Nel 1749, alla nascita di A.N. Radiščev, il potere in Russia era nelle mani di
Elisabetta, figlia di Pietro il Grande, salita al trono con un colpo di stato nel 1741.
Per molti la sua ascesa al trono rappresentò la fine uno scandaloso dominio
straniero. Infatti, durante il regno di Anna (1730-1740) e quello di Ivan VI (1740-
1741) il potere fu in mano al cosiddetto “partito tedesco”, ovvero ai favoriti che
Anna portò con se dalla Curlandia.
Nonostante il tentativo dell’imperatrice stessa di paragonarsi al padre Pietro
il Grande, Elisabetta, come del resto Anna, non riuscì a lasciare una traccia
nell’evoluzione sociale ed economica della Russia del tempo. Di fronte alla
crescente piaga della servitù della gleba, persino un provvedimento illuminato e
lodevole come l’abolizione della pena di morte, voluta da Elisabetta, risulta poco
significativo. Nel 1755 Ivan Šuvalov, favorito dell’imperatrice, uomo di rara integrità
e gentilezza interessato a favorire la diffusione della cultura in Russia, fondò a
Mosca, insieme a Michajl Lomonosov, la prima università russa di cui diventerà
direttore Argamakov, parente e protettore di A.N. Radiščev. Nel 1759 Elisabetta
creò il Corpo dei paggi. L’intenzione era di trasformare la figura del paggio,
introdotta da Pietro il Grande, da servitore a persona in grado di ricoprire alte
cariche a corte e nello stato. Per raggiungere il suo intento impose ai paggi lo
studio di diverse discipline.
La politica finanziaria del regno fu disastrosa e, insieme al problema della
servitù della gleba, provocò fughe e rivolte di contadini che saranno una
caratteristica del periodo.
Alla morte di Elisabetta, alla fine del 1761, i tedeschi, sostituiti durante il suo
regno da russi, tornarono di prepotenza al potere. Infatti, il suo successore, già
nominato nel 1742, divenne Carlo Pietro Ulrico di Holstein-Gottorp, figlio della
sorella di Elisabetta, Anna, e del duca di Holstein-Gottorp.
Il regno di Pietro III venne considerato da molti anti-russo e troppo filo
prussiano. La decisione di ritirarsi dalla guerra dei sette anni, che avrebbe
probabilmente visto una sconfitta della Prussia con notevoli guadagni territoriali da
parte della Russia, fece crescere il malcontento e l’ostilità nei confronti del
regnante.
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Nel frattempo la moglie Caterina per adattarsi al difficile ambiente, si era
convertita all’ortodossia, aveva imparato a fondo la lingua e la letteratura russe e
aveva approfondito la conoscenza del suo nuovo paese e del suo governo,
guadagnandosi la fiducia di numerosi sostenitori. Si era dedicata inoltre alla lettura
di Montesquieu, Voltaire e di altri philosophes; questo suo interesse per
l’illuminismo si rivelerà importante per il suo futuro regno.
Nell’estate del 1762 Caterina guidò una rivoluzione di palazzo; l’imperatore
venne assassinato e così, dopo un periodo in cui i regnanti si succedettero
rapidamente, iniziò un lungo e celebrato regno.
Nonostante le difficoltà e la diffidenza iniziali, col tempo riuscì a consolidare
la propria posizione anche grazie ai viaggi attraverso tutta la Russia ed alla
distribuzione di ricompense, in particolare dei terreni di stato e dei relativi
contadini, che diventavano così servi della gleba.
Una volta che il suo regno acquistò maggiore legittimità, Caterina
introdusse alcuni importanti cambiamenti basati sui fondamenti dell’Illuminismo. In
particolare, nel 1766, creò la commissione legislativa. Con questa commissione, il
cui compito era di codificare le leggi, Caterina sperava di razionalizzare e
modernizzare le leggi e la vita russa in generale. Per dare delle direttive alla
commissione emise un nakaz (direttiva, istruzione) che risultò singolarmente
liberale. Scritto di suo pugno ed ispirato ai principi dell’Illuminismo, specialmente a
Montesquieu e a Beccaria, fu un adattamento, talvolta a costo di un radicale
stravolgimento, delle idee espresse dal primo in “Lo spirito delle leggi”, alla realtà
russa. Per quanto riguarda Beccaria, Caterina poté permettersi di seguire più da
vicino quanto espresso in “Dei delitti e delle pene” dichiarandosi contro la pena
capitale e la tortura e sostenendo la prevenzione del crimine. La commissione
ebbe però vita breve. Causa principale del suo scioglimento ad opera
dell’imperatrice stessa furono i contrasti sorti tra le diverse classi sociali
rappresentate (ne erano esclusi solo i servi della gleba ed il clero, rappresentato
solo da un deputato del Santo Sinodo). Il malcontento che andava aumentando
nel popolo sfociò nella rivolta di Pugačëv, ispirata ad altre rivolte delle classi
inferiori, quale quella di Stepan Timofeevič Razin che nel 1670 capeggiò una
grande insurrezione contadina, rivolte ad abbattere l’ordine costituito.
