VII
rappresenta la sintesi di numerosi anni di studio in materia.
La risposta normativa rispecchia il principio secondo cui la nostra società è
fondata sul primato della persona umana e sulla valorizzazione della sua
intrinseca dignità. Muovendo dall'assunto che a ciascun membro della
famiglia debba essere riconosciuta la dignità ed il rispetto della persona, ne
consegue che l'uso della violenza all'interno della famiglia non è consentito.
Si tratta di principi e valori che permeano la cultura ed il costume del nostro
Paese, e costituiscono il fondamento dell'ordinamento costituzionale della
Repubblica, che ripudia la violenza come strumento di soluzione delle
controversie, non soltanto a livello politico e sociale, ma anche
interpersonale.
In questo lavoro si è cercato di analizzare sistematicamente le radici del
fenomeno e di fornire una panoramica sugli strumenti e sui rimedi posti a
tutela delle vittime. La violenza in famiglia, infatti, rileva sia dal punto di
vista sociologico, per l'impatto disgregante sulla famiglia, sia da quello
giuridico, in quanto comporta la violazione di una serie di diritti. Si è
dunque cercato di illustrare il fenomeno tenendo presente questo duplice
aspetto.
Nel primo capitolo, quindi, si vuole fornire una panoramica dei diritti e
doveri esistenti in capo ai singoli membri della famiglia, tenendo presente
non solo la normativa italiana, ma anche l'insieme dei principi enunciati
dalle Nazioni Unite a tutela dell'essere umano in generale, ed in particolare
dei soggetti più deboli della famiglia, ovvero la donna ed il bambino.
Si è poi proceduto, nell'ambito del secondo capitolo, ad analizzare la
violenza in famiglia dal punto di vista sociologico, nelle molteplici forme in
cui essa si manifesta (fisica, psicologica, sessuale, economica, etc.), nonché
l'incidenza statistica del fenomeno e le problematiche in merito al
rilevamento dello stesso.
Fulcro della trattazione sono i quattro capitoli successivi.
Nel terzo capitolo lo sguardo passa dal sociale al giuridico, analizzando i
soggetti coinvolti nei reati familiari e soprattutto le fattispecie penali
rilevanti nel campo della violenza familiare. La violenza in famiglia, da
fenomeno puramente sociologico, inteso quale risvolto della conflittualità di
coppia, può, infatti, degenerare in atti di natura delittuosa. Sebbene molti
ritengano lecito sfogare nell'ambito familiare le frustrazioni, lo stress, le
VIII
ansie e l'aggressività accumulate nell'ambiente esterno alla famiglia, le varie
manifestazioni di violenza in famiglia oltrepassano i limiti tra ciò che è
semplicemente odioso o sgradito, ma pur sempre tollerato nel nome
dell'unità familiare, e ciò che è penalmente illecito.
Nel quarto capitolo si è proceduto ad illustrare i rimedi esistenti in ambito
penalistico per fermare la violenza in famiglia in modo definitivo, o
semplicemente per “tamponarla” in modo temporaneo.
Lo stesso è stato fatto nel quinto capitolo, sul versante civile. A tal
proposito, con riferimento al minore, si è puntata l'attenzione, oltre che sui
rimedi già previsti in ambito civile e penale, anche su quelli “nuovi”
introdotti con la legge n. 149, del 18 marzo 2001, la quale prevede che il
Tribunale per i Minorenni, adito nei casi di situazioni pregiudizievoli per il
minore, abbia il potere di emettere un ordine di allontanamento del genitore
violento dalla casa familiare. La legge ha introdotto, infatti, questa nuova
misura novellando gli articoli 330 e 333 c.c. La previsione normativa
dell'allontanamento del genitore ha ampliato i poteri del Tribunale per i
Minorenni, disponendo esplicitamente che gli artt. 330 e 333 c.c. possano
includere, tra i provvedimenti convenienti che il giudice può emettere a
tutela del minore, non solo l'ordine di allontanamento del minore vittima di
abuso, ma anche l'ordine di allontanamento del genitore violento.
Particolare rilievo è stato poi dato, nel sesto capitolo, all'analisi dello scopo
e dell'ambito di applicazione della legge n. 154, del 5 aprile 2001. Tale
legge ha introdotto una nuova misura cautelare all'art. 282 bis c.p.p., ed una
nuova misura, i c.d. "ordini di protezione", agli articoli 342 bis e 342 ter c.c.
Entrambe le misure introdotte con la legge n. 154 sono poste a tutela di
qualunque vittima della violenza in famiglia e non solo dei minori, come
invece previsto dalla misura introdotta dalla legge n. 149. In particolare, si è
cercato di approfondire il contenuto innovativo della misura e gli aspetti
procedurali legati alla sua applicazione, sottolineando i problemi di
compatibilità con altre norme, nonché i problemi di coesistenza con le
misure preesistenti e tuttora applicabili.
