2
Non è questa la sede per esaminare se il provvedimento della FA sia stato legittimo o
meno ed in quale misura, ciò che interessa è chiarire cosa si debba intendere per violenza
sportiva, se tale fattispecie costituisca illecito penale e quali siano le sue eventuali
scriminanti: in che limiti è ammessa la violenza sportiva e quali contromisure sono
effettivamente adottabili nel momento in cui tali limiti vengono travalicati?
Come abbiamo visto nel caso di Roy Keane ed Alfie Haaland tutto si è risolto con
una condanna disciplinare, per quanto pesante, ma sempre limitata all’ambito sportivo;
non si hanno infatti notizie di azioni penali intraprese contro il capitano del Manchester
United.
Restando però in ambito nazionale, una condotta di tal fatta presenta
indubbiamente caratteristiche compatibili con fattispecie tipizzate dal codice penale
Italiano. Innanzitutto l’articolo 581
4
: “Chiunque percuote taluno, se dal fatto non deriva una
malattia nel corpo o nella mente, è punito, a querela della persona offesa, con la
reclusione fino a sei mesi o con la multa fino a lire seicentomila”.
Nei casi di interventi che costringano la vittima ad uno stop forzato dell’attività
agonistica sarebbe poi applicabile l’articolo 582
5
: “Chiunque cagiona ad alcuno una
lesione personale, dalla quale deriva una malattia nel corpo o nella mente, è punito con la
reclusione da tre mesi a tre anni. Se la malattia ha una durata non superiore ai venti giorni
e non concorrono alcune delle circostanze aggravanti previste negli articoli 583
6
e 585
7
, ad
eccezione di quelle indicate nel numero 1) e nell’ultima parte dell’articolo 577. il delitto è
punibile a querela della persona offesa”.
4
“PERCOSSE”.
5
“LESIONE PERSONALE”.
6
“La lesione personale è grave e si applica la reclusione da tre a sette anni:
1) se dal fatto deriva una malattia che metta in pericolo la vita della persona offesa, ovvero una malattia o
un’incapacità di attendere alle proprie occupazioni per un periodo di tempo superiore a quaranta giorni;
2) se il fatto produce l’indebolimento permanente di un senso o di un organo;
La lesione personale è gravissima, e si applica la reclusione da sei a dodici anni, se dal fatto deriva:
1) una malattia certamente o probabilmente insanabile;
2) la perdita di un senso;
3) la perdita di un arto, o una mutilazione che renda l’arto inservibile, ovvero la perdita dell’uso di un organo
o della capacità di procreare, ovvero una permanente e grave difficoltà della favella;
4) la deformazione, ovvero lo sfregio permanente del viso”.
7
“Nei casi preveduti dagli articoli 582, 583, 584, la pena è aumentata da un terzo alla metà, se
concorre alcuna delle circostanze aggravanti prevedute dall’articolo 576 (che si riferiscono all’omicidio e
prevedono la pena dell’ergastolo); ed è aumentata fino ad un terzo, se concorre alcuna delle circostanze
aggravanti prevedute dall’articolo 577 (anche questo riferito all’omicidio), ovvero se il fatto è commesso con
armi o con sostanze corrosive [OMISSIS]”.
3
Nei casi più estremi sarebbero poi applicabili gli articoli 575
8
e 584
9
(più
frequentemente), senza dimenticare la possibilità di teorizzare il 586
10
come sorta di
clausola generale di punibilità degli eventi lesivi dell’integrità fisica.
Le fattispecie fin qui elencate si riferiscono all’elemento soggettivo del dolo, nelle
sue varie forme; altri articoli del codice penale sono invece dedicati agli eventi colposi, ed
in particolare il 589
11
ed il 590
12
.
A questo punto possiamo definire in generale il concetto di violenza sportiva come
tutta quella serie di fatti violenti direttamente ed eziologicamente ricollegabili al fenomeno
sportivo; volendo scendere nel particolare, la violenza sportiva si concreta in ogni attività
violenta volontariamente realizzata nei confronti della persona fisica dell’avversario, o
anche solo rappresentandosi la possibilità del suo riversarsi su di essa
13
.
VIOLENZA SPORTIVA E CAUSE DI GIUSTIFICAZIONE
Abbiamo fino ad ora individuato le aree della violenza sportiva che sono punibili, o
perché si tratta di casi nei quali la competizione sportiva diventa il mero pretesto per porre
in essere una condotta violenta che verrà quindi punita a titolo di dolo, o perché si
travalicano i limiti della lealtà sportiva, o del rischio consentito, aprendo la porta ad
un’incriminazione colposa, o ancora perché pur rimanendo nei confini della “normalità”
dell’intervento falloso in realtà esiste una responsabilità basata sul dolo eventuale.
Dobbiamo ora capire perché invece tutto ciò che rimane nei limiti del consentito dal
regolamento, o tutto ciò che non supera il rischio consentito, pur potendo comportare la
verificazione di un evento lesivo, quando ciò effettivamente succede non viene sanzionato
penalmente. Perché, in altri termini, quando un giocatore lede un avversario causandogli
8
“OMICIDIO.
Chiunque cagiona la morte di un uomo è punito con la reclusione non inferiore ad anni ventuno”.