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Una delle conseguenze di questa ribellione fu l’introduzione di un nuovo
sistema di governo locale volto a porre rimedio alla perenni carenze organizzative
ed amministrative del paese. Questo nuovo sistema si inserì in modo ottimale nel
programma di collaborazione dell’imperatrice coi proprietari terrieri; programma
che aveva già visto la concessione alla nobiltà di altri privilegi e che aveva portato
ad un’inevitabile aumento della servitù della gleba. Questo aumento sarà una delle
caratteristiche del regno di Caterina II.
Gli sforzi compiuti dall’imperatrice per civilizzare la Russia furono notevoli e
riguardarono da vicino il commercio, l’industria, l’istruzione e la cultura in genere.
Tra le altre opere fondò un collegio medico, degli ospedali, e promosse delle
iniziative, sebbene limitate, volte a portare aiuto a vedove ed orfani.
Nonostante i problemi interni, Caterina II non trascurò mai la politica estera
e particolarmente incisivi furono gli interventi in Turchia e Polonia. Tra il 1768 ed il
1795 la Russia intraprese due guerre contro la Turchia (1768 -1774 - prima guerra
turca, combattuta in modo insolito per la Russia sia per terra che per mare; 1787-
1792 - seconda guerra turca) ed una contro la Svezia (1788-1790); mentre 1772 ci
fu la prima spartizione della Polonia, cui ne seguirono altre due tra il 1793 ed il
1795.
Durante questo periodo l’ostilità dell’imperatrice, che in un primo momento
cercò di minimizzare il peso degli eventi e di scinderli dall’Illuminismo, nei confronti
della Rivoluzione Francese andò crescendo. Il risultato fu che, per quanto
riguardava le relazioni internazionali, diradò i rapporti con la Francia fino ad
interromperli completamente dopo l’esecuzione di Luigi XVI, e approfittò della
confusione generale per procedere alla seconda ed alla terza spartizione della
Polonia, senza interferenze esterne. In patria, invece, divenne contraria al clima
culturale che lei stessa aveva contribuito a creare, prendendosela con gli
intellettuali critici. In particolare nel 1789 condannò a morte, commutando poi la
pena nel confino in Siberia, A.N. Radiščev che, in vari scritti, aveva esplicitamente
denunciato la servitù della gleba, il dispotismo e la corruzione, e aveva proposto
l’instaurazione di una repubblica in cui il cittadino godesse di piena libertà.
Nel 1796 salì al trono l’imperatore Paolo, figlio di Caterina II, che, escluso
dal potere durante il regno della madre, aveva finito per odiare lei e tutto ciò che
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essa rappresentava. Caratteristica del breve regno di Paolo fu, oltre alla tirannide
derivante dal suo carattere, di sovvertire tutto quanto fatto dalla madre. Liberò dal
carcere e dall’esilio molte delle persone fatte condannare dalla madre ma, per
ragioni diverse, ne fece imprigionare e condannare molte altre.
Anche Paolo, come la madre prima, promosse la servitù della gleba,
distribuendo terre e contadini ai favoriti ma in più represse con la violenza
qualunque ribellione o protesta dei contadini e delle classi inferiori e non nutrì la
stessa simpatia e fiducia per la piccola nobiltà. Per la prima volta nella storia
Russa l’imperatore tentò di regolamentare e limitare gli obblighi dei servi della
gleba. Nonostante la sua legge non venisse applicata, rappresentò una svolta
nell’atteggiamento del governo nei confronti della servitù della gleba, la cui
limitazione e abolizione divennero, da quel momento, concrete questioni della
politica di stato.
Una traccia più significativa il regno di Paolo la lasciò in politica estera. In
particolare, dopo un primo momento in cui dichiarò di volere la pace, entrò in
guerra contro la Francia nella cosiddetta seconda coalizione (Russia, Gran
Bretagna, Austria, Regno di Napoli, Portogallo e Turchia). Nel 1800 però, con un
vero e proprio voltafaccia, uscì dalla coalizione e si schierò con la Francia,
vedendo nell’ascesa di Napoleone una garanzia di stabilità e la fine della
Rivoluzione Francese.
Nel 1801 Paolo venne assassinato con un complotto. Al suo posto salì al
trono il figlio Alessandro I.
