giudiziarie, amministrative e politiche del regno “visitato” tutti coloro
(funzionari, magistrati, ministri) che erano accusati d’aver commesso reati
di corruzione nei confronti dei sudditi e dello Stato. Questo particolare tipo
di ispezione comparve nella prassi giuridico-amministrativa castigliana
verso la fine del XV secolo essendo stata affinata sul piano delle procedure
e dei contenuti dalle Cortes di Toledo nel 1480. A seconda dell’ampiezza
del mandato affidato ai visitatori, le visitas potevano essere generali,
quando comprendevano la totalità o parte dell’organizzazione
amministrativa di un Regno (come avveniva in Navarra e con frequenza
nelle Indie o in Italia), o particolari. In questo ultimo caso vennero usate
fondamentalmente nei confronti di singoli ufficiali.
I visitatori erano consci della grandezza e dell’importanza del loro
compito, del servizio reso al sovrano ed allo Stato e il loro lavoro, ingrato e
difficile, richiedeva complesse competenze e grande impegno. Essi
avevano ricevuto il loro mandato direttamente dal re, il quale, secondo la
dottrina giuridica assolutistica, era in potere di far valere la sua superiorità
sulla legge positiva, superiorità che si estendeva alla legge penale e
processuale.
Le visite generali nel Regno di Napoli furono inaugurate da Carlo V
con la concessione dei privilegi di Ratisbona del 1532. Lo stesso
imperatore chiese nel 1531 al Regno un donativo di seicentomila ducati
per contrastare l’avanzata dei Turchi contro l’Impero e in cambio approvò
le richieste del parlamento napoletano, formulate in capitoli. Tra i capitoli
approvati vi erano quelli che prevedevano, per una migliore
amministrazione della giustizia, la sostituzione ogni tre anni dei Reggenti
della Cancelleria, che al termine del loro mandato dovevano essere
sottoposti a sindacato. Fu stabilito, inoltre, che ogni tre anni tutti gli
ufficiali del Regno, consiglieri e ministri di tutti gli altri tribunali,
venissero visitati da controllori inviati appositamente dal sovrano e
debitamente puniti nel caso fossero accertate scorrettezze e malversazioni
nella gestione del Regno. Inoltre, il visitatore era tenuto, anche se ciò
avveniva in maniera meno frequente, a raccogliere le denunzie contro
quanti erano stati accusati di “violenze, lesioni personali e talvolta delitti”
3
.
Le Visite Generali a Napoli non si tennero ogni tre anni, come
stabilito nel 1532 da Carlo V, ma vennero effettuate in relazione alle
necessità finanziarie o politiche dei sovrani spagnoli. Secondo il Gentile, le
Visite Generali nel Regno furono in tutto sette.
La scelta dell’argomento è stata dettata dalla volontà di
approfondire, attraverso lo studio dei documenti originali dell’epoca, la
reale diffusione della corruzione nelle strutture amministrative periferiche
del Regno di Napoli, additato dagli storici come esempio di malgoverno;
un malgoverno che, rivelando e provocando mancanza di rispetto per le
istituzioni, produce una generalizzata diffusione della corruzione e una
attenuazione delle difese sociali contro le sue manifestazioni più visibili.
Lo studio delle visitas, quindi, è uno strumento per indagare più a fondo la
struttura dello Stato (sia centrale che periferica) e del potere nel Regno di
Napoli. I legajos che ho potuto consultare presso l’Archivio Generale di
Simancas (documenti che risalgono al periodo 1606-1610 e che ho
utilizzato per realizzare il mio lavoro) riguardano vari episodi di
corruzione di cui è accusato Muzio De Angelis, i suoi fratelli Francesco e
3
G. Coniglio, Visitatori del viceregno di Napoli, (Società di storia patria per la Puglia.
Documenti e monografie, XXXVIII), Bari, Tip. del Sud 1974, p. 7.
Benedetto, oltre ad alcuni suoi “commissari;” episodi verificatisi quando il
De Angelis era percettore provinciale in Terra di Bari e compiuti a danno
di privati cittadini e di “università” del Regno.
