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l’abitudine a strutturare i propri romanzi su diversi piani di scrittura, può mettere in
difficoltà il lettore medio al suo primo approccio.1 La lingua adoperata dalla Byatt, inoltre,
è estremamente ricca e lascia indovinare non solo la volontà di creare i consueti effetti di
musicalità, ma anche e soprattutto quella di suscitare impressioni visive nel lettore, com’è
dimostrato dall’insistenza posta nelle minuziose descrizioni degli abiti dei personaggi, degli
ambienti, e dall’importanza assegnata alle sfumature di colore. La Byatt non si limita a
raccontarci delle storie; la accompagnano sempre l’inguaribile desiderio di sapere e quello,
forse ancora più nobile, di condividere tale sapere con i lettori. Ecco svelata la ragione per
cui l’autrice non si risparmia una volta di sconfinare in ambiti che non le competono in
senso stretto, riuscendo, ciò nondimeno, a cavarsela egregiamente sempre, quale che sia
l’argomento trattato.
1.2 Del perché “Babel Tower” necessiti di una visita guidata.
Come si è detto, ciascuno dei quattro romanzi è complesso già di per sé e questo per due
ragioni essenziali: la natura stessa del progetto iniziale, che prevede la forte compresenza
sulla scena di più personaggi in progress e della specifica temperie culturale di quegli anni, a
sua volta in progress (tutt’altro che relegata sullo sfondo, come il più delle volte avviene), e il
modo tutto particolare della Byatt di veicolare informazioni. Si intenda da subito che
questa relazione si prefigge una lettura critica limitata al terzo volume della saga dei Potter,
riservandosi per il futuro la possibilità di estendersi fino a coinvolgere tutta la quadrilogia.
Nella quarta di copertina della seconda edizione italiana di Babel Tower, leggiamo:
Nel cuore di questo libro ci sono una donna e un bambino. Frederica fugge da un
matrimonio sbagliato e da un mondo che non le appartiene, per ritrovare intatta la
libertà del corpo, del pensiero e della fantasia. Al suo fianco, il piccolo Leo con la sua
confusa e caparbia volontà di non lasciarla andare. Il loro è un tuffo senza rete nel
grande mare degli anni Sessanta. E alla loro storia si intrecciano, in un immenso
ambizioso arazzo, tutti i fili di quell’epoca e della sua temperie culturale, estetica e
morale. Un grande romanzo con dentro molti libri, la passione e la trasgressione, la
ricerca di un modo nuovo di dirsi e di dire, un’amara favola sadiana per distruggere
l’ultima utopia, un processo di divorzio e uno per oscenità, i lavori di una
commissione ministeriale per l’insegnamento della lingua inglese, i Beatles e Mary
Quant, il fermento artistico, gli echi della guerra in Vietnam… Un grande viaggio nella
“Swinging London” dove non tutto è novità, libertà, fantasia.2
1 Si rimanda al capitolo 3 di questo lavoro.
2 A. S. Byatt, La torre di Babele, a cura di A. Nadotti e F. Galuzzi, Giulio Einaudi editore, Torino,
1997
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Le parole dei curatori Anna Nadotti e Fausto Galuzzi, e in particolare l’espressione “un
grande romanzo con dentro molti libri”, la dicono lunga su Babel Tower, e in qualche modo
spiegano le ragioni che muovono la stesura di questo lavoro critico. Il titolo Visita guidata
a “Babel Tower” di Antonia Susan Byatt dovrebbe suscitare come minimo un interrogativo: se
sia o no il caso di lasciarsi condurre per mano attraverso un romanzo anziché tentare di
estrapolarne il senso ultimo solo con l’ausilio dei propri mezzi. Le pagine che seguono
cercheranno di fornire una risposta a questa e ad altre domande a proposito dell’autrice,
del romanzo in questione, del postmodernismo in letteratura, del lettore ideale. Si dirà
intanto che ci sono testi che richiedono un’attenzione ed uno sforzo particolari anche da
parte del lettore più allenato, Babel Tower è uno di questi. Obiettivo ultimo di Visita guidata
a “Babel Tower” di Antonia Susan Byatt non è sciogliere tutti i dubbi sollevati più o meno
consapevolmente dall’autrice all’interno del suo romanzo, semmai cavare d’impaccio il
lettore medio, quale può essere lo studente universitario, da buona parte delle difficoltà
che potrebbe ritrovarsi a fronteggiare.
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2. L’AUTRICE
2.1. Antonia Susan Byatt in primo piano
Al fine di entrare speditamente nel vivo di questo lavoro critico, ho pensato di introdurre
l’autrice per mezzo di qualche rimando biografico per poi proseguire per le vie impervie
del commento e del riassunto del romanzo che ci interessa. È mia abitudine, quando
avverto la necessità di indagare un tema, documentarmi in prima istanza sul sito
Wikipedia3, sorta di enciclopedia virtuale periodicamente incrementata dai contributi degli
utenti, dove se si ha fortuna si possono trovare ottimi spunti per approfondire
ulteriormente le ricerche in una o più direzioni. Nel caso della Byatt, qualcuno è stato così
gentile da mettere a disposizione del web, oltre alle consuete informazioni biografiche, un
primo piano dell'autrice.