Come si vedrà in dettaglio, la ratio delle nuove misure è quella di evitare la
condizione di “peregrinazione” da parte del nucleo familiare, quando vi sia
la possibilità, con il semplice allontanamento di colui che ha posto in essere
i fatti pregiudizievoli, di mantenere unita la famiglia nel luogo dove essa ha
IX
i propri interessi, le proprie relazioni ed i propri affetti.
La misura prevista dalla l. 154 del 2001 introduce, comunque, una
sostanziale novità. Intanto, la legge può essere applicata nei confronti di
qualunque membro della famiglia, ed è volta a tutelare qualunque soggetto
passivo della violenza, quindi non soltanto i minori. Inoltre, in questo caso,
il legislatore ha scelto di operare su un doppio binario, introducendo una
nuova misura cautelare all'interno del codice di procedura penale, oltre alla
già citata misura denominata "ordini di protezione" all'interno del codice
civile. Con la realizzazione di questo sistema di protezione a doppio binario,
il legislatore ha inteso offrire alla vittima di violenze familiari una paritetica
tutela, sul piano civile e su quello penale, rimettendo ad essa la scelta degli
strumenti da utilizzare. L’ordine di protezione civile, infatti, è in grado di
fornire un’adeguata tutela alternativa a quella penale, incarnando uno
strumento di tutela nel contempo forte (per la protezione pronta ed efficace
della vittima garantita attraverso l’ordine di allontanamento) e flessibile, dal
momento che permette e favorisce (ove possibile) anche la ricostruzione
delle relazioni familiari attraverso l’intervento dei Servizi Sociali e dei
Centri di Mediazione familiare.
La caratteristica della misura civile, tra l’altro, è quella di essere emanata in
tempi brevi, alla fine di un processo a cognizione sommaria. Ha dunque
carattere di urgenza e di temporaneità, essendo emanata dal giudice nei casi
in cui l'integrità fisica e morale o la libertà di autodeterminazione di un
membro della famiglia sia soggetta a grave pregiudizio.
Nel settimo capitolo l’attenzione è focalizzata sulla posizione del convivente
more uxorio, sia esso etero od omosessuale, e su come la normativa
introdotta dalla legge 154/2001 riguardi anche questa nuova forma di
convivenza familiare.
Infine, nell’ottavo capitolo, si sono voluti riportare, in brevis, gli elementi
caratteristici di misure cautelari similari, esistenti in altri Paesi. Ciò in
quanto la misura degli ordini di protezione non è una creazione del
legislatore italiano, ma è mutuata dall'esperienza normativa di altri Stati (sia
europei che extraeuropei). Infatti, in taluni Paesi, la violenza intrafamiliare,
definita in ambito internazionale "domestic violence", è così diffusa da
essere oggetto di un settore specifico di studi, nonché di centri specializzati
nel combatterla. E proprio la presenza di simili misure in Paesi come
X
l'Austria, la Germania, l'Inghilterra, l'Irlanda, la Svezia, la Finlandia e gli
U.S.A., alcuni dei quali anche, in parte, culturalmente diversi dall'Italia,
testimonia la diffusione e la gravità del fenomeno. In alcuni Paesi, come ad
esempio in Austria, si è preferito non introdurre misure in ambito
penalistico. In altri Paesi, invece, oltre alle misure cautelari, è anche prevista
una specifica fattispecie di reato per la violenza in famiglia. Tuttavia, non
può comunque dirsi che il fenomeno, seppur assai diffuso e conosciuto nel
mondo, abbia avuto finora il rilievo che meriterebbe. Molti Stati, anche se
culturalmente avanzati e di lunghe tradizioni democratiche, fondate sul
rispetto dei valori essenziali dell'uomo, non hanno ancora elaborato misure
di prevenzione e di contenimento del fenomeno, né approntato un'adeguata
risposta normativa volta a tutelare il rispetto di quei diritti fondamentali che
ogni essere umano dovrebbe godere, anche e soprattutto all'interno del
nucleo familiare.
La misura recentemente introdotta nel nostro Paese, dai contenuti molto
innovativi, si presenta potenzialmente assai efficace e non può che essere
vista con favore, in quanto è in grado di arrestare la violenza e di prevenire
ulteriori danni alla vittima.
Pur non essendo esente da critiche, soprattutto per la mancanza di
un'efficace sistema di protezione e sostegno alle vittime ad avvenuta
emissione della misura, non vi sono dubbi circa l'utilità di quest'ultima.
