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nel tempo la mia personalità, determinando i miei comportamenti sociali fino al punto di
condizionare negativamente la mia vita di uomo.
Sono nato in Sicilia, una terra bellissima, ma in un ambiente che conserva difficoltà ancora
drammaticamente attuali e vi ho vissuto fino all'età di dieci anni. Purtroppo, a causa della
separazione dei miei genitori, fui costretto ad emigrare con mia madre e i miei due fratelli
in Liguria, per poi essere rinchiuso in collegio, dove mi sono sempre mancati la famiglia,
gli affetti, l'amore, un punto cui aggrapparmi per sfogare le mie angosce e la mia tristezza
di adolescente, abbandonato a se stesso. In seguito, già quindicenne, trovai lavoro a La
Spezia, il lavoro mi piaceva e mi dedicavo totalmente a svolgerlo in maniera assidua e
seria per aiutare mia madre ed i miei fratelli, dato che non mi sfuggivano le gravi difficoltà
finanziarie in cui si dibatteva la mia famiglia: non avevamo una casa comoda dove abitare,
il lavoro scarseggiava, trovavo grande difficoltà a inserirmi in una regione diversa da
quella di provenienza. Il tutto risultò molto difficile, così intrapresi la strada di violare la
legge commettendo dei furtarelli per procurarmi dei denari, vedendo il facile guadagno, la
considerai la via migliore per poter aiutare la mia famiglia; commisi in seguito reati un po'
più gravi, finendo in carcere con una pesante condanna, così ho trascorso anni molto
drammatici.
Passato del tempo, tornai libero, ma purtroppo la situazione familiare era ancora più
drammatica e complicata, in quanto era come se avessi perso anche mia madre, dato che si
era risposata con un uomo molto violento e dedito all'alcol, ma lei non voleva lasciarlo ed
io non accettavo nella maniera più assoluta quella situazione, così andai via da casa.
A 25 anni incontrai la compagna della mia vita e formai una famiglia tutta mia, da questa
decisione nacquero due bambini, e fin quando non sono stato separato da loro ho sempre
cercato di dar l'affetto e l’amore che io non ho mai avuto. Non mi presento davanti a voi ad
affermare che io sia stato un santo, perché purtroppo ho continuato a stare ai margini della
legge. Per questo mio modo di vivere, frequentando pregiudicati e specialmente l'ambiente
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del gioco d'azzardo, dove trovavo sostegno finanziario, ora mi trovo imputato di numerosi
e gravi reati.
Il giorno 21 ottobre del 1991 vengo arrestato per una impressionante lista di reati e tradotto
nel carcere di Pisa. All’’ufficio matricola la solita prassi: sono Carmelo Musumeci, nato il
27/7/55 ad Aci Sant’Antonio, Catania… impronte, foto, perquisizione corporea e subito
dopo vengo messo in isolamento giudiziario.
In cella pensai: dove sono e dove vado, c’è un'altra volta la sofferenza. Qualcosa nel
profondo del mio animo mi suggeriva che non sarei tornato tanto presto a casa. Chiusi gli
occhi come per costringermi ad accettare l'amara realtà di trovarmi di nuovo in prigione.
Eppure si nascondeva nella mia mente confusa la speranza che forse tutto non era perduto,
che potevo superare anche questo nuovo ostacolo. Anche di fronte alla certezza di non
avere alcuna possibilità di successo avrei comunque tentato di non arrendermi, questo
pensai, indurito da una determinazione interiore che avrebbe sostenuto la mia anima
quando il cuore e la ragione avessero ceduto.
Il 21 luglio del 1992, dopo i gravi fatti delittuosi accaduti nel paese, vengo sottoposto allo
stato di tortura dell’ ormai noto articolo 41 bis, ideato dal ministro della giustizia Martelli
e vengo trasferito nel carcere speciale di Cuneo. Dopo, circa un mese sono tradotto nella
famigerata sezione Fornelli del carcere dell'Asinara in Sardegna.
Intanto spuntavano i primi cosiddetti “collaboratori della giustizia”. Sull'attendibilità dei
pentiti bisognerebbe anzitutto capire se volevano e vogliono aiutare la giustizia oppure
servirsene…, normalmente questi collaboratori accusano e usano la giustizia per poter
uscire dal carcere. Il pentimento dovrebbe essere solo quello cristiano di accusarsi e
ammettere gli errori del passato, ma a me si voleva persino rimproverare di non
manifestare volontà di collaborare con la giustizia. Insistevo a sottolineare che il mio
comportamento non doveva essere inteso come un segnale negativo in assoluto, bensì
come una scelta personale di mantenere un minimo di dignità, mentalità che esiste anche
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fra persone normali, per esempio in collegio le suore mi dicevano: “chi fa la spia non è
figlio di Maria”. Infatti il pentimento non esiste se non come percorso profondo e interiore.
