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Una regione, l’Industrial Midwest, con proprie caratteristiche sociali,
politiche, economiche, culturali ed etniche che permisero alle città di
quest’area di differenziarsi dalle altre metropoli americane.
Diversi fattori permisero l’ascesa di quest’area, che per molti anni venne
identificata solamente come una market area tenuta in vita da una rete di
interessi economici comuni. Il sistema di comunicazione dei fiumi Ohio e
Mississippi e la presenza dei Grandi Laghi assunsero un ruolo centrale per lo
sviluppo economico negli anni precedenti l’avvento della ferrovia. Anche la
presenza di numerose risorse naturali incoraggiò uno sviluppo peculiare e
distinto dalle altre aree del paese.
Diversi sono quindi gli elementi comuni a questi stati, a partire dalle
caratteristiche geografiche. La prevalenza di un terreno piatto permise un
veloce sviluppo del sistema ferroviario, favorendo lo sviluppo delle città
come importanti snodi commerciali per le rotte verso le coste oceaniche.
Anche le risorse naturali ebbero un impatto notevole, che diede un
ulteriore impulso alla caratterizzazione dell’area. I grandi giacimenti di
carbone e ferro crearono le basi per un enorme sviluppo dell’industria
pesante, mentre la ricchezza del suolo fu determinante per la coltivazione del
grano. La conseguenza diretta di questa situazione fu lo sviluppo di un
sistema industriale imponente, dipendente in gran parte dall’industria
pesante.
Il terzo fattore uniformante derivò dai flussi migratori tedeschi, che nel
diciannovesimo secolo “invasero” la regione dotandola di tratti e connotati
tipici distinguibili da quelli delle altre città statunitensi, come ad esempio le
metropoli dell’est, caratterizzate da elevate percentuali di immigrati
irlandesi, e quelle del sud, dove rilevante era invece il numero dei nativi.
Ma nonostante questo elevato grado di uniformità, le varie città della
regione conoscevano anche un certo livello di diversità, evidente soprattutto
tra le città di lago e le città di fiume. Diversità che si accentuavano poi a
paragone con le metropoli dell’Est come New York e Boston. I centri
dell’Industrial Midwest possedevano quindi forti caratteristiche distintive, e
3
la loro storia si è rivelata in gran parte indipendente da quella dei centri della
costa atlantica.
Ma forse il fattore accumunante più sentito anche dagli abitanti stessi
della regione era un qualcosa di non tangibile, un sentimento di
appartenenza comune al cuore degli Stati Uniti, derivante dalla sensazione di
essere all’interno del continente, lontani da entrambe le coste. Le città
costituivano delle porte verso l’est e verso l’ovest, e la loro prosperità
dipendeva direttamente dalla capacità di connettersi con il Midwest agricolo
e rurale (Iowa, Kansas, Nebraska, North Dakota, South Dakota), i mercati del
Sud e quelli esteri.
Le città dell’Industrial Midwest vennero considerate per tutto il
diciannovesimo secolo come una sorta di porti culturali, i luoghi in cui
sbarcavano le culture del mondo esterno pronte a diffondersi in ogni angolo
della regione. Il pericolo dell’isolamento, che sarebbe stato favorito per
motivi geografici, venne scongiurato grazie all’economia e alla promozione
culturale.
Tra la fine del diciannovesimo secolo e l’inizio del ventesimo le città della
regione assunsero un ruolo veramente centrale nel panorama statunitense.
Ruolo centrale in termini di risorse e mercati, di industria, commercio e
consumi. Agli occhi di tutta la nazione, la regione dell’intero Midwest
divenne la regione americana per eccellenza, impregnata di tutte quelle
caratteristiche positive tipiche dell’essere americano. Veniva considerata la
valle della democrazia, un laboratorio di esperimenti progressisti, il luogo
dove il sistema democratico avrebbe raggiunto in un futuro vicino i livelli
della perfezione.
Nello stesso periodo Frank Lloyd Wright e gli altri architetti della Prairie
School creavano un nuovo stile puramente americano, aggiungendo ulteriori
motivi di orgoglio. I primi grattacieli vennero poi inventati in questi anni
proprio a Chicago, città in cui peraltro si stava contemporaneamente
sviluppando una scuola letteraria di un certo livello.
