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Introduzione
Il titolo di questo lavoro, «Vitivinicoltura e innovazione territoriale», ne
sintetizza in maniera efficace non solo il tema, ma anche l’approccio interpretativo:
la vitivinicoltura, quale espressione dell’identità dei luoghi, contribuisce a plasmare
lo spazio creando territorio ed è a sua volta plasmata da quest’ultimo in un rapporto
di reciprocità ed interdipendenza, così che l’innovazione dell’uno si riflette
nell’innovazione dell’altro, facendo di questa relazionalità un potente agente di
territorializzazione. Indagare i legami tra vitivinicoltura e territorio, nella
prospettiva geografica appena delineata, vuol dire contribuire alla conoscenza dei
luoghi e proporre questa conoscenza come presupposto ineludibile alla loro
trasformazione: un obiettivo perfettamente in linea con quello che è stato l’indirizzo
del dottorato di ricerca in cui questo lavoro è maturato: Gestione dell’ambiente e
delle risorse del territorio.
L’ambito di ricerca si è rivelato, sin da principio, ampio e poliprospettico,
così da indurre a privilegiare l’approfondimento di aspetti particolari, specie quelli
in cui la ricerca geografica riesce al meglio a dispiegare il suo approccio
interdisciplinare, ponendosi come strumento di conoscenza trasversale.
Gli studi geografici classici hanno analizzato in profondità il rapporto
intercorrente tra agricoltura e territorio, specie dal punto di vista dell’evoluzione dei
modelli produttivi e degli effetti legati all’uso del suolo.
Secoli di pratiche agricole hanno contribuito alla formazione di un
consolidato bagaglio di conoscenze, di indiscusso valore per coloro i quali hanno la
necessità di comprendere le dinamiche di un settore in continua evoluzione, siano
essi agricoltori, imprenditori, studiosi, pianificatori, policy maker e, in altri termini,
attori dello sviluppo tanto alla scala locale quanto a quella globale.
Lo scenario agricolo attuale si presenta complesso e variegato ed offre
singolari spunti di riflessione per la ricerca.
L’orientamento all’analisi a partire dalla geografia dell’agricoltura, intesa
come studio dell’organizzazione spaziale delle attività agricole e del loro ruolo
nella costruzione del territorio, e, in particolare, l’attitudine all’osservazione delle
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dinamiche evolutive dei sistemi agricoli, sono le motivazioni alla base del presente
lavoro di ricerca, il cui intento è quello di analizzare, seguendo l’approccio
geografico già evidenziato, l’affascinante mondo della vitivinicoltura, cogliendone
gli aspetti colturali e culturali, per giungere a creare una mappa relazionale delle
potenzialità, espresse o latenti, dell’intero settore; ciò per verificare se ed in che
misura sia possibile parlare di innovazione territoriale indotta dai processi di
trasformazione del settore vitivinicolo, dalle pratiche produttive a quelle
commerciali.
All’ancestrale ed affascinante rito della vendemmia sono indissolubilmente
legate generazioni di agricoltori, appassionati ed intenditori, accomunati dalla
volontà di perpetrare la celebrazione della festa pagana in onore del dio Bacco, in
cui la tradizione degli avi si fonde amabilmente con tecniche e teorie enologiche
innovative.
A metà settembre, ai primi raggi del sole i contadini si alzano all’alba, per
raggiungere le vigne ed iniziare il lavoro. La cerimonia della raccolta e del
trasporto di uve e grappoli conserva in sØ i caratteri del romanzo e della narrazione
epica. Del romanzo sono protagonisti coloro che, con la vendemmia, sperano nella
buona annata ripensando al lungo e duro lavoro di potatura e di continua e
premurosa cura della vite: è questo il trait d’union tra tradizioni e credenze
contadine, quello che ha spinto l’Homo laborans all’adorazione delle divinità, oggi
evolutasi nelle diverse forme di devozione popolare che scandendo il tempo
contadino offrono la possibilità di vivere, tra sacro e profano, indimenticabili
momenti di festa.
