il mostro è tale rispetto alla società costituita, e
ne incarna tutte le incertezze. In questo senso funziona da destabilizzatore, e innesca
nella società un processo di rigetto violento, che arriva fino al rituale allontanamento o
alla eliminazione del «diverso».
Il mostro ha sempre occupato, a seconda dei luoghi e delle epoche, un ruolo più o
meno importante nelle varie civilizzazioni [Lecouteux 1988: 114]:
Di volta in volta comparsa o attore, amico o nemico, terrificante o stupefacente,
oggetto di curiosità o repulsione, simbolo delle forze del male o al servizio del bene,
allegoria o caricatura, finzione o realtà, il mostro è il riflesso negativo dell'uomo,
l'espressione della sua ambiguità, delle sue paure e dei suoi desideri, simbolo di quella
angoscia collettiva a cui leggende e voci cercano di dare sfogo. Capace di sostenere
infinite parti e di rivestire infinite forme, il mostro si è assicurato la perennità poiché è
inscindibile dall'uomo, suo creatore.
atavico” [2004: 132].
5
A dispetto del grande numero di specie animali conosciute, l'uomo sembra sentire
da sempre un insopprimibile bisogno di inventarne delle nuove: un bisogno che si
avverte già nella preistoria e che, nel corso dei millenni, è andato ad arricchire un
bestiario fantastico di dimensioni notevoli [Benedetti 2002: 3].
Tale tema si tramanda nei secoli con alterne vicende arrivando tuttavia fino ai
giorni nostri. Il catalogo dei cosiddetti mostri prende sempre più corpo col
passare del tempo e paradossalmente, con il progredire delle conoscenze.
Le immagini che appartengono al mostrifico e che utilizzano il medium visivo
come strumento espressivo hanno spesso un carattere perturbante. Le
raffigurazioni mostruose si oppongono alla realtà naturale, combinano e fanno
convivere diversi elementi in modo innaturale, associano elementi naturali a
elementi fantastici. A partire dalla metà del Settecento le tecniche dell'industria
culturale ricorrono costantemente al potere che i mostri esercitano
sull'immaginazione: ibridi tra uomini e bestie, oltre a demoni, mutanti, alieni,
automi, popolano l'immaginario collettivo, congiungendo in un'unica attività
fantastica i poli opposti della cultura d'élite e della cultura di massa. Dall'avvento
del cinema in poi le strutture dell'immaginazione affidano il mostro a un processo
simbolico preconfezionato. L’industria culturale nel suo complesso ha fatto
emergere a ondate e moltiplicato all'infinito l'immagine del mostro in tutte le sue
varianti.
Nel XX secolo il mostro sembra dissimularsi nel quotidiano, diventa un
fenomeno da intrattenimento, è sfruttato anche dai mezzi di comunicazione. Il
meraviglioso contemporaneo trae vantaggio dalle moderne tecniche di diffusione
collettiva. Le voci sono amplificate e diffuse dai media, le leggende
contemporanee sono fomentate da articoli di giornale e da e-mail che
imperversano attraverso la posta elettronica. Per Benedetti [2002: 3]: “Se oggi
nessuno crede più a unicorni e manticore, altri animali hanno preso il loro posto:
il Mostro di Loch Ness, lo Yeti, il Bigfoot, il Mokele m'bembe e una incredibile e
colorita varietà di altre creature, che sembrano fatte apposta per stimolare la
curiosità e la fantasia”.
Oggi la sensibilità visiva e deformata delle società industriali potenzia la
proliferazione di mostri, spingendo in un certo senso l'umanità a fare i conti con
essi. La mostruosità permea la nostra cultura.