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Nonostante tutto il clamore suscitato da questo clima positivo,
continuava a persistere tra i Midwesterners un certo senso di inferiorità
culturale. Chicago, nonostante il primato economico, continuava ad essere
considerata terra di frontiera a livello culturale, una città da colonizzare
culturalmente. New York, Londra e Parigi continuavano ad essere i veri punti
di riferimento della “civiltà” occidentale.
Negli anni ’20 e ’30 del novecento i primati economici continuavano a
persistere nella regione dell’Industrial Midwest, ma cominciavano a farsi
sentire anche i primi segni di decentralizzazione della produzione.
Decentralizzazione che avrebbe poi portato il giro affaristico e le grosse
somme distanti, verso Sud, abbandonando le heartland cities.
Il sentirsi come una sorta di colonia culturale dell’est continuò a
persistere per tutta la seconda metà del ventesimo secolo, iniziando poi ad
essere accompagnata da un graduale e veloce declino economico che portò
nel giro di pochi anni le città dell’area da una posizione di supremazia ad una
situazione davvero critica.
Città come Detroit e Akron divennero verso la metà degli anni ’70 dello
scorso secolo il simbolo di un precipitoso declino economico. Tutto l’interno
della nazione entrò in questo periodo sotto un cono d’ombra, a favore delle
due aree costiere. Le città di New York e di Los Angeles erano ormai
diventate le trend setters della nazione e le continue protagoniste sui mezzi
di informazione di massa.
Anche le città della Sun Belt, localizzate lungo l’area meridionale degli
Stati Uniti da est a ovest, ottennero in questo periodo il loro posto al sole,
diventando importanti centri d’attrazione per persone, capitali ed industrie
di vario tipo, come la siderurgica e la microelettronica.
All’alba del ventunesimo secolo si può vedere come il senso di inferiorità
culturale tra gli abitanti dell’Industrial Midwest sia rimasto costante col
passare degli anni. Gli abitanti continuano a provare un certo sentimento di
esclusione, a sentirsi tagliati fuori dal mondo e dal “giro che conta”.
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Probabilmente questa sensazione ha avuto degli effetti sullo sviluppo
economico, sociale e culturale dell’area.
Durante decenni di ascese e declini, di boom e tracolli, momenti di forte
sicurezza in sé e di costanti dubbi sulle proprie capacità, le heartland cities
hanno quindi attraversato diverse sfide a tutti i livelli. Hanno condiviso molti
problemi con tante altre città di tutto il mondo industrializzato, ma hanno
anche dovuto affrontare situazioni peculiari appartenenti solo ad esse.
E’ forse negli ultimi decenni che si sono trovate di fronte alla sfida più
grossa: affrontare il mondo postindustriale e il costante declino dell’industria
secondaria a favore del terziario e del mondo dei servizi. Cosa non facile per
una regione le cui basi sono sempre state saldamente legate alle sorti
dell’industria pesante.
Lo sgretolamento causato dai fenomeni della delocalizzazione e della
deindustrializzazione hanno contribuito all’estremizzazione di quel
movimento suburbano verso l’esterno che aveva già preso piede all’inizio del
novecento e che conobbe sempre più impulsi a partire dal secondo
dopoguerra.
Il fenomeno dei suburbs ha poi portato con sé ulteriori problemi relativi
all’integrazione razziale, uno dei grandi problemi di tutto il Midwest, famoso
appunto per gli altissimi livelli di segregazione residenziale.
Il centro cittadino si svuota e viene lasciato in balia della distruzione e
delle classi sociali più basse, composte quasi completamente da gente di
colore, mentre i cittadini benestanti si spostano nella cintura suburbana,
diventata ormai il vero centro della vita sociale ed economica.