9
“OMICIDIO PRETERINTENZIONALE.
Chiunque, con atti diretti a commettere uno dei delitti preveduti dagli articoli 581 e 582, cagiona la morte di
un uomo, è punito con la reclusione da dieci a diciotto anni”.
10
“MORTE O LESIONE COME CONSEGUENZA DI ALTRO DELITTO.
Quando da un fatto preveduto come delitto volontario deriva, quale conseguenza non voluta dal
colpevole, la morte o la lesione di una persona, si applicano le disposizioni dell’articolo 83, ma le pene
stabilite negli articoli 589 e 590 sono aumentate”.
11
“OMICIDIO COLPOSO.
Chiunque cagiona per colpa la morte di una persona è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni
[OMISSIS].”
12
“LESIONI PERSONALI COLPOSE.
Chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale è punito con la reclusione fino a tre mesi o con la
multa fino ad Euro 309.87 [OMISSIS].”
13
Così MARINI, voce “Violenza Sportiva”, in Noviss. Dig. It., vol. XX, Torino, 1975, 982 ss.
4
lesioni anche gravi, se ha rispettato particolari modalità di condotta non viene punito,
mentre se le stesse modalità di condotta vengono poste in essere al di fuori del contesto
sportivo la sanzione penale è pienamente operante?
Siamo nel campo di un’altra grande categoria della teoria tripartita del reato,
l’antigiuridicità ed i fatti che la escludono, che vanno sotto il nome di “cause di
giustificazione”, o “scriminanti”, o “esimenti”.
Prima di affrontare la tematica centrale è necessario, sia pur brevemente,
soffermarsi sulla natura giuridica delle cause di giustificazione. Esse ineriscono alla
categoria dell’antigiuridicità che secondo la concezione tripartita si colloca come elemento
autonomo, al centro tra la tipicità e la colpevolezza. È evidente che per antigiuridicità si
intende un giudizio di valore su una fattispecie in relazione ad un intero ordinamento
giuridico; a prima vista potrebbe apparire una sorta di duplicazione inutile, in quanto se il
fatto corrisponde in tutti gli elementi a quello vietato da una norma la sua contrarietà
all’ordinamento sembrerebbe essere in re ipsa; è però necessario, per la piena
comprensione della categoria dell’antigiuridicità, riflettere sul fatto che in ogni ordinamento
esistono settori di materie più o meno separati tra loro, diritto penale, civile,
amministrativo, e che sono essi stessi sottosistemi con proprie logiche; ora che un
episodio di vita sia conforme ad un illecito civile, penale o amministrativo rappresenta solo
un primo sintomo di contrarietà a quell’ordinamento. Successivamente è però necessario
stabilire che non esista un’altra norma, relativa anche ad altro settore, che sia in contrasto
con il divieto.
Dal momento che l’antigiuridicità non può mai essere relativa ad una sola branca
del diritto, quel primo indizio di antigiuridicità, rappresentato dalla conformità del fatto ad
una fattispecie di settore
14
, va messo in relazione con l’intero ordinamento affinché sia
confermata o negata per la presenza e prevalenza di un’altra norma che invece facoltizza
o addirittura impone quel fatto.
Le cause di giustificazione sono quindi espressioni di principi generali
dell’ordinamento che rendono lecito un fatto che in loro assenza è illecito, in quanto
esprimono la funzione di risolvere antinomie tra due norme di cui l’una vieta un
comportamento e l’altra lo consente o addirittura lo esige pena la commissione di un
illecito: è lecito uccidere il proprio aggressore, usare violenza da parte della forza pubblica
14
Che nella specie sarà sempre quello penale.
5
per evitare la commissione di un reato, offendere per esercitare il diritto di cronaca. Il tutto,
ovviamente, in precisi limiti valicati i quali si incorre nell’eccesso
15
.
Il fatto tipico da considerare in questo capitolo è diverso da quella esaminata fino ad
ora, che potremmo definire di un reato vero e proprio di violenza sportiva, ed è quella più
ampia delle fattispecie di percosse e lesioni così come definite dal codice penale. È a
questo fatto tipico che si riferisce infatti la scriminante che ora cercheremo di inquadrare
16
,
cioè l’esercizio dell’attività sportiva.
Come già detto, in tale analisi si dovrà tener conto del fatto che il parametro che
esclude l’antigiuridicità va ricercato non solo nel campo del diritto penale, ma nell’intero
ordinamento giuridico. Oltre alle norme penali va infatti esaminata la relazione di queste
ultime con altre norme dell’ordinamento: se una legge di diritto amministrativo consente
una determinata azione posta in essere con determinate modalità, non ha senso che per il
diritto penale lo stesso identico comportamento, pur in linea di massima aderente alla
fattispecie tipica di un qualche delitto, sia sanzionato
17
. L’analisi sulle cause di
giustificazione concerne quindi l’intero ordinamento giuridico, non solo quello penale.
In sostanza, il giudizio di verifica dell’antigiuridicità di un fatto si risolve nella verifica
che il fatto tipico non sia coperto da nessuna causa di giustificazione.
