Tutto ebbe inizio...
…il 30 settembre 2005, quando, il “Jilland Posten”, un quotidiano danese,
pubblicò dodici vignette satiriche, raffiguranti il Profeta Maometto,
innescando, più o meno consapevolmente, la famigerata “crisi delle vignette”.
Una decina di giorni prima, Flemming Rose, responsabile della sezione
culturale, inviò una lettera a quarantadue vignettisti danesi, invitandoli a offrire
una personale interpretazione grafica del Profeta Maometto, con lo scopo di
verificare se e quanti di loro accettassero la sfida. Ad ispirare l’iniziativa di
Rose, furono le lamentele sollevate, in estate, dallo scrittore danese Kåre
Bluigten circa le difficoltà incontrate nel trovare un illustratore per il suo libro
per bambini sulla vita di Maometto. Turbato dall’eventualità di una dilagante
autocensura, Rose promise agli illustratori interpellati che tutti i disegni giunti
in redazione sarebbero stati pubblicati e compensati pecuniariamente, come
dimostrazione contro il temuto logorio della libera espressione
1
.
Dei quarantadue disegnatori, solo quindici risposero, di cui tre declinando la
commissione, chi ritenendola troppo vaga, chi ridicola e chi pericolosa.
Peraltro, alcune delle dodici vignette inviate non raffiguravano nemmeno il
Profeta, venendo meno alle indicazioni poste da Rose. Nonostante gli
inconcludenti risultati dell’esperimento, Carsten Juste, caporedattore del
"Jylland Posten", decise di pubblicare ugualmente tutte le vignette, compreso il
controverso disegno realizzato da Westergard, raffigurante Maometto con
addosso un turbante a forma di bomba in procinto di esplodere. Ormai
incastrati nella rigida intelaiatura, da loro stessi creata, anche un normale
processo di valutazione editoriale, avrebbe potuto essere interpretato come
censura. Al contrario di Rose, Juste ebbe, però, dei ripensamenti, come si
evince dalla decisione di ridimensionare l’importanza dell’iniziativa spostando
la pubblicazione delle vignette dalla sezione delle notizie, dove erano
inizialmente destinate, alla sezione cultura
2
.
1
J. Klausen, The Cartoons That Shook the World, Orwigsburg, Yale University Press, 2009, p.
14.
2
Ivi, p. 15.
5
Le vignette furono pubblicate su un’intera pagina sotto il titolo «I volti di
Maometto», chiaramente esplicativo dell’intenzione di voler violare il tabù
islamico contro la rappresentazione grafica del Profeta. Le finalità provocatorie
evocate dalla già eloquente impaginazione, trovavano ulteriore esplicitazione
nel virulento articolo di Rose e, nell’altrettanto sferzante, editoriale di Juste
3
.
Juste pose l’iniziativa come una sfida contro la «nauseante ipersensibilità»
4
alla critica tipica, a suo dire, di alcuni rappresentanti religiosi islamici,
intrappolati in «in uno scuro e violento medioevo»
5
. Dallo scenario medievale
e oscurantista evocato da Juste, percorrendo l’impervia quanto accattivante
strada delle metafore storiche, si passa al totalitarismo sovietico citato Rose,
per anni corrispondente a Mosca. Secondo Rose, infatti, «non è una
coincidenza che gente nelle società totalitarie siano incarcerate per aver detto
delle barzellette e fatto della satira sui dittatori. Questo solitamente avviene
adducendo come motivazione il fatto che siano stati feriti i sentimenti delle
persone»
6
.
Dalla crescente indignazione, seguita alla pubblicazione delle vignette,
sembra, che i sentimenti della comunità musulmana, prima danese e poi
mondiale, siano stati profondamente feriti; e, certamente, i risultati del
maldestro esperimento condotto dai giornalisti del “Jylland Posten” non
offrono la chiave di lettura adatta per comprendere la complessa e variegata
realtà che la religione islamica sottende. Sebbene sia impossibile ignorare, né
tanto meno giustificare, i deprecabili episodi di violenza verificatisi, una
mobilitazione globalmente estesa e condotta su più livelli, non è riconducibile a
puro fanatismo religioso.
