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pieno spirito democratico della Riforma della P.A., che incoraggia quantomai lo
scambio e la comunicazione sul Territorio (tra gli operatori e con l'utenza) nonché
prediligendo l'uso di un linguaggio più moderno e sempre meno burocratico,
rispetto al recente passato.
Si riconosce la pianta dal suo frutto… Lapalissiano! …ma l'albero spoglio e
improduttivo dell'inverno s'identifica dal suo seme, quando si ha difficoltà pure a
studiarne il fusto. Questo, per esprimere con una metafora la necessità di
comprendere vita, morte e "miracoli" dell'albero spoglio del Sud, attraverso la sua
evoluzione, studiandone le "radici" sotto la brina del perenne inverno che, da un
secolo e mezzo circa, del luminoso "Mezzogiorno" ne ha fatto una buia "Mezzanotte"!
Vale a dire che non esiste aprioristicamente possibilità di discernimento e di
dissertazione sui fenomeni economici e sociali della Campania (ma anche delle altre
regioni meridionali) se non la smetteremodi cantilenare fino alla noia la
"leggendaria" Questione Meridionale", secondo i soliti canoni lirici ed estetici, triti e
ritriti; la chiave di lettura della Questione è scritta correttamente su di una altra
partitura; quella, "originale", scritta dalla Storia nei tempi in cui "quella" Storia si
dipanava e non andrebbe più interpretata ad uso e convenienza dei posteri e degli
alterni regimi.
L'intero Mezzogiorno è da immemore tempo ridotto a bacino depresso d'Italia; oggi,
d'Europa!
Il fatalismo delle sue popolazioni, la sfiducia nelle istituzioni, la rassegnazione e la
rinuncia di molti imprenditori, lo sfruttamento delle risorse naturali da parte
d'aziende non locali e non autoctone, magari con le sedi sociali e fiscali ubicate al
Nord (nel clima federalista che già si respira e che è anticipatore della promessa
"devolution") sono tutti elementi che non aiutano a sperare in una fattiva ripresa
economica ed in un futuro sereno, poiché il Sud somiglia sempre più ad una
"colonia" piuttosto che ad una provincia di questa Nazione.
Monitorare mediante gli attuali moduli
della tecnica stati-stica (che non è "scienza"
ma metodo) l'attività economica della
Campania (e del Sud intero) è come
accendere una telecamera sulla Casa dei
Vetti negliscavi di Pompei: gli occhi del
telespettatore coglieranno solo l'immagine
delle rovine e qualche impercettibile
segnale di fasti lontani. Non sembrerà altro
che la "casa della lucertola e del ragno".
Solo chi è autenticamente es-perto o anche sufficientemente conoscitore delle glorie
dell'Antico Impero, riuscirà a far "cantare le pie-tre" ed a sovrapporre all'immagine
delle rovine quella dell'originaria e ricca villa patrizia, cogliendone appieno la storia,
e gli usi e costumi e tutta la realtà socio-economica collegata a quel popolo su quel
territorio, in quel tempo e comprenderà, analizzandoli, anche i motivi politici del
decadimento.
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E' innegabile (fonti storiche e vestigia sono certificate e documentabili!) che quel
territorio - che solo dai tempidel "risorgimento del Nord" è definito Mezzogiorno -
sia stato una " macroregione" florida ed avanzata anche tecnologicamente, da tempi
molto lontani (1130, se ci riferiamo all'epopea del grande Ruggero II) e fino
all'affacciarsi del '900; secolo dal quale si pretenderebbe voler far partire la Storia
d'Italia, che sia d'obbligo universalmente valida per tutti gli stati preunitari dal Nord
al Sud della penisola, dimenticando che questi, ancor oggi identificano, per costumi e
tradizioni, artigianato ed arte, prodotti D.O.C. e D.O.P., lingua e storia, le
meravigliose ed indi-struttibili peculiarità e specificità di ognuno dei mille campanili
della nostra variegata Nazione!