Va segnalato ancora che le cause di giustificazione operano anche se non
conosciute dall’agente, dal momento che l’antigiuridicità ha natura oggettiva, costituendo
un autonomo requisito del reato.
Come abbiamo detto, le scriminanti fanno riferimento all’intero ordinamento
giuridico e non solo a quello penale. Da ciò discendono importanti corollari: la disciplina
delle cause di giustificazioni non è soggetta al principio della riserva di legge e c’è la
possibilità di una estensione analogica delle esimenti stesse.
Le scriminanti vanno infine distinte dalle cause di esclusione della colpevolezza (o
scusanti), che non tolgono l’antigiuridicità del fatto, ma fanno venir meno solamente la
possibilità di muovere un rimprovero al suo autore.
15
Art. 55 c.p. - Eccesso colposo: “Quando nel commettere alcuno dei fatti preveduti dagli articoli 51,
52, 53 e 54, si eccedono colposamente i limiti stabiliti dalla legge o dall’ordine dell’Autorità ovvero imposti
dalla necessità, si applicano le disposizioni concernenti i delitti colposi, de il fatto è preveduto dalla legge
come delitto colposo”.
16
Mentre abbiamo visto nei capitoli precedenti che il gesto violento portato in determinate modalità
non è giustificato dall’esercizio dell’attività sportiva.
17
Si parla in proposito di principio di non contraddizione dell’ordinamento. FIANDACA-MUSCO,
Diritto penale, op. cit., 157.
6
Per spiegare il fondamento sostanziale delle cause di giustificazione si fa
riferimento normalmente al modello esplicativo pluralistico
18
, che indica i criteri
dell’interesse prevalente
19
e dell’interesse mancante
20
.
Nel nostro codice penale le cause di giustificazione sono disciplinate negli articoli
50 ss.: quelle tipizzate sono:
- il consenso dell’avente diritto
21
;
- l’esercizio di un diritto e l’adempimento di un dovere
22
;
- la difesa legittima
23
;
- l’uso legittimo delle armi
24
;
- lo stato di necessità
25
.
Oltre a queste esistono scriminanti non codificate, come ad es. può essere
considerata l’attività medico-chirurgica; cercheremo di capire se l’esercizio di attività
sportiva possa essere ricondotto nell’alveo delle scriminanti tipiche o se viceversa possa
18
Che sostiene come le cause di giustificazione siano riconducibili a diversi principi, in
contrapposizione al modello esplicativo monistico, che al contrario riconduce le esimenti ad un unico
principio, che appare in diverse forme a seconda del punto di vista: mezzo adeguato per il raggiungimento di
uno scopo approvato dall’ordinamento giuridico, prevalenza del vantaggio sul danno , bilanciamento tra beni
in conflitto, giusto contemperamento tra interesse e controinteresse, e così via.
19
A cui ricondurre esercizio di un diritto, adempimento del dovere, legittima difesa, uso legittimo
delle armi.
20
Che comprende consenso dell’avente diritto e stato di necessità.
21
Art. 50: “non è punibile chi lede o pone in pericolo un diritto, col consenso della persona che può
validamente disporne”.
22
Art. 51: “L’esercizio di un diritto e l’adempimento di un dovere imposto da una norma giuridica o da
un ordine legittimo della pubblica Autorità esclude la punibilità.
Se un fatto costituente reato è commesso per ordine dell’Autorità, del reato risponde sempre il
pubblico ufficiale che ha dato l’ordine.
Risponde del reato altresì chi ha eseguito l’ordine, salvo che, per errore di fatto, abbia ritenuto di
obbedire ad un ordine legittimo.
Non è punibile chi esegue l’ordine illegittimo, quando la legge non gli consente alcun sindacato sulla
legittimità dell’ordine”.
23
Art. 52: “non è punibile chi ha commesso il fatto, per esservi stato costretto dalla necessità di
difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo di attuale di un’offesa ingiusta, sempre che la difesa sia
proporzionata all’offesa”.
24
Art. 53: “ferme le disposizioni contenute nei due articoli precedenti, non è punibile il pubblico
ufficiale che, al fine di adempiere un dovere del proprio ufficio, fa uso ovvero ordina di far uso delle armi o di
un altro mezzo di coazione fisica, quando vi è costretto dalla necessità di respingere una violenza o di
vincere una resistenza all’Autorità, e comunque di impedire la consumazione dei delitti di strage, naufragio,
sommersione, disastro aviatorio, disastro ferroviario, omicidio volontario, rapina a mano armata e sequestro
di persona.
La stessa disposizione si applica a qualsiasi persona che, legalmente richiesta dal pubblico ufficiale,
gli presti assistenza.
La legge determina gli altri casi, nei quali è autorizzato l’uso delle armi o di un altro mezzo di
coazione fisica”.
25
Art. 54: “non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di
salvare sé od altri dal pericolo attuale di un danno grave alla persona, pericolo da lui non volontariamente
causato, né altrimenti evitabile, sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo.
Questa disposizione non si applica a chi ha un particolare dovere giuridico di esporsi al pericolo.
La disposizione della prima parte di questo articolo si applica anche se lo stato di necessità è
determinato dall’altrui minaccia; ma, in tal caso, del fatto commesso dalla persona minacciata risponde chi
l’ha costretta a commetterlo”.