Il presente elaborato si propone di individuare e analizzare gli aspetti più
rilevanti della vicenda, per comprendere come una scanzonata iniziativa
editoriale, promossa da un quotidiano di un piccolo paese del nord Europa
3
Ivi, p .13.
4
Ibidem.
5
Ibidem.
6
Ivi, pp. 15-16.
6
abbia provocato una crisi internazionale. La vicenda, essendo nata, cresciuta e
degenerata lungo la controversa questione del rapporto tra islam e occidente, si
presta facilmente a generalizzazioni, pericolose e fuorvianti. Il percorso
analitico che ho scelto di intraprendere è animato da un sincero e appassionato
impegno, perchè questa evenienza sia scongiurata. L'approccio che ho ritenuto
adeguato a questo scopo è stato quello di fare tabula rasa di ogni certezza e
concepire che la questione ponga molteplici interrogativi:
• Il disagio islamico nei confronti delle immagini, impropriamente
definito iconoclastia, ha influito sull'indignazione dei musulmani alla
visione delle vignette?
• Scegliere un singolare mezzo espressivo come la satira grafica può
aver contribuito ad alimentare l'ira islamica? E, inoltre, la satira
religiosa può legittimamente incorrere a limitazioni o
autolimitazioni?
• Poi, come è possibile che una simile iniziativa provenga da una
nazione democraticamente virtuosa e tradizionalmente avvezza alla
mediazione e al compromesso?
• E infine, la fatidica domanda: si può parlare di scontro tra civiltà?
Nel tentativo di rispondere al primo quesito, si analizzerà il complesso
rapporto intercorrente tra islam e le immagini, a partire dalle indicazioni
contenute nei versetti coranici e negli ahadith. L'obiettivo dell'analisi è chiarire
il valore e la profondità dell'aniconia nell'islam, per comprendere quanto essa
abbia potuto influire realmente sull'indignazione dei musulmani.
Rispondendo ai quesiti immediatamente successivi, il secondo capitolo
analizzerà il concetto di satira e la trasmissione e gli scopi del messaggio
satirico, per comprenderne le potenzialità e i rischi. Seguirà un'analisi
semiotica del linguaggio satirico nella sua forma grafica, finalizzata alla
comprensione delle implicazioni comunicative dell'uso delle immagini a fini
satirici. A partire da questa griglia teorica, il capitolo analizzerà le famigerate
vignette per valutarne il livello di virulenza e l'eventuale presenza di messaggi
7
xenofobi. Seguirà un'indagine sulle peculiarità della satira grafica nel contesto
arabo-islamico, finalizzata a verificare l'ipotesi di un possibile fraintendimento
culturale. Infine, si procederà indicando le reali possibilità di bilanciamento tra
libertà di satira e rispetto delle religioni, tenendo conto delle peculiari
caratteristiche espressive del linguaggio satirico e, al contempo, del
riconoscimento giuridico internazionale fornito sia al diritto alla libertà di
espressione, sia al diritto alla libertà di religione.
Il terzo capitolo si propone di offrire una contestualizzazione alla vicenda,
nel tentativo di comprendere perchè tutto ciò sia partito dalla virtuosa
Danimarca. Si analizzerà, quindi, il fenomeno immigratorio danese ponendo
l'accento sulle sfide che esso abbia comportato per un paese storicamente
omogeno. Seguirà l'analisi integrata del sistema politico-istituzionale e di
quello mediale, nell'ambito del framework teorico di Hallin-Mancini. Sulla
base di tali indicazioni teoriche si procederà con l'esame delle modalità
attraverso cui il sistema politico-istituzionale e il sistema mediale tendono ad
affrontare la issue immigrazione; il tutto, per verificare la veridicità delle
generali accuse di islamofobia rivolte alla Danimarca, in seguito alla
pubblicazione delle vignette. Seguiranno, infine, delle riflessioni circa le
potenzialità del concetto di cultura come “cassetta degli attrezzi”, applicata alle
sfide poste dall'immigrazione alla Danimarca.
Il quarto ed ultimo capitolo si propone di ridimensionare e rileggere la tesi
dello scontro tra civiltà, individuando e quantificando i fattori, culturali e non,
che hanno contribuito all'estensione e all'escalation del conflitto. In linea con
questo obiettivo, si analizzeranno le dinamiche prettamente internazionali del
conflitto: dalla fallimentare mediazione diplomatica, passando per il ruolo dei
media occidentali e arabi, fino alle proteste popolari internazionali.