Lo studioso Pietro Valle ha poi creato un’originale parallelo tra
l’evoluzione di queste città e il concetto di entropia2. Quest’ultimo indica che
la quantità di energia perduta durante i processi di trasformazione è
maggiore di quella guadagnata, portando così ad un progressivo
autoconsumo. E il paragone calza a pennello se si pensa a quanto viene
distrutto nelle città dell’Industrial Midwest senza che venga ricostruito o, se
2
Pietro Valle, Industria e città nel Midwest: il lungo addio, Ácoma 14, 1998.
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viene ricostruito, comunque in minima parte e senza un reale collegamento
con quello che c’è intorno, creando così diverse enclave con intorno il nulla.
Per citare l’autore “l’inserimento di nuove parti di città, l’indifferenza alla
localizzazione e la risultante distruzione creano quartieri che fluttuano senza
dimora”.
La modernizzazione ha quindi portato in diversi casi all’eliminazione della
città così come la conosciamo tradizionalmente e ad una struttura
frammentata di suburbs con livelli non eccelsi di interazione.
Il presente lavoro si presenta strutturato su quattro capitoli.
Il primo capitolo offre una panoramica storica sull’Industrial Midwest,
partendo dalle due guerre mondiali e puntando l’accento soprattutto sulle
tematiche relative ai movimenti migratori e al fenomeno dei suburbs.
I successivi tre capitoli affrontano le vicissitudini di tre città dell’Industrial
Midwest: le famose metropoli di Detroit (Michigan) e Chicago (Illinois) e la
piccola cittadina di East St. Louis (Illinois), nata addirittura come industrial
suburb della più famosa e contigua St. Louis (Missouri).
Oltre a considerazioni storiche, sociali, economiche ed urbanistiche, i tre
capitoli vanno ad indagare la situazione attuale delle tre città, con in aggiunta
alcune deviazioni relative alla vita stessa della città in senso più ampio.
Relativamente a Detroit si è deciso di affrontare l’attuale declino
cittadino tramite un’analisi della pellicola 8 Mile di Curtis Hanson (2002),
mentre per Chicago è sembrato interessante ed attuale narrare dei primi
anni in città del neo presidente Barack Obama, presente a metà degli anni
’80 come coordinatore di comunità.
Nella parte relativa a East St. Louis si è invece scelto di trattare le
vicissitudini legate alla costruzione dell’Eads Bridge, il primo ponte
ferroviario sul Mississippi che determinò grandi cambiamenti nella geografia
economica dell’intera nazione.
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Fig. 01 Gli stati dell’Industrial Midwest
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CAPITOLO I
LA CADUTA DELL’INDUSTRIAL MIDWEST
1.1 VERSO IL DECLINO
All’appuntamento con il ventesimo secolo le città del Midwest si
presentavano nel pieno della loro maturità. Agli occhi del resto della nazione
costituivano l’esempio da seguire: rappresentavano il luogo di nascita
dell’industria automobilistica americana, della rivoluzione a due ruote e del
conseguente benessere economico, la culla di numerose riforme politiche
volte a creare una vera “democrazia urbana”, la madrepatria di diversi
movimenti culturali davvero americani e davvero indipendenti dalle influenze
europee e della costa atlantica.
I primi segni di crisi iniziarono a farsi sentire negli anni ’20, con la prima
depressione nel biennio ’20-’21 e soprattutto con la grande crisi nazionale
9
del 1929. Importante fu anche il contemporaneo ruolo emergente e la nuova
concorrenza delle città della Sun Belt (Miami, Los Angeles, Houston e San
Diego), volte a diventare nel giro di poco tempo le vere protagoniste del
novecento americano.
L’economia del Midwest risentì enormemente della grande depressione. I
motivi furono molteplici, spesso interconnessi tra loro. I principali furono la
scarsa diversificazione produttiva, che rendeva l’economia molto instabile, la
nuova dimensione globale delle reti commerciali e la competizione straniera,
soprattutto giapponese. Fondamentale nel passaggio verso il declino fu
anche la delocalizzazione della produzione, avente lo scopo di abbassare i
costi e indebolire le associazioni delle classi operaie, ormai ben organizzate a
livello sindacale nelle heartland cities.
Dagli anni ’30 diverse città del Midwest iniziavano poi a perdere
popolazione per la prima volta nella loro storia, soprattutto per le difficoltà di
tipo economico sopra elencate ma in parte anche per il fallimento, da parte
delle città stesse, nel riuscire ad annettere nuovi territori periferici alla cinta
urbana.