La storia del vino si fonda anche sul mito e ci proietta in epoche remote,
lungo le antiche rotte del Mediterraneo, nel lontano VIII secolo avanti Cristo
quando i leggendari avventurieri di Calcide ed Eubea scelsero le coste della
penisola per stabilirsi ed intraprendere la coltivazione della vite. La vendemmia del
III millennio, pur nell’innovazione, non può dimenticare gli echi storici e poetici,
ma li fonde con un moderno ed efficiente know-how, con procedure innovative,
coraggiose e all’avanguardia. Tutto ciò sempre e costantemente all’insegna del
rigore e dei sapienti insegnamenti degli avi. Sono proprio questi saperi, questi
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antichi insegnamenti, a costituire la componente più attraente e suggestiva della
tradizione vitivinicola, quel patrimonio di conoscenze dettato dagli studi scientifici
ed impreziosito dall’antica esperienza e dai segreti che solo chi vive
quotidianamente il contatto con la terra sa apprendere e mettere a frutto. Le ritualità
della viticoltura rappresentano un condensato di queste attitudini; la cultura della
terra è un’opera di difficile bilanciamento tra le nuove tendenze e l’antica arte
colturale. Una sorta di evoluzione ineluttabile, scandita anche nelle tradizionali
espressioni lessicali, che dal suono più autenticamente dialettale mutano oggi, fino
ad italianizzarsi quasi del tutto.
La giornata più importante per i viticoltori, quella della vendemmia, è un
vero proprio inno alle percezioni sensoriali. Il profumo dei grappoli appena colti
inebria e ubriaca; il sapore degli acini maturi addolcisce il palato; le canzoni, le
cantilene e le filastrocche del mondo contadino rimandano all’aspetto giocoso e
festoso della vendemmia. Il dorato ed il nero dei grappoli incantano e sorprendono.
Le molteplici varietà cromatiche avvinghiate alle viti, che ora si sviluppano in
verticale ora sono tenute ad altezza d’uomo, si esaltano in un mosaico che offre
emozioni differenti e sensazioni inaspettate, suscitando continue sinestesie.
Non mancano tuttavia le difficoltà, spesso dovute alla caratteristica dei
terreni sui quali viene raccolta l’uva. Ed ecco che si parla di viticoltura “eroica”: in
genere si tratta di appezzamenti localizzati in aree remote ed impervie, di non facile
accesso e lontane dalle cantine (si pensi ai terrazzamenti liguri). Terminata la
raccolta, i giorni successivi sono interamente dedicati alla pressatura: dai
tradizionali torchi manuali ai più moderni macchinari meccanici è un susseguirsi di
pratiche dal sapore rituale. Malgrado il risparmio di tempo e la meccanizzazione
siano oggi esigenze diffuse, la vendemmia conserva ancora quella magia che ne fa
una festa dove fede e laicità si fondono nel più evocativo tra i culti bucolici.
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Francobollo commemorativo
della serie Italia al lavoro: “La
vendemmia in terra di
Puglia”.
Soggetto particolarmente
riuscito, nel valore da trenta
lire: la vendemmiatrice che
porta sul capo una cesta
ricolma di uva ha, sullo
sfondo, il medievale Castel
del Monte in Puglia, nel
territorio di Andria.
Quelle appena descritte non sono brevi note di colore o il risultato di
un’ispirazione poetica di chi scrive, ma un esempio - si spera riuscito – di come la
vitivinicoltura esprima valori che travalicano le sue valenze economiche e ci
obbligano ad utilizzare un approccio in cui le pratiche “colturali” sono innanzitutto
pratiche “culturali”, caricate di valori simbolici e superba espressione dell’intimo
rapporto che lega l’uomo all’ambiente, contribuendo a creare quelle singolarità che
sono i luoghi geografici.
