6
I. Guantanamo Bay: 1898-2001
1.1. Storia della base navale.
Guantanamo Bay, la più antica base navale militare degli Stati Uniti situata al di
fuori dei confini della Nazione stessa, un lembo di terra nel mezzo del mar dei Carabi
adibito a prigione di presunti terroristi: questa è Guantanamo. La storia della base,
iniziata nell‘aprile del 1494 con l‘approdo di Cristoforo Colombo sulla baia, vede i suoi
principali sviluppi a partire dal 1898, durante la guerra ispano-americana.1 Tramite una
Joint resolution, il 20 aprile 1898 gli Stati Uniti richiesero che il Governo spagnolo
rinunciasse immediatamente alla propria autorità sull‘isola di Cuba, ritirando le proprie
forze navali e terrestri dal territorio cubano. 2 La risoluzione autorizzava inoltre il
presidente degli Stati Uniti ad utilizzare le proprie forze navali e terrestri, così come
l‘intera milizia statunitense, al fine di garantire la realizzazione di quanto disposto dalla
Joint resolution stessa. Infine, gli Stati Uniti declinavano ogni intenzione ad esercitare la
propria sovranità, giurisdizione o controllo sull‘isola, fatta eccezione per il fine di
pacificazione, affermando la propria determinazione a restituire ai cubani il Governo e il
controllo della loro isola.3 L‘intento reale della potenza statunitense, lungi dall‘essere un
semplice ausilio verso i cubani per sconfiggere gli spagnoli, si è dimostrato in realtà un
piano ben ideato per procurarsi colonie spagnole: secondo il trattato di pace firmato a
1
C. S. SMITH, L’inferno di Guantanamo. I segreti di una prigione, i segreti di una Nazione. Roma, 2008,
p.287. La guerra ispano-americana fu combattuta nel 1898 tra gli Stati Uniti e la Spagna in merito alla
questione cubana. La Guerra durò solo quattro mesi, e si concluse il 12 agosto 1898 con un armistizio
tramite il quale gli Stati Uniti ottennero dalla Spagna il riconoscimento dell‘indipendenza di Cuba, che
diventò una sorta di protettorato Americano, la cessione agli USA di Puerto Rico e dell‘isola di Guam e
l‘accettazione dell‘occupazione di Manila nelle Filippine.
2
Joint Resolution of April 20, 1898, 30 Stat. L. 738.
3
Ibidem.
7
Parigi il 10 dicembre 1898, al termine della guerra la Spagna rinunciava alla propria
sovranità su Cuba, lasciando che l‘isola fosse occupata dagli Stati Uniti.4
Nel 1901 il governatore militare statunitense venne chiamato dal Dipartimento
militare degli Stati Uniti a formulare una Costituzione che il popolo cubano potesse
adottare una volta instaurata la propria autorità governativa sul territorio. Parte della
Costituzione cubana avrebbe dovuto prevedere una sezione riguardante le relazioni
esistenti tra il Governo statunitense e il Governo di Cuba. Il risultato fu un accordo,
conosciuto anche come Platt Amendment, ai sensi del quale veniva decretata la presenza
americana nell‘isola, mediante la concessione di una stazione per il rifornimento del
carbone e sede di basi navali (art. VII).5
Il Presidente statunitense Theodor Roosevelt, nel 1903, firmò, con il Governo
cubano, l‘Agreement between the United States and Cuba for the Lease of Lands for
Coaling and Naval Stations, l‘accordo derivante dal Platt Amendment, il cui articolo II
chiarisce esplicitamente che il contratto d‘affitto avrebbe dovuto essere utilizzato
unicamente come sede di basi navali o per il rifornimento per il carbone; nessun altro
scopo sarebbe stato ammissibile.6
L‘articolo III stabilisce la continuità della sovranità di Cuba sulle zone appena
descritte, ma è agli Stati Uniti che spetta esercitare completa giurisdizione e controllo
sulle stesse, per tutto il tempo in cui le occuperanno.7
Agli Stati Uniti sono state concesse 45 miglia quadrate, all‘incirca 120 chilometri
quadrati, il cui affitto, all‘epoca, era pari alla somma annua di 2000 dollari in monete
d‘oro statunitensi8, divenute oggi all‘incirca 4100 dollari l‘anno.
Come precedentemente affermato, la ―giurisdizione‖ e il ―controllo‖ sulle zone
affittate sono statunitensi, e, anche se la ―sovranità‖ del territorio è lasciata al Governo
cubano, gli Stati Uniti hanno il diritto di ―occupare‖ l‘area. Come sostenuto da J. Lazar,
4
J. LAZAR, International Legal Status of Guantanamo Bay, in American Journal of International Law,
1968, p. 730.
5
Platt Amendment, 30 Stat. 895.
6
Agreement Between the United States and Cuba for the Lease of Lands for Coaling and Naval Stations,
Feb 16-23, 1903, U.S.-Cuba, T.S. No. 418, Art. II.
7
Ibidem, Art. III.