L'elaborato, nel complesso, si presenta come un'umile, ma sentito momento
di riflessione sui rapporti intercorrenti tra islam e occidente, nel tentativo di
individuarne sia le problematiche che le potenzialità.
8
1. Questione di immagine
Non appena la controversia varcò i confini danesi, parte della stampa
occidentale, celermente, rivolse ai musulmani l’accusa di voler censurare l’uso
delle immagini nel mondo occidentale, in nome di un’iconoclastia che, neanche
i musulmani stessi seguivano pedissequamente. Dovrebbero, dunque, i non
credenti sentirsi vincolati da una norma di natura prettamente religiosa? E
inoltre, chi è il “peccatore”? Il musulmano che ha guardato deliberatamente le
vignette o i giornali che le hanno pubblicate
7
?
Per rispondere a queste domande, sarebbe opportuno aprire una digressione
di approfondimento sulla controversa questione dell’iconoclastia islamica, per
chiarirne ulteriormente il ruolo nell’ambito delle polemiche suscitate dalle
vignette.
Ora, si mettano da parte, almeno per un momento, divieti religiosi e
ragionamenti di opportunità politica; è ragionevole pensare che le vignette
abbiano scatenato l’ira di un’intera comunità religiosa, in quanto
semplicemente immagini, oltre che satiriche
8
. Che le immagini siano dotate di
un «tremendo potere»
9
non costituisce una novità tipica della nostra era,
definita appunto con l’oramai logora espressione “civiltà dell’immagine”. Il
timore che l’immagine possa sostituirsi all’oggetto imitato, prendendo vita, ha
dell’ancestrale; ha accompagnato l’uomo fin dall’antichità, sollecitando il
pensiero di filosofi come Platone e animando racconti mitologici come il
tragico mito ovidiano di Narciso
10
. A maggior ragione, sarebbe azzardato
sottovalutare l’inscindibile legame tra le manifestazioni di biasimo contro le
vignette e il rapporto che intercorre tra l’islam e la rappresentazione di Dio e
dell’uomo. Anche volendola considerare una questione secondaria, un’analisi
lucida e approfondita è comunque necessaria, onde evitare capziose
7
Ivi, p.131.
8
M. Bettetini, Contro le immagini. Le radici dell'iconoclastia, Bari, Laterza, 2006, p. VIII.
9
Ivi, p. V.
10
M. Bettetini, op. cit., passim.
9
strumentalizzazioni che renderebbero ulteriormente pericolosa la questione di
natura squisitamente politica, considerata da molti commentatori, primaria
11
.
1.1. Alcune definizioni.
Come approccio preliminare, può essere utile, onde evitare confusione,
alcune precisazioni terminologiche che chiariscano, da un lato la pluralità
semantica della parola immagine e, dall’altro, la complessa diversità di
attitudini verso l’iconocosmo
12
.
Nella maggior parte delle lingue europee, la parola ‘immagine’ rinvia a
quattro principali accezioni che comprendono le immagini mentali, letterarie,
culturali e materiali. Ai fini di questa trattazione, assumono rilevanza precipua
le immagini materiali, ossia quelle disegnate, incise o scolpite. Di contro, sarà
meramente strumentale l’analisi delle rappresentazioni mentali di Dio, delle
immagini metaforiche che lo riguardano, di cui i testi sacri sono disseminati, o
di quelle culturali legate alle contingenze temporali e sociali
13
.
Ricorrendo ad alcuni termini di origine greca, accomunati dalla radice
‘icona’, è possibile delineare i principali atteggiamenti verso le immagini
materiali. L’aniconicità e l’iconicità indicanti, rispettivamente, la presenza e
l’assenza di immagini, costituiscono due attitudini neutre. L’iconofilia è
l’amore per le immagini, che non implica, però, la loro venerazione
(l’iconodulia) o la loro adorazione (iconolatria) o persino la loro ossessione
(iconomania). Passando alle attitudini contrarie alle immagini, l’iconofobia
denota opposizione alle immagini, teorica o assoluta, che, però, non comporta
necessariamente il combatterle (iconomachia) o il distruggerle (iconoclastia).
