2
Salento ed a divenire, in purezza o in mescita, tra le etichette degne di nota
nel panorama enologico nazionale ed internazionale.
La risorsa vino è poi attorniata da un paniere di prodotti
agroalimentari tipici che costituiscono un giacimento enogastronomico di
notevole portata, tale da poter costituire il fulcro di un’offerta turistica
incentrata sul gusto. Il “Parco del Negroamaro” nasce dalla volontà di tutela
del paesaggio rurale e di valorizzazione e promozione della vitivinicoltura
del territorio nordsalentino. Tra gli obiettivi dell’ente emerge con forza la
caratterizzazione turistica dell’area, mediante una pianificazione concertata
tra i soggetti pubblici e privati e la comunità locale nell’ottica di uno
sviluppo economico, sociale e culturale endogeno ed autocentrato.
Il presente lavoro cerca di indagare le prospettive concrete di
realizzazione di un’offerta turistica per il Salento nordoccidentale che
permetta la diversificazione della stessa e la destagionalizzazione dei flussi
turistici, attraendo un target di domanda sempre più attento
all’enogastronomia e alla tutela ambientale.
Analizzando la situazione del comparto vitivinicolo nel primo
capitolo, l’Italia si afferma come secondo produttore mondiale di vino,
attestandosi subito dopo la Francia e prima della Spagna. Numerose, inoltre,
le produzioni di qualità (DOC, DOCG, IGT) concentrate soprattutto al
Nord, con il Piemonte capolista. Il punto di debolezza del settore risiede nel
ramo della trasformazione: l’eccessiva frammentazione aziendale e le
limitate dimensioni influiscono sulla competitività, seppure è interessante
notare una tendenza alla concentrazione produttiva che ha coinvolto, nel
2007, strutture di dimensioni economico-produttive rilevanti. Si analizza,
poi, il comparto dei consumi, della distribuzione e, quindi, della necessità di
approntare efficaci strategie di marketing per affrontare la sfida dei nuovi
competitori sul mercato globale.
3
La storia del vino è una storia di evoluzione e specializzazione: da
semplice elemento del paniere dei prodotti tipici della dieta mediterranea a
status symbol, fattore di riconoscimento ed aggregazione per determinate
categorie di consumatori, anzi di degustatori del “nettare degli dei”. Si
afferma la fruizione edonistica del vino, parallelamente all’emergere di una
domanda sempre più attenta alla qualità e alla tipicità dei prodotti,
conseguentemente alla relativa omologazione del gusto dovuta alla
rivoluzione alimentare degli anni Settanta e Ottanta. Il consumatore è alla
ricerca della genuinità degli alimenti che divengono una sorta di contenitore
in cui si aggregano le specificità storiche, culturali e sociali del luogo di
produzione. L’attenzione prestata all’elemento tipico e tradizionale nel
comparto agroalimentare ha investito anche il settore turistico, in cui
emergono dei soft trend volti a fare del viaggio un’esperienza di contatto e
di conoscenza del genius loci, un momento di crescita culturale data dalla
forte e profonda relazione che il viaggiatore instaura con l’ambiente, la
storia e la comunità locale. Il turismo enogastronomico, che va
raccogliendo sempre più numerosi consensi tra il popolo dei “turisti
culturali”, risponde alle molteplici esigenze di questo target, svelando il
territorio mediante i suoi sapori, le sue tradizioni, il suo vissuto. Inoltre,
costituisce un importante fattore di sviluppo per i territori che, pur avendo
una forte vocazione agricola ed una produzione di qualità, non hanno
valorizzato la propria identità in chiave turistica. Questa tipologia può
rappresentare una modalità di fruizione diversificata dell’ambiente
interessato dai flussi dei viaggiatori, promuovendo la destagionalizzazione
dei flussi e un minore impatto su alcune località centrali. In quest’ottica è
possibile leggere il turismo enogastronomico come una declinazione
originale e fruttuosa del turismo sostenibile sotto il profilo economico,
sociale e ambientale.
4
Si concentra l’attenzione, nel terzo capitolo, sulle configurazioni
distrettuali del comparto agricolo e del comparto turistico, analizzando le
potenzialità di tali sistemi per lo sviluppo locale. I sistemi turistici locali,
normati dalla Regione Puglia e distinti in due tipologie, costituiscono degli
efficienti strumenti di progettazione di un’offerta turistica integrata che
coinvolga tutti gli attori del territorio, favorendo uno sviluppo endogeno ed
autocentrato.
Il presente lavoro, nato dalla volontà di indagare le potenzialità del
territorio salentino nordoccidentale, analizza l’iter di costituzione del
“Parco del Negroamaro”, sottolineandone punti di forza e di debolezza.