Il percettore provinciale era l’esattore degli introiti, fiscali e di altra
natura, che nell’ambito di una provincia erano dovuti al sovrano. L’ufficio
era retribuito con lo 0,5% delle somme esatte anche se, la maggior parte
delle volte, la percentuale trattenuta dal percettore era di gran lunga
superiore a quella prefissata. L’ufficio di percettore poteva essere
esercitato anche con un rapporto di sostituzione che consentiva
all’acquirente dell’ufficio stesso di designare altri ad esercitarlo. Questa
pratica veniva applicata frequentemente e senza alcuna difficoltà di sorta,
anche perché era prassi molto diffusa per quasi tutti gli uffici del Regno.
L’istituto della sostituzione fu anche applicato nella provincia della Terra
di Bari all’inizio del XVII secolo, dopo la morte di Vincenzo De Angelis,
percettore della predetta provincia, quando l’ufficio della percettoria passò
nelle mani di Muzio De Angelis, padre del defunto percettore, il quale,
nell’esercizio di tale carica, fu coadiuvato dal fratello Francesco De
Angelis, personaggio che resta comunque marginale ai fini dell’inchiesta.
Dai documenti studiati, riguardanti essenzialmente le accuse contro
Muzio De Angelis, si evince che lo stesso Muzio era una persona molto
potente sia perché disponeva di personale armato alle sue dipendenze (i
“commissari”) - dai quali si faceva circondare ed insieme ai quali
terrorizzava la popolazione della provincia barese - sia per gli importanti
appoggi di amici e parenti di cui poteva godere all’interno della Regia
Camera e della Vicaria. Le collusioni con elementi delle magistrature
centrali e il potere che i percettori esercitavano su intere province del
Viceregno, considerate quasi una sorta di feudi personali da spremere e
taglieggiare a piacimento, rendevano la Visita uno strumento giuridico
indispensabile per assicurare quella giustizia tanto invocata, ma raramente
conseguita, dalla popolazione del Regno.
Nell’Archivio Generale di Simancas vi sono tuttora legajos, redatti
dai visitatori e dai loro commissari tra il XVI e il XVII secolo, che
concernono migliaia di persone (notai, piccoli e grandi funzionari,
università, semplici cittadini, ministri) accusate, inquisite e condannate,
delle quali resta a noi sconosciuta la precisa identità.
La letteratura esistente sulle visitas non è molto ricca. I principali
studi italiani che ho potuto utilizzare per un inquadramento generale
dell’argomento sono stati i lavori di Giuseppe Coniglio,
4
di Pier Luigi
Rovito,
5
di Vittorio Sciuti Russi,
6
di Roberto Mantelli
7
e il breve ma chiaro
testo di E. Gentile.
8
Oltre a studiare questi ed altri lavori pubblicati in Italia, ho utilizzato
pubblicazioni, anche recentissime, di autori spagnoli e francesi che mi
hanno consentito di conoscere i più recenti risultati della storiografia su
questo tema. Presso la Facoltà di Diritto dell’Università della Cantabria, a
4
Visitatori del viceregno di Napoli, Bari, ed.1974 e il viceregno di Napoli nel
secolo XVII, Roma 1955.
5
Il quale ha dedicato due ampi capitoli nel suo La respublica dei Togati, Napoli
1981.
6
Astrea in Sicilia. Il ministero togato nella società siciliana dei secoli XVI e
XVII, Napoli 1983.
7
Burocrazia e finanze pubbliche nel Regno di Napoli a metà del cinquecento,
Napoli, Lucio Pironti Editore 1981.
8
I visitatori generali nel Regno di Napoli, Casalbordino, 1914.
Santander, ho potuto consultare i lavori di Arregui Zamorano,
9
di Sanchez
Bella
10
e il saggio pubblicato
nella “Revista de la Facultad de Derecho de Mexico.”
11
In maniera più
ampia ho utilizzato gli studi della ricercatrice francese Mireille Peytavin
(non ancora tradotti in italiano), di cui due sono stati pubblicati in
Francia
12
ed uno in Germania
13
.