Io mi sono sempre rifiutato di scaricare le responsabilità su altri e non per omertà, ma per
dignità.
Inizio della fine
È inutile commentare quando si parla di differenza tra verità “ vera” e verità “processuale”.
Venivo condannato a vita. Dov’erano nel mio caso i garantisti o i paladini dei diritti civili?
Forse il garantismo scatta solo quando ci sono dentro i detenuti eccellenti. Le battaglie in
difesa dei diritti e delle prerogative dell’imputato scattano solo nei casi in cui hanno uno
spessore politico e giornalistico. Invece niente quando il garantismo deve misurarsi con
delitti comuni. Vengono difesi, insomma, solo gli imputati eccellenti o ex eccellenti.
Comunque, quelli noti. Nei processi per delitti comuni viene a mancare una vigilanza
collettiva (spesso si consumano ingiustizie ancora maggiori di quelle cui assistevamo nei
processi a sfondo politico) abbandonando a se stessi tutti coloro che non hanno nome (o lo
hanno solo in negativo) e che sono dentro per reati di mafia. Invece la tutela delle garanzie
dovrebbe valere sempre e comunque, a prescindere dalla figura dell'imputato, dai suoi
precedenti, dalla sua personalità.
Venivo condannato all'ergastolo. Non mi si è voluto punire, ma distruggere: l'ergastolo va
contro la natura. La violazione dell'ordine sociale stabilito delle leggi dovrebbe essere
punita con la privazione della libertà proporzionata al delitto commesso e non illimitata
come l'ergastolo che per sempre toglie la libertà della vita, mentre nessuno può disporre
perpetuamente della vita di un suo simile. La pena dell’ergastolo non è un deterrente, non
migliora l'uomo, non ha niente di ragionevole e istituzionalizza la vendetta attraverso la
sofferenza, rispondendo alla violenza criminale con la violenza legale.
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Ricevetti il telegramma: “Amore, fatti coraggio; non c'è stato niente da fare, la Cassazione
ha confermato tutto, ti sono vicino con tutto il mio amore”. In quel momento di amara
sconfitta il futuro mi apparve privo di ogni speranza e salvezza, la vita ormai mi aveva
sconfitto per sempre, era sfuggita al mio controllo, addirittura alla mia comprensione. Ora
era troppo tardi. troppo scarsa era la possibilità di influire sul mio futuro. Sentii uno
spasimo acuto di dolore al pensiero di quanto fosse stato brutto per la mia compagna fare
quel telex. Nella silenziosa e tenebrosa cella dell'inferno dove mi trovavo mi rimaneva solo
una quieta rabbia e tanto, tanto amore per la mia famiglia.
Il cuore mi scoppiava e mi faceva male dal troppo amore e dalla disperazione. Tutto
sembrava perso dentro di me, consapevole che mio futuro sarebbe sempre stato legato al
mio passato. Mi sentivo un'altra persona, con l'aggiunta di una nuova dimensione che mi
era difficile definire, forse perché non sarei mai più tornato quello di un tempo. Avevo
perso tutto, o quasi. Le lacrime mi salivano agli occhi senza accorgermi, consapevole di
essermi perso senza speranza, nulla giustificava una simile fine. Nulla! Nonostante i miei
valori, opposti al resto della gente, non meritavo una tal fine, oltretutto non mi identificavo
più con quasi tutti gli antichi valori. Con la mia nuova mentalità ed il mio modo di vedere
le cose mi sentivo estraneo al carcere, mi sentivo solo in un mondo di persone che non
erano in grado di vedere e di capire al di là del proprio orizzonte. Superato lo stato di paura
di una resa volontaria, mi avvicinai all'idea che non sarei più uscito, mi pareva
insormontabile quella scritta: fine pena mai.
Pensavo che avrei dovuto solo sognare a occhi aperti: ore, giorni, mesi sempre uguali, in
bianco e nero, in nero e in bianco, il tempo non avrebbe avuto significato e il domani
sarebbe stato identico all'oggi. Nell'oscurità silenziosa delle mie notti mi sentivo solo con
la mia paura e lottavo prima di addormentarmi contro la morsa del dolore di non uscire mai
più.