Le aree metropolitane del Midwest cominciavano quindi a retrocedere
lentamente nelle classifiche relative alla popolazione, mentre le città del sud
e dell’ovest iniziavano il loro cammino verso il periodo d’oro. E furono
proprio queste ultime a diventare, per i Midwesterners, i nuovi soggetti delle
loro ansie. Inizialmente considerate aree povere e primitive, sud e ovest
divennero per essi il nuovo punto di riferimento, il nuovo modello da
(in)seguire affannosamente, in sostituzione dell’Europa e dell’area americana
orientale, che avevano dominato per tutto il diciannovesimo secolo.
Nonostante questo quadro poco promettente, la supremazia nel mercato
automobilistico continuava ad essere appannaggio del Midwest per tutti gli
anni ’30 e ’40, con un forte traino per tutte le altre industrie dell’area, legate
alle fortune dei produttori di auto. Diverse città come Akron, Cleveland,
Dayton, Indianapolis e Milwaukee rimasero sotto la sfera di influenza di
10
Detroit, la città capitale della produzione di automobili, come produttrici di
accessori e materiali per auto.
Questa supremazia iniziava però a basarsi su numeri sempre più piccoli:
ad esempio, nel marzo 1920 l’industria automobilistica produsse il record di
220.000 auto; ma già nel gennaio 1921 la produzione era scesa a sole 20.000
unità. Nello stesso periodo Henry Ford mise in atto i primi licenziamenti,
lasciando a casa 60.000 dipendenti, mentre la Dodge, altro grande
produttore di auto, operava ormai solamente due giorni a settimana3. A
causa dell’effetto catena, anche le altre industrie dell’area legate all’auto (tra
cui la famosa Goodyear, produttrice di coperture con base ad Akron)
cominciarono a calare la produzione.
Le conseguenze furono ovviamente tragiche, con numerose
manifestazioni da parte dei lavoratori contro la perdita di lavoro. La
situazione si sarebbe poi prolungata per diversi anni, anni in cui il settore
automobilistico conobbe enormi fluttuazioni, che portavano i lavoratori ad
assunzioni e licenziamenti fulminei anche nel giro di pochi mesi.
A peggiorare ulteriormente la situazione ci fu il fatto che il declino
economico del Midwest ebbe effetti più prolungati rispetto alla nazione nel
suo complesso. Ciò non solo grazie alle elevate fluttuazioni e agli enormi cali
di vendite nel settore, ma anche per le forti lotte tra i sindacati, che
cercavano di riorganizzare le grandi industrie tutelando i lavoratori, e i grandi
proprietari. Negli anni ’30 il Midwest era quindi diventato la patria del
“grande lavoro”, ottenendo una non invidiabile fama per le diffuse violenze
tra sindacati e proprietari.
Eccezioni furono invece rappresentate da Chicago e Saint Louis, mai
entrate pienamente nel giro di produzione del settore automobilistico.
Chicago continuava ad essere la principale fornitrice di carne del paese, ma la
sua sopravvivenza era anche favorita da una produzione molto più
diversificata rispetto alle altre città, con produzioni molto differenti tra loro
come l’acciaio, i mobili e la gomma da masticare. Saint Louis, famosa per la
3
Edward D. Kennedy, The Automobile Industry, New York, Reynal and Hitchcock, 1941, pp.
115-37.
11
produzione di scarpe tanto da venire chiamata Shoe City, godeva anch’essa di
un grado elevato di diversificazione che la tenne lontana dagli alti e bassi del
mercato dei motori. Grazie a questa situazione, entrambe le città godettero
di una stabilità maggiore rispetto alle altre.
A dare un po’ di sollievo all’intera area fu la Seconda Guerra Mondiale,
che portò nuova prosperità a tutto il Midwest, facendo momentaneamente
dimenticare la crisi. Diverse città, tra cui Indianapolis e Cleveland, divennero
famose per la produzione di aeroplani e dei corrispettivi motori, ma a
beneficiarne enormemente fu soprattutto Detroit. Durante gli anni bellici
sorpassò tutte le altre metropoli americane, con enormi aumenti nel numero
delle assunzioni. Detroit tornò quindi a diventare quella ormai lontana
boomtown che era stata nel secolo precedente, una sovraffollata e
instancabile città lavoratrice.
