Introduzione
Il punto di partenza di ogni riflessione è sempre un’ immersione nel tempo presente,
un’interrogazione volta a ciò che ci circonda. Se, quindi, rivolgiamo lo sguardo al XXI secolo,
subito ne cogliamo un aspetto fondamentale: siamo una civiltà tecnologizzata.
L’avvento del computer ha rivoluzionato le nostre vite, il nostro modo di organizzare il
tempo e lo spazio, senza contare le nuove forme di relazione che ne sono scaturite. Non
soltanto con la cibernetica, il digitale ha sostituito le cariche a molla, gli ingranaggi
meccanici, dei nostri utensili quotidiani, ma la nascita del web, l’utilizzo sempre più diffuso di
cellulari, hanno portato ad un cambiamento radicale del nostro modo di intendere le relazioni,
nello spazio e nel tempo.
Oggi, infatti, sappiamo che un amico distante centinaia di chilometri è raggiungibile e
visibile con un solo click del mouse, in qualsiasi momento della giornata. I nostro telefoni
cellulari, oltre a darti la possibilità di metterti in contatto con gli altri sempre e da ogni punto
geografico, sono, in realtà dei microcomputer che hanno la facoltà di svolgere miriade di
funzioni in poco tempo. Si è costantemente connessi con il mondo e così facendo, il mondo, a
poco a poco, ha modificato la sua essenza e il suo linguaggio.
Anche il teatro è entrato a contatto con le nuove tecnologie e i nuovi media, e ciò a
comportato molte riflessioni sulle conseguenze di questo incontro. Una delle questioni più
grandi è capire come il teatro si è modificato tramite le tecnologie e se è riuscito o meno a
mantenere le sue caratteristiche fondamentali o ha rischiato, in alcuni casi, uno snaturamento.
Con questo lavoro abbiamo cercato di analizzare questo rapporto ancora così poco
definito.
Come prima cosa, abbiamo fornito una panoramica storica e concettuale
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del percorso
compiuto dal teatro tradizionale dopo il suo incontro con i nuovi media, televisione e cinema
e il set virtuale, cioè l’ambiente tecnologico che va ad abbracciare ed accogliere il gesto
performativo. A livello cronologico, notiamo come alcune sperimentazioni tecnologiche siano
state svolte proprio in ambito teatrale, di come alcuni software e dispositivi oggi di uso
comune, siano, in realtà, stati originariamente usati dalla danza e dal teatro: penso in primo
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Cfr. A. Balzola, La scena tecnologica, Roma, Dino Audino, 2011.
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luogo a tutto l’utilizzo delle motion capture e della rilevazione corporea tramite telecamere,
pensata e utilizzata già negli anni ’80, divenuta famosa oggi grazie al cinema e alle consolle
per videogames.
Sul piano concettuale
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, osserviamo che i cambiamenti sociali e relazioni abbiano
influito nel modo di fare e pensare il teatro e viceversa. Le sperimentazioni, i teatri di
avanguardia, hanno minato alcuni punti cardine, alcuni concetti forti del teatro tradizionale,
che ancora cerca, da parte sua, di resistere, producendo, però, solamente lavori a volte obsoleti
e sterili. Emerge come sia cambiato il modo di vedere il mondo, e quindi come sia altrettanto
necessario un nuovo linguaggio teatrale, ma anche un nuovo modo di interfacciarsi alla scena,
a ciò che essa contiene e al pubblico stesso. Cade il concetto di rappresentazione così come
classicamente inteso, a favore di quello di simulazione; si ridefinisce la nozione di
“personaggio” per far entrare in gioco quella di “figura”, si evidenziano le relazioni che si
creano in scena, i gesti, i corpi. Ultimo elemento importante, infine, è la concezione di opera
teatrale come opera aperta, cioè non finita nel momento della sua esibizione davanti ad un
pubblico, ma che richiede la parola di quest’ultimo per trovare un suo compimento, parola che
non è univoca ma cambia da spettatore a spettatore, secondo dei processi ricettivi personali e
sempre diversi.
Dopo un inquadramento generale, con i capitoli successivi, abbiamo analizzato nello
specifico l’interazione tra i singoli elementi teatrali e le tecnologie.