8
Così come previsto dall‘ art. I del Lease to the United States by Cuba of land and Water for Naval or
Coaling Stations in Guantanamo and Bahia Honda, accordo concluso tra i due Stati il 2 luglio 1903.
8
l‘articolo III dell‘Accordo risulta quindi essere un esplicito riconoscimento della
sospensione della sovranità cubana sul territorio.9
Il 29 maggio 1934, in conformità con la politica Good Neighbor, l‘Accordo del
1903 e il Platt Amendment del 1901 furono abrogati e sostituiti da un nuovo trattato
contrassegnato dai medesimi termini, con l‘aggiunta di una disposizione di estrema
rilevanza: non prevedendo alcuna data di scadenza, l‘accordo riguardante il territorio
della base navale di Guantanamo avrebbe potuto terminare soltanto con la reciproca
approvazione di entrambe le parti contraenti.10
Le relazioni tra la base navale statunitense e il Governo di Cuba rimasero stabili
durante tutto il periodo delle due guerre mondiali, incrinandosi però verso la fine degli
anni cinquanta con la rivoluzione cubana guidata da Fidel Castro, che iniziò ad una
sessantina di chilometri si distanza dalla base stessa.11
A partire dal 1959, in coincidenza con la presa del potere da parte di Fidel Castro,
il Governo cubano rifiutò il denaro elargito dagli Stati Uniti quale corrispettivo per
l‘affitto della base navale; ma fu in seguito all‘adesione del leader cubano alla linea
marxista e alle sue affermazioni riguardo l‘illegalità della concessione della base che il
Presidente Eisenhower fu portato ad interrompere definitivamente, il 4 gennaio 1961, le
relazioni diplomatiche con Cuba. 12 I rapporti peggiorarono ulteriormente nel 1962,
quando si apprese la notizia che alcuni missili sovietici erano stati collocati sul territorio
cubano e oltre 75000 mine posizionate fuori dalla base statunitense: a causa della ―crisi
dei missili‖, l‘allora Presidente John Fitzgerald Kennedy ordinò l‘evacuazione di tutti i
civili dalla base. Il 6 febbraio 1964 un‘altra crisi si frappose tra i due Paesi: in seguito
all‘arresto di trentasei cubani accusati di aver pescato nelle acque della Florida, Castro
decise di interrompere i rifornimenti idrici alla base di Guantanamo, tagliando le
condutture che, dall‘interno dell‘isola di Cuba, assicuravano alla base i rifornimenti
giornalieri.13
9
J. LAZAR, International Legal Status of Guantanamo Bay, op. cit.
10
Treaty between the United States of America and Cuba Defining Their Relations, May 2, 1934, 48 Stat.
1682. Consultabile all‘indirizzo web: www.nsgtmo.navy.mil
11
U.S. Naval Station Guantanamo Bay Cuba, in USNB GTMO History, in www.cnic.navy.mil.
12
C. S. SMITH, op. cit., p. 296.
13
C. BONINI, Guantanamo. Usa, viaggio nella prigione del terrore. Torino, 2004, p.228.
9
Il primo utilizzo della base navale come campo di detenzione avvenne durante
l‘amministrazione di George Bush senior, quando, nel 1991, a seguito di un violento
colpo di stato avvenuto ad Haiti, 45000 profughi haitiani e cubani vi si rifugiarono:
Camp X- Ray divenne un luogo di segregazione per i rifugiati incolpati di aver
commesso crimini quali furto, violenze e percosse, prostituzione o attività di mercato
nero.14 A partire dal 1994 i rifugiati furono progressivamente espulsi dalla base, fino a
quando, il 31 gennaio 1996 l‘ultimo di essi lasciò la base.15
Tali campi, circondati da filo spinato e sorvegliati dalle truppe statunitensi erano
in realtà ben lontani dall‘essere un semplice ―rifugio‖. Quest‘episodio è di notevole
importanza, poiché l‘intento dell‘allora Presidente era quello di trattenere i profughi
haitiani, molti dei quali avrebbero voluto raggiungere proprio gli Stati Uniti alla ricerca
di una vita più dignitosa, negando loro lo status di rifugiati.16
La United States Court of Appeals, Eleventh Circuit, nel caso Cuban American
Bar Ass’n, Inc. v. Christopher, stabilì che gli stranieri detenuti al di fuori degli Stati
Uniti, non avrebbero avuto gli stessi diritti di un cittadino statunitense, poiché trattenuti
su di un territorio (Guantanamo) soggetto alla sovranità di Cuba.17
Il Presidente George Bush figlio, pochi anni dopo, prese spunto da questa
vicenda nel considerare la base una sorta di ―zona franca‖. Questo fu il motivo per cui, a
14
Joint Task Force Guantanamo, consultabile all‘indirizzo web: www.jtfgtmo.southcom.mil