Ci necessita, istituzionalmente, il requisito dell'onestà intellettuale per lo studio dei
fenomeni del presente, possibile solo codificando e interpretando le funzioni
sull'intera linea di traiettoria della freccia scoccata dal passato, come nel più razionale
dei grafici dell'economia. Nel nostro caso meridiano, la traiettoria è più simile a
quella disegnata da un sasso lanciato sulla superficie di un lago perché ne risulta un
grafico di quelli detti a "cappello di Napoleone" che, solitamente, disegnano le fasi
d'espansione, di boom e di decadimento di un'economia, di una civiltà. Senza
animosità né rivendicazioni né sterili nostalgie ma in piena razionalità e verità
occorre restituire alla Campania ed al Sud la sua Storia; le…RADICI!…per
soprassedere, finalmente, ai logori e falsi luoghi comuni che indicano ancora
"lombrosianamente" il Sud quale territorio popolato esclusivamente da "terroni",
"malfattori" e "assistiti".
Corre impellente l'esigenza di risvegliare nei meridionali la dignità della loro Storia -
quella Veri-tà negata - perché la ignorano; fare in modo che questa Verità sia
metabolizzata soprattutto dalla nuova generazione meridionale (la futura classe
dirigente del Sud) magari inserendola senz'altro tabù e mistificazioni nei programmi
scolastici degli istituti statali e privati d'ogni ordine e grado.Nella sua dotta
recensione dell'opera "I Preziosi delle Due Sicilie" (presentata nel novembre 2003
presso la sede istituzionale del Parlamento Europeo in Bruxelles, durante il semestre
di Presidenza Italiana, nell'ambito di un progetto culturale sulla meridionalità)
l'illustre prof. Ezio Ghidini Citro, presidente del prestigioso Centro Studi di Arte e
Cultura "Sebetia-ter" in Napoli, di tendenza murattiana e giacobina, quindi "non di
parte", onestamente ritiene che "… La storia l'hanno scritta sempre i vincitori, ma non
sempre hanno raccontato i fatti e le cose con obiettività e con realtà, spesso
omettendo episodi o fatti che potevano creare dubbio d'ombre alla loro vittoria.
E' sempre stato così, da quando è nato l'uomo. Noi italiani, siamo maestri nel creare
eroi e mostri, nel manipolare la storia, i fatti e persino le ideologie politiche,
ignorando od omettendo il percorso storico di un popolo. Una nazione come la
Francia e la Gran Bretagna (con una tradizione nazionale di molti secoli) non ha mai
ignorato la propria Storia, sia nel bene sia nel male - "Tutto ciò che ha segnato il
cammino della nostra Patria: fatti, eventi, tragedie nazionali, va ricordato, perché
appartiene alla nostra Storia e va rispettato, nell'interesse nazionale" - questo è
quanto hanno detto e fatto i francesi e gli inglesi; gli italiani, no… anche perché la
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nazione italiana ha circa 150 anni di storia ed è "troppo giovane" e… molte verità
devono essere taciute ancora.
Il sottoscritto, pur proveniente da una cultura illuminista, Repubblicana, che nel
trinomio Libertà, Legalità e Fraternità ha improntato il suo cammino formativo e
politico, non può ignorare la realtà storica degli eventi che hanno determinato l'Unità
d'Italia. È inconfutabile che in Europa, 150 anni fa, le Nazioni più importanti dal
punto di vista politico, militare, culturale ed economico erano la Gran Bretagna, la
Francia, l'Austria e il Regno delle Due Sicilie. Quest'ultimo, si differenziava dalle
altre Nazioni per le sue attività innovative e commerciali, raggiungendo grossissimi
primati in quasi tutti i campi, divenendo il punto di riferimento di tutta l'Europa".
L'economia e la finan-za, in questa moderna Nazione europea - che tuttavia in
materia tribu-taria, applica ancora, in piena contraddizione, molti obsoleti Regi
Decreti - non devono essere più strettamente interpretate attraverso le sole formule
matematiche attuariali o ragionieristiche, affidate ai freddi numeri delle statistiche e
della contabilità dei "profitti e perdite" iscritti nei bilanci. Se l'economia di un Paese è
lo specchio che riflette il corso storico delle alterne Politiche dominanti con la
naturale emanazione di "politica aziendale" - a maggior ragione, di questi tempi che
vedono farsi largo la privatizzazione e la riforma della Pubblica Amministrazione
nonché l'insana idea che lo Stato, snaturandosi, possa essere amministrato come
un'azienda - è innegabile quanto la Politica medesima debba ricorrere alla
consapevolezza ed interiorizzazione del "sociale", analizzando i corsi ed i ricorsi
storici d'ogni realtà locale, per individuarne saggiamente i punti deboli, le falle.