Eppure, a quasi otto anni dalla sua emanazione, non sembra che ne sia stato
fatto un ampio uso. Ciò potrebbe essere dovuto soprattutto alla mancata
conoscenza della legge e delle sue potenzialità. In altri paesi, in particolare
in Inghilterra e in Austria (che la applicano, rispettivamente, dal 1996 e dal
1997), la medesima misura ha avuto un incredibile successo. Infatti, a fronte
di numerose richieste, quasi sempre il giudice ha ravvisato l'esistenza dei
presupposti per la concessione della misura. L'efficacia è rapportabile al
calo degli episodi di violenza in famiglia, registratosi a seguito
dell'allontanamento del familiare violento, a dimostrazione che, pur tramite
una misura provvisoria, è possibile interrompere il ciclo della violenza.
Gli incoraggianti risultati ottenuti in Austria ed in Inghilterra mettono in
risalto l'importante funzione, propria della misura, di monito ad
interrompere il comportamento illecito. Il rilievo non è da poco, in quanto è
probabile che il familiare violento non abbia, fino al momento
XI
dell'irrogazione della misura, mai avuto problemi con la giustizia, e che
quindi si senta, a suo modo, una persona "perbene". Infatti, per molte
persone, riversare la propria aggressività sui familiari è un comportamento
del tutto lecito. Dettare legge a casa propria sembra essere un principio
scontato, con la conseguenza che alcuni si sentono autorizzati a trasformare
le mura domestiche in una "zona franca" dove i diritti possono essere
arbitrariamente compressi e limitati. D'altra parte, secondo altri, certi
patimenti (sul piano fisico, morale, economico o sessuale) possono essere
considerati un normale risvolto derivante dall'accettazione del vincolo
matrimoniale.
L'analisi condotta in questo lavoro spazia in diverse branche del diritto, ed
in particolare del diritto di famiglia. Si osserverà che, sul piano giuridico, gli
strumenti di tutela esistono e sono ben disegnati, sia sotto il profilo penale
che civile.
Sorge spontaneo chiedersi cosa si potrebbe fare, da un punto di vista
sociologico, per allargare la conoscenza dei cittadini circa i propri diritti e
doveri nell'ambito della famiglia, per aumentare il grado di responsabilità e
di coscienza delle proprie azioni.
Come forma di prevenzione generale, potrebbe essere di grande aiuto per la
società insegnare i fondamenti e i principi del diritto penale fin dalle scuole
superiori, per far conoscere ai giovani l'importanza di mantenere le proprie
azioni entro i binari del lecito, e per informarli dell'esistenza di tante regole
che vengono, invece, spesso violate. Come noto, infatti, la soglia di
tolleranza di numerosi reati è altissima: ciò può indurre i cittadini, e
soprattutto quelli più giovani, a credere che tali comportamenti, in quanto
impunemente tollerati nell'ambito familiare, siano leciti.
Ciò vale, ovviamente, anche per quanto riguarda le responsabilità dei
genitori: è senz'altro vero che bravi genitori non si nasce, ma lo si può
diventare tramite un'adeguata conoscenza dei propri compiti e
responsabilità. Il genitore deve essere sempre aiutato nel suo percorso, sia
quando è autore della violenza (tramite un sostegno terapeutico volto a
capire la violenza agita ed a rimuovere gli istinti e le pulsioni violente), sia
quando ne è vittima (tramite un'adeguata informazione su come reagire per
proteggere se stesso ed i propri figli).
Come visto con riferimento all'esperienza austriaca, la misura
XII
dell'allontanamento dalla casa familiare è efficace per prevenire la
reiterazione degli atti di violenza. Essa agisce anche come fattore
"squalificante" da parte della società nei confronti dell'aggressore. È una
forma di esplicita condanna sociale, una sorta di "cartellino rosso" a chi usa
violenza nella famiglia. In Austria, l'insieme degli strumenti legali (ovvero
la misura cautelare emanabile da parte del giudice ed il potere di
allontanamento esercitabile da parte della polizia) e delle forme d’intervento
istituzionali si è dimostrato efficace per combattere ed interrompere il ciclo
della violenza e per aiutare le vittime nel percorso di recupero.
Si deve sperare che, con il tempo, anche in Italia si possano ottenere simili
risultati positivi.
1
2
CAPITOLO I
LA FAMIGLIA
SOMMARIO: 1. La famiglia dal punto di vista sociologico. – 2. La famiglia dal punto di
vista giuridico. – 3. I “rapporti di potere” all’interno della famiglia. La patria potestà ed il
codice civile del 1942. – 3.1. (Segue) La Costituzione del 1948 ed il principio di
uguaglianza morale e giuridica dei coniugi. – 3.2. (Segue) La riforma del diritto di famiglia:
legge 19 maggio 1975 n 151. – 4. Diritti e doveri tra coniugi nascenti dal matrimonio. – 5.
Diritti e doveri dei coniugi verso i figli. – 6. I diritti dei minori.