6
“La gente oggi ha un gran bisogno di mostri nell'immaginario perché ha bisogno
di sedare le ansie e le paure della «normale» mostruosità che questa società
produce, direzionandole verso dei mostri immateriali, ma dai connotati fisici e
caratteriali definiti concretamente” [Fortunati 1995: 171]. Questi nuovi mostri,
ispirati magari malamente all'eredità del passato, il più delle volte continuano ad
essere forma vuota e degradata, ma sono presenti in grande quantità. I mostri
odierni sono rintracciabili nei film, nei cartoni animati, nei fumetti, nei racconti di
fantascienza, ma sembra anche sul Web. Le cronache degli antichi viaggiatori ed
esploratori sono colme di descrizioni di strani esseri, draghi o animali mostruosi
che vivevano ai confini del mondo conosciuto. Si potrebbe pensare che oggi, con
l'esplorazione completa del nostro pianeta non ci siano più zone d'ombra in cui i
mostri si possano rifugiare: sulle pagine dei giornali le storie di animali mostruosi
e strani ogni tanto fanno capolino. E’ necessario domandarsi se si tratti solo di
leggende e storie assurde nate da racconti di avvistamenti stravaganti, se questi
«mostri» siano generati dall’immaginario attraverso deformazioni mediatiche, e
interrogarsi sul ruolo che oggi gioca il più diffuso dei nuovi mezzi di
comunicazione, Internet, con i suoi strumenti, all'interno di un contesto del
genere.
Il mostro è l’incarnazione del perturbante, elemento chiave di molte voci e
leggende contemporanee: figura presente da secoli in fiabe e racconti, esso è oggi
attualizzato in molte voci contemporanee, che rimaneggiano le sue peculiarità e lo
adottano alle proprie esigenze. Voci e mostri sono entrambi generati da una
deformazione frutto dell’immaginario, nascono da una distorsione della realtà.
Oggi i mezzi di comunicazione in generale, ma soprattutto Internet con i suoi
strumenti, possono intervenire su questo aspetto e dare vita a risultati inediti.
Questo lavoro intende indagare su questi aspetti. Occorre sottolineare che la
scelta di questo lavoro si indirizza all’ «immaginazione dei mostri», all’aspetto
creativo, poetico degli esseri immaginari, a quelle figure, frutto dell’immaginario
e dell’immaginazione, attraverso cui l’epoca contemporanea cerca di dare forma
(o di fomentare) paure anche archetipiche. Queste idee costituiscono il
fondamento di questo lavoro, accanto all’ipotesi che le leggende possano essere
considerate delle «finestre aperte» sull’immaginario collettivo, una delle modalità
narrative attraverso le quali i gruppi sociali trasmettono e condividono alcuni
7
aspetti e visioni della realtà e della società.
Nella prima parte di questo lavoro (capitoli I-II) si analizzano le caratteristiche e
le definizioni precipue di voci e leggende contemporanee (cap. I) e il loro
rapporto con i mezzi di comunicazione in generale (capitolo II).
Il punto di partenza del capitolo primo è la definizione di «voce che corre» e di
leggenda, in modo che tali concetti risultino chiari per tutto l’evolversi del lavoro.
Si prendono inoltre in considerazione i vari studi che si sono compiuti in materia
e le caratteristiche fondamentali di questi fenomeni. Ci si sofferma in particolare
sulla struttura e sulla dinamica attraverso cui si esplicano. Particolare attenzione
viene posta ai legami che intercorrono tra voci, leggende contemporanee e i
generi ad essi simili, per evidenziarne caratteristiche comuni e differenze. Si
evidenziano soprattutto le relazioni con leggende tradizionali, con i miti e con il
fatto di cronaca, che spesso si genera da leggende e voci stesse.
Il capitolo secondo si focalizza sul rapporto tra mezzi di informazione e le voci:
posta l’attenzione sul ruolo di creatori e propagatori dei media, si esamineranno i
concetti di «memi» e oralità secondaria, fondamentali per comprendere la
relazione tra voci e informazione. Successivamente, si indagherà sul concetto di
«fiction», di «fattoide» e di «beffa mediatica», al fine di approfondire i
meccanismi che fanno mutare voci e leggende in notizie fittizie autentificate dai
mezzi di comunicazione.
Nella seconda parte di questo lavoro (capitoli III-IV) ci si concentrerà sulla figura
del mostro.
Il capitolo terzo si sofferma sul significato del termine, sulla evoluzione del
concetto e sulla interpretazione che ha assunto nell’immaginario collettivo nel
corso delle varie epoche e nelle diverse culture. Come sostiene Leopoldina
Fortunati: “Chi voglia oggi prendere in considerazione questa figura
dell’immaginario collettivo non può comprenderne l’attuale più intima sostanza
di indicatore sociale se non ripercorrendo la sua storia, le sue estetiche, le sue
8
ideologie, i suoi modi di produzione e di consumo, i suoi mezzi di
comunicazione” [1995: 15].