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Pioveva sul bagnato: pensavo di aver raggiunto il fondo, ma mi sbagliavo dopo pochi
giorni mi comunicarono l'inizio dell'isolamento diurno per 18 mesi. Un'altra via crucis. Mi
sembrava assurdo, illegittimo che nello stesso periodo venissi sottoposto a due misure di
rigore, sia l'isolamento che il 41 bis , delle due una. Con questa nuova punizione nella
punizione mi veniva inflitta la distruzione totale dell'identità di uomo e persona, la mia
esistenza diventava una non vita. Non riuscivo a scacciare la sensazione di tristezza e
rabbia, non mi avevano dato neppure il tempo di riprendermi dal brutto colpo
dell'ergastolo. Non riuscivo a rendermi conto che era andata così, per quanto assurdo,
pensavo che ci fosse ancora qualche possibilità. Non era facile, ma cercavo di non perdere
la speranza, però la paura e il presente mi convincevano a non guardare con ottimismo il
futuro, pensavo sempre alla mia famiglia, ai miei figli; non sarebbe stato facile rispondere
alle loro domande. Certo ho usato tutti mezzi, anche i più disperati, per renderli infelici e la
scusante che li ho sempre amati mi appariva troppo debole, bastava che li avessi amati di
meno ma con più saggezza... non riuscivo a calcolare le disgrazie senza considerare le cose
positive che avevo: la mia famiglia che mi amava...
Nell'animo umano si può trovare di tutto, se si cerca abbastanza a lungo e abbastanza in
profondità; questa è la prima cosa che un uomo deve fare quando tocca il fondo: mi misi a
studiare.
Ho ripreso gli studi nel 1996/97 all’Asinara mentre ero sottoposto allo stato di tortura del
41 bis. Il primo anno di studio è stato particolarmente duro per l’ambiente in cui vivevo
nell’ “isola del diavolo”, come la chiamavamo noi detenuti. Le giornate passavano vuote,
affannose, tutte uguali, lasciandomi il senso della nullità. L’amico Giuliano, insegnante in
pensione, mi propone di studiare; dopo qualche mia esitazione, per vari motivi pratici e di
restrizioni regolamentari interne (non potevo ricevere libri), accetto. Giuliano con molta
pazienza, scavalcando il mio divieto di ricevere libri, mi invia poco alla volta pagine di
libri dentro le buste della nostra corrispondenza personale. Dandomi e correggendomi i
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compiti mi prepara a sostenere l’esame di ammissione al secondo anno del liceo
scientifico; la terza media l’avevo presa in una precedente carcerazione.
All’inizio scelgo il liceo scientifico per essere al passo con mia figlia che frequentava lo
stesso liceo e per avere qualcosa in comune con lei, nonostante le mura di un carcere.
All’Asinara per ovvi motivi di distanza e finanziari non facevo colloqui anche perché con
il 41 bis i colloqui si attuano con la separazione dei vetri ed in particolar modo mia figlia
piangeva che non poteva abbracciarmi. Le difficoltà didattiche sono state molte, mi
mancava una seria base scolastica e studiare da solo, a parte l’aiuto per corrispondenza di
Giuliano, era molto difficile, alla fine, nonostante il regime particolare del 41 bis, il
Ministero mi concede di fare l’esame. Nel frattempo mi levano, dopo 5 anni, il 41 bis,
vengo trasferito a Nuoro nel super carcere di Badu e Carros, affronto e passo l’esame. Nel
mese di dicembre del 1997 vengo trasferito nel carcere di Parma, sempre da solo, senza
l’aiuto interno di nessuno, ma solo con il prezioso aiuto esterno di Giuliano continuo a
studiare. Notti in bianco, tra litri di caffè ed una sigaretta dopo l’altra, rinunciando alla
televisione, alle ore di passeggio, a parte qualche partita a scacchi con un anziano
palestinese, continuo a studiare e a navigare tra onde tempestose d’algebra, italiano e
filosofia. Studiavo molto perché stimolato da una gara intrapresa con i miei figli per chi
all’esame avrebbe preso voti migliori. Con mia figlia l’impresa mi pareva ardua ma con
mio figlio mi sentivo la vittoria già in tasca. Giuliano, per motivi più pratici, mi iscrive
all’Istituto Magistrale considerando questa maturità più facile, ma anche più utile per
capire i miei figli che stavano crescendo. Per motivi burocratici il ministero di Giustizia
non mi autorizza a svolgere gli esami, rimango molto deluso perché per me e come se fossi