Il presente lavoro di ricerca privilegia l’approccio geografico, nel senso che
trae la propria ragion d’essere dalla consapevolezza che la geografia è la scienza dei
luoghi che si occupa dei rapporti tra uomo ed ambiente, dando senso ad una
necessaria differenziazione spaziale organizzata in funzione del sociale: lo spazio
degli uomini e, quindi, la geografia degli uomini.
“La Geografia è la scienza che cerca di spiegare i caratteri dei luoghi e la
distribuzione delle comunità umane, gli aspetti e gli eventi che accadono e si
sviluppano sulla superficie terrestre. La geografia si occupa delle
interazioni ambiente-comunità umane, nel contesto di specifici luoghi e
localizzazioni. Le sue caratteristiche consistono nell’ampiezza dello studio,
nella vastità dei metodi, nella funzione di sintesi di conoscenze provenienti
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da altre discipline, fisiche e umane, e nell’attenzione per i temi della
gestione futura delle relazioni uomo-ambiente
1 ”.
La geografia è in grado di rappresentare l’insieme delle relazioni che una
collettività intrattiene con il territorio; a tal proposito, secondo quanto ampiamente
descritto da Eugenio Turri, lo studio del territorio e del paesaggio restituisce
un’immagine che consente la creazione di un’identità collettiva, elemento
indispensabile per la comprensione di un luogo e della sua anima. Infatti la
rappresentazione geografica di un luogo produce conoscenza che attribuisce
identità. Lo spazio viticolo, che è parte di quello agrario, ha anch’esso una propria
identità, geograficamente distinguibile.
Quantunque la viticoltura offra un ampio ventaglio di itinerari di ricerca, in
questa sede si è deciso di presentare un percorso di ampio respiro, che fungendo da
sintesi, si pone come ulteriore spunto di ricerca per futuri lavori.
Al fine di comprendere la portata delle innovazioni che la vitivinicoltura ha
prodotto ed è in grado di produrre sul piano territoriale è necessario pensare ad essa
come parte integrante della Geografia dell’agricoltura; per questa ragione il primo
capitolo è interamente dedicato ad un excursus storico sulla Geografia
dell’agricoltura, una sintesi del suo intenso ed interessante percorso evolutivo che
parte dalle origini per giungere alle acquisizioni più interessanti dell’epoca post-
moderna.
In considerazione dell’evoluzione delle teorie geografiche che hanno
determinato la nascita della geografia dell’agricoltura - sintesi di geografia rurale e
geografia agraria - è stato possibile ripercorrere il processo di stratificazione storica
della vitivinicoltura, da comparsa e diffusione della pianta fino alla genesi del vino,
alla sua commercializzazione e agli effetti prodotti sul territorio. L’intento è quello
di offrire un valido contributo per la comprensione delle dinamiche che legano,
1 Definizione proposta da International Charter of Geographical Education adottata dall’U.G.I.
durante il Congresso di Washington del 1992.
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attualmente, la valorizzazione dei vitigni autoctoni e la qualità del prodotto finito
all’evoluzione del paesaggio ed alla moderna promozione dei territori.
L’agricoltura è l’attività che meglio si presta ad esprimere il rapporto
dell’uomo con l’ambiente naturale, attraverso un fare che è anzitutto un curare
(coltivare - colere), dare forma e finalità unitarie ed armoniose ad un complesso
insieme di elementi. In agricoltura il prodotto del lavoro non è il solo bene separato
ed individualizzato che percorre il proprio cammino dai campi alla tavola, quanto,
piuttosto, il faticoso itinerario attraverso il quale le risorse naturali assumono e
conservano peculiari caratteristiche produttive.
La storia del paesaggio agrario italiano, ad esempio, sintetizza il lungo
processo attraverso il quale le colture sono state metaforicamente identificate con
l’architetto che ha conferito allo spazio rurale una forma propria, ingegnosamente
calata nell’ampia dimensione del reale; ciò in ragione di un progetto produttivo al
cui interno le finalità della produzione materializzavano le strutture e, nel
medesimo tempo, la qualità e la natura delle risorse (non definite una volta per
tutte, ma soggette appunto alla costante opera dell’agricoltore) determinavano
profondamente il prodotto.