1. La famiglia dal punto di vista sociologico.
E’ sempre opportuno partire da una definizione, per tracciare i confini di un
istituto. Ma definire la famiglia, e così tracciarne i confini, è estremamente
difficile. La famiglia è un’istituzione sociale di primaria importanza e come
tale oggetto privilegiato di analisi sociologica
1
. Le opinioni su ciò che deve
considerarsi come “famiglia”, infatti, variano a seconda delle scelte
metodologiche e ideologiche.
La visione cristiana incentra l’attenzione sul matrimonio; una visione laica
può, invece, accettare di usare la parola “famiglia” per ogni tipo di
aggregazione, purché dotata di un minimo di riconoscibilità e stabilità
2
.
Per questo motivo in sociologia forse è opportuno rinunciare a fissare una
definizione univoca di famiglia e limitarsi ad evidenziarne alcuni aspetti
3
.
Consideriamo in particolare la struttura del nucleo familiare, il tipo di
relazioni che vi hanno luogo e le funzioni da esse esercitate.
1
DI NICOLA, DONATI, Lineamenti di sociologia della famiglia, Milano, 2004, p. 3.
2
ANDERSON, Interpretazioni storiche della famiglia, Torino, 1982, p. 14.
3
DI NICOLA, DONATI, Lineamenti di sociologia della famiglia, cit., p. 4.
CAPITOLO I
4
La struttura di una famiglia può distinguersi in quattro differenti tipi
4
. E’
semplice quando è formata da una sola unità coniugale. Quando essa è
completa si ha la c.d. famiglia nucleare, mentre quando è incompleta (a
causa di divorzio o vedovanza) dà luogo a una famiglia monoparentale. E’
estesa quando all’unità coniugale si aggiunge la presenza di altri parenti
conviventi, ascendenti (ad esempio un nonno), discendenti (ad esempio dei
nipoti) o in linea collaterale (fratelli o sorelle). E’ multipla quando è
costituita da più nuclei coniugali conviventi. Infine, è senza struttura
quando è priva di un’unità coniugale ed è formata da convivenze senza un
legame sessuale
5
.
A complicare il quadro vi sono poi i mutamenti che storicamente
interessano la compagine familiare modificandone il concetto stesso. Nel
breve volgere di una generazione o poco più – si legge in uno studio
americano della metà del Novecento
6
– il processo generale di
differenziazione sociale ha investito la famiglia trasformandone la struttura
dal tradizionale modello esteso, comprendente ascendenti, discendenti e
collaterali, al modello “nucleare”, formato da una coppia di coniugi e dalla
prole. In tutti i Paesi sviluppati dell’Occidente, la tendenza alla
nuclearizzazione sembra aver subito da ultimo una forte accelerazione
4
SARACENO, NALDINI, Sociologia della famiglia, Bologna, 2001, p. 30.
5
SARACENO, NALDINI, Sociologia della famiglia, cit., p. 36; ZANATTA, Le nuove
famiglie, Bologna, 2003, p. 95.
6
PARSONS, BALES, Family, Socialization and Interaction Process, New York, 1955, p.
3 ss. (trad. it. Famiglia e Socializzazione, Milano, 1974). Nel suo studio sulla famiglia e
sulle sue funzioni, Parsons prende le mosse da alcune considerazioni sulla famiglia
americana degli anni cinquanta (epoca in cui scriveva), per poi, tuttavia, distaccarsi dal dato
empirico e storico su cui si fondano le sue considerazioni ed elaborare una teoria della
famiglia, del suo cambiamento e della sua struttura, che rientra all'interno del suo modello
sistemico della società. A coloro che volevano vedere negli alti tassi di divorzio e nel
declinare dei tassi di natalità una tendenza a una disgregazione della famiglia e a una
"perdita di funzioni" conseguente alla industrializzazione che aveva portato all'esterno
molte delle produzioni di consumo un tempo interne alla famiglia, Parsons contrappone
l'idea di un processo di differenziazione e di specializzazione delle funzioni che avrebbe
coinvolto la famiglia, sottosistema del sistema sociale complessivo, attraverso una
trasformazione strutturale analoga a quella che subiscono tutti i sistemi e le strutture nei
loro processi di cambiamento. Con l’industrializzazione la famiglia è stata attraversata da
un processo di differenziazione attraverso cui ha perso una serie di funzioni trasferite ad
altre strutture della società (fabbriche e settori organizzati in generale su base professionale)
e, diventata nucleare (cioè separata dalla parentela, isolata), è anche diventata una agenzia
più specializzata di quanto non fosse prima. La sua specializzazione diventa appunto quella
della "socializzazione primaria dei figli" ("affinché essi possano veramente diventare
membri della società" attraverso "l'interiorizzazione della cultura" e dei "modelli di valore"
della società). Le famiglie, dice Parsons, sono "fucine che producono personalità umane".