Accanto alla varietà appena descritta, il rapporto con le immagini, si
caratterizza anche per la sua dinamicità, tanto che una stessa religione può
passare nell’arco della sua storia, dall'aniconicità all’iconicità, dall’iconofobia
11
F. Bœspflug, La caricatura e il sacro: islam, ebraismo e cristianesimo a confronto, Vita e
Pensiero Edizioni, Milano, 2007 (ed.or. F. Bœspflug, Caricaturer Dieu? Pouvoirs et dangers
de l’image, Paris, Éditions Bayard, Paris, 2007), pp. 14-15.
12
Ivi, p.16.
13
Ivi, p.17.
10
all’iconofilia, anche attraversando fasi di iconomachia o addirittura
iconoclastia
14
.
Le suddette precisazioni, valgono a superare pericolosi fraintendimenti
culturali che l’isteria mediatica ha prodotto nel tentativo di interpretare una
reazione così sconcertante. Infatti, l’islam, pur non ponendosi su posizione
propriamente iconofile, è una religione aniconica e iconofoba, più che
iconoclasta
15
. Certo, è impossibile non ricordare, con una certa rabbia, i
Buddha della vallata di Bamian: i due colossi di pietra incastonati nella
montagna da più di venti secoli, fatti saltare in aria dai talebani nel 2001. Un
atto non solo ignobile, ma anche strategicamente stupido, considerate le
incredibili potenzialità turistiche andate in fumo. Un atto, dunque, più
vandalico, che iconoclasta, estraneo allo stile e alle consuetudini islamiche,
tanto da aver suscitato la riprovazione delle più alte cariche religiose
16
.
1.2. Immagine e islam: una relazione complicata.
La diffidenza dell’islam nei confronti della comunicazione visiva è una
questione più problematica di quanto si sia percepito dalla copertura mediatica
offerta alla crisi delle vignette. Le radici dell’aniconicità islamica sono
molteplici e una di queste è il divieto presente nel primo comandamento del
decalogo ebraico, che recita così « Non ti farai idolo né immagine alcuna. Non
ti prostrerai davanti a quelle cose e non le servirai Perché io il Signore tuo Dio
sono un Dio geloso […]
17
». L’islam, infatti, nato intorno al VII secolo, ha
convissuto con l’ebraismo e il cristianesimo, dividendo una regione, l’Arabia,
in cui, da tempo immemore, la popolazione era dedita a pratiche idolatre. Le tre
religioni abramatiche, introducendo il rivoluzionario concetto del monoteismo,
per affermarsi hanno dovuto necessariamente condannare, in maniera
categorica, il paganesimo e i suoi culti. Il Profeta, probabilmente ispirandosi
14
Ivi, pp. 16-19.
15
Ivi, p.27.
16
M. Bettetini, op. cit. , p. 142.
17
Ivi, p. 54.
11
all’ebraismo, ha contribuito, con una critica di genere nuovo, a sradicare certe
pratiche pre-islamiche, relegandole nel passato ğahiliyya, il tempo
dell'ignoranza
18
. Tuttavia il Corano, contrariamente a quanto si è soliti credere,
non contiene alcuna proibizione formale alla riproduzione di immagini
materiali. Si leggono numerosi moniti a fuggire dall'idolatria, ma nulla di
lontanamente paragonabile al primo comandamento ebraico. Ferma e decisa è,
invece, la posizione anti-iconica di alcuni detti (ahadīt) attribuiti al Profeta,
raccolti in testi che costituiscono la seconda fonte di diritto islamico, dopo il
Corano
19
.
1.3. L'immagine secondo il Corano.
L'opposizione alle immagini che si evince da alcuni passi del Corano si può
sintetizzare secondo due direttrici.