Laddove la collega Paladino, secondo l'interpretazione della moderna scienza
sociologica, giustamente afferma che "… i riflessi dell'economia si riversano sempre
sulla realtà sociale" ritengo di dover ribaltare il concetto, alla luce della più classica
disciplina della Storia Economica, considerando che, al contrario, sono le diverse
"storie" della Storia ad influenzare le realtà economiche (quindi) sociali,
modificandole o, più spesso, esasperandole. E' inutile, infatti, riasfaltare le strade
senza averne prima riempito le buche, poiché, in breve tempo, al danno
incautamente riparato si aggiungerà nuovo irreparabile danno.
Non a caso, l'ouverture di questo lavoro di ricerca, è affidato ad un intervento di
certo spessore revisionista di un insospettabile padano, Giulio Tremonti, già ministro
dell'Economia e Finanze di questa Repubblica che, seppure ancor gravato da certi
granitici luoghi comuni, si inoltra come Indiana Jones nel territorio del "revisionismo
storico" ad oltranza, che pare essere diventato - da un po' di tempo - il "refugium
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peccatorum" dei rampanti politici in auge; quelli che "hanno scoperto l'acqua calda",
dimentichi di più illustri censurati predecessori quali Pasquale Villari, Giacomo
Mele, Antonio Gramsci, Carlo Alianello, Giustino Fortunato, Tommaso Pedio,
Angelo Manna, e tanti tanti altri.
Se Storia c'è da rivedere e raccontare, lasciamo che siano i meridionali a raccontarla e
non i padani a confezionarcela addosso, come un nuovo costume per il Carnevale
dell'anno! Per questi motivi, s'intende in questa sede rinfrescare un po' la memoria
storica, per comprendere la causa del sottosviluppo del territorio in esame ma anche
per invocare rispetto e interventi razionali per la Campania e per il Sud intero, poiché
è ora di amministrare equamente una intera Nazione, non essendosi mai verificato al
mondo, come accade in Italia, il paradosso di "uno Stato di due Nazioni".
Un dato è estremamente indicativo e serve di sprone: il 65% della popolazione
italiana è d'origine meridionale!
Marina Salvadore
Avvertenze:
Questa pubblicazione è scevra da intento accademico - che assolutamente non si
confà all'autrice - e non vuole essere né un saggio né un dossier. Per rendere agile e
gradevole la lettura della tesi a sostegno dell'impegnativo tema trattato si è pensato
di farne solo un libro di lettura; una piccola antologia meridionalista, inserendo
contributi anche d'altri autori e, soprattutto, una sezione satirica - "Riso Amaro"- che,
tra il serio e il faceto, contribuirà ad arricchire di "elementi" lo studio dei fenomeni in
esame. Inutile dire che questo lavoro è dedicato, in primis, alle autorità, alle
maestranze, agli amministratori della cosa pubblica ed ai "colleghi" napoletani
autoctoni, che hanno la fortuna di risiedere e lavorare nella loro splendida città,
perché sappiano "far cantare le pietre" di Napoli, per amarla un po' di più; è dedicata,
con una lacrima di "pucundria", ai "colleghi" emigrati da Napoli e da tutto il Sud
verso ogni Direzione Regionale M.E.F. del Nord Italia, perché ritrovino un briciolo
d'orgoglio patrio, perché non si sentano più "emigranti"; meglio, come diceva
spiritosamente Troisi, "turisti". Soprattutto, si convincano d'essere ITALIANI del
Sud!
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LA BANCA CHE IL SUD NON HA
di Giulio Tremonti, già ministro Economia e Finanza
IL MEZZOGIORNO, IL RILANCIO DELLO SVILUPPO E LA BANCA CHE NON
C'E'
Oggi, con una grande cerimonia ufficiale, si apre a Bari la vetrina del Mezzogiorno: la
Fiera del Levante. Facciamo qui di seguito un discorso che ha qualche probabilità di
non essere fatto. Il Mezzogiorno d'Italia - più di 20 milioni di abitanti - è l'unico
grande "territorio" d'Europa a essere sostanzialmente "debanca-rizzato". Non è stato
così, per secoli.
E non è così, nel resto d'Europa.