LA FAMIGLIA
5
portando alla formazione di nuclei familiari sempre più ristretti e mutevoli:
coppie sposate con o senza prole, coppie libere eterosessuali e omosessuali,
famiglie monogenitoriali
7
. Si tratta di aggregati sociali molto diversi, che
tuttavia hanno in comune alcuni tratti, in particolare la volontà di dar vita a
nuclei legati da vincoli di varia natura, certo in prevalenza affettivi e
generalmente, ma non necessariamente, collegati alla riproduzione della
specie
8
.
Per quanto riguarda il tipo di relazioni che hanno luogo all’interno della
famiglia, esse mutano con il variare dei rapporti di autorità e di affetto
instauratisi tra i suoi membri. Si parla, ad esempio, di famiglia patriarcale
quando, indipendentemente dalla struttura, vi è una rigida separazione dei
ruoli, che vengono definiti in base all’ètà ed al sesso. All’estremo opposto
troviamo la famiglia coniugale intima, dove i ruoli sono meno rigidamente
definiti e possono essere modificati a seconda delle situazioni e dei
momenti, e vi sono relazioni di autorità e di potere più simmetriche, nel
senso che tutti i componenti tendono ad avere diritti e doveri
sostanzialmente equivalenti
9
.
Nella nostra società contemporanea è comunque in corso da tempo una forte
modificazione sia della struttura, sia delle funzioni della famiglia. Di fatto si
assiste al tramonto della famiglia patriarcale e alla sempre maggior
diffusione della famiglia coniugale intima, per lo più a struttura nucleare
10
.
Anche le funzioni esercitate dalla famiglia sono molteplici e di vario genere.
Vi è anzitutto una funzione di riproduzione. Vi è poi la funzione di
socializzazione ed educazione, in quanto la famiglia è un'istituzione che
svolge un ruolo fondamentale nella società, ne rappresenta l'unità minima, il
gruppo primario quanto all'apprendimento ed alla formazione di base di
ogni individuo. Altrettanto importante è la funzione di identificazione
giuridica dei componenti, i quali proprio da essa ricevono, attraverso il
cognome, una collocazione precisa nella struttura e nella società. Infine
7
BLANGIARDO, SCABINI, Ciclo di vita della famiglia. Aspetti sociali e demografici,
Roma, 1995, p. 28.
8
BLANGIARDO, SCABINI, Ciclo di vita della famiglia. Aspetti sociali e demografici,
cit., p. 29.
9
Vedi, a proposito, SARACENO, Mutamenti della famiglia e politiche sociali in Italia,
Bologna, 1998, p. 27 ss. Nella seconda metà dell'Ottocento e nel Novecento la famiglia
coniugale intima si affermò progressivamente presso i ceti intermedi e quelli popolari.
10
SARACENO, Mutamenti della famiglia e politiche sociali in Italia, cit., p. 32.
CAPITOLO I
6
esercita una funzione economica
11
.
Date queste premesse, non meraviglia, quindi, che il fenomeno della crisi
della famiglia, riscontrato a partire dai primi decenni del XX secolo, sia uno
dei temi più delicati per i sociologi. Essi vedono nella crisi di tale istituzione
la crisi della società medesima, come degradazione del gruppo che ne
costituiva l'elemento base. Crisi, tra l’altro, facilmente riscontrabile: le
unioni matrimoniali tendono, sempre più di frequente, a resistere per pochi
anni, per poi disgregarsi; i conflitti interfamiliari sembrano radicalizzarsi di
anno in anno. Nel 2005 le separazioni sono state 83.000 contro le 52.000 del
1995, i divorzi, invece, hanno raggiunto la cifra di 47.000, contro i 27.000 di
dieci anni prima. In sostanza, siamo ormai giunti al fatto che, in Italia, circa
il 28% dei matrimoni celebrati all’anno va rapidamente in crisi. Ciò
significa che si sfascia una famiglia su tre
12
. E nel frattempo, come abbiamo
visto, nuovi modi di stare insieme si affacciano: convivenze, rapporti fra
single, coppie non coniugate o ricostruite, in cui i partner vengono da
precedenti unioni o matrimoni, famiglie allargate, coppie omosessuali.
2. La famiglia dal punto di vista giuridico.
La varietà sociale di gruppi familiari e la conseguente difficoltà nel definire
il concetto di famiglia non possono lasciare indifferente il giurista. Occorre
ora stabilire quale significato attribuisca l’ordinamento al termine
“famiglia”, in altre parole che cosa sia giuridicamente la famiglia.
In prima approssimazione la risposta si rinviene nella Carta costituzionale
13
,
11
DE SINGLY, Sociologia della famiglia contemporanea, Torino, 1997, p. 17.