Nel secondo capitolo ci siamo occupati della relazione tecnologia-drammaturgia,
lavorando sullo spazio scenico in relazione ad un testo, ad una narrazione. Il cambiamento
principale che emerge è il passaggio da una visione testo-centrica che necessita di fondali
scenografici per ricreare l’ambiente, a una drammaturgia scenica che inizia a contemplare tutti
i codici e linguaggi usati come strumenti uguali per la costruzione dello spettacolo. Come
esempio abbiamo dunque preso il lavoro di Josef Svoboda
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, scenografo praghese che si
colloca nel periodo in cui questo cambiamento di mentalità stava avvenendo. Attraverso la sua
attività abbiamo cercato di capire quali sono le motivazioni che hanno portato a queste novità
e come, le nuove tecnologie hanno contribuito a tracciare profondamente questo percorso
nuovo. In seguito abbiamo visto, in alcuni esempi contemporanei come il teatro Robert
Lepage, Motus e Merce Cunnigham per la danza, l’evoluzione e i risultati odierni di questa
novità
2
Cfr. A Balzola P. Rosa, L’arte fuori di sé, Milano, Feltrinelli, 2011.
3
Cfr. J. Svoboda, I segreti dello spazio teatrale, Milano, Ubulibri, 1997.
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Nel terzo capitolo abbiamo affrontato l’interazione tra tecnologie e regia, e il declino
della figura del regista demiurgo e autorevole a favore di una comunità creatrice, di un autore
collettivo. L’utilizzo di nuovi strumenti e del digitale richiede una competenza specifica del
mezzo, che non si esaurisce nel sapere tecnico, ma che deve integrarsi ad una poetica
comunitaria e condivisa. Anche qui, il gruppo videoartistico italiano Studio Azzurro
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è stato
utile per vedere concretamente come lavorano i nuovi artisti contemporanei.
Nel quarto capitolo si è preso in esame il ruolo e lo statuto dell’attore
5
. Quest’ultimo,
probabilmente, è il primo a trovarsi spaesato poiché deve cambiare tutti i suoi sistemi
percettivi per entrare in relazione con l’ambiente. Non soltanto egli non è più al centro della
scena, ma spesso deve impiegare la sua immaginazione per entrare in relazioni con elementi
digitali non presenti materialmente sul palcoscenico o sul set, ma riprodotti in video. Infine,
l’attore è diventato anche un corpo-materia che entra in relazione con altri elementi, e che
trova la sua drammaturgia dei gesti proprio nella relazione con la tecnologia. Per questo
abbiamo sondato due strade: il corpo digitale dell’attore, dove ogni sua parte, corporale e
mentale, è intesa come una presa di coscienza della propria corporeità, delle tensioni e forze
esterne e interne e della sua capacità metamorfica grazie alle tecnologie e al digitale.
Dall’altra un attore che, all’interno di un teatro digitale, ha ancora una forte presenza scenica,
ricopre un ruolo ben preciso nella creazione dell’opera e ha qualcosa da dire al suo pubblico.
Infine, abbiamo cercato di ripensare tutte queste interazioni guardandole però dal punto
di vista della platea, del pubblico. Anche lo spett-attore, nel teatro digitale, si trova spaesato. I
suoi riferimenti percettivi sono caduti, o semplicemente cambiati e deve ricostruire una sua
identità e un suo ruolo. Lo spettatore assume grande importanza nell’era digitale perché è
l’ultimo elemento di una catena creativa e l’unico che, con il suo gesto, o il suo pensiero, può
cercare di dare senso a ciò che accade in scena. Egli passa da testimone e giudice a
protagonista dell’evento. Per questo si parlerà di spett-attore, cioè di uno spettatore al
massimo grado della sua attività.
Con questo percorso tracciato, non solamente si vuole cercare di proseguire quell’analisi
sulle forme espresse da questa nuova scena che, da tempo, sta cercando di definirne sempre
meglio i contorni, ma si cerca anche di evidenziare la funzione positiva che la tecnologia ha
avuto, ha e può avere: se usata con buonsenso e oculatezza, essa può diventare un nuovo
linguaggio vicino alle sensibilità quotidiane e può continuare a costruire una nuova società
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Cfr. D. De Gaetano (a cura di), Mutazioni elettroniche. Le immagini di Studio Azzurro, Torino, Lindau, 1995.
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Cfr. P. Pavis, L’analisi degli spetacoli, Torino, Lindau, 2008.
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artistica basata sulla relazione, sulla ricerca, sulla riflessione e sul tentativo di superare i
propri limiti, permettendo così di ridonare al teatro la sua funzione guida e di esempio per la
società intera.
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1. Realtà virtuale e ambienti digitali
1.1. Sintesi storica
La collaborazione tra teatro e digitale, nonostante ci siano diverse e svariate
dimostrazioni del suo utilizzo, è abbastanza recente. Fu nel 1963 che Nam June Paik mise in
mostra l’istallazione 13 Distorted Tv Sets, sancendo la nascita ufficiale della video arte,
corrente artistico-performativa che inaugura la combinazione di arte e tecnologie.