Ho potuto constatare che ancora nella storiografia italiana non si sia
prestata una sufficiente attenzione alle visitas e che le ricerche finora
effettuate non tengano adeguatamente conto degli studi compiuti in
Francia e in Spagna. Per questo l’auspicio è che gli studi sull’argomento
vadano avanti in quanto si tratta di una ricerca da cui la conoscenza della
storia del Regno di Napoli tra XVI e XVII secolo uscirà sicuramente più
arricchita e articolata.
9
Visita en Indias, en A.H.D.E., 49 -1979.
10
Visitas a Indias- siglos XVI-XVII- en Memoria del II Congreso venezolano de
Historia, III - 1975 pp. 425-438.
11
Revista de la Facultad de Derecho de Mexico XXVI, 101-102. 1976 ( El juicio de
visitas a Indias, pp. 579-625).
12
Visites générales à Naples XVI-XVII siècle, in “Recherche sur L’histoire de L’Etat
dans le monde ibérique” Presses de L’Ecole Normale Supérieure de Paris, 1993 e il più
recente Le calendrier de l’administrateur. Periodisation de la domination espagnole en
Italie suivant les Visites Générales, in “Mélanges de L’Ecole française de Rome, Italie
et Méditerranée,” t. 106 - 1994- 1.
13
Visites Générales du Royaume de Naples. XVIème et XVIIème siècles: pratiques
judiciaires, in Fallstudien zur spanischen und portugiesischen Justiz 15 bis 20.
Jahrhundert, diretto e curato da Johannes-Michael Scholz, Vittorio Klostermann
Frankufurt am Main 1994.
CAPITOLO I
Le origini dello Stato Moderno in Europa:
burocrazia, venalità delle cariche, corruzione
- Introduzione
Tema di questa ricerca è lo studio di alcuni momenti e protagonisti
della storia della corruzione dei pubblici ufficiali nell’età moderna. Questo
fenomeno si impone con la burocratizzazione dello Stato e la venalità degli
uffici (sec. XV-XVII) nel Regno di Napoli, pur non essendone, però, una
caratteristica esclusiva e permanente. Il fenomeno della corruzione, infatti,
non è presente solo nell’Europa degli Stati moderni; storici e filosofi come
Agostino, Giovanni di Salisbury e Wycliffe cercarono, sin dal Medioevo, i
rimedi a un male che mescolava il potere con il denaro.
Politica e pubblici uffici sono sempre stati luoghi privilegiati di
corruzione e questo Giovanni di Salisbury, segretario di Tommaso Beckett
nell’Inghilterra di Enrico II il Plantageneto, lo sapeva bene. Giovanni nel
suo Policraticus afferma che il potere dei pubblici ufficiali è ancora più
grande in quanto, sotto il pretesto della loro funzione, possono spogliare e
perseguitare i privati, ed arriva a definire i funzionari corrotti come bruchi
che divorano la giustizia. Tuttavia l’apparato burocratico e amministrativo
dello Stato nel Medioevo non era complesso come quello che troviamo
nell’Europa dei sec. XVI e XVII. In tale periodo, peraltro, la prassi della
venalità degli uffici, rappresentò una poderosa spinta alla pratica della
corruzione. Sono, quindi, la nuova organizzazione statale, il proliferare
degli uffici e delle competenze e la complessità della macchina
amministrativa a generare sacche di corruttela sempre più estese e difficili
da sradicare. In uno studio significativamente intitolato, De la corruption,
lo storico francese J. C. Waquet sostiene che “le problème de la relation
entre corruption et burocratie rationelle se pose avec une particulière acuité
dans la phase d’etabblissement de ces nouvelles organisation”
1
. Prima di
affrontare più da vicino la questione della corruzione, è importante
analizzare sommariamente alcuni problemi connessi al processo di
formazione dello Stato Moderno in Europa, insieme alla conseguente
nascita della burocrazia e all’affermarsi della prassi della venalità degli
uffici.