stato bocciato prima degli esami. Nel frattempo vengo trasferito nel carcere di Novara
dove trovo i prigionieri politici della lotta armata; per me è una fortuna perché loro sono
più istruiti dei detenuti comuni e così mi danno qualche lezione di matematica e attingo da
loro anche qualche nozione di politica. Per recuperare l’anno perso, perché non mi hanno
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fatto fare l’esame nel carcere di Parma, affronto gli esami di due anni in uno; vengo
promosso. Di nuovo un altro trasferimento nel carcere di Voghera dove sostengo l’esame
di maturità e subito dopo un altro trasferimento nel carcere di Sulmona dove faccio
l’esame integrativo per l’accesso all’iscrizione all’università. In quei cinque anni di studio
ho avuto molte difficoltà: carceri dove in cella non si potevano avere più di quattro libri o
dove non ero solo in cella e con il mio compagno che voleva la televisione spesso accesa,
io non riuscivo a studiare ecc. ecc. Poi quando venivo trasferito da un carcere all’altro
potevo portare con me solo una piccola quantità di bagaglio e quindi i libri mi venivano
spediti con mesi di ritardo ed ero costretto ad interrompere per forza i programmi didattici.
Ma non mi sono mai arreso e sono sempre andato avanti diritto per la mia strada,
consapevole che come diceva don Lorenzo Milani: “Siete proprio come vi vogliono i
padroni, servi, chiusi e sottomessi. Se il padrone conosce 1000 parole e tu ne conosci solo
100 sei destinato ad essere sempre servo”.
Infatti, in carcere uno dei problemi più evidenti è la mancanza di cultura. Per migliorare il
carcere ci vuole lavoro e cultura ed invece non c’è nulla di tutto questo ed il detenuto esce
più prigioniero di quando vi è entrato. A mio parere credo che l’istituzione penitenziaria
abbia interesse a tenere il detenuto ignorante per sottometterlo e “prigionizzarlo” con più
facilità.
Finalmente il mio sogno si realizza e viene il momento d’iscrivermi all’università. Quale
facoltà scegliere? Rifletto: sono ergastolano, probabilmente ormai la mia vita da uomo
libero è finita, a cosa mi servirebbe una eventuale laurea in architettura, ingegneria ecc.,
non è che potrei mai costruire un palazzo o una casa in carcere. A che mi servirebbe una
laurea simile? Devo scegliere una facoltà che può essere utile a me ed ai miei compagni,
applicare quello che studio nell’ambiente in cui vivo ecc. Di che cosa si ha più bisogno in
carcere? Di avvocati che non siano venali, di persone che lottino e difendano i diritti degli
altri. Non sono più i tempi delle rivolte, di quando si andava sui tetti delle carceri per farsi
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sentire. Ormai l’ambiente è cambiato e nei nuovi detenuti è difficile trovare qualche
barlume di coscienza carceraria. La legge Gozzini, la liberazione anticipata, gli eventuali
benefici, hanno accelerato il ritmo della “prigionizzazione”. Ora, insomma, bisogna lottare
con la carta, la penna ed il codice accanto. Scelgo la facoltà di giurisprudenza, per
l’esattezza, con la nuova riforma tre più due: Scienze giuridiche. Sotto un certo aspetto con
lo studio trovo la forza e le idee per combattere il mio destino. Questa scelta di studiare i
diritti qui in carcere dove non ci sono diritti, oltre ad una crescita interiore mi ha portato
tanti guai; è vero che nel mondo libero un individuo consapevole del proprio ruolo è
sicuramente un cittadino migliore ed un uomo più libero, ma in carcere conoscere i propri
diritti, pretenderli e lottare per averli porta a scontrasi con il lato oscuro delle istituzioni. A
tutti gli effetti, solo perché proponi reclami e vuoi un carcere trasparente al fine di
migliorare vivibilità e legalità diventi un detenuto scomodo, vieni additato, emarginato,
punito e sottoposto a regimi più duri. La verità è che se in carcere vuoi tentare di stare bene
non devi pensare, devi stare zitto e devoto, non devi mai esprimere una parola di dissenso,
un cenno di distinguo, un batter di ciglia di disapprovazione… Nel carcere di Sulmona
sono stato sottoposto otto mesi alla sorveglianza particolare del 14 bis in sostanziale
isolamento perché: ”Musumeci Carmelo conferma l’atteggiamento di opposizione
all’istituzione penitenziaria, costantemente individuata dal detenuto quale violatrice di
asseriti diritti”.
