4
Queste puntualizzazioni non sono rivolte solamente alla popolazione femminile, ma
anche a quella maschile, in quanto il più delle volte sono proprio loro i fautori di
comportamenti violenti, specialmente all’interno di una cultura come la nostra che
considera il maschio aggressivo per natura e perciò portato ad esercitare violenza sui più
deboli. Occorre contrastare quanto più possibile un rapporto diseguale tra uomo e
donna, perché amare una persona non significa possederla: l’uno dovrebbe
semplicemente valorizzare l’altro per arricchirsi del suo valore.
Elisa Giberti
5
CAPITOLO 1
CHE COS’E’ L’AGGRESSIVITA’?
In questo capitolo si cercherà di definire cosa si intende per comportamento aggressivo,
distinguendo tra differenti tipi di aggressività: funzionale, ostile e strumentale. Il
concetto di aggressività verrà messo in relazione con altri due termini che
apparentemente sembrano simili, ma nascondono singolari differenze: coercizione e
violenza. Infine, verranno indicati i fattori che sono all’origine di un comportamento
aggressivo, distinguendoli in due gruppi: caratteristiche di personalità e influenze
situazionali.
1.1 - Aggressività ostile e aggressività strumentale
Convenzionalmente la maggior parte delle persone tendono a distinguere
un’aggressività funzionale, che consente ad ogni individuo di superare gli ostacoli che la
vita spesso gli presenta, con coraggio e iniziativa, da un’aggressività caratterizzata da
esteriorizzazioni di emozioni negative, causate da motivi di diversa natura.
La maggior parte degli psicologi sociali si oppone a tale distinzione, applicando la
definizione di aggressività solamente al secondo tipo di comportamento, come
conseguenza di una situazione psicologica instabile. Tedeschi e Felson [1994]
descrivono come aggressivo il comportamento di una persona messo in atto con
l’intenzione di provocare conseguenze negative ad un’altra, cosa che a sua volta
presuppone l’aspettativa che tale azione determini un particolare effetto. Questa
definizione si estende anche a quei comportamenti diretti a ferire una persona, ma che
incidentalmente falliscono l’obiettivo, ed esclude, invece, le azioni che danneggiano
involontariamente l’altro individuo (per esempio un incidente).
Ma perché le persone agiscono aggressivamente? Non vi è un’unica risposta a questa
domanda: come affermano Baron e Richardson [1994], tali azioni possono essere
determinate dall’intenzione di fare del male a terzi, infliggendo loro il dolore attraverso
l’espressione di sentimenti negativi provocati dalla rabbia e in questo caso si parla di
aggressività ostile, oppure rappresentano la risposta ad un ostacolo che impedisce di
raggiungere un determinato obiettivo, questo tipo di aggressività è detta strumentale e
6
non si basa sull’intenzione di ferire l’altra persona, anche se questa è una conseguenza
inevitabile del comportamento messo in atto.
1.2 - Valutazione normativa del comportamento aggressivo
È bene specificare che non tutti i comportamenti intenzionali che provocano nel
destinatario il desiderio di evitarli, possono essere classificati come aggressivi: non è
aggressiva, ad esempio, la reazione di una ragazza che cerca di difendersi da un uomo
violento, il suo comportamento è semplicemente una risposta ad un attacco e perciò è
protetto da norme sociali che lo rendono accettabile. Un comportamento va considerato
aggressivo solo se viola delle norme sociali. Tuttavia, Berkowitz [1993] non trascura il
fatto che la valutazione normativa di un comportamento cambia in base al punto di vista
delle persone coinvolte: per esempio, alcuni genitori sono contrari alle punizioni
corporali, altri, invece, le ritengono un efficace metodo educativo. È soggettivo quindi
giudicare legittima o illegittima un’azione aggressiva: la pena di morte è un atto
aggressivo, in quanto presuppone l’intenzione di fare del male al condannato, il quale
vorrebbe evitare tale situazione, ma in molti paesi è considerato legittimo.