7
essere considerata una causa di giustificazione a sé, con caratteristiche del tutto
particolari e quindi da considerare non codificata, oppure se esistono altri motivi per cui la
violenza sportiva non viene sanzionata dal diritto penale.
Innanzitutto possiamo escludere dall’indagine alcune delle scriminanti tipiche: è
evidente come legittima difesa, stato di necessità, uso legittimo delle armi ed
adempimento di un dovere abbiano poco a che fare con il mondo delle lesioni sportive.
Il fondamento della liceità delle lesioni sportive è stato ricercato in varie fonti: una
norma consuetudinaria
26
; l’autorizzazione dell’autorità di pubblica sicurezza
27
; una causa
di giustificazione non codificata
28
, applicabile mediante un procedimento di analogia in
bonam partem, fondata sull’utilità o sulla mancanza di danno sociale; una causa di
giustificazione codificata, vuoi l’esercizio di un diritto
29
, vuoi il consenso dell’avente
diritto
30
. Analizzeremo tutti gli aspetti di questa diversificazione per cercare di giungere alla
soluzione più corretta.
CONCLUSIONI
Nel concludere questa tesi, non possiamo fare a meno di notare come la stessa
realtà sportiva, quasi a confermare l’analisi della violenza sportiva svolta in questo lavoro,
ci offra un esempio di cronaca perfetto: durante la partita di Coppa Italia di calcio Lazio-
Parma, disputatasi il 15 gennaio 2004 allo stadio Olimpico di Roma, sul finire del primo
tempo l’attaccante della Lazio Bernardo Corradi ha colpito con un forte calcio alla testa il
portiere del Parma Andrea Sicignano. L’azione si è svolta in maniera veloce ma non
precipitosa, con il portiere che, protetto da un compagno di squadra, è uscito in presa
bassa bloccando il pallone; l’attaccante, aggirando il difensore, ha cercato comunque di
26
Così PICHLER, La lesione sportiva nel processo penale, op. cit.
27
Cfr. VALSECCHI, L’omicidio e la lesione personale nei giochi sportivi, in Riv. Pen., 1930, I, 526.
28
Cfr. BERNASCHI, Limiti dell’illiceità penale della violenza sportiva, op. cit.; CORDERO, Appunti in
tema di violenza sportiva, op. cit.; LA CUTE, L’esercizio dell’attività sportiva come causa di giustificazione
non codificata, in Giur. Merito, 1975, II, 15; TOMASELLI, La violenza sportiva e il diritto penale, in Riv. Dir.
Sport., 1970, 319; VASSALLI, Agonismo sportivo e norme penali, in Riv. Dir. Sport., 1958, 181.
29
Cfr. CAIANELLO, L’attività sportiva nel diritto penale, in Riv. Dir. Sport., 1975, 273; CRUGNOLA,
La violenza sportiva, in Riv. Dir. Sport., 1970, 319; DE FRANCESCO, La violenza sportiva ed i suoi limiti
scriminanti, in Riv. It. Dir. Proc. Pen., 1983, 588; DE SANCTIS, Il problema della liceità penale della violenza
sportiva, in Arch. Pen., 1967, 9055; LEONE, L’esimente dell’esercizio di un diritto, Jovene, Napoli, 1970;
NUVOLONE, I limiti taciti della norma penale, Cedam, Padova, 1972, 181; PANNAIN, Violazione delle
regole del gioco e delitto sportivo, in Arch. Pen., 1962, II, 98; VIDIRI, Violenza sportiva e responsabilità
penale dell’atleta, in Cass. Pen., 1992, 3157.
30
Cfr. CHIAROTTI, La responsabilità penale nell’esercizio dello sport, in Riv. Dir. Sport., 1858, 237;
MARINI, voce “Violenza Sportiva”, op. cit.; NOCCIOLI, Le lesioni sportive nell’ordinamento giuridico, in Riv.
Dir. Sport., 1953, 252; RAMPIONI, Sul c.d. “delitto sportivo”: limiti di applicazione, in Riv. Dir. Proc. Pen.,
1975, 660.
8
giocare la sfera nonostante questa fosse già in possesso di Sicignano, colpendolo. Il
portiere si è immediatamente portato le mani al volto per il dolore e poi ha perso i sensi
per alcuni minuti: le immagini televisive hanno mostrato tutta la drammaticità del momento,
con i soccorritori che cercavano di liberare le vie aeree del giocatore, ostruite dalla lingua
che si era rivoltata all’indietro, e che provavano a risvegliarlo con qualche schiaffo. Alla
fine tutto si è risolto bene, con un semplice trauma cranico senza conseguenze particolari
per Sicignano, che il giorno dopo ha potuto riprendere l’attività. Ma se per ipotesi i danni
fossero stati peggiori, a cosa sarebbe andato incontro Corradi? Il suo comportamento è
stato sanzionato dall’arbitro come fallo di gioco, con l’attribuzione al Parma di un calcio di
punizione indiretto per carica al portiere. Spostiamo però l’analisi sul piano del rischio
consentito: ad un attaccante è concesso qualsiasi tentativo per raggiungere il pallone sul
quale interviene il portiere? Evidentemente no, altrimenti non si vede perché gli estremi
difensori non entrino in campo con tutte le protezioni tipiche del football americano. È
chiaro che esiste una soglia che l’attaccante non può superare. E nel caso di specie tutti
gli addetti ai lavori hanno avuto la netta impressione che Corradi potesse evitare il
contatto, tant’è che il movimento della gamba che ha colpito Sicignano risulta in un certo
modo forzato, con il piede mantenuto molto vicino al suolo in direzione della palla: la
dinamica di quel determinato tipo di uscita determina poi il fatto che il portiere assuma una
posizione per così dire rannicchiata, con la conseguenza che la testa viene a trovarsi a
pochi centimetri dalle mani, e conseguentemente dalla palla. L’attaccante avrebbe potuto
benissimo evitare il contatto, sia non direzionando la gamba verso la testa del portiere
mantenendo un normale assetto di corsa, sia saltando l’avversario.