Così intesi i segni del territorio esprimono un duplice significato:
- sono i segni che le attività agricole, con la loro capacità di incidere sui
generi di vita, sui processi di trasformazione e di significazione dello spazio, hanno
impresso sul territorio, differenziandolo dall’intorno geografico e costruendone
l’identità;
- nel medesimo tempo sono i segni che sui prodotti sono impressi dal
territorio, inteso non mero contenitore di un’attività indifferenziata, ma esso stesso
elemento di conformazione del prodotto.
Questo processo circolare, per il quale il territorio esprime segno e identità
dell’opera dell’agricoltore, e a sua volta imprime segno ed identità nel singolo
prodotto che - staccato dal fondo ed immesso nel mercato - porta con sØ una sorta
di bandiera di appartenenza, ha vissuto purtroppo momenti di crisi, dovuti ad un
apparato legislativo arretrato, che individuava l’identità dell’agricoltura in una
logica di separatezza piuttosto che di relazione. Negli ultimi anni – come si
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argomenterà nel prosieguo di questo lavoro – si è assistito ad una netta inversione
di tendenza che si è tradotta in una volontà politica di tutelare le identità locali a
partire proprio dalla valorizzazione di quegli assetti agronomici minacciati dalla
globalizzazione dei mercati.
L’enfasi sulle necessità di una produzione misurata esclusivamente in
termini di quantità di prodotto conferite sul mercato, o soltanto in termini di
aderenza a standard uniformi di qualità, identificati in parametri fisico-chimici
misurabili ex post, in passato ha indotto a trascurare la relazione fra prodotto,
attività, strutture e luoghi di produzione.
Il ripensamento, intervenuto anche in sede Comunitaria a partire dagli anni
Ottanta, ha apparentemente restituito attenzione e visibilità alle strutture aziendali
quale componente economica fondamentale, piuttosto che idealizzazione
estetizzante.
Sotto il profilo della condotta si continua a negare autonomo e privilegiato
rilievo all’uso agricolo; sotto il profilo delle regole del prodotto, si continua a
privilegiare una logica di genere, che riduce l’identità in termini di nicchie e di
eccezioni, e premia l’appartenenza ad una bandiera costruita per conformità al
prodotto industriale. Di qui la necessità di una grande attenzione ai segni del
territorio, la cui corretta interpretazione consente il recupero - nel mercato ed in una
logica di concorrenza, che necessariamente è anche una logica di diversità e di
identità di specie – della dimensione intima della realtà, quella che trova piena
realizzazione in beni materiali, prodotti, strutture della produzione, ma anche in
azioni caratterizzate da comportamenti coerenti e rispettosi di vocazioni naturali ed
ambientali.
Gli stessi prodotti della campagna traggono identità da una relazione fra il
territorio, la terra circostante e la città. Si delinea, da quanto fin qui esposto, il
marcato interesse verso uno studio attento alle scelte politiche ed, al contempo, alle
ripercussioni territoriali degli interventi posti in essere, specie in relazione alla
capacità di contribuire alla tutela e valorizzazione del paesaggio agrario, che
diviene, a pieno titolo, paesaggio culturale.
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Il secondo capitolo è dedicato ad un approfondimento storico relativo alla
diffusione della vite e della vitivinicoltura, con una sezione introduttiva dedicata
alle fonti, per poi giungere a presentare in sequenza alcuni tra i più interessanti
progressi tecnologici in campo produttivo. Ciò si è rivelato particolarmente utile
perchØ ha consentito di dimostrare che il progresso tecnologico ha prodotto
innovazione territoriale, fornendo inattese prospettive di sviluppo ad alcuni
territori; emblematico il caso del fenomeno “cantine d’autore”. ¨ emerso in
maniera più che evidente, inoltre, come l’innovazione tecnologica abbia
inevitabilmente ed inarrestabilmente indotto l’evoluzione dei paesaggi agrari e di
quelli viticoli in particolare, offrendo la possibilità di nuove modalità di sviluppo
per i territori, non soltanto da un punto di vista prettamente economico, ma anche in
sede di pianificazione strategica.