L’areale in esame manifesta una vocazione agricola di lungo retaggio, che
ha permeato in maniera indelebile la vita della comunità e ne ha plasmato il
paesaggio. La vite e il grano sono simboli imperituri di questo territorio,
che hanno attraversato indenni epoche e rivolgimenti storici. Il vitigno
autoctono del Negroamaro e la produzione di qualità a questo connessa
possono ora rappresentare la chiave di volta dello sviluppo dell’area. Il
“Parco del Negroamaro” cerca di cementare una rete relazionale forte, che
coinvolge circa ventisei amministrazioni, e di indirizzare la pianificazione
verso l’adozione di strategie che favoriscano lo sviluppo turistico del
territorio, coniugando la bellezza dei paesaggi rurali alla qualità delle
produzioni vinicole e agroalimentari.
La scelta di delimitare l’analisi del comparto agricolo e di quello
turistico alla zona del Salento nordoccidentale risponde all’individuazione
di elementi di omogeneità culturale e storica che hanno portato, nel 2004,
l’Unione dei Comuni del Nord Salento a ipotizzare la costituzione di un
ente, allora denominato “Parco degli Ulivi e del Negroamaro”, che funga da
volano per lo sviluppo agricolo e turistico dell’area. L’estensione dello
studio alle marine di Nardò e Porto Cesareo nasce dalla volontà di indicare
una progettazione che, considerando i flussi del turismo balneare, punti ad
5
un’offerta turistica enogastronomica che diversifichi quella già esistente e
consolidata e che favorisca la destagionalizzazione dei movimenti turistici.
Questo studio si pone quindi un obiettivo forse un po’ arduo,
forse un po’ da sognatori a cui la sottoscritta crede profondamente e
per cui spera di poter dedicare in un futuro non tanto lontano le proprie
energie: infondere l’amore per il proprio territorio, partendo da una seria
conoscenza e consapevolezza delle potenzialità e delle debolezze,
superando vecchi campanilismi e cooperando congiuntamente per lo
sviluppo del Salento. Una crescita che sia attenta alla tutela ambientale, alla
valorizzazione delle risorse, alla promozione della propria cultura e delle
proprie tradizioni ma pronta a cogliere gli stimoli di innovazione che
provengono da realtà sempre più ampia e più globale...in una parola? Uno
sviluppo sostenibile.
6
CAPITOLO I
LA VITIVINICOLTURA IN ITALIA
7
I.1 INTRODUZIONE: LA PRODUZIONE MONDIALE
La geografia del vino è in piena evoluzione. Cambiano le aree di
produzione e cresce l’importanza dei competitori verso aree storiche come
la Francia e l’Italia. In effetti, alla luce delle recenti innovazioni
tecnologiche, la conquista vitivinicola di nuovi territori, un tempo
considerati non adatti a tale coltura, diventa sempre più veloce.
L’Italia, attestandosi subito dopo la Francia e prima della Spagna,
rappresenta il secondo produttore mondiale di vino.
L’estensione del vigneto mondiale ammonta a circa 8 milioni di
ettari vitati, dato che evidenzia una lieve flessione rispetto al 2006.
L’Unione Europea è l’area del mondo con il vigneto più esteso, pari ad oltre
3,8 milioni di ettari (49% della superficie vitata mondiale) di cui 3,7 milioni
ad uva da vino. Segue l’Asia con 1,7 milioni di ettari (14%) destinati per lo
più a uva da tavola e l’America (13%).
Nel 2007, secondo stime ISMEA, la produzione mondiale di vino si
è attestata attorno a 260 milioni di ettolitri, il 7% in meno rispetto a quella
dell’anno precedente
1
.
Nell’Emisfero Nord la flessione è stata determinata essenzialmente
dal calo registrato nell’Unione Europea, che fornisce oltre il 60% del dato
mondiale, per la quale la Commissione europea stima una produzione
complessiva di circa 167 milioni di ettolitri (-11% su base annua).
Determinanti, sull’esito vendemmiale del Vecchio Continente, sono
state le performance negative di Francia e Italia che hanno registrato
flessioni rispettivamente del 14 e del 12 per cento, a cui si è aggiunto il -
6% della Spagna. Per i tre grandi produttori sono state principalmente le
avversità climatiche a provocare le perdite produttive.
1
ISMEA, Outlook dell’agroalimentare italiano. Rapporto annuale, vol. 1, ottobre 2008, p.
148.
8
Fuori dall’Ue si registra una crisi della produzione vinicola tra i
nuovi Paesi produttori: Australia (-33%) e Cile (-3%). In controtendenza
invece i dati relativi ad Argentina (+6%), Sud Africa (+4%) e Brasile
(+41%), quest’ultimo da valutare alla luce di una produzione 2006 molto
contenuta.