15
C. BONINI, op. cit., p. 228.
16
C. S. SMITH, op. cit. p. 298.
17
Cuban American Bar Ass’n, Inc. v. Christopher, 43 F.3d 1412 (11th Cir.1995), nella sentenza si legge:
―The Cuban migrants and the Haitian migrants are asserting statutory rights under the Immigration and
Nationality Act, and the Refugees Convention . (…) The New York district court found that lawyers had
a First Amendment right to free speech and association for engaging in legal consultation at
Guantanamo Bay because it was a naval base over which the United States has "complete control and
jurisdiction" and "where the government exercises complete control over all means of delivering
communication." The district court here erred in concluding that Guantanamo Bay was a "United States
territory." We disagree that "control and jurisdiction" is equivalent to sovereignty. (…) We again reject
the argument that our leased military bases abroad which continue under the sovereignty of foreign
nations, hostile or friendly, are "functionally equivalent" to being land borders or ports of entry of the
United States or otherwise within the United States. Therefore, any statutory or constitutional claim
made by the individual Cuban plaintiffs and the individual Haitian migrants must be based upon an
extraterritorial application of that statute or constitutional provision. We concluded that the interdicted
Haitians on Coast Guard cutters and at Guantanamo Bay did not possess any of the statutory rights they
claimed under the Refugee Convention, or the constitutional rights they claimed under the due process
clause of the Fifth Amendment, and the First Amendment. (…) Aliens outside the United States, cannot
claim rights to enter or be paroled into the united States based on the Constitution.‖. Consultabile
all‘indirizzo web: www.umn.edu
10
partire dal gennaio 2002, i prigionieri catturati in Afghanistan e zone circostanti vennero
trasferiti dalla base militare di Bagram, Afghanistan, a Camp X-Ray, primo campo di
segregazione di Guantanamo. Fu grazie all‘aiuto di alcuni veterani
dell‘Amministrazione di Bush padre, che il Presidente statunitense stipulò il Military
Order del 13 novembre 2001 18 : furono questi a creare lo scheletro dell‘ordinanza
mantenendone segreto il contenuto fino al giorno della sua pubblicazione.19 Il giorno in
cui l‘ordinanza venne depositata presso il Federal Register, diventò il giorno in cui la
base navale di Guantanamo fu designata alla funzione di carcere: il Military Order
prevedeva infatti che i combattenti nemici fossero soggetti a regole di detenzione fissate
dal Dipartimento della Difesa, nei luoghi che il Pentagono riteneva più opportuni. Ciò
che non veniva esplicitamente stabilito dall‘ordinanza era il progetto di effettuare delle
forme di detenzione e condanna non legittime: tramite il Military Order si fece in modo
che queste fossero protette dalle insidie di eventuali pronunce di illegittimità
costituzionale da parte delle Corti federali e della Corte Suprema cui i prigionieri,
ipoteticamente, avrebbero potuto ricorrere. Proprio per questa ragione venne scelta
Guantanamo come campo di detenzione: base americana in terra straniera,
sufficientemente remota agli occhi del mondo, sufficientemente vicina alle coste
americane, ma certamente estranea alla giurisdizione delle Corti federali statunitensi.20
L‘11 gennaio 2002, come precedentemente affermato, arrivò a Camp X-Ray il
primo carico di prigionieri, che sarà spostato, a partire dal 28 aprile 2002, nei nuovi
container del campo, una volta che questo sarà stato allargato: gli adulti nelle celle dei
blocchi di Camp Delta, i ragazzi nelle celle di Camp Iguana.
18
Military Order of November 13, 2001: “Detention, Treatment, and trial of Certain Non-Citizens in the
War Against Terrorism” (Military Order), Federal Register (vol. 66, n°. 222), Presidential Documents,
page 57831-57836; consultabile all‘indirizzo: www.fas.org
19
S. BRILL, After. How America confronted the September 12 era. New York, 2003, p. 125-126.
20
C. BONINI, op. cit., p. 70
11
1.2. “The war on terror” e il principio di legittima difesa.
L‘espressione ―guerra al terrore‖ è stata volutamente utilizzata dall‘Esecutivo
statunitense al fine di legittimare le proprie azioni.
La locuzione fu usata dal Presidente Bush il 20 settembre 2001, quando, in un
discorso tenuto davanti al Congresso21, dichiarò che la guerra al terrore iniziata con la
lotta contro la cellula terroristica di Al Qaeda, non si sarebbe limitata a combattere tale
gruppo, bensì sarebbe stata un lotta contro il terrorismo in generale, classificandosi
dunque come una sorta di missione americana su scala mondiale. A conferma di questo,
il 29 gennaio 2002 nel proprio discorso riguardo allo Stato dell‘Unione22, il Presidente
ricorse all‘uso del termine ―guerra‖ ben dodici volte, affermando che, una volta vinta la
guerra in Afghanistan, la lotta al terrorismo sarebbe continuata in Paesi quali l‘Iran,
l‘Iraq e la Corea del Nord.
È necessario però analizzare il significato del termine ―guerra‖ utilizzato in
relazione al contesto del terrorismo.