Dalla Scozia alla Catalogna, dalla Baviera alla Boemia ai Paesi Baschi, tutti i grandi
"territori" d'Europa hanno, di diritto o di fatto, banche proprie. Vecchissime o
nuovissime, grandi, medie o piccole, comunque banche autoctone. Banche che dei
propri "territori" testimoniano ed esprimono, sosten-gono e proiettano la vitalità
economica e sociale. E opposto nel Mezzogiorno. Certo molte banche sono attive nel
Mezzogiorno, ma non sono banche del Mezzogiorno. Non si tratta di una differenza
secondaria o finanziaria. Si tratta di una differenza primaria e sostanziale: sociale ed
economica, politica e storica. Fu la fine del processo di sviluppo del Mezzogiorno:
senza più una sua guida, sotto una guida esterna, l'economia meridionale si fermò.
Le classi lavoratrici restarono sulla terra. O furono poi spinte alla emigrazione.Le
classi dirigenti prima, e poi altri vasti strati di popolazione, iniziarono invece una
loro speciale migrazione interna, dentro la burocrazia del nuovo Stato centrale.
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Sopravvisse tuttavia, tanto era forte, il sistema bancario meridionale, basato sui
grandi istituti di Napoli, Sicilia, Sardegna, attivi nel Mezzogiorno, nel Nord e
all'estero. E su una vasta e complementare rete di banche territoriali. Poi di colpo -
più o meno nell'ultimo decennio - tutto è imploso e precipitato, fino al collasso. Per
cause diverse: per le radicali mutazioni intervenute nel sistema di aiuti di
finanza pubblica, italiani ed europei; per l'occupazione "politica" dellebanche, quasi
tutta degenerata, ma da quasi tutti tollerata. E per altro ancora. Non è questa la sede
per processare il passato, ma per guardare al futuro. L'attuale "debancarizzazione"
del Mezzogiorno è tanto sintomatica quanto problematica. Essa è insieme una prova
e una causa della sua crisi. In Europa c'è una doppia costante: lo sviluppo si produce
e si muove essenzialmente "per territori" e tutti i "territori" hanno proprie
banche.Perché il capitale finanziario è certo necessario per lo sviluppo ma, se anche
se ne dispone in quantità sufficiente, comunque da solo non basta. E' infatti il
"territorio" in sé che ingloba ed esprime le conoscenze strategiche essenziali per il suo
sviluppo. E' solo il "territorio", con la sua popolazione, con il suo capi tale umano che,
usando il capitale finanziario, può produrre lo sviluppo. Non è così nel Mezzogiorno,
unica terra d'Europa in cui le costanti sono diverse: la finanza pubblica è quasi per
compensazione storica chiamata a sostituire da fuori quella privata e quella privata -
quella che c'è - non è comunque propria del Mezzogiorno. Il problema non è tanto
oggettivo, quanto soggettivo. Non è tanto e soltanto quanto credito si eroga ed a che
prezzo.
E soprattutto chi lo eroga: con quale spirito, con quale reale impegno. Non sempre,
ma a volte ci si può spingere con lungimiranza oltre il gelido calcolo dei ratios. Le
"leggi finanziarie" sono certo necessarie, ma da sole non sono sufficienti. A loro volta,
le banche che operano nel "territorio", ma non sono del "territorio", non bastano. Nel
sistema manca un altro pezzo, che non si crea e non si porta da fuori. Con promesse
che creano illusioni e delusioni che portano nuove promesse. In un'eterna novena
sociale. Fino a che non sarà il Mezzogiorno stesso a terminarla. Il Mezzogiorno non si
può rassegnare ad avere un passato, ma non un futuro. Se ha un suo passato, può
avere un suo futuro. Ed è tempo che smetta di guardare nella sua ombra. Sarebbe
solo una tra le tantissime cose che si possono fare cose pratiche o cose simboliche,e
queste non meno importanti di quelle, ma ripartire dal Mezzogiorno per far rinascere
nel Mezzogiorno una sua banca, non è impossibile, è necessario.