1.3 - Le distinzioni fra aggressività, coercizione e violenza
Esiste un particolare tipo di rapporto tra aggressività, coercizione e violenza? Come
affermano Tedeschi e Felson [1994] è innegabile una certa connessione tra essi, ma non
bisogna escludere importanti differenze che li contraddistinguono: la definizione di
coercizione è associata a quella di aggressività per quanto riguarda l’intenzione di porre
in atto un comportamento che provochi danno ad un’altra persona, ma si distingue da
essa per il fatto che la coercizione include l’uso di minacce particolari che inducono ad
adottare un determinato comportamento. Un’azione coercitiva può servirsi dunque di
punizioni, minacce e forza fisica. Inoltre, la coercizione, al contrario dell’aggressività,
sottolinea la natura sociale di un dato comportamento avvicinandolo a processi di
comunicazione e interazione, e infine, l’azione coercitiva non distingue i comportamenti
in termini di legittimo – non legittimo, ed è in genere meno caricata di valori.
Il termine violenza è connesso all’aggressività in quanto rappresenta le sue forme
estreme, con riferimento all’aggressività fisica: Geen [1995] definisce violenza
7
l’imposizione di una forza intensa su persone o proprietà con l’intento di distruggere,
punire o controllare. Si tratta cioè di un atteggiamento socialmente illegittimo, come
hanno dichiarato Archer e Browne [1989].
Quando si parla di violenza sulle donne si tende a distinguere tra violenza psicologica,
caratterizzata da insulti, minacce verbali, denigrazioni, svalutazioni diretti al partner e
violenza fisica, cioè il passaggio all’atto di un impulso aggressivo e violenza sessuale,
ovvero la concretizzazione di un desiderio sessuale attraverso la costrizione, le minacce
e i ricatti. In questo senso il termine violenza è sinonimo di maltrattamento e implica
che la persona che si ritrova ad agire contro la sua volontà occupi una posizione di
inferiorità rispetto all’aggressore: inferiorità fisica, intellettuale o soggettiva (mancante
di attributi di cui dispone l’aggressore). Un simile sentimento di svalutazione è
determinato soprattutto da una percezione distorta della propria immagine corporea per
cui la donna si percepisce più fragile e inferiore rispetto all’uomo: tale situazione si
verifica specialmente in concomitanza con la prima gravidanza, come attesta Elvira
Reale nel suo libro Prima della depressione. Manuale di prevenzione dedicato alle
donne [2007].
Mattaini e colleghi [1996], in seguito a ricerche sulla violenza funzionale, hanno
individuato differenti motivi alla base di un comportamento violento: il desiderio di
fuggire da una situazione ostile, il raggiungimento di un particolare obiettivo, il bisogno
di scaricare l’eccitazione affettiva negativa, la risoluzione di un conflitto, la conquista di
rispetto, l’attacco ad un nemico culturalmente identificato (Lubek [1995] parla, a questo
proposito, di violenza strutturale con riferimento a un atteggiamento discriminatorio
determinato dalle condizioni sociali di un gruppo o di alcune persone, giudicate
condannabili dal soggetto violento).
1.4 - Fattori individuali che influenzano l’espressione dell’aggressività: il ruolo delle
caratteristiche di personalità
Il comportamento aggressivo è influenzato da due gruppi di fattori: le differenze
individuali, ovvero le caratteristiche di personalità e la componente esterna,
situazionale.
8
Appartiene alla categoria delle differenze individuali il costrutto dell’irritabilità: una
tendenza abituale a reagire in modo impulsivo, polemico o maleducato alla più piccola
provocazione o disaccordo. Caprara [1985] con la Scala di irritabilità ha dimostrato che
le persone irritabili sono più aggressive di quelle non irritabili. Un altro fattore è la
suscettibilità emotiva, e cioè la propensione a provare sentimenti di sconforto,
inadeguatezza, impotenza, vulnerabilità; tale tendenza porta il soggetto a manifestare la
propria aggressività [Caprara, Perugini e Barbaranelli 1994]. E aggressivo è il soggetto
che tende ad interpretare abitualmente stimoli ambigui attribuendo loro intenzioni ostili
e aggressive (stile attributivo di ostilità). Dill e colleghi [1997], in un interessante
articolo hanno trattato gli effetti dello stile attributivo ostile sull’aggressività: è questo
un fattore cognitivo che non dipende da esperienze di attivazione emotiva, non è per
esempio un sentimento come la rabbia che spinge una persona a reagire in modo ostile
verso una situazione che ostile non è. Tuttavia ciò non significa che tale disposizione
cognitiva non possa coesistere con un temperamento emotivo. Questa modalità di
percepire gli altri influenza in complesso la percezione sociale del soggetto.