Il capitolo quarto affronta il tema delle voci e delle leggende contemporanee
relative ai mostri e alle creature «fantastiche» che vengono diffuse in epoca
contemporanea, delineando le cause scatenanti del persistere di un certo
immaginario archetipico in fenomeni di questo tipo. Ci si sofferma inoltre sui
meccanismi che generano la strutturazione delle creature fantastiche e che
permettono la diffusione della voce e della leggenda all’interno dell’immaginario
collettivo. Inoltre si intende indagare il ruolo che in epoca contemporanea
rivestono leggende e voci relative a creature «mostruose» all’interno di contesti
urbani ed extraurbani, e le varie letture e interpretazioni a cui queste figure sono
sottoposte attraverso voci e leggende stesse.
La terza parte (capitoli V-VI) ha l’obiettivo di analizzare da un lato le
caratteristiche che voci e leggende contemporanee assumono su Internet, e
dall’altra i ruoli che il medium riveste nei loro confronti.
Il capitolo quinto indaga le peculiarità che questi fenomeni hanno assunto
nell’incontro con il nuovo mezzo di comunicazione: in particolare, si intende
esaminare i concetti di «Netlore», una tipologia di folclore a cui Internet ha dato
vita, e di «voci elettroniche». Portando avanti una analisi di similitudini e
differenze con le voci orali tradizionali, si vogliono evidenziare le peculiarità di
questo nuovo genere di voci, diffuse tramite la posta elettronica, anche attraverso
una analisi approfondita delle varie tipologie a cui danno vita, come le catene via
mail e i falsi allarmi. Si pone inoltre attenzione al ruolo dell’immagine e al
fenomeno delle «images rumorales», un particolare genere di voci, per
definizione negato alle voci trasmesse oralmente, a cui ha dato vita Internet e che
oggi è divenuto basilare nella propagazione di leggende contemporanee attraverso
il Web e la posta elettronica.
Il capitolo sesto pone l’attenzione sui cosiddetti «siti di riferimento» per quanto
concerne la catalogazione di voci e leggende contemporanee, sulle caratteristiche
9
delle «Cliniche delle voci» digitali, sulla loro origine e sulla loro genesi nell’era
di Internet: in esse, voci e leggende vengono catalogate e approfondite. In
seguito, vengono presi in considerazione cinque siti web, due di origine
nordamericana e tre di origine italiana: attraverso la loro analisi, si valuta come
essi affrontino il tema delle «voci che corrono» e delle leggende contemporanee.
In particolare, dei siti si esaminano, oltre le caratteristiche precipue e le modalità
di approccio alla tematica, voci e leggende relative ai «mostri» e a creature
mostruose da essi catalogati.
Attraverso un approfondimento di questo tipo si vuole comprendere come
Internet intervenga nei confronti di queste figure e di questi fenomeni, rispetto
alla catalogazione del materiale, ma anche alla formazione stessa di «voci
elettroniche» e «images rumorales» commiste a tali «simboli mostruosi»,
contribuendo così alla attualizzazione del tema del mostruoso nell’immaginario
collettivo e alla formazione di una originale fase del mostrifico del tutto inedita,
appartenente all’epoca contemporanea digitale.
Voci e leggende contemporanee come oggetto di studio
10
Capitolo I
Voci e leggende contemporanee come oggetto di studio.
Falsi racconti hanno sollevato le folle.
Le false notizie, in tutta la molteplicità
delle loro forme, semplici dicerie, imposture,
leggende, hanno riempito la vita dell’umanità.
Marc Bloch
1.1 Studi e teorie.
Il fenomeno della «voce che corre», a cui le scienze umane si sono
interessate in particolare durante la Seconda guerra mondiale, è stato
esaminato, descritto e spiegato secondo diverse modalità di approccio.