In primo luogo il termine ―guerra‖ è definito dagli Stati Uniti come ―conflitto
armato internazionale tra due o più nazioni‖.23 Nel contesto in questione invece, è
prevista l‘esistenza di uno Stato che si confronta con un‘organizzazione non statale.
Sicuramente l‘uso della parola ―guerra‖ ha un impatto molto forte dal punto di vista
psicologico, ma non è certamente il più adeguato dal punto di vista del diritto. Come
sostenuto da A. Cassese, il suo utilizzo da parte statunitense ha la funzione di enfatizzare
sia la serietà dell‘attacco subito, tale da permetterne il paragone con l‘aggressione
armata contro uno Stato a causa degli effetti ―demoniaci‖ che ne derivano, sia la
21
―Our war on terror begins with Al Qaeda, but it does not end there. It will not end until every terrorist
group of global reach has been found, stopped and defeated‖. Testo consultabile all‘indirizzo web:
www.withehouse.gov
22 President Delivers State of the Union Address (29 gennaio 2002), disponibile all‘indirizzo web:
www.whitehouse.gov
23
A. CASSESE, Terrorism is Also Disrupting Some Crucial Legal Categories of Internationl Law, in
European Journal of International Law, 2001, pag. 993-1001
12
necessità di ricorrere all‘uso di qualsiasi tipo di risorsa per rispondere a tali attacchi,
esattamente come avviene in una situazione di guerra.24
In realtà, secondo quanto stabilito dall‘articolo 51 della Carta delle Nazioni
Unite25, l‘espressione ―attacco armato‖ implica un‘azione effettiva, e non la possibilità
della stessa, pertanto il terrorismo non può essere considerato un attacco armato poiché
non è un fatto certo e immediato, bensì una sorta di minaccia alla vita della Nazione, che
si basa proprio sul presupposto di ―spaventare‖ la popolazione con la minaccia di una
possibile aggressione. Di conseguenza gli attacchi dell‘11 settembre non possono essere
classificati come atti di guerra.
Come ritenuto da J. Fitzpatrick, la guerra al terrorismo potrebbe essere
considerata secondo due punti di vista differenti: il primo prevede che essa sia un
conflitto armato originariamente interno, tra talebani e membri di Al Qaeda che
combattono tra di loro sul territorio afghano, divenuto in seguito conflitto internazionale,
nel momento in cui le truppe statunitensi invasero l‘Afghanistan per combattere
entrambi i gruppi armati; la seconda visione, invece, percepisce questo conflitto come
una metaforica ―guerra al terrorismo‖ che cela un‘azione militare di controllo di attività
illecite poste in atto da organizzazioni criminali transnazionali.26
Considerando la definizione di ―conflitto armato‖ secondo lo ius in bello, la
guerra al terrorismo, non rientra nella suddetta categoria: l‘articolo 2 comune alle
Convenzioni di Ginevra del 1949 prevede situazioni di conflitto solamente tra Stati, in
quanto solo gli Stati possono essere Alte Parti Contraenti27; mentre l‘articolo 1(4) del
24
Ibidem.
25
Charter of the United Nations, testo disponibile all‘indirizzo web: www.un.org
26
J. FITZPATRICK, Speaking Law to Power: The War Against Terrorism and Human Rights, in European
Journal of International Law, 2003, pag. 241-164. Fitzpatrick ha individuato sei diverse qualificazioni
per la guerra contro il terrorismo: un conflitto armato internazionale non dichiarato in cui gli Stati Uniti
e le nazioni alleate combattono contro l‘Afghanistan; un conflitto armato internazionale non dichiarato
in cui gli Stati Uniti e le nazioni alleate combattono contro i Talebani che governavano l‘Afghanistan;
un conflitto armato internazionale non dichiarato in cui gli Stati Uniti e nazioni alleate combattono
contro l‘organizzazione non statale di Al Qaeda; un conflitto armato internazione non dichiarato in cui
gli Stati Uniti e nazioni alleate combattono contro numerose entità non statali e individui sospettati di
essere terroristi internazionali; un conflitto armato interno in Afghanistan tra i Talebani e il gruppo di Al
Qaeda, diventato conflitto internazionale nel momento in cui gli Stati uniti invasero l‘Afghanistan; una
metaforica ―guerra al terrorismo‖ che cela un‘azione militare di controllo di attività illecite poste in atto
da organizzazioni criminali transnazionali.
27Articolo 2 comune alle quattro Convenzioni di Ginevra.
13
Protocollo Aggiuntivo I28, per quanto si proponga di estendere il concetto di conflitto
armato, fa rientrare in esso solamente le guerre di liberazione contro una dominazione
coloniale e regimi razzisti. Nel caso in questione, ci si trova invece in una situazione di
conflitto tra uno Stato e un‘organizzazione non statale, che, in quanto tale, non dispone
di alcun genere di protezioni.