Su queste basi si passa ad analizzare nel terzo capitolo il tema della
vitietnografia mondiale, fornendo un’approfondita lettura dei dati che consentono
di comprendere l’entità della connotazione viticola della superficie terrestre, e
passando in rassegna alcune statistiche relative alla produzione, per approdare
all’osservazione dell’uso degli spazi viticoli ed alla conseguente trasformazione, in
chiave innovativa, dei paesaggi.
Si sono delineate interessanti opportunità di sviluppo, che gli osservatori più
attenti sono stati pronti a cogliere, sia nel settore privato – come era prevedibile –
che nel pubblico. Lo scenario vitivinicolo classico è stato completamente rivisto;
sono subentrati nuovi Paesi produttori ed è stata ridisegnata la carta di distribuzione
delle superfici vitate; sono stati istituiti o rivisitati gli strumenti normativi ed è stato
introdotto, in alcuni casi, il sostegno finanziario.
Nuove opportunità che hanno prodotto innovazione, specie allorquando ci si
avvale di strumenti adeguati, come, ad esempio, quelli propri del marketing
territoriale: è questo l’argomento affrontato nel quarto capitolo. La necessità di una
pianificazione strategica ed integrata, ha dato vita ad una serie di interventi mirati,
da cui è discesa la radicale trasformazione dell’intero settore vitivinicolo. Dagli
interventi strutturali alle leggi regionali, pubblico e privato hanno cercato di
regolamentare e valorizzare l’enorme patrimonio culturale vitivinicolo ed
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enologico. Vini che hanno bisogno del territorio e territori che vengono individuati
per l’importanza dei vini che producono: un circolo virtuoso che diventa volano per
lo sviluppo locale.
E di sviluppo locale si parla nell’ultimo capitolo, in cui si è deciso di
analizzare il sistema vitivinicolo pugliese, così che, a partire dall’analisi
macroscopica, si è giunti al caso di studio regionale. La Puglia, forte di una
tradizione vitivinicola storicamente consolidata, dopo aver attraversato un periodo
di crisi e di conseguente abbandono del settore, vive anni di rinascita e registra
meritati successi grazie al nuovo modo di intendere la vitivinicoltura, che si
esprime nel recupero delle varietà autoctone, delle antiche modalità di impianto e
delle tradizioni, così che il prodotto finale risulta caricato di un plusvalore
emozionale che fa la differenza e che concorre a creare innovazione e sviluppo.
La lettura critica dei dati riferiti al settore vitivinicolo comunitario e
nazionale è stata d’ausilio nel ricostruire un dettagliato quadro dello scenario
attuale, dal globale al locale. ¨ emerso che l’agricoltura italiana rispecchia ciò che
accade a livello mondiale: essa risulta caratterizzata da una molteplicità di
situazioni produttive, direttamente collegate a differenziazioni territoriali che
vedono territori d’eccellenza come la Toscana e la provincia di Siena, il Friuli e il
Piemonte, contrapporsi ad aree svantaggiate quali, ad esempio in Puglia, il
Gargano, il Sub Appennino Dauno, la Murgia e il Salento (malgrado la presenza di
aree forti di pianura - Tavoliere, Terra di Bari, Litorale barese, Arco ionico
tarantino).