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Una volta sono stato persino punito per avere fatto un calendario satirico su Berlusconi e
scritto lettere ai giornali; la prigione è un mondo ignoto per tutti coloro che sono liberi
quindi, nel mio piccolo, ho sempre tentato di far conoscere l’inferno che gli uomini hanno
creato e che mal governano. Eppure penso di scrivere cose meno pericolose di Oriana
Fallaci… A mio parere non c’è nulla di negativo a criticare il carcere e le sue non leggi con
la libertà di parola e di stampa. Ho il diritto ed il dovere di dire le cose che altri non
dicono, questa è l’unica libertà che mi è rimasta e che non vorrei mai perdere. Rinunciare
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al diritto e all’obbligo di reclamare significa rinunciare al diritto di essere uomo con i
propri doveri. Non c’è nessun compenso possibile per chi rinuncia a questo, la pena non
deve essere niente di più della privazione della libertà. L’istituzione carceraria non vuole
capire che il detenuto ha una coscienza e all’occorrenza deve saperla usare. Spesso io, che
ho infranto tutte le leggi e sono stato duramente punito per questo, vengo ugualmente
punito perché lotto per il rispetto delle leggi e per rendere il carcere migliore. Non ho mai
potuto beneficiare di essere assegnato ad un luogo di detenzione nella regione di residenza
della mia famiglia e ciò non avvenne neppure quando a Sulmona mi sono iscritto
all’università di Firenze. Ogni volta che dovevo sostenere un esame venivo svegliato alle
quattro del mattino, ammanettato e caricato in un furgone blindato, percorrevo oltre 450
chilometri per raggiungere Firenze, sostenere l’esame e subito dopo venivo ricaricato sul
furgone riaffrontando altri 450 chilometri per rientrare all’istituto di provenienza. Il tutto
col timore che mi potesse scappare da pisciare senza poterla fare. Eppure esiste una
risoluzione del parlamento europeo che stabilisce che il trasporto di bovini, suini, equini,
caprini e ovini sia limitato ad 8 ore o 500 chilometri prevedendo un momento di sosta ed
abbeveraggio; ma probabilmente un animale ha più diritti ed esigenze di un detenuto. Allo
stesso calvario chilometrico, con molti chilometri in più era sottoposta la mia famiglia
quando mi veniva a trovare. In quegli interminabili viaggi oltre la paura di non saper
rispondere alle domande, ero agitato perché temevo di non sapermi esprimere in modo
corretto e tecnico, mi chiedevo che questa non era certo la forma ideale per poter affrontare
in modo costituzionalmente corretto gli esami, perché la Costituzione Italiana garantisce sì
il diritto allo studio, ma il Ministero della Giustizia me lo garantiva solo formalmente,
sballottandomi per un migliaio di chilometri in un viaggio massacrante. La verità è che il
carcere è il luogo dove più di qualsiasi altro posto non si rispetta la legge ed il sentimento
d’ingiustizia che un detenuto prova è una delle cause che possono maggiormente rendere
il suo carattere indomabile. Quando egli si vede esposto a sofferenze che la legge non ha
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ordinato e neppure previsto, entra in uno stato di collera abituale contro tutto ciò che lo
circonda, non vede che dei carnefici in tutti gli agenti dell’autorità. Sostenere le proprie
opinioni e formulare critiche è un lusso che il detenuto non si può permettere, in carcere le
argomentazione di umanità e buon senso non hanno presa per questo spesso sono stato
trasferito da un carcere all’altro. A quel tempo a Sulmona regnava la direttrice Armida
Miserere, suicidatasi in seguito in carcere con un colpo di pistola alla testa, per lei ciò che
era illegale diventava lecito. La sua parola d’ordine era “correggi con la forza perché la
punizione di pochi sia di esempio agli altri”, chi non era d’accordo con lei era severamente
punito. Questa era una delle sue famose dichiarazione: “Ebbene si sono una dura, io non
faccio il direttore del Jolly Hotel, ma dirigo un luogo di condanna per efferati delitti, non
so se mi spiego. Non venite a parlarmi di trattamenti risocializzanti perché sono boiate.