Invece Corradi ha deliberatamente scelto di tentare comunque l’intervento,
accettando il rischio di colpire Sicignano, come poi è effettivamente accaduto.
La domanda che dobbiamo porci è se un tale rischio, durante un’uscita di questo
tipo, diversa da quelle che normalmente vengono definite “disperate” e che comportano
quasi sempre un elevato rischio di contatto fisico, è normalmente accettato da un portiere
che scende in campo.
Un portiere di una certa esperienza
31
sa benissimo che l’uscita bassa comporta un
certo rischio di contatto fisico, ma al tempo stesso sa che un attaccante può individuare i
casi in cui non arriverà mai a giocare la palla; di conseguenza, in presenza di tale
situazione, si aspetta che l’avversario, proprio perché conscio di non riuscire più ad
intervenire in maniera efficace, rinunci a proseguire nell’azione evitando il contatto fisico.
31
Ed un portiere, per quanto giovane, che arrivi a giocare nella massima categoria professionistica
ha indubbiamente tale grado di esperienza.
9
L’azione di Corradi si è mantenuta quindi sotto il livello di rischio consentito? Il problema
principale per l’insorgere della responsabilità penale è appunto questo, verificare se
l’azione lesiva si mantenga sotto quella soglia di pericolosità individuata dai concetti di
rischio consentito e lealtà sportiva; l’analisi dell’elemento soggettivo (colpa e dolo nelle
loro varie manifestazioni) arriva solo in un momento successivo.
Naturalmente questo lavoro non vuole arrivare alla conclusione che ogni fatto
dannoso debba essere sanzionato penalmente, e nel corso dell’analisi svolta si è cercato
di spiegare come in realtà lo spazio per la punibilità è residuale, limitato a determinati
comportamenti del tutto incompatibili con la pratica di un’attività sportiva, soprattutto in
considerazione del forte ruolo sociale che lo sport svolge. Ma al tempo stesso vogliamo
sottolineare che la pratica di un’attività sportiva non significa totale impunità, poter
intervenire sull’avversario senza preoccuparsi minimamente delle conseguenze, quasi che
lo stadio o il palazzo dello sport fossero una zona franca nella quale il diritto penale perde
validità. È palese che una tale conclusione contrasta in maniera radicale con l’articolo 3
della Costituzione, che sancisce l’inderogabile principio di uguaglianza dei cittadini di
fronte alla legge.
Il diritto penale viene definito come extrema ratio per far sì che un determinato
comportamento non si verifichi; la responsabilità penale entra in campo nel momento in
cui gli altri mezzi fissati dall’ordinamento si rivelano inefficaci
32
. Negli ultimi anni è stato
sempre più forte il grido d’allarme di giocatori e tecnici del calcio per il gioco duro che
ormai caratterizza moltissime partite: si mette a repentaglio l’incolumità dei giocatori,
soprattutto di quelli tecnicamente più dotati. Ricorrere alle “cattive maniere” per fermare
chi è più forte, oltre che essere scorretto, non rappresenta certo un esempio valido per chi
si avvicina allo sport; dal momento che le sanzioni disciplinari si rivelano spesso
inadeguate
33
non si vede perché il diritto penale non possa riprendersi quello spazio che
gli è stato lentamente levato. Sia chiaro, non stiamo sostenendo che ogni intervento lesivo
va sanzionato: oltre al concetto di rischio consentito e di lealtà sportiva, a cui va legata
l’analisi del comportamento, esiste un altro istituto che contribuisce a limitare l’ambito di
applicazione delle norme penali, la querela
34
. Il soggetto leso potrebbe benissimo sentire
32
Come esempio, sempre in ambito sportivo, si può citare la L. 376/2000, che ha dichiarato reato
l’auto-doping: il legislatore ordinario è arrivato all’emanazione di tale norma anche in considerazione del
fallimento delle normali sanzioni sportive nel limitare tale fenomeno.
33
Per uno dei falli peggiori, il tackle scivolato da dietro, è prevista l’espulsione diretta, ma raramente
i direttori di gara applicano alla lettera tale norma; anzi spesso accade che, nel momento in cui invece lo
fanno, giornalisti e opinionisti si scatenano in una richiesta di maggior elasticità, perché il fallo poi non era
così cattivo, o perché mancava ancora parecchio tempo alla fine, e così via.