1
Jean-Claude Waquet, De la corruption, Fayard, Paris 1984 p.14
1- Fisco, esercito, macchina amministrativa
In un famoso saggio del 1956 lo storico Federico Chabod si
chiedeva se esistesse uno Stato rinascimentale e quali ne fossero gli
elementi costitutivi.
2
Chabod negava la presenza, sia pure embrionale in
tale tipo di Stato, di un sentimento nazionale e patriottico e sottolineava
piuttosto, come carattere distintivo della monarchia d’oltralpe, la
concezione sacrale del Re e la fedeltà alla monarchia, legata al senso
dell’onore e all’unità religiosa: “une foy, une loy, une roy”. Queste non
erano certo delle concezioni nuove, come non lo era l’affermazione
dell’autorità del sovrano. La novità consisteva piuttosto nella struttura
delle monarchie rinascimentali e principalmente in tre loro caratteristiche:
1) la costituzione di eserciti permanenti che, reclutati e pagati dal re,
svincolavano di fatto il monarca dalla pressione politica della feudalità; 2)
l’organizzazione di una diplomazia, vera valvola di sicurezza in un’Europa
che si andava frammentando in una
moltitudine di Stati;
3
3) la formazione di una burocrazia statale sempre più
chiaramente distinta da quella dedita al servizio della casa reale. Queste
nuove strutture di governo nascevano da una dilatazione delle competenze
e da una moltiplicazione degli uffici che ruotavano intorno ai “consigli”
del principe, alla cancelleria e ad alcune grandi magistrature finanziarie. Si
formò una sorta di burocrazia periferica che allargò la sua rete di
funzionari e ufficiali, i quali nelle città e nelle province soggette dovevano
2
Federico Chabod, Scritti sul Rinascimento, Torino, Einaudi 1967.
3
J. H. Shennan, Le origini dello Stato Moderno in Europa trad. it. Bologna, il Mulino
199, cap. III.
esercitare i poteri del governo centrale e coordinarsi, a volte con difficoltà,
con le strutture locali di governo.
Ma sia l’esercito, sia la diplomazia, sia la burocrazia comportavano
un volume di spesa di molto superiore a quello che gravava sulle
monarchie feudali. Di qui la necessità di reperire risorse aggiuntive a
quelle provenienti dal patrimonio personale e familiare del principe
imponendo tasse sui sudditi sia sotto forma di imposizione diretta sui
redditi, come la “taille,” imposta che in Francia gravava sui sudditi in
misura proporzionale al reddito presunto, sia sotto forma di dazi o imposte
di consumo. In Spagna: “los ingressos ordinarios procedian de la Alcabala,
un impuesto sobre la ventas, y los derechos de aduana e impuestos sobre el
consumo”
4
. Il gettito della stessa alcabala ammontava all’80-90% di tutte
le entrate dei sovrani cattolici. Organizzazione di forze armate direttamente
dipendenti dal sovrano e crescita degli apparati burocratici convergono,
dunque, nel promuovere l’affermazione e la centralizzazione del potere
effettivo durante il XVI e XVII secolo. Sul piano organizzativo e
istituzionale, è questo il connotato fondamentale dello Stato moderno.
Afferma lo storico P. A. Schiera: “con riferimento ad esso [lo Stato
moderno] si è parlato di Stato Macchina, di Stato Apparato, di Stato
Meccanismo, di Stato Amministrazione: in ogni caso si tratta di
un’organizzazione di rapporti sociali [del potere] attraverso procedure
tecniche prestabilite [le istituzioni, l’amministrazione], utili alla
prevenzione e neutralizzazione dei casi di conflitto e al raggiungimento dei
4
John Linch, Historia de Espana, vol. X, Los Austrias, 1516-1598, traduccìon
castellana para Espana y America, Critica, Barcellona 1993, p. 20.
fini terreni che le forze dominanti nella struttura sociale riconoscono come
propri e impongono come generali all’intero paese”
5
.
E’ a questo periodo che Vincent Vives fa risalire anche l’avvio di un
processo di crescente professionalizzazione degli apparati militari che si
trasformano in macchine ben organizzate, addestrate e bisognose di
imponenti apparati logistici.