(Giulio Tremonti - "Il Corriere della Sera" del 11/09/2004)
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Il nostro signor ministro (ex), vero esperto o, meglio, acclamato "tecnico di settore"
coram populo, al di là di certe affermazioni che per sua bocca - oggi - parrebbero
incredibili non avendo mai durante il suo ministero manifestato tendenze
meridionaliste, ha dichiarato ciò che da cent'anni van dicendo quei "poveri pazzi" di
meridionali-meridionalisti d'onore, mai "ascarizzatisi" nonostante il forte vento di
procella spirato sul Sud. Non sta a noi chiederci i motivi di questa postuma
"conversione sudica" (la Politica è sempre machiavellica, se veramente degna del suo
nome) ma accettiamo di buon conto, come atto liberatorio, le sue dichiarazio-ni… Un
solo appunto: quando dichiara che "…le banche che operano nel territorio, ma non
sono del territorio, non bastano."… ha avuto, nel contempo, la lungimiranza di porsi
il legittimo quesito circa la possibilità di istituzione, oggi, di banche del Sud, nel Sud,
per il Sud?… L'esposizione è stata magistrale, corretta, lucida e degna della sua
professionalità… ma… professor Tremonti … il problema da lei proposto è un
assunto filosofico e non un corollario matematico, poiché è un'ipotesi e non prevede
soluzione; una soluzione che lei stesso si esonera dall'avanzare! Un'utopia!… Come
ed in che modo potremmo crearci una autoctona Banca Nazionale del Mezzogiorno,
se il Banco di Napoli, tragedia annunciata, è appena spirato nelle braccia del San
Paolo di Torino… . Se l'esempio della Cassa per il Mezzogiorno è altamente letale, …
se il piano romano Keynesiano anni '60, fotocopia Roosvet è un ricordo terribile…
Qual è la soluzione? … Forse, qualcuno sta fomentando teorie secessioniste di
opposto segno padano - sudico - per far traballare le già scarse certezze del Governo
odierno?…Già, perché l'unica soluzione - tra le "sue" righe - sarebbe quella della
creazione di uno Stato Meridionale, un altro Stato… .
Invece, i meridionali da tempo si battono perché gli venga riconosciuto l'onore di
essere considerati, tra gli Italiani, i PRIMI… non foss'altro che per il fatto di aver
partecipato per circa il 65% alla fondazione della Prima Cassa del Regno d'Italia!
Ma, "carta canta", e le statistiche, come quelle degli albori - ricordate Ugo Zatterin;
quello del "mezzo pollo" a testa ad ogni italiano (c'erano, invece, pochi italiani che
mangiavano un pollo al giorno…e tanti altri…che l'avevano visto solo in fotografia!..)
- ..le statistiche, i sondaggi imperversano… nel pubblico e nel privato…
omogeneizzando, globalizzando, appiattendo… esasperando.
Nella Storia Economica conta, spesso, solo il buonsenso, nell'interpretazione dei
risultati, al di là dei dogma dei regimi, dell'appartenenza partitica, del balletto dei
numeri, come quando un buon magistrato applica la Legge, emettendo sentenza,
dopo aver proceduto per Analogia. Questo lavoro, per esempio, non è a destra né a
sinistra. E' a Sud! Proviamo a conoscere ed a capire la realtà del Sud, attraverso il suo
racconto.
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Oggi, le asettiche cartelle cliniche Eurispes ed Istat ci informano così, circa il suo stato
di salute:
…da rapporto EURISPES 2003 / Economia
NORD-SUD.CRESCE IL DIVARIO TRA NORD E RESTO DEL PAESE
Un'Italia a tre velocita': la rileva l'Eurispes per quanto riguarda la distribuzione del
reddito segnalando che ''le regioni del Centro sono caratterizzate da dinamiche
proprie, non riconducibili all'una o all'altra parte della tradizionale dicotomia Nord-
Sud''. Piuttosto, ''sarebbe dunque probabilmente più opportuno parlare di almeno 3
Italie - il Nord, il Centro, il Sud (non del tutto omo-genee al proprio interno) - e
partire da questa constatazione per tratteggiare i contorni di un Paese in cui le
disparità economiche tra differenti aree, anziché attenuarsi, vanno accentuandosi''. Il
reddito medio delle famiglie italiane, al netto delle imposte sul reddito e dei
contributi previdenziali e assistenziali, ammonta a 26.098 euro (pari a circa 50 milioni
di vecchie lire). Il dato del 2000 segna un incremento percentuale rispetto al 1998 del
4,7%. Tuttavia, cresce sensibilmente il gap rilevato tra le famiglie
Tuttavia, cresce sensibilmente il gap rilevato tra le famiglie residenti al Nord (che
dispongono annualmente di 30.678 euro) e le famiglie residenti al Centro e nel
Mezzogiorno d'Italia, per le quali il 2000 registra un reddito famigliare medio
rispettivamente di 26.650 euro e di appena 19.380 euro. I dati regionali aggiungono
complessità all'analisi: ''i redditi medi pro capite relativi a tutte le regioni meridionali
sono inferiori alla media nazionale (posta pari a 100) e tra queste alcune realtà sono
in condizione di particolare disagio: si tratta della Sicilia, della Calabria, della
Campania e della Basilicata''. I divari esistenti tra le diverse zone del Paese nella
distribuzione del reddito tra le famiglie hanno conseguenze rilevanti sulla povertà.