L’opera prevedeva l’esposizione di tredici televisori scoperchiati con tubo catodico a
vista, che trasmettevano immagini televisive deformate. Con un intento evidentemente critico
nei confronti dei nuovi media, Paik utilizza metodi e strumenti impiegati fino a quel momento
esclusivamente per la comunicazione, finalizzandoli ad uno scopo artistico:
Il gesto con cui Nam June Paik, all’inizio degli anni ’60, scopre la natura astratta
dell’immagine televisiva e dà il via a una delle tante direzioni della videoarte, è un gesto
teatrale, come quelli di V ostell. Paik, con il suo magnete che lui stesso sposta sul
televisore, non solo compie una performance di manipolazione dal vivo, ma avvia una
riflessione sulla performatività stessa dell’immagine
6
.
Il pensiero teorico che sta alla base di questa novità risale tuttavia a molto tempo
prima. Nelle prime teorizzazioni estetiche del periodo romantico, infatti, sono rintracciabili
presupposti artistici che sono tutt’ora alla base della cosiddetta rivoluzione digitale.
La prima novità, a parere nostro fondamentale, fu la presa di coscienza che nel neo-
nato campo dell’estetica la ragione e il sentimento non erano più due campi contrapposti. Al
contrario la loro dialettica era il fulcro delle teorizzazioni estetiche intorno al lavoro artistico e
quindi di riflessione sul mondo. L’arte non è riducibile alla pura emozione e alla sola
sollecitazione dei sensi, ne tantomeno rinchiudibile in una serie di regole semiologiche. Se
essa è lo specchio della natura e dell’uomo e se il suo intento è in primis quello di parlarci
della condizione umana e del mondo, allora dovrà comprenderne ogni aspetto, sia razionale
6
S. Lischi, Teatralità e video, in A. Balzola, La scena Tecnologica, Roma, Dino Audino, 2011, p.177.
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che sensibile: “nella ricostruzione del mondo tutto è messo in gioco simultaneamente: la
ragione, la sensibilità, l’immaginazione, perfino il senso”
7
.
Fin dalla fine del ‘700 si parla di simultaneità, di compresenza all’interno della stessa
opera di più linguaggi, si avverte la necessità di racchiudere la complessa varietà del mondo e
dell’essere umano. Si cerca un modo quanto più completo possibile per comprendere questa
diversità tramite lo strumento artistico che diventa così un metodo di conoscenza. È un fil
rouge che arriva fino ad oggi e che funge da linea guida per tutti quegli artisti che portano
dentro di sé il desiderio di conoscere e di rappresentare l’infinita varietà del mondo con la
consapevolezza che tutto è mutevole. La rivista Athenaenum, nata nel 1978, racchiude tutto
questo fermento artistico e funge da manifesto, proponendo nuove idee e nuovi punti di vista:
si inizia a parlare di autore collettivo, di sinpoesia e sinfilosofia, di una necessità di
socializzazione intellettuale volta alla condivisione e comunione di menti, pensieri e
sentimenti. Le comunità artistiche sperimentali che nascono al giorno d’oggi e producono
lavori multimediali provengono da questa corrente di pensiero.
Nel 1849 Richard Wagner pubblica L’opera d’arte dell’avvenire, in cui il compositore
esprime la sua idea di opera d’arte totale, nata evidentemente sulla scia delle elaborazioni
intellettuali del periodo precedente e che funge da inizio di un pensiero che porterà,
nell’ultimo secolo, all’elaborazione di una multimedialità artistica: avendo come obiettivo
quello di scuotere il pubblico dal suo torpore e rispondere alle domande più profonde
dell’animo umano, l’opera secondo Wagner deve contenere in sé la volontà comune a tutte le
arti che la compongono di indirizzarsi verso lo stesso pubblico. Si gettano le basi per una
sinergia tra i linguaggi scenici.
Nei suoi scritti sembra proprio anticipare l’importanza che viene data dal teatro
contemporaneo agli organi percettivi dello spettatore, che per primi devono essere colpiti
dallo spettacolo. Wagner ritiene che la vera finzione è possibile solo nel momento in cui tutti i
sensi vengono attivati e vede nel teatro il luogo adatto a questa possibilità nel teatro poiché in
lui “concorrono tutte le arti negli effetti d’insieme”
8
.
7
R. Mauzi, L’idèe du bonheur, Parigi, Albin Michel Littérature, 1994, p. 13.
8
Cfr. A. Oberdorfer, Wagner, Verona, Mondadori, 1933, p. 190.
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