34
Con i limiti che si sono visti in termini di durata della malattia.
10
l’intervento, per quanto violento, come normale all’interno di quel determinato contesto di
gara; viceversa, nel momento in cui gli sembrasse che l’atto lesivo esuli dal contesto di
gara, potrebbe dare inizio ad un procedimento penale. Ma questo non significa che
l’autore verrà condannato: l’ultima parola spetta comunque al giudice, che dovrà verificare
il rispetto della soglia di rischio consentito, o il suo superamento: solo una precisa verifica
delle concrete modalità di azione consente di stabilire se il soggetto si è reso protagonista
di un reato, o se invece il suo comportamento va ritenuto in linea con la competizione
sportiva, che va considerata non in linea astratta (“una partita di calcio in generale”), ma
nel suo svolgimento concreto (prendendo quindi in considerazione anche il
comportamento degli atleti, il clima della partita, e via dicendo).
Una soluzione per il problema della violenza sportiva potrebbe essere quella di
estendere la procedibilità a querela anche a quelle lesioni che comportino malattie di
durata superiore ai venti giorni: in questo caso la prima valutazione del comportamento
dell’atleta verrebbe compiuta da un collega, un soggetto che meglio di altri può analizzare
la condotta dell’avversario, verificando il rispetto del fair-play e della soglia di rischio
consentito; si tratterebbe quindi di creare una condizione di procedibilità ad hoc per le
competizioni sportive, che troverebbe il suo fondamento nel trattamento di favore che
l’ordinamento riserva allo sport per la sua valenza sociale.
In realtà il discorso sulla condizione di procedibilità è, allo stato attuale delle cose,
praticamente inutile, vista l’esistenza, negli statuti delle varie federazioni sportive, della
c.d. “clausola compromissoria”
35
: gli associati si impegnano, mediante l’accettazione di
tale norma, implicita nell’atto stesso si affiliazione, a non adire il giudice ordinario
accettando così le decisioni del sistema di giustizia sportiva. Tale clausola è decisamente
radicata all’interno del sistema sportivo, tanto che la sua violazione o elusione può essere
sanzionata addirittura con lo scioglimento del vincolo fra federazione e soggetto (sia esso
società o associazione, ed in tal caso si avrà la revoca dell’affiliazione, sia esso una
persona fisica, ed in questo caso si avrà la radiazione). Oltre a ciò va considerato che lo
stesso ordinamento sportivo si ritiene una zona autonoma, con un proprio sistema di
giustizia, e difficilmente tollera per così dire “intromissioni” da parte del sistema giudiziario
ordinario; non a caso la deroga alla clausola compromissoria viene concessa solamente
per “gravi ragioni di opportunità”
36
.
Lo sport non deve diventare un pretesto per commettere un reato senza doverne
rispondere. Il trattamento privilegiato, dal punto di vista penale, di cui godono gli atleti, per
35
Cfr. cap. 7.1.
36
Art. 27 Statuto F.I.G.C.
11
via della causa di giustificazione dell’esercizio di un diritto, non deve sfociare in una
pretesa di impunità.
Il punto fondamentale è distinguere all’interno di una competizione sportiva ciò che
rimane entro i limiti dell’agonismo, per quanto acceso, e ciò che invece li supera: è questo
il difficile compito a cui è chiamato chi amministra la giustizia.
APPENDICE: IL CASO CIRILLO-MATERAZZI
Poco prima della scadenza dei termini per la consegna della tesi, un episodio
eclatante avvenuto dopo una partita di calcio di serie A mi ha praticamente costretto ad
una doverosa integrazione, non tanto per i fatti in sé, ma piuttosto per la vasta eco
mediatica seguita all’episodio stesso.
I fatti: al termine di Inter-Siena
37
, il giocatore senese Bruno Cirillo si è presentato di
fronte alle telecamere per mostrare il proprio labbro lesionato in seguito ad un pugno
ricevuto dal giocatore interista Marco Materazzi. Il caso ha suscitato grande clamore
proprio per via della denuncia diretta da parte di Cirillo; normalmente infatti atleti, dirigenti
ed addetti ai lavori tendono a ridimensionare episodi di questo genere. Va poi considerata
la condotta di Materazzi, che durante tutto l’arco della gara ha ripetutamente insultato
Cirillo, invitando i compagni a giocare nella sua zona viste le presunte scarse qualità del
difensore senese.
Il Giudice Sportivo ha squalificato il giocatore per quasi due mesi, fino al 29 marzo
2004, inibendogli la partecipazione a qualsiasi attività, comprese le competizioni
internazionali
38
. Ma più che la squalifica in sé, elevata ma non esagerata, considerando
anche alcune decisioni passate o emesse a livello dilettantistico, sono le motivazioni che
rendono pesante il giudizio: “la gravità del pugno a Cirillo, la sua potenziale pericolosità –
si legge nella sentenza del Giudice Sportivo Maurizio Laudi – che poteva andare ben oltre
al labbro ferito e curato in ospedale, reso evidente dall’assoluta mancanza di
autocontrollo, comportano la necessità di una sospensione per qualsiasi gara ufficiale, e
non soltanto per quelle relative al campionato di serie A”; il gesto è stato definito come un
“atto di violenza gratuita, che ha costituito l’esito inqualificabile di una condotta antisportiva
già manifestatasi durante la partita. [OMISSIS] Un gesto che poteva cagionare
conseguenze lesive ancora più serie. [OMISSIS] L’atto è stato commesso al di fuori del
37
Giocata il primo febbraio a Milano (posticipo delle 20:30).