La prima posizione fa riferimento alla concezione in base alla quale Dio è
l'unico creatore di “forme” e l'artista, che con la sua attività sfida una
prerogativa prettamente divina, commette blasfemia. A questo proposito, la
sūra LIX, dopo aver ribadito l'unicità di Dio, al versetto 24, conclude «Egli è
Dio!, Il Creatore, il Plasmatore, il Forgiatore»
20
. Il termine 'forgiatore',
musawwir, è uno dei novantanove nomi di Dio, ma è anche il termine arabo
con cui si indica, proprio, il pittore
21
. Ciò sottende una certa sovrapposizione
tra l'attività artistica, intesa come creazione di “forme” e l'attività creatrice in
senso lato
22
. Per comprendere meglio la concezione di Dio “formatore” è utile
citare la sūra III: 46-49, collegata alla tradizione cristiana. Quando,
all'annuncio della sua gravidanza, Maria dubitò della possibilità di generare,
non avendo conosciuto uomo, le viene risposto che Dio può creare solo
esclamando «Sii!»
23
. I versetti successivi, ispirandosi a un episodio tratto dai
18
Ivi, p .28.
19
M. Bettetini, op. cit. , p. 42.
20
Trad. di A. Bausani, Il Corano, Milano, Rizzoli, 1990, p. 418.
21
M Bettetini, op. cit. , p. 45.
22
F. Bœspflug, op. cit. , p. 33.
23
Trad. di A.Bausani, op. cit. , p. 40.
12
vangeli apocrifi, attribuiscono a Gesù, in quanto profeta, il potere, tutto divino,
di infondere la vita soffiando su di una figura di un uccello d'argilla
24
. Il
termine hay'a, che sta per 'figura', indica in senso astratto il concetto di forma e
raramente si usa riferito a immagini o rappresentazioni. Il Corano ribadisce,
dunque, la natura unicamente divina del conferire vita ad una figura
25
.
La seconda linea di fondo, rimandando all'unicità di Dio, sostiene la
necessità di evitare ogni forma di idolatria e, quindi, ogni tentazione che induca
ad essa. La sūra V: 90 recita così: «O voi che credete! In verità il vino, il
maysir [gioco d'azzardo]
26
, e le pietre idolatriche (al-ansāb)
27
, le frecce
divinatorie sono sozzure di Satana; evitatele a che per ventura possiate
prosperare»
28
. Analogamente in VI: 74
29
, Abramo rimprovera il padre Azar per
aver considerato degli idoli (al-asnām)
30
come dei. I termini al-ansāb e al-
asnām indicano entrambi immagini materiali, statue o pitture, con finalità
cultuali. Ancora in XIII: 33 si legge «Ma è stata fatta bella agli occhi degli
empi la loro insidia e sono stati distolti dalla via»
31
che, in una traduzione
alternativa, sembrerebbe fare riferimento diretto alla pittura: «Gli stratagemmi
dei kāifirūna [infedeli]
32
sono stati dipinti con vaghi colori, hanno fatto sviare
gli altri dal sentiero»
33
. In XXII: 30, l'idolo (al-asnām)
34
, è paragonato al
«discorso mendace»
35
da cui cui occorre astenersi. E ancora la sūra XIII, al
versetto 33, con un'efficace immagine letteraria, paragona l'atto di invocare i
«nomi vani»
36
degli idoli al tentativo di portare l'acqua alla bocca, con le mani,
senza riuscirci. Il Corano, dunque, invitando gli uomini ad avere fede in un
24
Ibidem.
25
M. Bettetini, op. cit., p. 47.
26
Ivi, p. 48.
27
Ibidem.
28
Trad. di A.Bausani, op. cit. , pp. 90-91.
29
Cfr, p.96.
30
M. Bettetini, op. cit., p. 48.
31
Trad. di A.Bausani, op. cit. , p. 180.
32
Trad. di F. Peirone, Il Corano Vol. II, Milano, Mondadori, 1994, p. 984.
33
Trad. di F. Peirone, Il Corano Vol. I, Milano, Mondadori, 1994, p. 354.
34
M. Bettetini, op. cit., p. 48.
35
Trad. di A.Bausani, op. cit. , p. 242.
36
Trad. di F.Peirone, op. cit. , p.354.
13
unico Dio, li intima a fuggire dall'idolatria e a rifiutare la condivinità, presente
non solo nel politeismo, ma anche nel cristianesimo, col dogma trinitario. In
questa prospettiva, il divieto, non è riferito alle immagini in senso lato, ma solo
alle immagini di falsi dei o potenzialmente tali. Eppure le sūra appena citate,
hanno fornito la giustificazione a interpretazioni iconofobe, aniconiche e a
tratti iconoclaste
37
.