Una contrazione costante della produzione di vino si registra a
partire dal 1980, con una diminuzione del 53,11% rispetto alla produzione
attuale
2
.
I.2 IL CASO ITALIANO
I.2.1 INTRODUZIONE STORICA
L’Italia è un Paese con un’antica tradizione nella produzione
vitivinicola ed è attualmente tra i maggiori produttori di vino al mondo
insieme a Francia e Spagna.
La coltura della vite e la vinificazione erano largamente praticate
dalle popolazioni etrusche e latine e nuovo impulso e prestigio ebbe, poi,
l’attività vitivinicola dagli apporti dei coloni greci.
Il consolidamento della potenza della Roma repubblicana e, quindi,
imperiale determinò uno sviluppo qualitativo e quantitativo della domanda
che diede luogo alla strutturazione di una solida industria enologica, la
quale aveva nel Falerno il suo vino di massimo prestigio e nell’area oggi
occupata dalla Campania il maggiore centro produttivo.
Successivamente l’eruzione del Vesuvio e la decadenza dell’Impero
destrutturarono l’industria vitivinicola nelle regioni italiche che, tuttavia,
2
Ivi, p. 149.
9
ripresa a crescere in epoca medioevale, seppure ancora vocata all’auto-
approvvigionamento.
In epoca moderna la produzione vitivinicola italiana non subì, però,
le stesse modificazioni che interessarono la Francia, dove, tra ‘700 e ‘800,
si andò strutturando quel sistema di offerta, imperniato attorno ad una forte
caratterizzazione regionale, ad una solido sistema di classificazione dei
prodotti, ad un ben strutturato sistema di distribuzione, che ancora oggi
contraddistingue tale Paese. La straordinaria evoluzione del sistema
francese ebbe comunque degli effetti in Italia che non sfociarono però in
un’evoluzione complessiva dell’industria del vino orientata all’offerta di
vini di pregio elevato.
Solo nell’Ottocento l’attivazione di scuole enologiche e di Istituti
Superiori di Agricoltura favorì l’industria vitivinicola italiana dotandola di
una leva di tecnici e professionisti qualificati che sostennero lo sviluppo
della produzione e dell’esportazione.
A partire dai primi del Novecento inizia anche uno sforzo di dotare il
sistema di normative in grado di evitare le frodi e tutelare quei produttori
che stavano tendendo di intraprendere dei percorsi di differenziazione
dell’offerta sul modello francese. La scarsa coesione e attenzione a queste
problematiche della maggioranza degli operatori impedì, però, l’affermarsi
in Italia di una legislazione vinicola, alla quale, invece, già agli inizi degli
anni Trenta del ‘900, erano arrivate Francia e Germania, sia pure con
impostazioni diverse.
Solo dopo la seconda guerra mondiale, facendo seguito
all’emanazione del primo Regolamento comunitario per il vino nel 1962, si
arrivò, grazie anche all’opera del senatore Paolo Desana, ad una disciplina
10
nazionale dei vini a denominazione (d.p.r n.630/1963) coerente con
l’impianto della normativa comunitaria
3
.
Inizia quindi un periodo di sviluppo per il settore vitivinicolo, nel
corso del quale cresce l’offerta complessiva del vino, crescono le
esportazioni e cresce la quota nella produzione e nei consumi dei vini a
denominazione. L’offerta vinicola italiana si diversifica e diventa così più
complessa. Importante è ancora il ruolo dei circuiti locali di
approvvigionamento e auto-approvvigionamento, basati essenzialmente sul
vino sfuso. Inoltre in questo periodo vedono la luce forme di presentazione
moderna del vino basate su strategie di branding, su diverse fasce di prezzo.
Gli anni Ottanta furono caratterizzati dall’emergere del problema
della sovrapproduzione. Il sistema produttivo aveva enormemente espanso
la sua capacità di offerta, giunta a quasi 80 milioni di ettolitri, ma la
domanda era ormai decisamente declinante, e la grande espansione
dell’export, giunto a più di 17 milioni di ettolitri, non era sufficiente ad
equilibrare il mercato.
Lo scandalo della sofisticazione dei vini con l’alcool metilico del
1986 causò la crisi di vendite all’interno e all’estero e impose la necessità di
una ridefinizione del posizionamento del sistema vino italiano. Ciò portò ad
un radicale rinnovamento delle cantine consentendo poi la ripresa e i
successi degli anni Novanta. Si operò la scelta di ricostruire l’immagine del
vino del vino italiano, scegliendo come elemento di qualificazione i vini a
denominazione provocando un contrasto tra vini di territorio considerati
automaticamente “buoni” e vini diversamente connotati, quindi
potenzialmente “cattivi”. Difatti, negli anni Novanta l’evoluzione della
domanda internazionale ha premiato molti vini italiani.