38
In casi di particolare gravità infatti la sentenza del Giudice Sportivo viene trasmessa anche
all’UEFA ed alla FIFA, che fanno propria la squalifica stabilita dalla federazione nazionale.
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contesto agonistico, senza la giustificazione dello stress psicofisico”. Le conclusioni di
Laudi parlano di “pericolo di recidiva, reso evidente dall’assoluta mancanza di
autocontrollo palesata da Materazzi”.
L’Inter non ha fatto ricorso contro la sentenza, dopo aver pubblicamente
condannato il proprio tesserato, mentre il giocatore aveva in un primo momento pensato di
ricorrere proprio per via della pesantezza delle motivazioni, che lo dipingono come un
elemento ai limiti della follia violenta, ma successivamente, adeguandosi alla decisione
della società, ha rinunciato.
Non è questa la sede per addentrarsi in una discussione sulla correttezza della
sentenza né sul comportamento del giocatore del Siena che ha voluto a tutti i costi
presentarsi davanti alle telecamere (anche se è decisamente allarmante il fatto che
qualcuno abbia voluto condannare Cirillo per essersi presentato davanti alle telecamere
ed addirittura alcuni dirigenti della sua società abbiano tentato di dissuaderlo dal suo
proposito fino a pochi attimi prima della diretta televisiva), come non sarà toccato il
problema che Materazzi non aveva titolo per essere né ai bordi del campo né negli
spogliatoi, dal momento che, essendo infortunato, non era presente nella distinta dei
giocatori consegnata all’arbitro; per questa ragione l’Inter ha ricevuto comunque
un’ammenda di cinquemila Euro.
Ci limiteremo ad analizzare dal punto di vista giuridico l’episodio, sia per quanto
riguarda la qualificazione penale dell’atto, sia in relazione alla concessione o meno della
deroga alla clausola compromissoria, anche se difficilmente la vicenda avrà un seguito
penale: poco più di una settimana dopo l’episodio i due protagonisti si sono incontrati per
chiarirsi e Cirillo ha dichiarato di aver perdonato il collega, rinunciando alla denuncia.
Prima di tutto occorre chiarire che l’episodio ha rilevanza penale: non ci sono dubbi
che un pugno sferrato a freddo nei confronti di un’altra persona possa integrare una
fattispecie prevista dal codice penale, dalle percosse alle lesioni personali a seconda delle
conseguenze fisiche patite dall’offeso
39
. Nel caso di specie la condotta del difensore
dell’Inter può essere inquadrata nel reato ex 582 c.p., riguardante le lesioni personali
dolose, senza aggravanti specifiche dal momento che la ferita di Cirillo è stata giudicata
guaribile in dieci giorni.
39
È priva di qualsiasi fondamento, logico e giuridico, l’affermazione di un noto giornalista sportivo,
Giancarlo Dotto, presente ad una trasmissione sportiva nella quale si commentava l’episodio, secondo cui il
terreno di gioco ed il tunnel che conduce agli spogliatoi rappresentano una zona nella quale i codici non
hanno alcun valore.
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Dunque il delitto è punibile a querela della persona offesa, ed a questo punto si
aprono fondamentalmente tre scenari:
1) Cirillo chiede la deroga alla clausola compromissoria e la ottiene: in questo caso
si aprirebbe un procedimento penale di fronte al Giudice di Pace e Materazzi, se dovesse
essere riconosciuto colpevole, potrebbe essere punito non con la pena detentiva (che non
è irrogabile dal Giudice di Pace), ma con una multa da Euro 774,64 a 2.582,28, o la pena
della permanenza domiciliare da venti giorni a quarantacinque giorni ovvero la pena del
lavoro di pubblica utilità da un mese a sei mesi
40
. Naturalmente non è per niente
automatico che Materazzi venga condannato, dal momento che il procedimento penale
non è vincolato alle decisioni della giustizia sportiva
41
: si osserveranno le norme
sull’istruzione probatoria nel procedimento di fronte al Giudice di Pace e va considerato
anche che esiste la possibilità di una declaratoria di estinzione del reato conseguente a
condotte riparatorie, come il risarcimento del danno
42
.
2) Cirillo chiede la deroga della clausola compromissoria ma non la ottiene e si
adegua al volere della federazione: in questo caso il difensore dell’Inter non subirebbe
conseguenze a livello penale, restando la questione interamente devoluta alla cognizione
della giustizia sportiva.