Nel complesso è dimostrabile come l’agricoltura pugliese rivesta un ruolo
importante a livello nazionale, pur utilizzando tecnologie colturali e politiche
commerciali che non sempre rispecchiano le tendenze evolutive che si registrano a
livello nazionale ed
internazionale. Le attuali tendenze muovono verso un’agricoltura di qualità,
basata su prodotti in grado di esprimere identità locali, quasi a individuare una rete
di caratteri territoriali. In tutto ciò si instaura una relazione sempre più marcata tra
prodotti di qualità e una certa polifunzionalità degli spazi rurali, che vanno a
delineare, in potenza, distretti agricoli innovativi, distretti rurali di qualità, dal cui
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interno le tipicità regionali fungono da costituenti per una base territoriale
competitiva.
In relazione alle acquisizioni specifiche inerenti le politiche tradizionali in
materia di agricoltura è evidente che esse sono state indirizzate a trattare i temi
riguardanti l’aspetto prettamente agricolo dei territori, spesso ignorando la
vocazione produttiva degli stessi e trasformando le regole in inutili divieti, secondo
una logica di conservazione statica che si è dimostrata incapace di cogliere la
dimensione complessiva del territorio quale incontro tra soggettività ed esperienze.
Ciò porta a riflettere sul fatto che è stato spesso sottovalutata l’importanza
del mercato dei prodotti agroalimentari; sono mancati interventi adeguati,
considerato che gli unici posti in essere sono risultati quelli confinati nella politica
dei prezzi e delle quantità, o gli interventi per l’adozione di regole di qualità - intese
come conformità a standard nel senso della banalizzazione - quasi che la
concorrenza potesse esercitarsi soltanto attraverso una cancellazione delle identità.
Quanto alle regole di destinazione ed uso del territorio, la relazione con
l’agricoltura si è risolta in una singolare negazione, per la quale la dimensione
territoriale sembrava esaurirsi in un presupposto necessario ma irrilevante, quasi
costituisse un semplice rinvio allo spazio fisico in cui è collocata l’attività agricola.
L’indifferenza verso il territorio rurale (inteso nella sua vocazione agricola)
è oggi incalzata da fenomeni - fra questi anzitutto la globalizzazione dei mercati –
che sembrerebbero muovere nel senso della delocalizzazione della produzione e
della svalutazione della collocazione territoriale, che sottolineano il peso delle
regole e impongono una riflessione, attraverso gli strumenti del diritto, sul modo di
porsi, sui contenuti e sulle relazioni di queste regole.
Le politiche regionali e l’attenzione crescente verso prodotti di qualità
provvisti di un’identità alta e personale, fortemente riconoscibile e che non si riduce
a una semplice conformità a standard banalizzati, hanno dimostrato l’esigenza di un
approccio organizzato secondo modelli e procedure che sottolineano la relazione
fra luogo e prodotto, fra modalità, tecniche e comportamenti umani, e non solo
immediatamente produttivi.
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In questa dimensione trovano la dovuta rispondenza le politiche sociali che
si intrecciano con le strategie di conservazione dello spazio e fanno avvertire
l’esigenza di attribuire un senso economico all’utilizzazione delle risorse indirizzate
alle zone rurali, nella convinzione che una gestione attenta anche agli esiti
economici delle scelte possa consentire il risultato di conservazione vivente -
obiettivi che le politiche proibizionistiche o assistenziali non sono state in grado di
assicurare in passato.
L’integrazione fra sistemi di imprese e sistemi territoriali impone di
individuare una relazione tra affermazione qualitativa e commerciale dei prodotti di
un territorio e affermazione complessiva del territorio e della sua economia,
attraverso processi funzionali a una generale crescita di qualità e prestigio
dell’intero sistema agroalimentare.
Si delinea un’idea forte di agricoltura, capace di segnare lo spazio in cui
opera; nello stesso tempo, risulta enfatizzata la capacità del territorio di trasferire i
propri segni ben oltre una semplice dimensione spaziale. I temi del paesaggio
agricolo, dei suoi segni, delle sue regole, non si esauriscono nella logica della
comunicazione nel mercato (peraltro ancora in attesa di una compiuta definizione
nei suoi termini istituzionali, economici, produttivi e giuridici), ma investono una
relazione, un modo di essere dell’intero settore primario, come elemento di identità,
che pone al centro della relazione territorio-prodotto i segni di una consapevole
soggettività, di un riferimento alla persona, come valore fondante della storia
rurale.
