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INTRODUZIONE
Il Disturbo Borderline di Personalità (DBP) è una grave patologia
psichiatrica, le cui manifestazioni caratteristiche provocano un impoverimento
e un deterioramento del funzionamento globale dell’individuo.
Questo disordine psichiatrico ha un quadro clinico ben definito e
sicuramente distinto da altri disturbi psichiatrici e tra i disturbi di personalità
(DP) è quello a più elevata incidenza.
Come per la maggior parte dei disturbi mentali, l’eziologia del DBP è
multifattoriale, ovvero concorrono allo sviluppo della patologia sia fattori
biologici, sia quello psicologici ed infine quelli socio-ambientali.
Il DBP è una sindrome multidimensionale, formata da sintomi
eterogenei, i quali includono oscillazione dell’umore, impulsività, relazioni
interpersonali instabili, autolesionismo e deficit cognitivi. Sono state svolte
diverse ricerche empiriche per verificare eventuali alterazioni neurobiologiche e
neuropsicologiche implicate nella genesi dei sintomi.
Morfologicamente studi di neuroimmagine hanno evidenziato
variazione della materia grigia, sia a carico dell’amigdala sia della corteccia
prefrontale anteriore oltre ad una rilevante riduzione dell’integrità della sostanza
bianca a livello della corteccia prefrontale inferiore.
Da un punto di vista funzionale, i soggetti con DBP presentano risultati
più bassi rispetto ai vari gruppi di controllo in diverse funzioni esecutive, in
particolare nei processi di inibizione della risposta, nel decision making e nei
compiti di astrazione e di flessibilità cognitiva. Tutto ciò correla
significativamente con le alterazioni degli schemi di attivazione neuronale a
carico della corteccia prefrontale, sede delle funzioni esecutive, ovvero quelle
funzioni che consentono agli individui di mettere in atto comportamenti
adattivi. In particolare, l’area della corteccia prefrontale maggiormente
interessata è quella inerente alla porzione mediale orbitofrontale, mentre le zone
più laterali risulterebbero preservate. Questa disfunzione potrebbe spiegare il
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correlato fenomenologico dell’impulsività, spesso associata ad una ridotta abilità
inibitoria delle risposte comportamentali e ad un’incapacità di integrare le
contingenze di ricompensa o punizione nell’orientamento dell’azione.
Altri studi hanno rilevato che, nei soggetti con DBP, i livelli di
ossitocina sono notevolmente ridotti. I bassi livelli di questo ormone, che agisce
come regolatore delle relazioni e delle competenze sociali, correlano in maniera
significativa con l’iperattività dell’amigdala e della parte mediale della corteccia
prefrontale, due aree designate all’elaborazione emotiva e cognitiva degli stimoli.
L’alterazione degli schemi neurali dell’amigdala e della corteccia
prefrontale mediale, assegnate rispettivamente alla decodifica degli stimoli
esterni paurosi e delle informazioni che derivano dal volto degli altri
integrandole con informazioni emotive, nei pazienti borderline si mostra con le
peculiari disfunzioni del comportamento come, ad esempio, il contrasto nelle
relazioni sociali, l’aggressività, diffidenza nei confronti deli altri e l’interpretare
espressioni neutre o vaghe come minacciose e la messa in atto dell’agito che ne
consegue.
I soggetti con DBP, quando si trovano a dover contrastare a stimoli
nocivi, non riescono ad estinguere il comportamento, ciò rafforzerebbe la
disposizione che caratterizza questi individui a coinvolgersi in attività
tendenzialmente rischiose senza valutare le eventuali conseguenze.
Alcune ricerche, inoltre, hanno constatato come l’influenza degli
stimoli emotigeni vada ad incidere in maniera fortemente negativa sul
funzionamento mnestico di questi individui, soprattutto nel recupero di quelle
informazioni autobiografiche a forte valenza emotiva, rispetto a quelle di
carattere generico: l’iperattivazione emozionale svolgerebbe, di fatto, un’azione
inibitoria nel recupero delle informazioni chiarendo, così, la particolare
frammentazione del Sé e i numerosi episodi dissociativi tipici della personalità
borderline.
Da un punto di vista biochimico, negli ultimi anni, sono stati
individuati dei geni coinvolti nella genesi del disturbo: COMT, DAT1,
GABRA1, GNB3, GRIN2B, HTR1B, HTR2A, 5HTT, MAOA, MAOB,
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NOS1, NR3C1, TPH1 e TH, mentre, per quanto riguarda i neurotrasmettitori,
un ruolo importante viene ricoperto dalla serotonina, dal GABA, dalla
dopamina, dalla noradrenalina e dai neuropeptidi ossitocina.