3) Cirillo chiede la deroga della clausola compromissoria, non la ottiene, e
nonostante ciò decide di denunciare ugualmente Materazzi, dando il via al procedimento
che abbiamo descritto poco sopra. In questo caso è paradossalmente il giocatore del
Siena a rischiare di più, proprio in virtù della violazione della clausola compromissoria:
Cirillo infatti verrebbe sottoposto a procedimento disciplinare da parte della giustizia
sportiva, con il rischio di una sanzione pensante, che va da una lunga squalifica fino alla
radiazione dalla Federazione. In sostanza Cirillo rischierebbe di non poter più giocare a
calcio in Italia, di fronte ad una possibile condanna di Materazzi ad una pena tutto
sommato mite.
Come si può facilmente notare, nel momento in cui il Consiglio Federale negasse
al giocatore senese la possibilità di adire le vie legali, egli si troverebbe in una situazione
certamente non facile: rischierebbe infatti di mettere a repentaglio la propria carriera in
Italia, con conseguente trasferimento obbligatorio in una società estera, se volesse
continuare a giocare; senza considerare che, una volta terminata la carriera agonistica, si
40
Art. 52 D. Lgs. 28 agosto 2000, n. 274, “disposizioni sulla competenza penale del giudice di pace,
a norma dell’articolo 24 della legge 24 novembre 1999, n. 468”.
41
Cfr. cap. 7.3.
42
Art. 35 c.1 D. Lgs. 28 agosto 2000, n. 274.
14
troverebbe preclusa la possibilità di svolgere qualsiasi incarico all’interno della FIGC,
anche se volesse semplicemente allenare una formazione giovanile.
Abbiamo così analizzato le possibilità di sviluppo dell’episodio, e non si può fare a
meno di notare come l’ordinamento sportivo disincentivi in maniera decisa il ricorso alla
giustizia ordinaria: normalmente le deroghe alla clausola compromissoria vengono
concesse per fatti di ingiuria o diffamazione, e comunque con maggior favore per le
controversie civili rispetto a quelle penali.
La clausola compromissoria rappresenta quindi un meccanismo molto efficace dal
punto di vista del mantenimento dell’autonomia dell’ordinamento sportivo dal punto di vista
dell’amministrazione della giustizia: i tribunali ordinari ne hanno sancito la legittimità,
almeno entro determinati limiti
43
.
Resta da capire fino a che punto possa essere accettata una tale soluzione, visto il
crescente degrado del mondo sportivo, soprattutto per quanto riguarda quello
professionistico del calcio, che in questi ultimi anni ha dato parecchi spunti ai detrattori
della disciplina: basti pensare agli interventi eccessivamente violenti
44
, al doping
farmacologico e a quello c.d. “amministrativo”
45
.
Il problema consiste nel trovare una mediazione ragionevole tra il sistema così
come è concepito adesso e l’estremo opposto, che potrebbe vedere la normale
sanzionabilità penale di tutti i comportamenti corrispondenti alle fattispecie astratte della
normativa penale: un sistema che sarebbe inaccettabile vista la valenza rivestita dalla
pratica sportiva nel nostro ordinamento.
Va poi considerato che l’instaurazione di un procedimento penale non comporta
l’automatica condanna: uno dei principi fondamentali a cui è improntato il nostro sistema
processual-penalistico è quello della presunzione di non colpevolezza
46
: nel procedimento
penale semplicemente si farà luce su tutti gli aspetti della condotta esaminata, e sarà il
giudice a dover stabilire, anche con l’ausilio di consulenti e periti, se questa va considerata
normale all’interno della disciplina sportiva oppure se rappresenta qualcosa di patologico.
43
Cfr. cap. 7.1.
44
Un chiaro esempio lo si è avuto nel corso di Roma-Juventus dell’8 febbraio 2004, con il difensore
juventino Pablo Montero che ha colpito Francesco Totti con un calcio alla tibia molto violento: è quasi
superfluo far notare che in casi come questi il rischio di una frattura è molto alto e che normalmente lesioni di
questo tipo richiedono più di sei mesi di stop all’attività agonistica.
45
Alcune squadre iscritte al campionato di serie A 2003/2004 non avrebbero avuto titolo a
partecipare, dal momento che le garanzie finanziarie richieste per l’iscrizione si basavano su fideiussioni
false o su bilanci falsificati; senza contare che esistono società che non pagano regolarmente gli stipendi ai
giocatori, che spesso sono di livello superiore a quello di altre formazioni che invece rispettano le
prescrizioni normative.
46
Art. 2 Cost.: “l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva”.
15
Per quanto riguarda la materia esaminata in questo lavoro, la violenza sportiva, va
esclusa la punibilità di tutti le condotte che si mantengono all’interno dell’area del rischio
consentito, mentre per quanto trascende tale area non si può escludere a priori la
competenza del giudice penale, anche se indirettamente, mediante l’istituto della clausola
compromissoria.
È lo stesso mondo sportivo che deve rendersi conto che alcuni dei comportamenti
che avvengono al suo interno dovrebbero essere sottoposti ad un giudizio ulteriore rispetto
a quello della giustizia sportiva perché, oltre a costituire qualcosa che trascende lo spirito
di lealtà che dovrebbe animare ogni competizione, danneggiano anche l’immagine stessa
dello sport, soprattutto professionistico, i cui protagonisti spesso vengono considerati
privilegiati, soprattutto dal punto di vista economico; non va mai dimenticato che in fondo
“tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali di fronte alla legge”
47
.
47
Art. 3 Cost.