Considerare l‘esistenza di una ―guerra‖ comporta una serie di rischi, in quanto si
priva la tradizionale nozione di ―guerra‖ dei propri margini stabili e ben definiti29: in
primo luogo non si riesce ad individuare un momento di inizio, né tanto meno di
conclusione, di questo status; in secondo luogo, dal punto di vista territoriale, non esiste
un campo di battaglia con dei confini delimitati; e infine, non si può determinare chi
siano i combattenti di questa guerra, né la loro nazionalità, occupazione o residenza.30
Come sottolineato dal giudice G. Aldrich 31 , il gruppo di Al Qaeda è
un‘organizzazione clandestina, senza legal status internazionale, composta da terroristi
che non sono combattenti ma semplici criminali comuni, localizzata in numerose nazioni
all‘interno delle quali non vi è alcuna sorta di conflitto armato, che non è parte delle
Convenzioni di Ginevra né dei Protocolli Aggiuntivi, né potrà mai esserlo. Per tutte
queste ragioni non può esistere un conflitto tra un‘organizzazione che agisce per proprio
conto ed uno Stato, o coalizione di Stati, che possa essere considerato come ―conflitto
armato internazionale‖ secondo la definizione dell‘articolo 2 delle Convenzioni di
Ginevra.
La guerra al terrore deve essere considerata semplicemente come una campagna
di counter-terrorism, che prevede l‘uso della forza militare solamente per alcune delle
sue azioni. Tali azioni sono compiute all‘interno di Stati dove non esiste alcun conflitto
armato, anche se spesso le misure di counter-terrorism assumono caratteristiche tipiche
di un conflitto armato: ne è un esempio il caso degli Stati Uniti che attaccano uno Stato
28Protezione delle vittime dei conflitti armati internazionali, I Protocollo Aggiuntivo, 1977, Articolo 1(4).
Consultabile all‘indirizzo web: www.studiperlapace.it
29
D. VAGTS, Military Commissions: Constitutional Limits on Their Role in the War on Terror, in
Ameriacan Journal of International Law, 2008, pag. 573-586, p. 584.
30
J. FITZPATRICK, op. cit., p. 252.
31
A. MCDONALD, Defining the War on Terror and the Status of Detainees: Comments on the Presentation
of Judge George Aldrich, in Humanitäres Völkerrecht, Baden Baden, 2002, p. 207.
14
che protegge o assiste Al Qaeda, esattamente com‘è accaduto in Afghanistan. In
quest‘ultimo caso, però, si deve parlare di conflitto armato internazionale contro la
Nazione attaccata, e non contro Al Qaeda, poiché Al Qaeda non è uno Stato: si evince
che la cosiddetta ―guerra al terrore‖ che gli Stati Uniti hanno intrapreso contro la cellula
terroristica di Al Qaeda non soddisfa le condizioni poste dalle Convenzioni di Ginevra
per essere considerata come conflitto armato.32
Certamente però una guerra esiste, iniziata il 7 ottobre 2001, quando gli Stati
Uniti e i propri alleati bombardarono l‘Afghanistan. L‘operazione Enduring Freedom,
così denominata, fu autorizzata dal Presidente Bush sulla base del principio di legittima
difesa previsto dalla Carta delle Nazioni Unite. La Carta della Nazioni Unite proibisce
l‘uso della forza nell‘articolo 2(4)33, ma ne predispone un‘eccezione. Secondo l‘articolo
51 infatti, ogni Stato Membro dell‘ONU possiede un diritto naturale di legittima difesa
nel caso esso subisca un attacco armato, diritto invocabile ed utilizzabile solo come
risposta immediata all‘attacco stesso, in attesa delle disposizioni del Consiglio di
Sicurezza delle Nazioni Unite34.
Esistono però una serie di condizioni da rispettare per poter far ricorso all‘auto
difesa perché essa sia lecita. In primo luogo, essa deve essere giustificata dalla sua
urgenza35: secondo l‘interpretazione fatta da J. Lobel, l‘articolo 51 della Carta delle
Nazioni Unite prevede che una Nazione possa ricorrere all‘uso della forza per rispondere
ad un attacco in corso, mentre non può commettere azioni di rappresaglia per un attacco
subito in precedenza. La ragione di queste disposizioni è semplice: uno Stato che subisce
un attacco non può attendere le disposizioni della comunità internazionale o del
Consiglio di Sicurezza prima di difendersi, se una Nazione subisce un attacco, infatti, è
necessaria una risposta immediata. Al contrario, uno Stato i cui cittadini non siano più
attaccati, deve attendere l‘intervento delle Nazioni Unite, altrimenti si incorrerebbe in
32
Ibidem..