Al contrario, vi è un altro elemento che agisce da inibitore dell’aggressività:
l’assunzione di prospettiva, ovvero la capacità di una persona di adottare in modo non
egocentrico la prospettiva di un’altra persona, come affermano Richardson, Green e
Lago in un articolo del 1998. Gli individui più propensi ad adottare una prospettiva che
non è la loro reagiscono in genere alle provocazioni in modo meno aggressivo
[Richardson e colleghi 1994]. Lo stesso vale per gli individui dotati di self control, che
sanno porre dei limiti alla propria aggressività; al contrario per coloro che sono privi di
autocontrollo è difficile reprimere la propria aggressività e ciò può essere la causa di atti
criminali. Anche il livello di autostima è un elemento che influisce sull’aggressività: su
questo vi sono però delle opinioni divergenti; secondo gli studi tradizionali un basso
livello di autostima può essere la causa di un comportamento aggressivo e i sentimenti
negativi verso se stessi portano l’individuo a relazionarsi in maniera aggressiva con gli
altri; ricerche più recenti, tra le quali quelle di Baumeister e Boden [1998], invece,
hanno dimostrato che sono le persone che hanno più stima di se stesse ad essere più
aggressive, soprattutto quando sono vittime di una situazione che minaccia la propria
autostima. Infine, si parla di dissipazione-ruminazione per riferirsi ad un continuum che
9
quantifica la misura in cui gli individui restano coinvolti a livello cognitivo da uno
stimolo che provoca aggressività: Caprara e colleghi [1994], a seguito di ricerche ed
esperimenti, hanno constatato che coloro che hanno un alto grado di dissipazione e un
basso grado di ruminazione superano in breve tempo uno scontro ostile, senza investire
troppe energie per interpretare la situazione, invece chi presenta un elevato grado di
ruminazione rimane coinvolto nell’esperienza dal punto di vista cognitivo e tende di
conseguenza ad elaborare una risposta aggressiva.
1.5 - Le influenze situazionali
Per componente situazionale si intendono quei fattori esterni alla vita dell’individuo che
sono la causa di un suo comportamento aggressivo: uno di questi elementi è certamente
l’alcol.
Gli studi condotti da Wiehe [1998] hanno dimostrato che coloro che fanno un uso
elevato di alcolici reagiscono in modo più aggressivo rispetto a coloro che bevono
analcolici, mettendo a rischio non solo la loro vita, ma anche quella delle persone a loro
vicine, in particolare i propri familiari, con i quali tendono a relazionarsi in modo
violento. Non tutti coloro che fanno uso di alcolici mettono, però, automaticamente in
atto gli stessi comportamenti e non tutti hanno la stessa storia: una metanalisi condotta
da Ito, Miller e Pollock [1996] in merito al rapporto alcol e aggressività, prova che
alcune persone “fuggono” nell’alcol perché sono incapaci di reagire in modo diverso
alle frustrazioni, agli ostacoli che impediscono loro di raggiungere un determinato
scopo, di conseguenza essi metteranno in atto quel tipo di aggressività definita
strumentale, diretta ad eliminare tali impedimenti. Anche l’incapacità di rispondere alle
provocazioni può suscitare sentimenti di rabbia che generano un’aggressività di tipo
emotivo: l’incapacità di porsi dei limiti, la mancanza di self-control potrebbe originare
reazioni violente.
Un’altra metanalisi avente come oggetto gli effetti dell’alcol sull’aggressività è stata
effettuata da Bushman e Cooper [1990] i quali hanno riscontrato che alla base di tale
rapporto vi sono due fattori diversi. Il primo è farmacologico: l’alcol incrementa il
comportamento aggressivo influenzando il funzionamento fisiologico, agendo cioè sul
sistema nervoso centrale che non è più in grado di reprimere l’aggressività (lo stesso