1.4. L'immagine secondo gli ahadīt.
Non deve essere casuale, infatti, che l'opposizione alle immagini sia
decisamente più incisiva negli ahadīt, trascritti nei tre secoli successivi alla
morte del Profeta, sopraggiunta nel 632 d.c. Come precedentemente ricordato,
gli ahadīt sono i detti e gli aneddoti attribuiti a Maometto sulla base di catene
di testimonianze che permettono di risalire ai compagni del Profeta o ad esso
stesso. Riuniti in diverse raccolte, di cui sei sono considerate le più attendibili,
gli ahadīt formano la Sunna, ossia la tradizione, la cui funzione è quella di
colmare le lacune e chiarire le ambiguità insite nel testo sacro islamico
38
.
L'assenza di un divieto formalmente rivelato giustifica l'atteggiamento
islamico verso le immagini, mutevole a seconda delle interpretazioni, di volta
in volta, date agli ahadīt
39
.
Si deve, infatti, a un piccolo gruppo di ahadīt, il divieto delle immagini di
esseri viventi, quali animali e figure umane. L'hadith maggiormente richiamato
a riprova dell'iconoclastia e dell'aniconismo è quello che racconta la conquista
della Mecca per mano di Maometto, nel 630 d.c. Il Profeta, entrato nel tempio
pagano di Ka'ba ordinò di distruggere tutti gli idoli ivi presenti, salvando,
insieme alla Pietra nera, le immagini di Gesù e di Maria; poi, solennemente
intimò: «L'angelo non entrerà in una casa (bayt) in cui vi sia una figura
(tamatil) o un cane»
40
. Si noti il ricorso al termine tamatil che indica le figure
37
M.Bettetini, op. cit. , pp. 47-48.
38
G.Vercellin, Istituzioni del mondo musulmano, Torino, Einaudi,1996, p 59.
39
F. Bœspflug, op. cit. , p. 29.
40
M.Bettetini, op. cit. , p. 50.
14
in senso generale, invece del termine al-asnam, indicante solo le immagini
cultuali. Inoltre, il termine bayt, riferito originariamente a un luogo sacro, dal
IX secolo verrà utilizzato per indicare la casa, finendo per estendere il divieto
delle immagini, qualunque esse siano, anche all'interno di abitazioni private.
Altri ahadīt, rinnovando la proibizione a creare immagini, promettono severe
punizioni a chiunque non la rispetti, senza tuttavia fare riferimento a posizioni
iconoclaste in senso stretto. Si biasima, piuttosto, la natura menzognera
dell'attività artistica, con la quale l'artefice di immagini inganna i fedeli,
facendo credere di poter creare esseri come solo Dio può fare. Una colpa che
basta per includere l'artista tra coloro che, nel giorno del giudizio, subiranno le
punizioni peggiori
41
. Ritorna il tema, già incontrato nel Corano, della rivalità
tra l'attività artistica umana e l'attività creatrice divina che vede l'artista
necessariamente perdente di fronte all'incapacità di creare la vita dalle sue
opere. La punizione, dunque, è una sorta di derisione divina tramite lo
smascheramento delle sue bugie
42
.
1.5. La svolta iconoclasta.
La vera e propria stigmatizzazione delle immagini, condotta dagli ahadīt,
acquisì forza di legge, a partire dal IX secolo, quando il lento processo di
consolidamento della Sunna si concluse
43
; di fatto già nel 721 o 723, il famoso
editto di Yazid II, califfo di Egitto, ordinò la distruzione di tutte le immagini di
esseri viventi nei luoghi di culto
44
. Giunti a questo punto dell'indagine, sorge
spontaneo interrogarsi sull'atteggiamento verso le immagini, tenuto dall'islam
nei primi tre secoli dopo la morte di Maometto. Pare che decorazioni iconiche
fossero presente nelle costruzioni ad uso privato, ossia nelle abitazioni, nei
bagni e nelle stesse corti, ma non tanto da poter mettere in dubbio l'opposizione
islamica alle arti figurative. Si tratta di eccezioni alla regola della decorazione
41
M. Bettetini, op. cit. , p. 51.
42
F. Bœspflug, op. cit. , p. 32.
43
G.Vercellin, op. cit. , p.277.
44
M. Bettetini, op. cit. , p. 51.
15