In Italia vive al di sotto della soglia di povertà ben il 12% delle famiglie, di cui una
percentuale impressionante (il 66,3%) e' residente nelle regioni del Sud, il 13,6% al
Centro e il 20,1% al Nord.
(Sec-Tna/Gs/Adnkronos)
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ISTAT
Campani i più poveri, ma il Sud recupera terreno rispetto al Nord
Emilia-Romagna la regione più ricca.
Il Mezzogiorno ha registrato una crescita più sostenuta del reddito disponibile. Ma il
gap con i più ricchi resta dell'84%
ROMA - È in Emilia-Romagna che vivono gli italiani più ricchi, in Campania quelli
più poveri: il reddito procapite disponibile della più ricca regione italiana supera
infatti i 17 mila euro contro i 9.800 del regione fanalino di coda. Dati che emergono
da una ricerca Istat: tra il '95 e il 2002 il reddito disponibile delle famiglie si è
concentrato per circa il 53% al Nord, per circa il 26% al Mezzogiorno e per il restante
21% al Centro. La ricchezza resta quindi raccolta nelle regioni settentrionali, ma c'è
da registrare che nei 7 anni presi in esame hanno perso un punto percentuale a
vantaggio di quelle meridionali. Il Sud rosicchia quote, mentre le regioni centrali
restano sostanzialmente stabili nel periodo.
IL REDDITO DISPONIBILE - Rispetto a un incremento medio nazionale del 28% dal
1995 al 2002, il Mezzogiorno ha registrato la crescita più sostenuta (31,6%), mentre
quella più debole si riscontra nelle regioni del Nord Ovest (25,3% in sette anni).
Molise, Campania e Sardegna fanno segnare i tassi di crescita più elevati
(rispettivamente 35,1%, 34,6% e 34,2%) Il Piemonte è invece la regione con la crescita
più bassa (22,1%). Il gap tra famiglie del Nord-Ovest e quelle meridionali resta
comunque nel 2002 dell'84%.
AL SUD PIÙ IMPOSTE MA MENO PRESTAZIONI SOCIALI - Le imposte correnti
hanno subito in 7 anni un aumento del 37,7% a livello nazionale, e i contributi sociali
del 15,3%, contro un aumento del 38,8% delle prestazioni sociali. Il Mezzogiorno è
l'area in cui l'aumento di imposte e contributi sociali risulta più marcato e al di sopra
della media nazionale (rispettivamente 48,8% e 22,8%). L'aumento più contenuto si
verifica nel Nord-ovest, dove le imposte crescono del 31,4% ed i contributi sociali del
18,1%. Dal 1995 al 2002 è quindi cresciuta la quota di gettito fiscale e contributivo
pagata dalle regioni meridionali rispetto al totale nazionale (dal 21,3 al 22,2%),
mentre diminuisce l'apporto delle regioni nord-occidentali (dal 34,8 al 33,9%). Il
Mezzogiorno registra, invece, il più basso tasso di crescita delle prestazioni sociali
ricevute (37,2%), che crescono in maggior misura nel Centro (40,5%).
LOMBARDIA E LAZIO PIÙ TARTASSATE DAL FISCO - La pressione fiscale più
elevata è quella del Nord e la più bassa quella del Mezzogiorno: in particolare la
Lombardia e il Lazio sono le regioni che registrano i valori più alti, la prima
passando dal 14,7% nel 1995 al 15,3% nel 2002 e la seconda dal 14% del 1995 al 15,2%
del 2002. La Calabria, invece, registra la pressione fiscale più bassa (passando
dall'8,8% al 10,5%). Tuttavia la forbice tra Nord e Sud va gradualmente riducendosi,
proprio a seguito della diversa dinamica delle imposte: la distanza era, infatti, di 4
punti nel 1995 e si è ridotta a 3,4 nel 2002
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IN EMILIA ROMAGNA I REDDITI PIÙ ALTI - L'analisi dell'Istat sui redditi
procapite si ferma al 2000. In quell'anno i cittadini più ricchi sono risultati quelli
emilianI: 17.700 mila annui in media. Segue il Trentino Alto Adige (17.500 mila euro),
la Valle d'Aosta (17.300) e la Lombardia (17.200). Ultima in classifica la Campania con
un reddito procapite di 9.800, preceduta da Calabria, Sicilia e Puglia.