Benché la voce sia un fenomeno antico che è probabilmente sempre esistito,
da un punto di vista scientifico è un concetto recente. La maggior parte degli
studi dedicati alle voci e alle leggende contemporanee appartengono al
campo del folklore. In particolare, lo studio del folklore consiste nel
classificare e interpretare, all’interno del loro contesto culturale, i prodotti
dell’interazione umana quotidiana, che vengono trasmessi da persona a
persona. L’epoca d’oro degli studi folcloristici europei si situa tra la fine del
XIX e l’inizio del XX secolo. Priorità è data naturalmente alla raccolta e
all’analisi di tradizioni rurali e popolari, spesso di origine antica, ma non è
raro che l’attenzione dei folcloristi si concentri anche su credenze recenti,
raccolte non solo in ambienti rurali ma anche nel contesto urbano: questi
ricercatori furono precursori degli attuali studi sulle leggende moderne
[Renard 1999: 8-9].
Il termine voce ha conosciuto una forte crescita nel XX secolo: è divenuta un
mezzo per osservare il morale delle popolazioni; il XX secolo darà dunque
vita ad una voce moderna, la nozione diventerà funzionale ed entrerà a far
Voci e leggende contemporanee come oggetto di studio
11
parte degli interessi delle scienze sociali. Le prime vere ricerche empiriche
sulle voci iniziano negli Stati Uniti durante la Seconda guerra mondiale
[Toselli 2002: 12], ma prima di allora alcuni autori hanno donato corpo e
coerenza allo studio della voce.
Un articolo pubblicato nel 1902 da Louis William Stern, studioso di cui
Gordon Allport fu allievo, è in questo senso un ottimo esempio. Pascal
Froissart
1
sostiene che la voce sia diventato oggetto di studio in modo
«incidentale», in seguito all'articolo di Stern: questo articolo riguardava il
concetto di testimonianza e la psicologia giudiziaria, ma in realtà segnò la
nascita della voce come concetto di interesse per le scienze umane. Venne
preso in considerazione l'esperimento in cui si osserva una voce sperimentale
che passa di soggetto in soggetto: lo sperimentatore lancia la voce e osserva
ciò che viene diffuso tra i soggetti. Per Froissart questa è la vera invenzione
della voce moderna.
Sarà Rosa Oppenheim, collaboratrice di Stern, nel 1911, a rafforzare il
concetto, e definirà la voce come mezzo di comunicazione di massa.
Dopo la Prima guerra mondiale, gli studiosi impegnati nel campo della
psicologia della testimonianza hanno formalizzato le loro ricerche sulle voci
e sui racconti prodotti in tempo di guerra. Gli autori mostravano come le
sofferenze della guerra si accompagnassero a ogni sorta di racconti
immaginari: atrocità commesse dal nemico, azioni eroiche inventate, voci di
tradimento, invenzioni di armi segrete, apparizioni sovrannaturali che
aiutavano i combattenti e così via. Tutto ciò dimostra che le leggende non
sono necessariamente un’eredità del passato e che la loro produzione è
sempre viva.
Secondo March Bloch, storico francese che si è occupato in particolare di
voci e leggende durante la Prima guerra mondiale, le «false notizie», come
Bloch definiva semplici dicerie, imposture o leggende, avrebbero dovuto
essere analizzate come realtà identificabili che, al di là della loro falsità,
1
Froissart Pascal, 2002, La rumeur : histoire ou fantasmes, Paris, Belin,
http://pascalfroissart.online.fr/0-htm/froi-02c.html
Voci e leggende contemporanee come oggetto di studio
12
rivelavano in modo indiretto qualcosa di profondo sulla società: “la falsa
notizia è lo specchio in cui la «coscienza collettiva» contempla i propri
lineamenti” [1994: 104]. Marc Bloch era ancora radicato all’idea che le
leggende nascessero da errori
2
. Solo successivamente, in un saggio
posteriore, «I re taumaturghi», egli realizzò che le leggende e i miti sono
portatori di una loro verità che lo storico deve scoprire.
Nel 1932 Kirkpatrick modificherà il protocollo di Stern: egli sottolineerà che
l'informazione si deteriora circolando, ma ci si può domandare se questo
processo è soltanto quello della voce o più semplicemente quello
dell'informazione in generale.