12
SARACENO, Mutamenti della famiglia e politiche sociali in Italia, cit., p. 37.
13
Vedi BIAGI GUERINI, Famiglia e Costituzione, Milano, 1989, p. 74. Va evidenziata,
innanzitutto, la centralità che assume la scelta fondamentale compiuta dai nostri costituenti
di inserire la famiglia nella Costituzione, scelta che ha poi qualificato la successiva
evoluzione dell’ordinamento in materia. Non si trattava di una scelta scontata, anzi essa
andava contro tutta la nostra tradizione costituzionale e legislativa. Lo Statuto Albertino
(1848), che per oltre un secolo aveva rappresentato la Costituzione del Regno d’Italia,
aveva sempre ignorato la famiglia. Lo Stato liberale, pur tutelando la famiglia l’aveva
relegata nel codice civile (1865), ossia tra gli istituti e i rapporti di diritto privato,
valorizzando di essa soprattutto quegli aspetti di natura patrimoniale derivanti dal
matrimonio che segnarono il fondamento della famiglia borghese a partire dal Codice
napoleonico del 1804, al quale si ispirarono le successive codificazioni europee
dell’Ottocento. Il regime fascista aveva invece adottato una concezione pubblicistica della
famiglia ma asservendola ai fini propri dello Stato, arrivando al punto di prevedere il
LA FAMIGLIA
7
che ne enuncia una vera e propria definizione laddove stabilisce che la
Repubblica riconosce e garantisce i diritti della famiglia come società
naturale fondata sul matrimonio (art. 29).
A tutta prima, sembrerebbe che la Costituzione consideri la famiglia
un’entità esistente in natura, cioè originaria, preesistente allo Stato e
tendenzialmente immutabile, ancorché alla sua base sia previsto un atto
giuridico quale è il matrimonio
14
.
Questa interpretazione della formula dell’art. 29 Cost. va però approfondita
e specificata. La norma va letta, infatti, nel contesto delle altre regole
costituzionali e deve tenere conto, prima ancora della struttura sociale,
dell’istituzione che intende tutelare, che, per comune esperienza, è
storicamente e geograficamente assai differenziata
15
.
In questo senso, la qualifica di “società naturale” può essere intesa come
riferimento alle forme concrete che la realtà familiare assume in un
determinato contesto sociale; si potrebbe dire che la Costituzione vuole che
l’ordinamento – piuttosto che adottare normativamente un modello rigido di
famiglia – si relazioni al concreto atteggiarsi dei rapporti familiari
16
.
Indubbiamente in tal modo il problema dell’interprete si complica, poiché si
tratta di stabilire con criteri empirici, e non normativi, che cosa sia
“famiglia”, salvo comunque il fatto che il Costituente sembra considerare
famiglia esclusivamente una relazione fondata sul matrimonio. A tale
dovere dei genitori di educare e istruire la prole, oltre che in base ai “principi della morale”,
in conformità al “sentimento nazionale fascista” (art. 147 c.c. del 1942 nel testo originario).
Distaccandosi da tali precedenti, i nostri costituenti intesero invece riconoscere la famiglia
come realtà originaria e primigenia rispetto allo Stato, ma al tempo stesso, trattandone
nell’ambito dei “Rapporti etico - sociali” (Titolo II, Prima parte) insieme alla scuola (artt.
33-34), ne riconobbero le fondamentali e peculiari funzioni per la promozione e lo sviluppo
della persona umana.
14
Vedi BIAGI GUERINI, Famiglia e Costituzione, cit., p. 78. L’uso del verbo
“riconoscere”, che qualifica l’atteggiamento della Repubblica nei confronti della famiglia e
dei suoi diritti, rimanda a quella visione dell’anteriorità sociale - e direi anche antropologica
- della famiglia rispetto allo Stato, risalente all’esperienza romanistica, che abbiamo visto
essere stata alla base del suo inserimento nel testo costituzionale. Si tratta di un’espressione
che significativamente ricorre nel testo costituzionale con analogo significato solo nell’art.
2, ove si afferma che la Repubblica “riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo,
sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità”, e nell’art. 5,
ove si afferma che essa “riconosce e promuove le autonomie locali”. In questi casi la
Costituzione ha inteso rimarcare l’esistenza di situazioni, rapporti e realtà primarie che
precedono la Repubblica.
15
BIAGI GUERINI, Famiglia e Costituzione, cit., p. 83.
16
BIAGI GUERINI, Famiglia e Costituzione, cit., p. 84.