( Corriere della Sera 21 settembre 2004)
Il continuo bombardamento di sondaggi serve a favorire il "condizionamento"
dell'opinione pubblica; se così non fosse, per quale motivo - alla luce dei costanti
avvilenti dati statistici - il governatore della Banca d'Italia, Fazio, nei giorni
immediatamente successivi all'Istat, ha sostenuto che il SUD sarà il nuovo motore di
sviluppo dell'Italia intera? Bene, bravo! La notizia ci riempie d'orgoglio ....ma
crediamo che almeno qualche chiarimento sia d'obbligo, o NO?!
Il tema della necessità d'istituzione di una Banca Centrale del Sud sarà ancora
trattato nelle pagine successive; per il momento, si ritiene illuminante riportare un
autorevole commento del prof. Nicola Zitara, esperto di Storia Economica sulla
questione pubblicamente sollevata da Giulio Tremonti. Trovandoci concordi,
l'esperto rileva che: "…l'originale sortita di Tremonti sul Corriere della Sera continua
per mano del meridionalista in capo, Antonio Bassolino, governatore della
Campania, il quale ci fa sapere di avere ingaggiato un intero manipolo d'esperti al
fine di creare al Sud una banca di credito a medio termine. Non è inutile ricordare
che il Sud ha avuto, in tempi non tanto remoti, non UNO ma ben TRE istituti di
credito industriale; uno, per il SUD continentale (Isveimer), uno per la Sicilia (Irfis) e
uno per la Sardegna (Cis); istituzioni che si presuppone esistano ancora nei capitoli
della spesa pubblica. Nessuno di essi ha prodotto qualcosa, tranne i super-stipendi di
veri reggimenti di impiegati che, per la verità, è l'unica cosa che soddisfi l'interesse di
noi meridionali! Sbaglia Bassolino a ritenere che lo sviluppo di un sistema industriale
è legato al potere e all'efficienza delle banche. Senza la volontà dello Stato e i mezzi
che esso è in condizione di mettere in campo, un'ipotesi del genere è soltanto
fumo."…….
Lo Stato italiano ha affrontato consistenti spese per Napoli e per il Sud ma non ha
mai operato in modo da far pensare che considerasse di carattere nazionale le attività
economiche che vi si svolgevano. Anzi, all'opposto, ha sacrificato dette attività tutte
le volte che potevano disturbare la preminenza delle regioni in cui operava l'alleanza
municipalistica fra i produttori (Liguria, Piemonte, Lombardia, una parte della
Toscana, l'Emilia, Trieste e il Lazio di Roma e dintorni.
Ergo, a Bassolino lasceranno rifare tutte le Isveimer che gli riescono e magari
Tremonti gli darà una mano ma sarà danaro due volte buttato via dalla finestra. Gli
investimenti industriali vogliono dire STATO. Se lo Stato non c'è, non si fanno. La
gente del Sud continuerà a pagare, ma a beneficio dei cittadini padani e bossisti.
Come sempre.
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La Scienza dello Spirito ritiene che i problemi che si presentano ciclicamente agli
esseri umani, nel corso delle diverse età evolutive, siano sempre gli stessi,
riproponibili all'infinito se l'atteggiamento mentale dell'individuo sarà costante
nell'opporre al problema sempre la stessa soluzione.