I padri fondatori del settore disciplinare di studi sulle voci in senso moderno
sono però i due psicologi americani Allport e Postman. Questi studi furono
richiesti dall'esercito americano e comparvero in tempo di guerra per
combattere le voci frequenti che demoralizzavano le truppe e la popolazione.
Allport e Postman, all'origine del protocollo sperimentale del «gioco del
telefono» concepiscono la voce come: “una tesi collegata agli eventi del
giorno, destinata a essere creduta, propagata di persona in persona, di solito
tramite il passaparola, senza che esistano dati concreti che permettano di
dimostrare la sua esattezza”. I lavori di questi due autori si ispirano a quelli
di Stern, riprendono lo stesso concetto e lo integrano in un modello di
controllo sociale fatto di propaganda e di strategia militare. La voce diventa
un'arma di guerra, può uccidere.
Negli anni Quaranta del Novecento Knapp ha ideato un metodo al fine di
classificare le leggende, in base al loro tema centrale. Egli le ha suddivise in
voci di desiderio, voci aggressive e voci di paura. Knapp, allievo di Allport,
definisce la voce come: “una dichiarazione destinata a essere creduta, che si
riferisce all'attualità ed è diffusa senza verifica ufficiale”. In questo caso, il
2
“Le false notizie nascono spesso da osservazioni individuali inesatte, o da testimonianze
precise, ma questo accidente originario non è tutto; in realtà da solo non spiega niente.
L’errore si propaga, si amplia, vive infine ad una sola condizione: trovare nella società in cui
si diffonde un terreno di coltura favorevole. In esso gli uomini esprimono inconsapevolmente
i propri pregiudizi, gli odi, le paure, tutte le proprie forti emozioni” [1994: 84].
Voci e leggende contemporanee come oggetto di studio
13
concetto di voce è stato utilizzato come contro-propaganda, diventa
strumento politico.
Allport e Postman nel 1947 hanno ipotizzato che le voci subiscano un
processo di appiattimento, accentuazione e assimilazione. Per i due studiosi
americani la voce è «una proposizione legata agli avvenimenti del giorno,
destinata ad essere creduta, propagata da persona a persona, trasmessa in
genere di bocca in bocca, senza che esistano dati concreti tali da
comprovarne l’esattezza» [Kapferer 1988: 12]. La psicologia ha insegnato a
riconoscere che la percezione degli oggetti, anche dei più semplici, non è un
processo di rispecchiamento della realtà, ma piuttosto di interpretazione e di
costruzione dei dati. Allport e il suo collega Postman nel corso delle loro
analisi fecero un esperimento per verificare se il modo in cui le persone
recepivano e raccontavano ad altri un messaggio potesse spiegare i
meccanismi attraverso i quali da un fatto vero nasce una leggenda [Montali
2003: 46]. I tre processi che secondo Allport e Postman intervengono nella
trasformazione del messaggio dalla sua forma iniziale a quella finale sono:
- la riduzione degli elementi;
- l’accentuazione di alcuni particolari;
- la loro assimilazione in una immagine coerente.
Nella vita reale non ci troviamo mai semplicemente di fronte ad un oggetto,
ma ci arriviamo invece carichi di informazioni, aspettative, schemi
interpretativi (talvolta pregiudizi), che altri, per esempio i mass media, gli
hanno attribuito [Montali 2003: 47]. Allport e Postman sostengono che la
voce non è altro che una proto-leggenda in via di solidificazione o, più
prosaicamente, che la voce nasce in alcuni contesti di incertezza, di
ambiguità e di interesse generale , da cui è derivata la famosa formula:
R = Importanza x Ambiguità
Voci e leggende contemporanee come oggetto di studio
14
che non ha altri meriti oltre il suo formalismo, visto che le scale di misura
delle variabili R «quantità di voci», I «importanza» e A «ambiguità» non
sono mai state esplicitate. Infine essi sostengono di possedere un'arma per
lottare contro la voce: si tratta di una struttura amministrativa da utilizzare in
caso di crisi sociale, l'RCC (Rumor Control Center). La teoria degli autori
americani conosce presto un buon successo che si spiega sia per la semplicità
pratica dell'apparato teorico che per l’immensa diffusione dei loro studi. Il
successo mondiale degli autori americani eclissò largamente l’apporto di altri
autori.