Antonia Susan Byatt ha settantatré primavere e,
sebbene la foto risalga al 2007, credo di poter
sostenere che tuttora non dimostri i suoi anni. Porta i
capelli corti, un taglio mascolino, al naturale, ovvero
grigio topo. Ha un'espressione vispa e combattiva, gli
occhi grandi e intelligenti seppure cerchiati da una fitta
coltre di rughe. Non si può indovinarne
l'abbigliamento complessivo ma ho idea che vesta in
modo estremamente spartano, senza fronzoli femminili
di sorta. Dettaglio che, se la si vuole femminista
convinta, coinvolta com’è stata nei favolosi anni
Sessanta inglesi, non si può omettere di considerare a
favore della propria tesi.
Ho pensato di descrivervi l'autrice anzitutto fisicamente, in modo che possiate fare la sua
conoscenza per gradi, come se vi fosse stata presentata di persona, per raccontarvi solo in
seguito chi è e per cosa è nota; peraltro è una tecnica di cui la stessa Byatt si avvale
sistematicamente in Babel Tower, ma è ancora più evidente nel saggio critico Portraits in
Fiction, ogni qualvolta sottopone un nuovo personaggio all'attenzione del lettore.
3 Wikipedia, the Free Encyclopedia, ‹www.en.wikipedia.org›
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2.2 Biografia di Antonia Susan Byatt
Antonia Susan Byatt, autrice di culto della narrativa inglese, ormai nota anche al grande
pubblico in seguito all’adattamento cinematografico del suo Possession, nasce come Antonia
Susan Drabble, a Sheffield, nel South Yorkshire, il 24 agosto del 1936. È però nota ai
lettori fin dagli esordi con il cognome del primo marito, che ha mantenuto come nome
d'arte. Sorella della popolare scrittrice inglese Margaret Drabble, e della stimata critica
d’arte Helen Langdon, Antonia, forse da principio intimorita dai loro successi, ha
anteposto a lungo la carriera accademica, e quella di produttrice radiotelevisiva, alla
passione per la scrittura. È solo a partire dal 1983 che si dedica a tempo pieno alla sua
vocazione. Figlia di John Frederick Drabble, romanziere oltre che magistrato, e di
Kathleen Marie Bloor, insegnante che nutriva a sua volta velleità artistiche, Antonia studia
dapprima presso la Mount School di York, istituto quacchero del cui corpo docente
faceva parte la madre e, successivamente, alle università femminili Newham College di
Cambridge e Bryn Mawr College, in Pennsylvania. Nel 1959 sposa l’economista Ian Byatt.
Dal matrimonio nascono Antonia e Charles, venuto a mancare in un drammatico
incidente stradale nel 1972. Nel 1969 Antonia ottiene il divorzio e sposa in seconde nozze
Peter John Duffy col quale ha altre due figlie, Isabel e Miranda. Prima del cambio di rotta
risolutivo che la vede finalmente scrittrice di professione, la Byatt insegna presso la
London University dal 1962 al 1971; successivamente, dal 1972 al 1983, è docente di
Letteratura inglese e americana presso la Central School of Art and Design e presso lo
University College di Londra.
Da subito i media britannici hanno dato ampio rilievo alla competizione con una
delle sorelle, la più giovane Margaret. Si è creduto di riconoscere tra i motivi alla base della
reciproca rivalità il senso di colpa di quest’ultima per l’ottima salute di cui godevano i suoi
figli a dispetto della morte di Charles Byatt, la frustrazione provata da Antonia per i
risultati ottenuti da Margaret a Cambridge, la divergenza di pareri riguardo la descrizione
della madre Kathleen, morta nel 1982, che la Drabble offre nel suo romanzo The Peppered
Moth (2001). A proposito di quest’ultima ragione di contrasto, pare che la Byatt abbia
dichiarato: “I would rather people didn’t read someone else’s version of my mother”.
La Byatt trae ispirazione per la sua narrativa da temi tipici della letteratura romantica
e vittoriana, talvolta con riferimenti a personaggi realmente esistiti. Esemplari per quanto
riguarda questo filone narrativo sono il suo romanzo-thriller più famoso, Possession: A
Romance (1990), le due novelle contenute in Angels and Insects (1992) e il romanzo The
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Biographer’s Tale (2000). Vi è anche un filone di impianto più realistico, in cui si avverte
l’influsso di George Eliot, Jane Austen e Henry James, che col passare degli anni ha
assunto un carattere sempre più innovativo. Si possono far rientrare in questo secondo
gruppo di opere i romanzi d’esordio: The Shadow of the Sun (1964) e The Game (1967). Dal
1978, anno di pubblicazione di The Virgin in the Garden, al 2002, Antonia si dedica, tra le
altre cose, alla stesura di quella che forse è la più ambiziosa tra le sue opere, la quadrilogia
sulla famiglia Potter. Costante nei quattro romanzi è il riferimento agli scrittori David
Herbert Lawrence, specie al suo Women in Love, e Edward Morgan Forster, in particolare
al romanzo Howards End. Con Still Life (1985), che ha vinto il PEN/Macmillan Silver Pen
Award, si apre una fase più sperimentale; seguono Babel Tower (1996) e A Whistling Woman
(2002).