6
Agli albori dell’Europa moderna, la presenza
di apparati militari senza precedenti poneva dei problemi di reclutamento e
di vettovagliamento delle truppe che nessun governo della cristianità aveva
mai dovuto affrontare prima.
Spesso il sostentamento degli eserciti avveniva a spese dei territori
invasi durante i conflitti e ciò richiedeva, scrive G. Parker, lo sfruttamento
sistematico delle risorse locali ed il controllo rigido del territorio;
7
“nelle
sue forme più semplici - scrive Parker- vi era il Brandschatzung (o, nei
Paesi Bassi, Brandshatting): il denaro del fuoco. Un esercito minacciava di
appiccare fuoco o di saccheggiare una comunità a meno che non venisse
fuori con un riscatto in contanti o in beni richiesti dalle truppe”
8
. Da qui
derivò un complesso sistema di contributi: una tassa militare permanente
imposta dagli eserciti a tutte le comunità che si trovavano all’interno di una
determinata area situata intorno ai luoghi di acquartieramento. Le quantità
di beni o servizi che
dovevano essere forniti alle truppe dovevano essere concordati fra i
contabili dell’esercito e i magistrati locali. Secondo lo storico P. Anderson
5
P. Schiera, Lo Stato Moderno in Dizionario della Politica, a cura di Bobbio,
Matteucci, Pasquino, UTET, Torino 1983, P. 1152.
6
Vincent Vives, Una causa primaria: conflitti fra le Monarchie d’Occidente in A.
Caracciolo, La formazione dello Stato Moderno Bologna, Zanichelli 1970, cap I
7
G. Parker La rivoluzione militare, trad. it. Bologna, il Mulino 1990,p. 109-110.
8
Ibidem
è un fatto significativo che la prima tassa imposta in Francia in forma
regolare e su scala nazionale fu la Taille royale, applicata per finanziare le
prime unità militari d’Europa. Si trattava delle compagnies d’ordonnance
della metà del XV secolo. L’ulteriore sviluppo di tale processo fa sì che, le
guerre, con la connessa creazione di eserciti regolari, “furono un altro dei
coagulanti delle sovranità territoriali. In politica interna i monarchi se ne
servirono per giustificare le proprie scelte, specie in materia fiscale”
9
.
9
P. Anderson, Lo Stato Assoluto, trad. ital., Milano, Mondadori 1980, p. 18.
2- I funzionari e la corruzione
Le necessità della guerra, legate a quelle finanziarie, fecero
aumentare, intorno ai sovrani, il numero dei Consigli subordinati ancora a
personalità della corte e della cancelleria regia. Verso la metà del XV
secolo si registrò in Europa occidentale un’ulteriore sviluppo dell’apparato
statale. Accadde, per es., che i sovrani di Francia e di Spagna, impegnati
nelle lotte per il predominio in Italia, promossero all’interno dei loro Paesi
la rapida formazione di un sistema amministrativo moderno. Con il numero
dei Consigli, aumentò anche il grado di specializzazione dei funzionari
pubblici: non bastava più essere nobili o appartenere alla corte per svolgere
mansioni amministrative, ma bisognava acquisire precise competenze
giuridiche, amministrative e finanziarie. In Spagna, secondo H. Kamen, le
università della Castiglia, intorno al 1580, erano frequentate da circa
ventimila studenti; “menos de una tercera parte de ellos llegaban a obtener
un diploma; casi todos los que lo lograban pasaban a engrosar la
burocracia mundial del imperio espanol”
10
. Occorreva un gran numero di
esperti e tecnici del diritto: dottori in Francia e in Italia e letrados in
Spagna. Secondo Enrico Stumpo, il conseguimento del dottorato
rappresentava l’indispensabile requisito per accedere alle cariche dello
Stato. Questo avveniva in Stati come l’Inghilterra, la Franca Contea, il
Piemonte, Milano, la Castiglia e Napoli, dove sviluppo dello Stato, e
quindi dell’apparato statale, voleva dire sviluppo della burocrazia.