Dallo studio è emersa l’importanza della relazione tra tecniche produttive
(tradizionali e innovative), nuovi assetti territoriali e potenzialità di sviluppo locale.
La società attuale è attraversata da profonde trasformazioni, connesse allo sviluppo
di nuove logiche che confluiscono verso la globalizzazione economica, culturale e
territoriale. In particolare, le trasformazioni registrate nel settore della produzione
vitivinicola locale, in parte ascrivibili alle dinamiche poste in essere dalla
globalizzazione, per alcuni versi potrebbero dimostrarsi, in netta controtendenza,
come reazione inversa all’inarrestabile processo globalizzante. Il mercato e la
viticoltura internazionale, così come si presentano negli ultimi anni, offrono nuove
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prospettive e interessanti scenari di ricerca, specie in relazione all’evoluzione
complessiva dei territori. Gli spazi, nel loro divenire territori e territorializzati,
percepiscono le trasformazioni in atto e le assorbono, adeguandosi ad accoglierle
nel miglior modo possibile – ovvero con il minore impatto per l’ambiente e gli
uomini.
In tale processo un ruolo fondamentale è rivestito dagli attori dello sviluppo
e dalla loro interazione con il territorio: in altri termini, è indispensabile la
territorializzazione, ovvero quel processo attraverso cui le collettività umane
conferiscono allo spazio naturale un valore antropologico e costruiscono i loro
quadri vitali e le loro geografie (Turco, 1988).
Ne emergono luoghi “innovati e rinnovati” nel corpo e nello spirito, le cui
identità sono divenute i punti di forza per lo sviluppo locale.
Numerosi esempi sono stati inseriti nelle appendici fotografiche a corredo di
ciascun capitolo: a parere di chi scrive, la fotografia geografica, avvicinando il
lontano, permette di conoscere visivamente oggetti e situazioni non altrimenti
sperimentabili e suscita emozioni che innescano la tensione verso un luogo e la
riflessione nei confronti del suo background culturale. Le immagini, poste in
sequenze organizzate, riproducendo il reale, intendono orientare la riflessione: la
dimensione spaziale diviene via via intima ed atemporale, secondo un processo
complesso da descrivere a parole, ma immediatamente percepibile attraverso lo
scorrere delle immagini.
CAPITOLO I
Settore primario e ricerca geografica: alle radici dell’interdisciplinarietà
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I.1 Agricoltura e ricerca geografica
L’apporto offerto dalla geografia ai problemi di programmazione e
pianificazione dello spazio agricolo appare sostanziale, poichØ condotto tenendo in
considerazione tutti gli aspetti del territorio, da quelli fisico-naturali a quelli
storico-culturali ed economico-sociali.
La geografia, in quanto disciplina finalizzata alla “descrizione della terra”,
trova nelle forme di organizzazione degli spazi agricoli le espressioni più
immediate e significative del rapporto tra l’uomo e l’ambiente. La specificità di
queste forme si presenta anche nei paesi in cui il recente sviluppo tecnologico ha
prodotto intererssanti fenomeni di industrializzazione e terziarizzazione. Ambienti
diversi sono accomunati dalla crescita urbana e dei settori extra agricoli e
conservano forme di appropriazione e di uso del suolo agrario, conseguenza diretta
delle particolari condizioni pedologico-climatiche e delle tradizioni culturali,
abitative ed alimentari dei gruppi umani.