Alessandro I fu una figura alquanto enigmatica e controversa e alcuni storici
attribuiscono le contraddizioni che saranno tipiche del suo regno al fatto che
venne cresciuto dalla nonna Caterina II secondo i dettami dell’Illuminismo.
L’ascesa al trono di questo sovrano affascinante e promettente, fu accolta
con grande entusiasmo. Egli infatti appariva come l’incarnazione del meglio
dell’Illuminismo, ovvero del progressismo umanitario, della dignità e della libertà
umane. Le sue prime iniziative confermarono questa impressione. Abolì, infatti, le
restrizioni sui viaggi all’estero e sull’ingresso in Russia degli stranieri; addolcì la
censura; concesse la riapertura di case editrici private; ridiede valore agli statuti
concessi alla nobiltà e alle città da Caterina I; abolì la tortura e concesse
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un’amnistia che restituì le posizioni precedenti a circa dodicimila uomini allontanati
da Paolo I. Prese anche seriamente in considerazione i problemi inerenti la servitù
della gleba, l’autocrazia, l’arretratezza generale del paese e la corruzione ma,
nonostante i suoi sforzi, i risultati non furono tangibili. Apparentemente era sua
intenzione abolire autocrazia e servitù della gleba ma i pericoli e l’inadeguatezza
dell’amministrazione e l’opposizione della nobiltà alla riforma frenarono il suo
slancio.
Nel 1802, A.N. Radiščev, reintegrato nei suoi diritti da Alessandro I e nominato
membro della commissione di compilazione delle nuove leggi, vedendosi
nuovamente minacciato di esilio per un progetto di riforme troppo radicali, si
suicidò.
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N. M. Karamzin
A.N.Radiščev: alcuni cenni sul periodo letterario
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Pietro il Grande si era prefisso lo scopo di avvicinare la Russia all’Europa, e
per ottenere la diffusione della cultura cercò di facilitarne l’apprendimento. Primo
passo per il raggiungimento del suo scopo fu l’introduzione nelle tipografie del
graždanskij šrift (caratteri civili), più semplice dell’alfabeto antico slavo, e
l’imposizione di tradurre le opere scientifiche non nella lingua slavo-ecclesiastica
ma in quella parlata. Il risultato non fu quello da lui auspicato ma l’introduzione
della lingua parlata fu comunque un passo avanti verso la formazione di una
lingua letteraria specificamente russa.
Alla diffusione della cultura e all’apertura verso l’Europa contribuì,
ovviamente, lo sviluppo della stampa ma anche il trasferimento della capitale da
Mosca a S. Pietroburgo. Questo passaggio materiale comportò, infatti, anche uno
“spostamento spirituale”, la diffusione delle idee illuministiche risultò più semplice
“in una Pietroburgo barocca e classica di monumenti e di aspetti” che non “nella
vecchia Mosca conservatrice”.
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L’apertura si ebbe nei confronti della Germania, dell’Italia ma in particolare
della Francia. In campo letterario fu il classicismo francese a giocare il ruolo
principale. Questo però non significa, come si è sostenuto per lungo tempo, che il
settecento russo fosse solo imitazione, anzi, date le diverse reazioni ed influenze,
si ebbero manifestazioni di originalità e legami col passato del paese.
I principali esponenti di questo movimento furono Kantemir, Trediakovskij,
Sumarokov e Lomonosov.
Kantemir (1708-1744), nobile e colto che fu anche ambasciatore a Londra e
Parigi, dove conobbe e frequentò diversi letterati francesi tra cui Montesquieu, fu
scrittore di satire. Grazie alle sue immagini vigorose, prese dalla vita russa
contemporanea, può essere considerato il primo scrittore realista russo.
Trediakovskij (1703-1769), primo russo non nobile a ricevere un’istruzione
umanistica all’estero, scrisse versi senza alcun valore letterario, il suo unico merito
è di aver scritto dei trattati di teoria metrica e prosodica che risultarono molto
importanti al loro tempo e che appaiono interessanti ancora oggi.
Costoro furono dei precursori ma il vero fondatore della cultura russa
moderna fu Lomonosov (1711-1765). Appassionato patriota e studioso delle
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Ettore Lo Gatto – “ II. Le origini della letteratura moderna” in “Storia della letteratura russa” – Sansoni, Firenze, 1992
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scienze, divenne direttore dell’Accademia delle Scienze e combatté aspramente il
cosiddetto partito tedesco che cercava di trasformare l’Accademia russa in una
lobby tedesca. La sua figura ebbe grandissima importanza nel campo delle
scienze. In campo letterario fu più che tutto un normatore. Fissò i canoni della
lingua letteraria ed introdusse una nuova prosodia. Diede forma al nuovo
linguaggio letterario trovando un compromesso tra la vecchia lingua slavo-
ecclesiastica, che già prima di lui aveva cessato di essere la lingua letteraria, e il
nuovo idioma russo. Carattere importante della sua dottrina linguistica è quello dei
tre stili di dizione, distinti in base alla presenza di elementi slavi.