Antonia è famosa anche per le sue fiabe, caratterizzate dalla compenetrazione,
straordinariamente priva di discontinuità, di elementi realistici e fantastici. Si possono
annoverare a tal proposito alcuni dei racconti inclusi nell’edizione inglese della raccolta
Sugar and Other Stories, ad esempio The July Ghost e The Dried Witch. In The Matisse Stories
(1993), tre racconti che prendono le mosse da altrettanti quadri di Henri Matisse, la
scrittrice esplora una tematica portante della sua produzione, la relazione tra parola e
immagine visiva. La Byatt ha anche pubblicato numerosi saggi critici dedicati agli autori
della sua formazione. Anche in questi lavori, in particolar modo in Imagining Characters:
Conversations About Women Writers (1995) e in Portraits in Fiction (2004), è possibile
riscontrare un progressivo movimento verso la sperimentazione. La scrittrice è stata più
volte membro di giurie di premi letterari e curatrice di numerose pubblicazioni; inoltre ha
collaborato con recensioni e articoli a giornali e riviste letterarie di un certo calibro (quali
Prospect, Times Literary Supplement, The Independent, Sunday Times), oltre che a vari programmi
televisivi e radiofonici della BBC. Le opere della Byatt sono state tradotte in tutto il
mondo; limitatamente alle edizioni italiane, però, va detto che queste non coprono
l’interezza della sua produzione. Inoltre, come si è già visto a proposito della tetralogia
sulla famiglia Potter, non sempre le strategie editoriali rispettano le esigenze dei lettori, e
anche per quanto riguarda le raccolte di racconti, può capitare che non vi sia perfetta
corrispondenza di numero e ordine tra le edizioni originali e quelle italiane.
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3. IL LETTORE IDEALE
Seguono una serie di citazioni tratte da autorevoli recensioni su Babel Tower apparse su
quotidiani e riviste inglesi in seguito all’uscita del romanzo, nel 1996: 4
In Babel Tower, A. S. Byatt shows her usual impressive command of slippery ideas and
the solidest of details, which sit less earnestly than ever on her pages; they mix and
move with new energy, even abandon. Ms. Byatt, a relentlessly talky novelist, has met
a good match in the larger-than-life 60's.
(Ann Hulbert, The New York Times Book Review, 09/06/1996)
In her restless intelligence and scrupulousness of mind, and her steadily growing sense
of herself as a being formed not only by books but by larger narratives of family
history and national history, the Frederica of Babel Tower is one of the more interesting
characters-in-progress in contemporary fiction, both as woman and as social type. [...]
Babel Tower is in fact far too long a book, at 622 pages, for its material.
(John Maxwell Coetzee, The New York Review of Books, 06/06/1996)
It is a remarkable book, of exceptional gravity and serious charm. Like its
predecessors, it juggles themes and ideas across its comments on writers and art, its
intense, realistic drama of characters and passions; it balances an acute sense of the
values of art and intellect with an imaginative sympathy. Its ambition is almost unique
in the English novel. […] I think in time the third volume, Babel Tower, will come to
be seen as at least as significant a moment in the novel of the 1990’s. That one, too,
rather puzzled reviewers, and it is still very underrated, but it is both a novel of
daunting virtuosity and a statement of grand moral and historical force. [...] Just as an
argument, Babel Tower is a compelling piece of work, but what I think will ultimately
propel it into a key position in the literature of the decade is its extraordinary and
innovative technique.
(Philip Hensher, The Spectator, 11/05/1996)
To read this novel is to be immersed in an overwhelmingly literary experience, an
experience about literature at its most self-conscious. [...] Babel Tower, in other words,
offers strenuous intellectual fare: to clamber onto its pages is to mount a fictionist's
Stairmaster for the mind. But as even the most addicted exerciser knows, there can
sometimes be too much of a good thing.
(Shashi Tharoor, The Washington Post, 12/05/1996)
If nothing else, Babel Tower suggests a reason that not very much thrilling fiction has
been written about the workings of education committees. Byatt's interests here are
more philological than dramatic.
(Paul Gray, Time, 20/05/1996)
Ciò che si evince è che diversi recensori hanno ritenuto di dover sottolineare non solo
l’innegabile abilità di scrittrice e l’ampia cultura della Byatt, che fanno sì che grazie alla sua
penna si delineino un testo e dei personaggi parecchio complessi, ma anche la sua capacità
di tenere a bada un simile materiale narrativo senza inciampi di sorta per la durata di oltre
4 The Complete Review – A literary saloon and site of review, ‹www.complete-review.com›, ultima
consultazione: 20/10/2009