33
Ibidem, art. 2(4): ―All Members shall refrain in their international relations from the threat or use of
force against the territorial integrity or political independence of any state, or in any other manner
inconsistent with the Purposes of the United Nations.‖
34
Ibidem, art 51: ―Nothing in the present Charter shall impair the inherent right of individual or collective
self-defence if an armed attack occurs against a Member of the United Nations, until the Security
Council has taken measures necessary to maintain international peace and security.‖
35
A. CASSESE, op. cit., p. 995
15
una situazione in cui l‘uso della forza verrebbe nuovamente incoraggiato, violando le
disposizioni dell‘articolo 2 (4) della Carta della Nazioni Unite.36
La questione che molti giuristi si sono posti concerne la possibilità di utilizzo di
attacchi preventivi: secondo le parole di D. Webster, Segretario di Stato statunitense nel
1841, riguardo la cosiddetta Dottrina Caroline 37 , considerata dai giuristi fonte
consuetudinaria di diritto internazionale38, un attacco preventivo è ammissibile solo nel
caso in cui la sua necessità sia immediata, schiacciante, e quando non esista la possibilità
di utilizzo di altri mezzi né, tanto meno, esista il tempo necessario per valutare una
soluzione alternativa.39 In questo caso la definizione di attacco preventivo in legittima
difesa è più amplia rispetto a quella fornita dalla Carta delle Nazioni Unite riguardante
l‘attacco successivo in legittima difesa, che viene limitato al contesto di un conflitto
armato. Secondo le norme consuetudinarie, ad una Nazione è consentito reagire con la
forza preventiva solo quando sussistono quattro criteri40: quando lo Stato sta agendo in
36
A. N. GUIORA, Self-Defense – From Wild West to 9/11, in Cornell International Law Journal, New
York, 2008, p. 658.
37
Il caso da cui nasce la dottrina Caroline, deriva da un fatto accaduto nel 1837, durante una ribellione
portata avanti da alcuni canadesi contro il proprio Governo. Molti cittadini statunitensi appoggiavano la
ribellione canadese, e aiutavano i ribelli tramite approvvigionamenti, e arruolandosi per invadere il
Canada. Il 13 dicembre 1837, un gruppo di canadesi, capitanati da uno statunitense, presero il controllo
di Navy Island, un‘isola dalla quale avrebbero potuto facilmente attaccare il Canada. The Caroline era
la nave utilizzata dagli americani per rifornire i ribelli sull‘isola. Il 29 dicembre 1837, un gruppo di
britannici che combattevano per la difesa del territorio canadese, attaccò la Caroline distruggendola e
uccidendo alcuni americani. Il Governo britannico sostenne la legittimità dell‘azione giustificandola
con il diritto degli Stati di agire in auto difesa. Il Segretario di Stato Webster, non accettò tale versione
dei fatti, affermando che la condizione necessaria per procedere con un attacco in auto difesa fosse la
necessità della sua immediatezza e l‘impossibilità di bloccare tale azione: secondo Webster, il Governo
britannico avrebbe avuto la possibilità di fermare le proprie forze armate dall‘attaccare la Caroline,
richiedendo al Governo statunitense di intervenire in modo da impedire ai cittadini statunitensi di
prendere parte alla ribellione aiutando in tal modo i canadesi. Confronta A. D. SOFAER, On the
Necessity of Pre-emption, in European Journal of International Law, 2003, pp. 209-226, p. 214.
38
T. G. GILL, The Temporal Dimension of Self-Defense: Anticipation, Pre-emption, Prevention and
Immediacy, in International Law and Armed Conflict: Exploring the Faultlines – Essays in Honour of
Yoram Dinstein, Boston, 2007, p. 113-155, p.114; M. N. SCHMITT, Responding to Transnational
Terrorism under the Jus ad Bellum: A Normative Framework, , in International Law and Armed
Conflict: Exploring the Faultlines, pp. 157-195 , p. 177; F. DOMB, The Separation Fence in the
International Court of Justice and the High Court of Justice: Commonalities, Differences and Specifics,
in International Law and Armed Conflict: Exploring the Faultlines, pp. 509-542 , p. 534.
39
The Caroline (exchange of diplomatic notes between Great Britain, Ashburton, and the United States,
Webster 1842), 2 J. Moore, Digest of International Law 409, 412 (1906). L‘espressione usata per
spiegare l‘utilizzo dell‘azione preventiva fu ―Necessity of that self-defense is instant, overwhelming,
and leaving no choice of means, and no moment for deliberation.‖
40
A. N. GUIORA, op. cit, p. 631-674.
16
legittima difesa; quando l‘attacco è sostanziale e militare (e non un incidente armato
isolato); quando l‘attacco armato è imminente e su larga scala e quando la Nazione che
attacca non ha la possibilità o la volontà di evitare le aggressioni (se venisse interpretato
come forma di attacco preventivo, il caso in questione rientrerebbe nell‘ultima
possibilità, in quanto i talebani si rifiutarono esplicitamente di impedire gli attentati
perpetrati da Al Qaeda nei confronti degli Stati Uniti).41
Un‘ulteriore considerazione riguardante l‘uso della forza in legittima difesa,
interessa la proporzionalità degli attacchi: questi devono essere diretti esclusivamente a
respingere l‘attacco armato dello Stato aggressore, devono essere proporzionati ad esso e
devono concludersi non appena termini l‘aggressione, o, parallelamente, non appena il
Consiglio di Sicurezza prenda le misure indispensabili a risolvere la situazione.