11
Pur
10
Henry Kamen, Una sociedad conflictiva: Espana, 1469-1714 ed. cast. Alianza
Editorial, Madrid 1984 p.248.
11
Enrico Stumpo, L’organizzazione degli Stati: accentramento e burocrazia in
La Storia vol III Utet,Torino 1987, p. 432.
con significative differenze tra uno Stato e l’altro, tutti gli storici
concordano sul grande rilievo assunto in Europa, fra XV e XVI sec, dal
crescente accentramento dei poteri e dei servizi amministrativi, sia pur con
risultati diversi da Paese a Paese. In Inghilterra, per esempio, la situazione
si presentava in termini diversi, grazie alle vaste aree di autonomia, il
decentramento di importanti funzioni giudiziarie e le garanzie di libertà
personali per i sudditi, coesistevano con un forte governo centralizzato:
alla gentry spettava, per consuetudine, l’amministrazione locale su base
elettorale e rappresentative.
Chi ricopriva cariche pubbliche riceveva, in genere, “spettanze”
dalla gente che ricorreva ai loro servizi. “Era anche normale offrire doni ai
funzionari, non necessariamente per corromperli, ma come espressione di
quei buoni rapporti che in genere si intrattenevano tra funzionari e loro
clienti. Con le mance, quei doni potevano essere una cosa innocentissima,
ma era, tuttavia, ben sottile la linea che divideva quei donativi dalla
corruzione vera e propria”
12
. In Inghilterra , inoltre, il reclutamento e la
formazione dell’apparato prescindevano dalla creazione di una burocrazia
pubblica come carriera distinta, mentre i funzionari civili restavano più
legati al ceto sociale di provenienza che all’amministrazione dello Stato. In
alcuni Paesi non era vietato il cumulo di cariche come accadeva, per
esempio, nella Franca Contea dove “luogotenenti generali o locali,
procuratori e avvocati fiscali di baliaggio, persino sostituti trovavano nelle
12
Conrad Russel, Alle origini dell’Inghilterra Moderna: la crisi dei parlamenti
1509-1660. trad. it. Bologna, il Mulino 1993 p. 83
signorie di giustizia della Contea impieghi remuneratori che non venivano
considerati incompatibili con le loro funzioni”
13
.
Fernand Braudel in Civiltà e imperi, a proposito dello Stato moderno
e dei fenomeni che lo contraddistinguono, afferma che è in questo periodo
che compaiono, a schiere serrate: “i personaggi che per comodità, non per
eccesso di modernismo, chiameremo funzionari”
14
. Costoro danno vita ad
una rivoluzione sia politica che sociale e celermente occupano i gangli del
potere, accaparrandosi parte dell’autorità pubblica. Gli ufficiali, in ogni
paese, venivano remunerati con “onorari” insufficienti. Essi avrebbero
utilizzato la loro carica per farsi pagare favori, udienze, firme e persino per
concludere buoni affari. Ma, oltre a questi profitti in qualche modo leciti,
ve ne erano altri che erano considerati come espressione di corruzione e,
quindi, vietati.
Questa è un’epoca storica in cui la linea di confine tra lecito e
illecito è molto evanescente, incerta e spesso invisibile. La crisi generale
del Seicento, con il conseguente aumento del costo della vita, vide una
diminuzione della capacità di controllo dei sovrani sui burocrati. Afferma
H. Trevon Roper che la casistica pubblica divenne più indulgente, la
coscienza privata più elastica e gli uomini cominciarono a dimenticare
quella convenzionale e invisibile linea di divisione tra “profitti legittimi” e
“corruzione”
15
.
13
Lucien Febvre, Filippo II e la Franca Contea, trad. it. Torino, Einaudi 1979,
pp. 170-171.
14
Fernand Braudel, Civiltà e Imperi nel Mediterraneo nell’età di Filippo II, trad.
it. Torino, Einaudi 1976 p. 718.
15
H. Trevor Rooper, La crisi generale del XVII secolo in Trevor-Aston, Crisi in
Europa, 1560-1660, saggi da “Past and Present”, Napoli, Giannini 1968, p. 29.