Solo quando si modificherà l'atteggiamento nei riguardi del problema (cioè, una
diversa metabolizzazio-ne o consapevolezza di esso) cambierà istintivamente la
politica nell'affrontarlo e ne risulterà modificata la conseguente azione di risoluzione;
anche per le istituzioni, per i governi, vale ciò ch'è detto per i singoli. Nel caso
trattato, potremmo all'infinito inventarci dieci Casse per il Mezzogiorno,
alternandole a cento Isveimer, ripetendo all'infinito l'errore e non addivenendo mai a
soluzione, fino a quando non si sarà in grado di metabolizzare, nella piena
conoscenza ch'è consapevolezza, il problema storico del Mezzogiorno e l'origine di
tutti i suoi guai. Ancora oggi, troppi luoghi comuni e menzogne di comodo premono
sull'identità meridionale, avvolgendola come in un mortale sudario. Tutto è
riconducibile all'ignoranza di fondo dei veri motivi scatenanti la Questione
Meridionale; un'ignoranza ch'è genuinamente manifesta solo in rari casi poiché in
molti altri, invece, è palesemente e falsamente ostentata, autodefinendosi per quel
che è realmente ovvero subdolo strumento politico! Prova ne è la seguente "querelle",
scelta a campione in un mare spropositato di luoghi comuni:
da: "Corriere della Sera" - domenica 12/05/2000 - "Lettere al Corriere" pag. 33 lettera
di Marco F.:
"Caro Mieli, la Lega ha accantonato la secessione. Peccato, perché i reportage che
arrivano ciclicamente dalla Sicilia mi fanno pensare che sarebbe la soluzione migliore
per tutti. Anche per la Sicilia, che da sola sarebbe infatti costretta a rimboccarsi
finalmente le maniche. Gentile signor F. da 141 anni il Nord ed il Sud dell'Italia si
comportano esattamente - forse, in maniera meno pirotecnica ma ugualmente
dannosa - come la Palestina ed Israele. E sa perché? Perché gli italiani continuano a
cibarsi dei soliti luoghi comuni ammanniti insieme alla menzogna ed alla viltà da
quel risorgimento che fu SOLO del Nord, ai danni degli stati pre-unitari, con
particolare riguardo al Regno delle Due Sicilie. La storia di quattromila anni di
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CIVILTA' del Sud fu volutamente occultata. Giustamente, Lei sproloquia i soliti
luoghi comuni sulla demoralizzata Sicilia perché - come e quanto gli stessi
meridionali - a scuola Lei ha studiato sui medesimi libri inneggianti ai Padri della
Patria, ma appare impossibile, oggigiorno, dopo il processo revisionistico della storia
proibita ante-Italia, non prendere coscienza di pillole di verità, ben supportate dalle
fonti, per cui questo continuo riciclo di frasi fatte non onora chi le profferisce.
Sarebbe come dire che i genovesi sono TUTTI avari; i napoletani TUTTI assistiti, i
siciliani TUTTI mafiosi, i palestinesi TUTTI ter-roristi… e via di seguito. Un po' di
informazione non guasta; quindi, se manca dei rudimenti della Storia italica,
generosa-mente glieli fornisco. Un celebre saggio dello studioso inglese David
Abulafia - e, sottolineo "inglese" - tratta appunto della superiorità del Sud nel periodo
da questi preso in esame ovvero fra il 1200 ed il 1300 (Abulafia ha scritto opere
ineguagliabili sui Regni del Mediterraneo; notevole è il suo saggio su Federico II
meglio conosciuto come Stupor Mundi, ne ha mai sentito parlare, signore?
Egli, sostiene che il Sud era molto ricco, produceva ampie quantità di cibo,
indispensabili per la sopravvivenza delle regioni settentrionali. I mercanti del Nord
dovevano scendere in Sicilia o in Campania per fornirsi non solo di generi alimentari
ma anche di cotone e di seta. Sotto gli Svevi, gli Angiò e gli Aragona, il Mezzogiorno
era dunque prospero e RICCO e lei può misurare la bontà del grado di civilizzazione
del Sud, semplicemente verificando l'ingente produzione di arte e cultura di quel
territorio in quell'epoca : un popolo lacero, triste ed affamato - quale sarebbe nella
visione di certi nordisti pasciutisi di luoghi comuni - non farebbe filosofia, musica,
teatro, Arte, poiché queste sono peculiarità di popoli che vivono sereni e che non
sono costretti ad impigrire lo spirito per via dello stomaco vuoto ma che, in virtù di
una buona qualità della vita possono spaziare anche nell'estetica Se esiste IL
TEATRO, per esempio, lo si deve al cinquecentesco BasiIe, napoletano (Ha presente?
"Lo cunto de li cunti")...Se esiste la musica, l'opera, lo si deve forse a Napoli con tutti i
suoi conservatori; Napoli che nel '700 era LA REGINA dell'OPERA!!!!!! Le Due
Siciliae, Nazione ch'è stata autodeterminata ed indipendente per circa 8 secoli, senza
MAI modificare i suoi confini, è morta stuprata, oltraggiata, spogliata dai
piemontardi savojardi, nel 1860. Oh! Lo so, lo so, adesso Lei penserà che gli
"oscurantisti" Borbone ne decretarono la fine (chissà su quanti libri di scuola l'ha
letto, dalle elementari all'Università)...