Ovviamente gli Stati che agiscono facendo uso della legittima difesa, devono rispettare i
principi fondamentali del diritto umanitario. Secondo la prassi e la dottrina, il parametro
della proporzionalità non è da intendersi in termini letterali: non è richiesta la perfetta
corrispondenza tra l‘azione di attacco e l‘azione in legittima difesa, ma è accettabile una
reazione tale da indurre l‘attaccante a cessare la propria azione lesiva. Tuttavia, la Corte
internazionale di giustizia, in riferimento alla controversia tra Stati Uniti e Iran relativa
alle piattaforme petrolifere nel Golfo Persico, intese il criterio di proporzionalità in
maniera più restrittiva: a fronte di un attacco missilistico iraniano che risultò nella
distruzione di una nave mercantile degli Stati Uniti, questi ultimi reagirono distruggendo
due fregate iraniane, un naviglio, degli aeromobile e due piattaforme petrolifere.
L‘azione in legittima difesa sarebbe stata conforme al principio di proporzionalità solo
nel caso in cui gli Stati Uniti si fossero limitati a distruggere una singola piattaforma
petrolifera in risposta all‘attacco alla propria nave mercantile.42
Ciò che avvenne in seguito agli attacchi dell‘11 settembre, ha alterato quanto fino
a quel momento accaduto nel contesto dei conflitti armati riguardo al concetto di
legittima difesa. Se secondo quanto fino ad ora stabilito, gli attacchi terroristici subiti
dagli Stati Uniti non avrebbero giustificato il ricorso alla legittima difesa, ciò che
41
A. D. SOAFER, On the Necessity of Pre-emption, in European Journal of International Law, 2003, pag.
209-226.
42
N. RONZITTI, Diritto internazionale dei conflitti armati, Torino, 2006, p.39.
17
successe dopo cambiò totalmente la situazione 43 . Il 12 settembre il Consiglio di
Sicurezza dell‘ONU passò all‘unanimità la Resolution 136844, che presenta numerose
ambiguità e contraddizioni. Mentre da un lato nel preambolo viene riconosciuto dal
Consiglio di Sicurezza il diritto alla legittima difesa collettiva e individuale, dall‘altro,
nel primo paragrafo, gli attacchi terroristici vengono definiti come una ―minaccia alla
pace e alla sicurezza internazionali‖ e non come ―attacchi armati‖ che avrebbero
legittimato la legittima difesa secondo le disposizioni dell‘articolo 51 della Carta delle
Nazioni Unite.
Lo stesso giorno il North Atlantic Council affermò che, basandosi sull‘articolo 5
del proprio Statuto, i diciannove Stati Membri si sarebbero uniti in un‘azione di
legittima difesa collettiva: l‘articolo citato, infatti, prevede che, in caso di attacco di uno
degli Stati membri, le altre Nazioni si possano unire a questo nella lotta contro il nemico
ricorrendo anche all‘uso della forza, al fine di ristabilire l‘ordine e la sicurezza
nell‘area.45 Ne risulta che nel giro di un solo giorno, i Paesi membri del Consiglio di
Sicurezza e i membri della NATO abbiano identificato l‘attacco terroristico perpetrato
da un‘organizzazione non statale, con un attacco armato commesso da uno Stato, dando
il diritto alla Nazione vittima dell‘attacco di ricorrere all‘uso della legittima difesa e a
Paesi terzi di agire secondo il principio della difesa collettiva.46
Successivamente, il 28 settembre, il Consiglio di Sicurezza emanò la Resolution
1373, all‘interno della quale affermò che tutti gli Stati Membri avrebbero potuto
prendere tutte le misure necessarie per prevenire la commissione di ulteriori atti
43
A. CASSESE, op. cit., p.996.
44
UN Security Council Resolution 1368 (2001), S/RES/1368 (2001), consultabile all‘indirizzo web:
www.un.org
45
North Atlantic Treaty, articolo 5: ―The Parties agree that an armed attack against one or more of them in
Europe or North America shall be considered an attack against them all and consequently they agree
that, if such an armed attack occurs, each of them, in exercise of the right of individual or collective
self-defence recognised by Article 51 of the Charter of the United Nations, will assist the Party or
Parties so attacked by taking forthwith, individually and in concert with the other Parties, such action as
it deems necessary, including the use of armed force, to restore and maintain the security of the North