CAPITOLO I
8
proposito è stato tuttavia da tempo dimostrato
17
come il principio enunciato
dall’art. 29 Cost. vada interpretato secondo criteri sistematici, ed
innanzitutto coordinato con quanto disposto dall’art. 2 Cost. Si è quindi
concluso che la formula costituzionale, ancorché fortemente caratterizzata
dal richiamo al matrimonio, non impedisce di ritenere che anche una
relazione di fatto, che ricalchi lo schema della convivenza familiare secondo
un modello socialmente e storicamente tipizzato, dia vita ad una formazione
sociale, nell’ambito della quale la persona deve ricevere protezione e tutela
dei propri diritti
18
.
In forza di tali premesse possiamo concludere che, nell’ordinamento attuale,
il termine “famiglia” non designa un’entità separata, ma è riferito ad una
pluralità di relazioni, la cui natura familiare, in base alla comune esperienza
sociale, è data dalla sussistenza di vincoli di varia natura: giuridici, come il
matrimonio e l’adozione; giuridici e biologici, come la filiazione legittima o
naturale riconosciuta e la parentela; meramente biologici, come la filiazione
non riconosciuta o non riconoscibile
19
.
Infine, per quanto riguarda i diritti dei singoli membri, possiamo affermare
che ciascun individuo ha il diritto di essere tutelato all'interno del “sistema
famiglia”. L'ordinamento italiano, infatti, pone tra i diritti fondamentali e
inviolabili dell'uomo il pieno sviluppo della persona umana in tutte le sue
17
ALAGNA, Famiglia e rapporti tra i coniugi nel nuovo diritto, Milano, 1983, p. 84;
BESSONE, sub Art. 29, in Commentario della Costituzione, a cura di Branca, Bologna,
1977, p. 31; BIANCA, Diritto civile, vol. II, La famiglia - Le successioni, Milano, 2000, p.
24; D’ANGELI, La famiglia di fatto, Milano, 1989, p. 323 ss., ove ulteriormente si afferma
che «tra i “diritti inviolabili” dell’uomo, richiamati con formula indeterminata dalla
predetta norma, può ben essere ricompreso il diritto di convivere ad modum coniugii,
espressivo di una fondamentale libertà della persona, alla quale, peraltro, è garantito tanto il
diritto di formare una famiglia legittima quanto il diritto di non formarla, cioè la libertà
matrimoniale nel suo contenuto positivo e negativo, quanto il diritto di procreare»;
GAZZONI, Dal concubinato alla famiglia di fatto, Milano, 1983, p. 146 ss.,
PERLINGIERI, Sulla famiglia come formazione sociale, in Rapporti personali nella
famiglia, a cura di Perlingieri, Napoli, 1982, p. 39. In giurisprudenza vedi Cass. pen., 31
marzo 1994, in Riv. it. dir. proc. pen., 1996, p. 371, con nota di Peyron, ove si afferma che
la convivenza di fatto costituisce un diritto di libertà tutelato costituzionalmente ex artt. 2,
18 e 29 Cost., e, come tale, di carattere assoluto e tutelabile erga omnes.
18
Occorre, tuttavia, che essa non sia occasionale, bensì caratterizzata da comunione di
intenti e da stabilità, cfr. BIANCA, Diritto civile, vol. II, cit., p. 32. Infatti il nucleo
originale della convivenza more uxorio, pur non presentando i caratteri formali della
famiglia legittima, appare pur sempre, secondo il principio fondamentale fissato dall’art. 2
Cost., stante la sua funzione di gratificazione affettiva e di solidarietà sociale, come una
formazione sociale finalizzata alla funzione di ambito che consente il processo di sviluppo e
di crescita della persona, propria della famiglia nell’attuale fase di evoluzione della società.
19
FARRIS, La famiglia che cambia, Roma, 2007, p. 94.
LA FAMIGLIA
9
manifestazioni, nei rapporti sociali, nella famiglia e sul lavoro. Tale
principio è espresso in via principale nell’art. 2 della Costituzione, grazie al
quale vengono riconosciuti i diritti inviolabili dell'uomo all’interno delle
formazioni sociali nelle quali si svolge la sua personalità. Ma anche nell’art.
13, ove si prevede che "la libertà personale è inviolabile", nell’art. 29
secondo cui il matrimonio si regge "sulla eguaglianza morale e giuridica dei
coniugi", negli artt. 31 e 32 ove si protegge la maternità e si riconosce la
salute fisica, psichica e morale come fondamentale diritto dell'individuo
20
.
Inoltre, la Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e
delle libertà fondamentali, del 4 novembre 1950, sancisce espressamente il
diritto alla vita (art. 2), il diritto dell'uomo a contrarre matrimonio e di
fondare una famiglia (art. 12), nonché il diritto al rispetto della vita privata e
familiare (art. 8). Anche il Trattato istitutivo dell'Unione Europea
21
, entrato
in vigore il 1° novembre 1993, prevede la tutela dei diritti della persona
22
.
3. I “rapporti di potere” all’interno della famiglia. La
patria potestà ed il Codice civile del 1942.