Gli unici detenuti simpatici che ho incontrato sono quelli con le palle, che hanno scelto di
fare i criminali e accettano di pagare. Sono diventata vice direttore a Parma, nel 1984, il
giorno prima sono andata lungo le mura carcerarie per marcare il mio territorio, come i
cani… Mi sento più sola oggi qui a Sulmona, in mezzo a queste montagne dove il vento
soffia sempre, l’aria è gelida e i detenuti sanno solo lamentarsi e scrivere alle procure…
Io mi identifico spesso con gli uomini; quando cammino, dicono, incuto timore, fumo
Super senza filtro, metto la mimetica militare. Ho 41 anni, sono sempre stata così, e
morirò così, e non chiamatemi direttrice che mi manda su tutte le furie, io sono il direttore
e basta”.
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Nel primo incontro scontro con la direttrice di Sulmona, Armida Miserere mi dice: “ noi
abbiamo sempre ragione e le suggeriamo d’imparare la lezione rapidamente e si ricordi
che è impossibile non essere d’accordo con noi. Qui l’unica regola che vige è quella di
sorvegliare e punire, fare soffrire più del dovuto i rifiuti della società, con qualunque
mezzo, dovete comprendere il nulla della vostra esistenza…”.
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Scrivo: “Il regime carcerario di Sulmona è separatezza, distruzione interiore, controllo,
annientamento, una punizione continua e predeterminata. Infatti, lo scopo di questo
regime non è di educare, deve solo punire, deve servire da esempio agli altri perché il
detenuto che reclama a torto o a ragione è un nemico. Il detenuto è sempre sotto pressione
in ogni istante della sua giornata. Chi non abbassa la testa, chi non accetta ricatti o
contesta politicamente o individualmente l’ordine personale della direttrice o chi vuole
scontare la sua pena in modo dignitoso, costruttivo ed in positivo viene continuamente
punito…”
La direttrice mi fa avere il regime particolare del 14 bis e mi rivolgo al Tribunale di
Sorveglianza:
“L’avere indirizzato reclami all’autorità competente indicata all’uopo dal legislatore è
stata la molla scatenante per le limitazioni imposte. Credo che nessuna legge preveda che
possa essere punita una persona che reclama in base al diritto della libertà d’espressione
e di comunicare delle idee, per dei diritti fondamentali che ritiene essere stati violati,
sarebbe assurdo prevedere, come nel caso di specie è accaduto, la punizione di una
persona che in forma civile lamenta presso la pubblica amministrazione o l’autorità
giudiziaria, la violazione di un proprio diritto. Tale punizione se prevista dal legislatore
sarebbe espressione di un organo non democratico di un paese non civile. Sono
consapevole che affrontare il carcere con dignità, con valori e senso di giustizia costa
molto caro ma io non rinuncerò mai al diritto e obbligo a reclamare perché ciò
significherebbe rinunciare alla propria qualità di uomo e ai propri doveri”.
Il tribunale di Sorveglianza dà ragione al mio reclamo:
“… le osservazioni formulate dell’amministrazione penitenziaria a sostegno della
legittimità del provvedimento impugnato dal Musumeci non sono di per sé idonee, ne
possono, pena la violazione del diritto alla difesa, integrare una motivazione del citato
provvedimento carente quanto all’individuazione precisa dell’ipotesi, tra quelle descritte
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dal menzionato art. 14 bis, che si assume ricorrere nel caso di specie; ritenuto quindi che
il reclamo avanzato dal Musumeci deve essere accolto, con conseguente disapplicazione
del decreto ministeriale impugnato”.