Ma la crisi era solo rimandata: l’enorme forza dei sindacati, insieme alla
situazione fluttuante del mercato automobilistico e ai salari elevati,
rendevano le città del Midwest economicamente vulnerabili.
Ad accompagnare questa irreversibile crisi economica, destinata ad
aumentare sempre più con il passare del tempo, ci furono anche diverse crisi
politiche a livello di amministrazione locale. Tra i due secoli le città del
Midwest erano state all’avanguardia nel settore delle riforme. Un generale
ottimismo era molto diffuso e permetteva la creazione di maggiore fiducia
nella regole della “cosa pubblica”. L’intento principale era quello di creare
delle metropoli modello che avrebbero indicato la strada da percorrere a
tutti gli altri centri urbani della nazione.
Ma a partire dagli anni ’20 le cose iniziarono a cambiare anche in questo
settore. La fama delle città del Midwest si stava sgretolando e trasformando
in qualcosa di negativo grazie al fiorire di storie di corruzione e di influenze
dei gangster sulla vita politica. Città come Cleveland, Toledo, Detroit e
Chicago si trasformarono quindi in modelli negativi, esempi da non seguire, la
cui fama divenne ampia grazie soprattutto alla stampa nazionale.
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Molto rappresentativo di questa epoca di sgretolamento morale della
politica dell’area del Midwest è William Hale Thompson, conosciuto come
“Big Bill”. Thompson fu sindaco di Chicago per diversi anni, dal 1915 al 1923 e
dal 1927 al 1931, e durante i suoi mandati conobbe molte critiche per la sua
gestione spregiudicata del potere e per le sue connivenze col mondo
malavitoso.
Costretto a lasciare la poltrona di sindaco nel 1923 a causa di diversi
scandali creati dai suoi più stretti collaboratori riguardanti il sistema
scolastico pubblico, Thompson si ripresentò alle elezioni quattro anni dopo
vincendo grazie anche al malcontento creato dal suo predecessore, il
democratico Dever, colpevole di aver rinforzato la legge nazionale in materia
di divieto di produzione e vendita di alcolici. Significativo per la vittoria fu
anche il sostegno economico da parte delle principali gang della città, che
donarono a “Big Bill” una cifra stimata tra i 100.000 e i 250.000 dollari4.
Secondo obiettivo della campagna di Thompson, dopo aver ridotto il
proibizionismo di Dever in materia di alcolici, fu quello di eliminare da
Chicago le influenze britanniche, soprattutto tramite la revisione dei libri
scolastici al momento in uso, colpevoli secondo il sindaco e i suoi sostenitori
di fornire una versione pro-britannica della Rivoluzione Americana.
Nel fare questo Thompson raggiunse livelli assurdi di patriottismo e
pateticità, lanciando spregiudicati attacchi all’allora re della Gran Bretagna,
Giorgio V, e creando lo slogan “America First!”. La tattica funzionò e i
cittadini di Chicago accolsero con entusiasmo il messaggio di Big Bill.
Fu proprio durante l’ultimo mandato di “Big Bill” che Chicago acquisì la
non invidiabile reputazione di capitale dei gangster, una capitale che aveva
voltato le spalle alle riforme e alla moralità, la città di Al Capone, personaggio
simbolo della figura del gangster.
Ovviamente anche le altre città non erano da meno. Detroit, Akron,
Cleveland e Dayton seguirono tutte la stessa strada, segnata da un perverso
intreccio tra politica, interessi personali e mondo della malavita.
4
Lloyd Wendt e Herman Kogan, Big Bill of Chicago, Indianapolis, Bobbs-Merrill Company,
1953, pp. 250, 268.
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Inefficiente fu anche il tentativo di adottare lo schema di governo creato
da John Patterson, basato sulla gestione cittadina da parte di city managers.