Aleksandr Petrovič Sumarokov (1718-1777) fu invece il primo russo a
dedicarsi alla letteratura come professione. Il suo stile, antitetico a quello
magniloquente e altisonante di Lomonosov da lui considerato mišura (orpello), era
semplice e schematico. Il genere letterario che predilesse, e con lui altri scrittori di
quel periodo, fu la poesia in giambi. La parola aveva un ruolo centrale nel
componimento che doveva presentare idee e sentimenti, attraverso frasi semplici
e ben costruite.
Continuatore della scuola poetica iniziata da Sumarokov fu Cheraskov
(1733-1788) che presto però si volse al sentimentalismo, ispirato almeno
inizialmente a quello di lingua tedesca, che stava ormai soppiantando le tendenze
precedenti.
Ma il più grande poeta russo del XVIII secolo fu Gavril Romanovič Deržavin
(1743-1816). La sua opera è quasi esclusivamente lirica e soprattutto è nella lirica
che l’immaginazione raggiunge l’apice della potenza e dell’acutezza. Pur
seguendo lo spirito del classicismo, fu un audace innovatore mescolando il
sublime al realistico e al comico. Ma soprattutto fu il più eloquente cantore dei temi
di sempre della poesia; non fece niente però per elevare il gusto letterario e
migliorarne il linguaggio.
I canoni letterari introdotti nella prosa da Lomonosov restarono in vigore
fino all’avvento di Karamzin. Per lui fu cruciale la questione della lingua ed
esattamente mirava ad avvicinare la lingua russa a quella francese, distinguendola
sempre più dalla lingua slavo-ecclesiastica e dal latino. Modificò la sintassi sul
modello francese ed eliminò termini antico-slavi per introdurre gallicismi. Così
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facendo eliminò i tre stili, introdotti da Lomonosov, allontanando la lingua parlata
da quella scritta. Nonostante tutto però queste sue riforme risultarono “vittoriose” e
la lingua da lui introdotta diventerà la lingua dei grandi poeti, primo tra tutti
A.S.Puškin. Un altro importante aspetto promosso da Karamzin fu l’introduzione di
una nuova sensibilità. Per la prima volta, infatti, anche se parzialmente preparata
dall’introduzione dei romanzi sentimentali e del pietismo, venne predicata la virtù
come risultato della bontà naturale dell’uomo.
In Russia, nel periodo in cui visse e operò A.N. Radiščev, alle soglie del
nuovo secolo, erano già sufficientemente visibili i segni della crisi del sistema della
servitù della gleba e della corruzione dell’assolutismo.
A.N. Radiščev fu l’unico tra gli intellettuali del suo tempo ad affrontare la
questione dell’eliminazione dell’ordinamento autocratico in modo coerente. Altri,
secondo una concezione idealistica intendevano e spiegavano i fenomeni storico-
sociali riponendo un’eccessiva fiducia nell’Illuminismo. Solamente Radiščev,
avendo compreso e sviluppato l’idea di fondo dell’ideologia dell’Illuminismo, ne
trasse conclusioni davvero rivoluzionarie. Egli, durante il periodo di servizio presso
lo Stato Maggiore alle dipendenze del generale Bruce, non solo vide con i propri
occhi la sofferenza del popolo schiavizzato, fino a quel momento conosciuta solo
attraverso gli scritti di alcuni illuministi e le riviste di Novikov, ma teorizzò la lotta di
liberazione spontanea dei contadini russi dalla tirannia dei proprietari terrieri e
dall’oppressione del sistema della servitù della gleba. La sua visione del mondo
venne inoltre fortemente influenzata dalla più grande manifestazione dell’ira del
popolo: la rivolta di Pugačëv. Ciò che distinse Radiščev dagli altri scrittori del suo
tempo, amanti della libertà, quali Fonvizin, Novikov, Kapnist e altri, fu il fatto che
costoro, con i loro attacchi critici all’autocrazia, non attentarono mai all’egemonia
della nobiltà e ai principi dell’assolutismo, cosa che invece fu tra le principali
caratteristiche dell’opera di Radiščev. A proposito dei sopraccitati scrittori
Dobroljubov affermerà che attaccarono “particolari manifestazioni del male, senza
eliminarne il nucleo stesso… quasi mai giunsero alla sostanza vera del male, non
si scagliarono con una minacciosa denuncia contro ciò da cui derivavano le
ristrettezze e la povertà del popolo.”
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N.A.Dobroljubov cit. tratta da Orlov, Vladimir Nikolaevič: « Radiščev i russkaja literatura »
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