La patria potestà è un istituto che ha radici molto antiche, basti pensare che
già nell’ambito del diritto romano si parlava di patria potestas per
individuare quel potere assoluto e pressoché perpetuo che il pater familias
esercitava sui membri del proprio nucleo famigliare
23
.
Anche il Codice civile del 1942 parlava, prima della riforma del 1975, di
patria potestà. In particolar modo l’art. 316 c.c. distingueva tra titolarità
della potestà riconosciuta ad entrambi i genitori e esercizio della stessa,
20
BIAGI GUERINI, Famiglia e Costituzione, cit., p. 86.
21
Detto anche Trattato di Maastricht, dal nome del luogo in cui fu firmato il 7 febbraio
1992.
22
PERLINGIERI, Sulla famiglia come formazione sociale, cit., p. 28. All’art. 6 paragrafo
1, si indica che l'Unione si fonda sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti
dell'uomo e delle libertà fondamentali, e dello stato di diritto, principi che sono comuni agli
Stati membri, mentre al paragrafo 2 dello stesso articolo si sancisce che l'Unione rispetta i
diritti fondamentali quali sono garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei
diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e quali risultano dalle tradizioni costituzionali
comuni degli Stati membri, in quanto principi generali del diritto comunitario.
23
CAPOGROSSI BOLOGNESI, voce Patria potestà (diritto romano), in Enc. Dir.,
XXXII, Milano, 1982, p. 242 ss; LONGO, voce Patria potestà (diritto romano), in Noviss.
Dig. It., XII, Torino, 1957, p. 575 ss.
CAPITOLO I
10
attribuito solo al padre
24
.
Per capire il motivo per cui tale potestà, anche in costanza di matrimonio,
venisse esercitata solo dal marito-padre e non anche dalla moglie-madre,
occorre mettere in luce il momento storico in cui nasce il Codice civile del
1942: è un periodo in cui, nella nostra Nazione, vige il regime fascista, un
regime che ha una visione gerarchica e piramidale dei rapporti politici ed
economici e tale visione viene trasportata anche nei rapporti familiari
25
.
Questa situazione rispecchiava in pieno la condizione della moglie
all’interno della famiglia, una condizione nettamente subordinata rispetto a
quella del marito, ed, infatti, era quest’ultimo a fissare la residenza
obbligando la moglie a seguirlo, come recitava l’abrogato art. 144 c.c., ed
era sempre il marito a dover provvedere ai fabbisogni della moglie in
proporzione alle proprie sostanze
26
.
Si sentiva, quindi, l’esigenza che, all’interno della famiglia, venisse
individuato un capo e questo non poteva che essere il padre-marito, lui solo
era in grado di esercitare la potestà sui figli, di amministrare il patrimonio
della famiglia, in una parola, era l’unico che esercitava i poteri familiari
27
.
Tale potere era tanto forte che si negava qualsiasi conflitto con la madre in
relazione alle decisioni riguardanti i figli, inoltre il padre poteva imporre per
testamento alla madre superstite le condizioni per l’educazione dei figli e
per l’amministrazione dei beni (abrogato art. 338 c.c.)
28
.
In questa visione piramidale della famiglia, una condizione ancora peggiore
era quella dei figli; quest’ultimi erano considerati quasi oggetti di un potere
che veniva esercitato dal pater familias, il quale nell’esercitare la potestà
non aveva alcun obbligo di tener conto delle loro aspirazioni ed inclinazioni.
24
VERCELLONE, La potestà dei genitori: funzione e limiti interni, in Trattato a cura di
Zatti, Milano, 2002, p. 1060.
25
CICCARELLO, voce Patria potestà (diritto privato: legislazione previdente), in Enc.
Dir., XXXII, cit., p. 256. Fra gli aspetti ideologici del fascismo, vi è il “principio del capo”,
il quale prevede una concezione gerarchica e piramidale del mondo. Viene dunque esaltata
l'obbedienza, anche cieca, irrazionale e totale. Cfr. ZUNINO, L’ideologia del fascismo.
Miti, credenze e valori nella stabilizzazione del regime, Bologna, 1985, p. 90.
26
CICCARELLO, voce Patria potestà (diritto privato: legislazione previdente), cit., p.
257.
27
ZANINI, La potestà dei genitori, in Il diritto privato nella giurisprudenza. La famiglia, a
cura di Cendon, Torino, 2008, p. 174. L’espressione “capo della famiglia”, riferita al
marito, era contenuta nell’art. 144 c.c. ante riforma e già nell’art. 131 c.c. 1865; in
proposito v. SESTA, Diritto di famiglia, Padova, 2005, p. 8 ss. e 15 ss.
28
CICCARELLO, voce Patria potestà (diritto privato: legislazione previdente), cit., p.
261.