Ma in carcere non hai mai ragione: vengo di nuovo trasferito in Sardegna a Nuoro ai
confini del mondo e scrivo: “Una volta i francesi deportavano i prigionieri nel Nuovo
Continente, gli inglesi in Australia e probabilmente i futuri prigionieri li deporteranno
sulla luna ma intanto i prigionieri italiani li deportano in Sardegna e quelli sardi in
continente. Tutto questo contro la logica, la ragione, il buon senso, l'umanità, la legge
italiana e le convenzioni europee. Ed anche contro gli interessi del medesimo Ministero di
Giustizia perché è più facile che un detenuto sardo faccia il "bravo" nella propria terra
piuttosto che un detenuto continentale che vuole andare via per tentare di avvicinarsi alla
propria famiglia. Il sottoscritto da ben 11 anni aspira a scontare la pena nell'istituto che
meglio si presta, per posizione geografica, a garantirgli contatti familiari ed agevolazioni
negli studi. Il sottoscritto in 11 anni non è mai stato trasferito vicino alla propria casa,
nonostante che l'avvicinamento al luogo dove risiede la famiglia rappresenti l'aspirazione
maggiore, tanto che diventa poco efficace il trattamento che qualsiasi altro carcere gli
riserva. Qui in Sardegna, per ovvie ragioni di distanza, non potrò mai fare un colloquio
senza contare che ogni mese e mezzo devo fare avanti ed indietro per Firenze, per poter
sostenere gli esami universitari, con spreco di uomini, mezzi e risorse da parte del
Ministero di Giustizia ... Ma pur di farci star male non badano a spese! Perché gli uomini
in nero del Ministero di Giustizia separano i prigionieri dalle loro famiglie, dalla loro
terra, dai loro cibi locali, dai loro affetti e dalla loro cultura?
Per favore, qualcuno mi risponda.”
Qualcuno mi risponde:
Atti Parlamentari - 4971 Camera dei Deputati
XIV LEGISLATURA — ALLEGATO B Al RESOCONTI SEDUTA DEL 18 LUGLIO
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RUSSO SPENA. - Al Ministro della giustizia.
— Per sapere — premesso che:
il detenuto Carmelo Musumeci fino a pochi giorni fa era detenuto nel carcere di
Sulmona, da qualche giorno è stato trasferito in Sardegna nel carcere di Badu e
Carros (Nuoro); da tempo il Musumeci chiedeva di essere trasferito vicino alla propria
famiglia e alla sede universitaria di Firenze, dove è iscritto al primo anno di
giurisprudenza, visto che in undici anni di detenzione non è mai stato trasferito vicino casa,
e che, inoltre, ogni mese e mezzo deve recarsi a Firenze per gli esami universitari, con un
costo enorme per l'amministrazione carceraria; già quattro anni fa era stato detenuto in
Sardegna, dove, per ovvie ragioni di lontananza, non aveva mai potuto usufruire di
colloqui con i propri familiari quali siano i motivi del trasferimento in Sardegna del
Musumeci. Considerato che, oltre al fattore umano (lontananza dai propri cari), comporta
un costo enorme e spreco d’uomini e mezzi per permettere al Musumeci di recarsi
periodicamente a Firenze per sostenere gli esami universitari.
Una volta di nuovo a Nuoro studio più di prima perché più esami faccio più possibilità ho
di fare colloqui con la mia famiglia perché sono costretti a trasferirmi temporaneamente a
Firenze. C’è però il rischio che vada a Firenze, faccia l’esame e mi trasferiscano subito
senza fare in tempo a fare colloqui. Le visite dei familiari per detenuti nelle sezioni speciali
nell’istituto di Firenze sono il martedì ed il mercoledì, quindi per essere sicuro d’incontrare
la mia compagna e i miei figli devo preparare due esami alla volta e poterli sostenere a
distanza uno dall’altro di una settimana circa. Cerco di sfruttare anche la possibilità di
farmi fissare gli esami a fine mese ed invece di prepararne due ne preparo tre lasciandomi
l’ultimo per l’inizio del nuovo mese, in questa maniera riesco a fare in pochi giorni i
colloqui di due mesi cioè 12 ore. Un vero capitale affettivo che mi costringe a studiare
giorno e notte con relativo esaurimento nervoso, i voti si abbassano paurosamente mentre
quelli di mia figlia aumentano ma non posso farci nulla debbo sfruttare tutte le occasioni
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per vedere i miei cari. Poi c’è anche l’importante occasione che se sono in regola con gli
esami posso usufruire degli incentivi finanziari quindi spesso sono costretto a rimanere in
cella senza andare all’aria per intere settimane. Alla fine arriva la scelta dell’argomento
della tesi che cade sulla pena dell’ergastolo. Con largo anticipo, scelgo, d’accordo con il
professor Emilio Santoro di Sociologia del diritto, di legare questa mia ricerca ad un
questionario che ho fatto circolare tra conoscenti ed amici ergastolani che ringrazio
vivamente, sono le loro risposte la parte più originale e più interessante del mio lavoro che
proseguirò ad approfondire. Ho intenzione di proseguire gli studi con due anni di
specializzazione e di approfondire questo argomento.