Nel primo capitolo viene brevemente narrata l’evoluzione storica del
concetto di personalità e le varie teorie sulla stessa, iniziando dagli antichi studi
di Ippocrate di Coo e di Galeno di Pergamo fini a giungere agli studi più
scientifici di Wilhelm Wundt, William James e Pierre Janet. Sono state illustrate
le principali teorie che hanno influito sullo sviluppo del concetto di personalità,
in particolare la teoria dei tratti di Gordon Allport, le teorie fattoriali di
Raymond Cattell e Hans Eysenck, la teoria tipologia di Carl Gustav Jung, la
teoria dei bisogni di Henry Murray, le teorie psicodinamiche, le teorie cognitive
e comportamentali e, infine, le teorie umanistiche. Ancora, è stata spiegata la
differenza tra i concetti di temperamento, carattere e personalità e il rapporto
esistente tra la personalità, la genetica e l’ambiente. Sono state affrontate le basi
biologhe e neuroanatomiche della personalità, con particolare riferimento ad un
recente studio di Riccelli et all., i quali hanno dimostrato che ciascun tratto del
modello a cinque fattori della personalità, il Five Factor Model, risulta essere
associato alla variabilità della struttura del cervello umano. Infine, è stato
descritto il disturbo di personalità, i livelli di funzionamento della mente e i vari
meccanismi di difesa utilizzati, con particolare attenzione alla scala di George
Vaillant e Christopher Perry.
Nel secondo capitolo viene affrontato lo studio del Disturbo Borderline
di Personalità, l’origine del termine e la sua evoluzione storica. Il disturbo viene
illustrato secondo i criteri del DSM-5 e quindi sia attraverso la classificazione
categoriale, mutuata dalla precedente versione, il DSM-IV-TR, sia quella
dimensionale, presentato nella III sezione del nuovo DSM, in cui viene avanzato
un modello alternativo per effettuare la diagnosi. In questo caso, non verranno
più considerati i criteri categoriali ma la diagnosi si baserà sostanzialmente su
due elementi principali: la compromissione del funzionamento della personalità
e i tratti di personalità patologici. Viene inoltre affrontata la differenza tra i
criteri posposti dal DSM-5 e quelli dell’ICD-10. Sono state descritte le
manifestazioni dei sintomi a livello clinico, in particolare l’impulsività,
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l’idealizzazione e svalutazione degli altri, l’instabilità delle relazioni, la rabbia
intensa e i comportamenti suicidari e automutilanti. Infine, viene affrontata la
diagnosi differenziale, in particolare con la psicosi, con la depressione maggiore,
con il disturbo bipolare, con i disturbi del comportamento alimentare, con
l’abuso di sostanze, con il disturbo narcisistico di personalità, con il disturbo
antisociale di personalità e con il disturbo da stress post-traumatico.
Nel terzo capitolo vengono trattate le principali teorie che hanno
cercato di spiegare l’eziopatogenesi del disturbo, tra le quali la teoria di Otto
Kernberg, il quale ha proposto dei criteri strutturali per poter distinguere tra
l’organizzazione di personalità nevrotica, psicotica e borderline. È stata illustrata
la revisione effettuata da Luigi Cancrini alla teoria di Kernberg, infatti Cancrini
sostituisce il termine struttura, suggerito da Kernberg, con quello di
funzionamento borderline, termine che non esclude la reversibilità. Ancora, è
stata esposta l’ottica della teoria sistemico-relazionale e delle famiglie che metto
in atto il cosiddetto svincolo di compromesso, la teoria dell’attaccamento di
Bowlby e la Strange Situation di Mary Ainsworth e le loro evoluzioni, in
particolare la descrizione dell’attaccamento disorganizzato nella psicopatologia
borderline proposto da Mary Main e Judith Solomon e la Funzione Riflessiva
descritta da Peter Fonagy e Mary Target. Tra le teorie di stampo cognitivista è
necessario menzionare il modello di Aaron Beck, il quale descrive tre assunti
fondamentali nella genesi del disturbo borderline, e la Dialectical Behavior
Therapy di Marsha Linehan. Infine, viene affrontato il modello bio-psico-sociale
di Joel Paris, il quale prevede che l’eziopatogenesi del DBP sia dovuta a fattori
biologici, psicologici e sociali.
Nel quarto e ultimo capitolo si entra nel cuore della tesi, ovvero viene
effettuata un’approfondita ricerca sulla neurobiologia del DBP. In particolare,
sono illustrati gli studi più importanti e recenti effettuati attraverso le
neuroimmagini, studi neurologici prospettici, i neurotrasmettitori che
concorrono alla genesi del disturbo, studi genetici e epigenetici. Nella parte
finale del capitolo, sono approfonditi alcuni sintomi del disturbo da un punto
di vista neurobiologico e genetico, in particolare l’impulsività, le condotte
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autodistruttive e il mancato controllo degli impulsi. Ancora, viene illustrata la
neuropsicologia del DBP e il rapporto esistente tra il trauma e la memoria.
Come illustrato brevemente in questa introduzione, nel corso degli
ultimi anni, l’interessamento per il DBP è cresciuto notevolmente e numerosi
studiosi hanno cercato di definirne i correlati neurobiologici, neuropsicologici e
genetici e lo scopo del presente lavoro di tesi è quello di passare alla disamina i
più recenti dati ottenuti da tali ricerche.