Il settore primario si pone in evidenza in ogni ambito territoriale. L’Italia
presenta un’ampia gamma di situazioni agricole, frutto della sua vastità
morfologica e delle vicende storiche che l’hanno interessata. Per il geografo le
campagne costituiscono un laboratorio di studio privilegiato, dal momento che
l’uomo soddisfa i suoi bisogni elementari grazie al lavoro dei campi e considerato
che sull’attività primaria continuano a farsi sentire i condizionamenti degli agenti
naturali. Il rispetto per la natura, per i suoi ritmi e per le sue esigenze ha costituito
una necessità ed una conquista per i coltivatori, la cui ambizione di sfruttare al
massimo il terreno ha sempre accompagnato le capacità produttive e le proprietà
agronomiche.
La geografia dell’agricoltura indaga la sistemazione dei suoli agricoli,
l’affrancamento dalle avverse condizioni ambientali, la produzione e la
collocazione dei prodotti sul mercato, le forme di insediamento rurale, la quantità e
la qualità degli investimenti, i rapporti con le aree urbane e con le istituzioni; la
geografia, analizzando le campagne, ha trovato sempre nuove occasioni per
ampliare il suo campo di indagine e per sottolineare la specificità di un approccio
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che si presta a ricomporre in maniera unitaria fenomeni naturali ed artificiali,
all’interno di un quadro territoriale reale.
Nel 1946 il geografo Cholley ha denunciato una situazione di insoddisfazione
di fronte ai concetti di struttura agraria e di paesaggio rurale, da molti considerati
contrapposti e tuttavia utilizzati ad indicare la medesima complessa organizzazione
dell’attività agricola e delle sue trasformazioni. Ai due paradigmi di struttura
agraria e paesaggio rurale, Cholley preferì la dicitura “combinazione agraria”, al cui
interno erano compresi elementi naturali, biologici, umani, politici ed economici.
L’interesse della geografia nei confronti dell’agricoltura non deriva dalla forma dei
campi o dalla loro rendita fondiaria, quanto, piuttosto, dagli effetti che, in termini di
popolamento e di livello di vita , il settore primario è in grado di offrire agli abitanti
del villaggio e dell’azienda agraria.
Ancor prima della nascita della geografia agraria ad opera dell’economista
Gribaudi
2
, l’approccio economico applicativo ha il suo precursore in von Thünen;
egli correla le leggi che regolano l’ottimale ripartizione delle colture alla distanza di
queste ultime dalla città-mercato, posto che questa si trovi al centro di una pianura
uniformemente fertile ed accessibile.
Il geografo Sinclair, circa un secolo e mezzo dopo, teorizza che è la vicinanza
ad un centro urbano la causa del progressivo allontanamento delle colture dai suoli
agrari a esso vicini. I terreni verrebbero lasciati improduttivi in attesa dell’aumento
del loro valore immobiliare in funzione dell’espansione topografica dell’abitato.
2
Dino Gribaudi, nato a Torino nel 1902, fu docente universitario di geografia dal 1929 presso
l’Istituto Superiore di Magistero, dove divenne titolare di cattedra nel 1935. Nel 1949 successe al
padre Piero nella cattedra di Geografia economica della Facoltà di Economia e commercio
dell’Università di Torino, di cui fu Preside dal 1962 alla sua prematura scomparsa nel gennaio del
1971. Dal 1964 ricoprì anche la carica di Vicerettore dell’Università. Molto noto e stimato
nell’ambiente disciplinare, ricoprì cariche importanti, tra cui quelle di Presidente della Società
Geografica Italiana e di Vicepresidente dell’Unione Geografica Internazionale. Seguendo una
tradizione che risale a Giovanni Marinelli e passa per il suo maestro torinese Cosimo Bertacchi,
Dino Gribaudi ebbe una visione unitaria della geografia come scienza di sintesi, che teorizzò nei
suoi scritti e praticò nelle sue ricerche: dalla sua opera giovanile, ma scientificamente già matura,
sul Piemonte nell’età classica (1928), alle ricerche di geografia agraria tra gli anni 1930 e ’50, a
quelle sulla geografia dell’industria negli anni successivi, alle molte ricerche regionali in Italia e
all’estero testimoniate da monografie come quella sul Piemonte (1960) e sull’Italia geoeconomica
(1969).