Atlantic area.‖ Testo disponibile all‘indirizzo web: www.nato.int
46
A. CASSESE, op.cit., p.997.
18
terroristici, e richiamò le Nazioni alla cooperazione per la soppressione di tali attacchi e
per agire contro i terroristi stessi.47
Concludendo si può affermare che il ricorso alla legittima difesa nel contesto
considerato è stato impropriamente usato e giustificato: in primo luogo poiché essa è
prevista e permessa solo nel caso di un attacco da parte di una Nazione ad un‘altra
Nazione, mentre nel caso in questione esiste un attore statale e uno non statale. Nel
parere consultivo relativo alle problematiche derivanti dalla costruzione di un muro nei
territori palestinesi occupati, la Corte internazione di giustizia affermò che l‘attacco
armato deve essere imputato ad uno Stato affinché si abbia il diritto di reagire in
legittima difesa. 48 L‘opinione contraria fu espressa dal giudice Hiddings che criticò
quanto affermato dalla Corte in quanto troppo restrittivo e non specificato nell‘articolo
51 della Carta delle nazioni Unite.49
Come è risaputo, inoltre, non è una singola Nazione ad ospitare cellule
terroristiche legate al gruppo di Al Qaeda, ma, essendo essa un‘organizzazione
transnazionale, è presente in oltre 60 Stati; se si dovesse combattere contro ogni Stato
all‘interno del quale è presente una cellula di Al Qaeda, ciò che ne deriverebbe sarebbe
un conflitto mondiale.
La seconda motivazione dell‘illegalità delle operazioni statunitensi riguarda
l‘articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, il quale si riferisce ad una situazione di
conflitto armato, che in questo contesto non sussiste.
47
UN Security Council Resolution 1373 (2001), S/RES/1373 (2001): ―2. Decides also that all States shall:
(b) Take the necessary steps to prevent the commission of terrorist acts, including by provision of early
warning to other States by exchange of information; (…) 3. Calls upon all States to: (c) Cooperate,
particularly through bilateral and multilateral arrangements and agreements, to prevent and suppress
terrorist attacks and take action against perpetrators of such acts‖. Consultabile all‘indirizzo web:
www.un.org
48
Corte Internazionale di Giustizia, Conseguenze giuridiche dell’edificazione di un muro nel territorio
palestinese occupato, par. 139: ―L‘art. 51 della Carta riconosce in tal modo l‘esistenza di un diritto
naturale di legittima difesa in caso di aggressione armata di uno Stato contro un altro Stato. Tuttavia
Israele non sostiene che le violenze di cui è vittima siano imputabili a uno Stato straniero.‖ Disponibile
all‘indirizzo web: www.isgi.cnr.it
49
Corte Internazionale di Giustizia, Separate Opinion of Judge Higgins, par. 33: ―I do not agree with al1
that the Court has to say on the question of the law of self-defence. In paragraph 139 the Court quotes
Article 51 of the Charter and then continues "Article 51 of the Charter thus recognizes the existence of
an inherent right of self-defence in the case of armed attack by one State against another State." There
is, with respect, nothing in the text of Article 51 that thus stipulates that self-defence is available only
when an armed attack is made by a State.‖ Disponibile all‘indirizzo web: www.icj-cij.org
19
Infine poiché la legittima difesa deve essere immediata, deve essere messa in atto
nel corso degli attacchi subiti, e non ventisei giorni dopo aver subito gli attacchi, come
successe nel caso dell‘operazione Enduring Freedom: una tardiva reazione da parte dello
Stato leso si configura più come un‘azione di rappresaglia che come esercizio di
legittima difesa.50 Per quanto riguarda lo scopo della legittima difesa, chiaramente è
quello di respingere l‘aggressione subita, di conseguenza dovrebbe durare fino a quando
tale aggressione non arrivi ad un termine. Il primo attacco terroristico subito dagli Stati
Uniti si concluse l‘11 settembre, eppure non si riesce a stabilire la durata dell‘azione
difensiva statunitense: come precedentemente affermato, la situazione è stata
categorizzata come ―guerra‖, e, come dimostrano gli avvenimenti, questa guerra sta
durando numerosi anni.
Da ultimo sono da considerare i mezzi usati per la legittima difesa: le classiche
azioni autorizzate sarebbero degli attacchi armati contro obbiettivi militari, nel rispetto
delle leggi di diritto internazionale umanitario. Ciò che si evince dai fatti fino a questo
momento accaduti, sembra che gli Stati stiano giustificando ogni tipo di violenza, a
partire dalle violazioni commesse contro i combattenti fino ad arrivare all‘utilizzo, o
minaccia di utilizzo, di armi non consentite. Come sostenuto da A. Cassese, il tutto
rischia di trasformarsi in un vaso di Pandora, costituendo un precedente estremamente
pericoloso che potrebbe essere utilizzato in futuro dalla comunità internazionale.
1.3. Dichiarazione dello stato d’emergenza.
Dopo tre soli giorni dall‘attacco al World Trade Center, il Presidente George W.
Bush proclamò lo stato d‘emergenza: il 14 settembre 2001, attraverso la Proclamation
746351, egli affermò che, a seguito degli attacchi terroristici subiti dagli Stati Uniti,
sussisteva uno stato d‘emergenza nazionale, secondo quanto previsto dal National
50
N. RONZITTI, op. cit., p.40.
51
Proclamation Act, 66 FR 48199, September 18, 2001, consultabile all‘indirizzo web: www.fas.org