Il piano aveva lo scopo di raggiungere l’efficienza preservando la democrazia.
Ovviamente molti vedevano la creazione di un manager municipale non
eletto pubblicamente come un pericolo, come una violazione antiamericana
dei principi di democrazia, e trovavano impossibile ottenere dei
miglioramenti nell’amministrazione municipale tramite questa strada. Anche
a causa di queste diffidenze, lo schema di Patterson venne applicato con
poca convinzione e i suoi risultati non furono granché.
Ci fu però una città del Midwest in cui la fiamma idealistica della
municipalità riuscì a sopravvivere. Cincinnati adottò lo schema manageriale
di Patterson nel 1924 e i governi locali lavorarono per tutto il decennio
successivo con un entusiasmo che ricordava i bei tempi ormai finiti.
L’istituzione di liste indipendenti per il consiglio cittadino permise di evitare
l’ingerenza delle gang malavitose.
Ma Cincinnati era un’eccezione, non la regola. Purtroppo l’era visionaria
della fiducia nel proprio governo cittadino era ormai finita da tempo,
l’entusiasmo di un tempo era invecchiato, le passioni politiche si erano
affievolite, insieme alla militanza politica per la causa della riforma, lasciando
spazio a scetticismo e cinismo.
1.2 LA POPOLAZIONE E I SUOI MOVIMENTI
I cambiamenti a cavallo tra le due guerre interessarono non solo la vita
economica ma anche la popolazione dell’area del Midwest. Ai tradizionali
gruppi etnici, il cui flusso migratorio dall’Europa si era ormai esaurito
(tedeschi, cechi, polacchi) succedettero altri gruppi di persone, già nati su
suolo americano ma provenienti dagli stati del sud. Furono proprio
quest’ultimi i veri protagonisti dell’industria del Midwest in questo periodo.
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Rilevante fu il declino dell’influenza tedesca, da sempre molto importante
in quest’area. Con la dichiarazione di guerra alla Germania da parte degli
Stati Uniti nel 1917 dichiararsi in qualsiasi modo legati al mondo teutonico
divenne problematico. Di conseguenza si ebbero numerosissimi casi di
anglicizzazione di nomi e di istituzioni. Ancora più dannoso per la
sopravvivenza culturale del mondo germanico su suolo americano fu lo
spietato attacco alla lingua tedesca, il cui insegnamento venne cancellato
dalle scuole e sostituito con l’insegnamento del francese e dello spagnolo.
La grande novità di questi anni fu costituita soprattutto dall’arrivo di
migliaia di neri e bianchi dagli stati del sud, stati decisamente poveri e in
grado di offrire ben poche prospettive ai suoi abitanti. Cosa che invece erano
in grado di fare le numerose fabbriche del Midwest, continuamente in cerca
di manodopera.
L’aumento del numero di neri provenienti dal sud fu evidente soprattutto
nelle città affacciate sui Grandi Laghi, principalmente Detroit e Cleveland. La
gran parte di essi proveniva da stati centrali del sud quali Mississippi,
Alabama e Tennessee.
Per i neri non era però la possibilità di trovare un lavoro la cosa più
importante una volta arrivati sul suolo del nord. Ai loro occhi appariva come
cosa più rilevante la nuova sensazione di libertà che aleggiava negli stati del
nord, mai provata prima d’ora nel sud ancora cupamente segregato. La
grande novità era potersi sedere accanto ad un bianco su un autobus
pubblico o poter esercitare il diritto di voto.
Nel mondo del lavoro divenne invece evidente il processo di sostituzione
tra gruppi di immigrati: i neri del sud sostituirono i cechi e i polacchi nei lavori
industriali più umili e vennero relegati dai lavoratori bianchi a lavori pratici e
poco impegnativi dal punto di vista cerebrale.
L’arrivo dei neri fu purtroppo accompagnato da una certa resistenza da
parte dei Midwesterners più ostili e gli scontri razziali divennero una triste
abitudine nelle città. Durante la Seconda Guerra Mondiale la popolazione
nera a Detroit passò da 170.552 a 259.490 unità nel periodo ’40-’44, con un