All’inizio del nuovo millennio, la crisi del settore ha imposto una
riflessione sulla competitività del sistema vino italiano nei confronti dei
3
CESARETTI G., GREEN R., MARIANI A., POMARICI E., (a cura di), Il mercato del
vino. Tendenze strutturali e strategia dei concorrenti, Franco Angeli, Milano, 2006, p.145.
11
nuovi Paesi competitori e delle loro strategie di immagine e di prezzo. In
definitiva, i nuovi competitors hanno affrontato il mercato con modelli
strategici che la stessa industria italiana del vino aveva cominciato a
costruire negli anni Settanta, in seguito passati in secondo piano a causa
dello scandalo del metanolo, ma che oggi appaiono essenziali per rafforzare
il legame con il mercato di tutta la vasta e complessa offerta italiana e che,
peraltro, stanno già premiando i produttori che sono stati in grado di
adottarli con coerenza.
I.2.2 PRODUZIONE
Attualmente la produzione di vino italiana rappresenta il 15,9% di
quella mondiale
4
.
La superficie del vigneto italiano, dalle ultime analisi ISTAT riferite
all’anno 2007, risulta in calo attestandosi a 681.000 ettari rispetto ai circa
856.000 ettari del 2006. Di questi 25.000 sono a coltivazione biologica e
233.000 iscritti agli albi delle denominazioni. Il 75% è a bacca rossa. La
resa per ettaro rimane sostanzialmente allineata alle buone annate del 2004-
2006, cioè sopra i 100 q/ha, nel suo insieme la viticoltura nostrana
costituisce il 9% circa del vigneto mondiale.
La vendemmia italiana, in particolare, secondo i dati dell’Istat,
sarebbe scesa a 49 milioni di ettolitri, valore che mostra una ripresa se
riferito alle crisi delle annate 2002-2003 e 2006-2007 ma in calo (-2%)
rispetto al 2004 e al 2005. Tale crisi del comparto vitivinicolo è
particolarmente evidente nelle produzioni del Mezzogiorno che registrano
una diminuzione del 26% contro il -14,3% del Centro e il -1,6% del Nord
5
.
Le diverse tendenze rilevate sul territorio nazionale hanno fatto sì
che il Veneto diventasse nel 2007 la prima regione produttrice di vino in
4
ISMEA, Speciale Vinitaly 2008, aprile 2008, p. 11.
5
ISTAT, Produzione di vino in Italia, ottobre 2008.
12
Italia, con 7,8 milioni di ettolitri (+8%), seguita da Emilia Romagna (6,3
milioni di ettolitri, -8%), Puglia (5,7 milioni di ettolitri, -23%) e Sicilia (4,6
milioni di ettolitri, -34%). Nettamente distanziate, con una produzione che
si aggira tra i 2 e i 3 milioni di ettolitri, troviamo Toscana (-5%), Piemonte
(-16%) e Abruzzo (-32%)
6
.
Il vino da tavola continua a costituire una quota rilevante della
produzione complessiva ma la sua incidenza si sta riducendo a favore dei
vini da denominazione d’origine e a indicazione geografica. Le regioni
dove la superficie vitata produce soprattutto vini DOC/DOCG sono
Trentino Alto Adige, Piemonte, Friuli Venezia Giulia, Lombardia e Toscana,
tutte molto sopra il 60% di uve con denominazione.
I.2.3 NORMATIVA
L’industria del vino italiana è regolata dalla legge n.164 del 10
febbraio 1992 sulla “Nuova disciplina sulle denominazioni di origine”, che
definisce, nella cornice delle norme dell’UE (si veda Reg. CE 1493/99) sui
VQPRD (i vini di qualità prodotti in regione determinata) e sui vini da
tavola con indicazione geografica, le menzioni utilizzabili in Italia nella
produzione del vino
7
.
La normativa italiana sull’articolazione dell’offerta, prevedendo i
vini a denominazione d’origine e tentando di fare di questi il vertice
qualitativo dell’offerta nazionale, ha inteso legare lo sviluppo dell’offerta
nazionale ad una tradizione di vini strettamente legati al territorio e
determinati dal territorio, ricollegandosi ad un’antica tradizione non solo
mediterranea.
6
ISMEA, op. cit., ottobre 2008, p. 154.
7
CINNELLI COLOMBINI D., Il marketing del turismo del vino, Agra Editrice, Roma, 2007,
p. 14.