Si può fare risalire un po’ più in là nel tempo l'origine dello studio delle voci
se si affianca questo concetto a quello di leggenda urbana, come ha fatto lo
studioso francese Jean-Bruno Renard [1999: 7], il quale sottolinea che alla
fine del XVIII secolo Bernard Le Bovier de Fontanelle, filosofo e letterato
francese all'epoca dei lumi e autore di un saggio intitolato De l'origine des
fables, spiegava la nascita delle leggende con quattro fattori principali:
l'ignoranza dei popoli riguardo le leggi della natura, la forza
dell'immaginazione che esagera le cose, la trasmissione orale degli scritti che
peggiora la deformazione del loro contenuto e, infine, il ruolo esplicativo del
mito. Un sociologo contemporaneo approverebbe certamente queste
conclusioni, secondo Renard. Tuttavia, occorre attendere gli studi folklorici,
sorti all'inizio del XIX secolo, perché ci si interessi realmente alle leggende.
L'interesse scientifico per le leggende urbane è sorto circa un secolo fa. Sin
da quest'epoca i folcloristi hanno iniziato a dedicarsi allo studio delle
leggende ed hanno tentato di trovare la loro origine ed il loro significato.
All'inizio del XX secolo, i lavori sulle leggende sono proseguiti, in
particolare per quanto riguarda le storie di guerra. Infatti dopo avere vissuto
due guerre mondiali le leggende sulle sofferenze inflitte alle popolazioni, i
tradimenti, le invenzioni di armi segrete, gli atti eroici o anche le apparizioni
sovrannaturali che aiutano i combattenti sono state estremamente numerose.
Voci e leggende metropolitane, in passato, hanno attirato l’interesse di alcuni
Voci e leggende contemporanee come oggetto di studio
15
psicoanalisti; tra questi Marie Bonaparte, ad esempio, che nel suo lavoro
Mytes de Guerre (1950) ha dato una interpretazione alle numerose leggende
che si erano diffuse durante la Seconda guerra mondiale, e Carl Gustav Jung.
Sono però soprattutto gli studi folclorici anglosassoni che hanno richiamato
l’attenzione sulle leggende contemporanee e metropolitane. Le leggende
contemporanee divengono un settore riconosciuto degli studi folclorici nel
1959 quando il folclorista americano Richard Dorson – uno dei pionieri della
ricerca sulle leggende urbane – fornisce, nell’ambito di un’opera generale sul
folclore americano, un contributo dedicato esclusivamente al «folclore
moderno». L’autore presenta esempi vari di racconti e dimostra come queste
storie moderne hanno la stessa natura e la stessa funzione delle leggende
tradizionali, di cui esse riprendono spesso dei motivi [Renard 1999: 24].
Dagli anni Settanta in poi si incominciò a parlare di urban legend o di
contemporary legend. Nel giugno 1980 Jan Harold Brunvand pubblicò un
articolo sulla rivista «Psychology Today» intitolato Leggende urbane: il
folclore odierno. Un testo che può considerarsi il fondatore di un genere, in
quanto fornì agli specialisti in scienze umane un nuovo oggetto di studio e
allo stesso tempo una definizione semplice che sarebbe divenuta negli anni a
seguire sempre più di uso comune. Il 1981 può essere simbolicamente
considerato come il debutto del periodo di istituzionalizzazione del campo di
ricerca sulle leggende moderne. In questo anno, in effetti, Jan Harold
Brunvand pubblica il primo volume di una serie di raccolte di leggende
urbane: The Vanishing Hitchhiker. American Urban Legends and Their
Meanings
3
. Brunvand, che ha ottenuto la tesi di dottorato all’Università
dell’Indiana sotto la direzione di Richard Dorson, è Professore Emerito
all'Università dello Utah a Salt Lake City. Dal 1987 al 1992, egli ha curato su
alcuni quotidiani americani una rubrica dedicata alle leggende metropolitane.
3
Traduzione letterale: «L’Autostoppista fantasma. Leggende urbane americane e loro significati».
Questa prima raccolta commentata di Brunvand, ritenuta da molti come la più interessante, non è
stata tradotta in italiano.