4
comunque di un conflitto lungo e sanguinoso, che ricoprì l’intero arco degli
anni ottanta.
Le due vicende si richiamano direttamente perché presentano tutta
una serie di analogie e di parallelismi che rendono l’esame dell’una
spontaneamente collegato a quello dell’altra. A differenza del conflitto in
Vietnam, quello in Afghanistan si presenta interessante proprio perché, pur
essendo meno noto, è in realtà altrettanto degno di considerazione.
La guerra in Vietnam è ben documentata e si può comprendere la
misura del suo impatto sull’opinione pubblica americana considerando la
quantità di opere letterarie e cinematografiche che ha ispirato, oltre a tutta
la bibliografia storica e storiografica. In tale modo la vicenda vietnamita è
ormai entrata a far parte della cultura comune come uno dei più drammatici
episodi di storia recente; la sua importanza è dovuta molto alle sensazioni,
spesso contrastanti, che ha suscitato sia fra i cittadini americani che fra
coloro che l’hanno combattuta.
Mentre nel caso del Vietnam la grande quantità di informazioni
suscita l’interesse per un approfondimento e per capire fino a che punto le
tante cose narrate sono vere, nel caso dell’Afghanistan, al contrario, è la
scarsità delle fonti che richiama l’attenzione sulla vicenda la quale, dunque,
viene studiata per arrivare ad una sua ricostruzione e comprensione. Infatti,
pur avendo avuto una durata inferiore a quella svoltasi in Vietnam, la
guerra afghana è stata non meno intensa e drammatica. In questo caso,
però, la documentazione disponibile si basa soprattutto sulle ricostruzioni
storiche della vicenda e non sull’impatto emotivo che essa ha suscitato,
come è invece successo per l’esperienza del Vietnam (film, dibattiti,
documentari, inchieste). Per questo motivo la guerra combattuta in
Afghanistan, sebbene costituisca uno degli avvenimenti maggiormente
rilevanti degli ultimi anni, non ha acquisito una risonanza e una diffusione
5
nella cultura generale proporzionata alla sua importanza, al contrario di
quanto è accaduto a proposito del Vietnam.
Il fatto che questi due avvenimenti, pur presentando molte
similitudini, abbiano assunto una diversa risonanza li rende entrambi, per
motivi diversi, degni di approfondimento. Le convinzioni e gli errori che
contraddistinsero le scelte degli americani in Indocina, si ripeterono
sostanzialmente in Afghanistan. Questo paese, insieme al Vietnam,
rappresentava, infatti, una realtà sociale e culturale molto diversa sia dai
valori dell’Occidente che da quelli del socialismo sovietico: la cultura
afghana islamica e tradizionalista, e quella orientale del Vietnam,
costituivano due esempi di società che non si potevano assoggettare agli
interessi geopolitici del momento: proprio questo punto in comune
costituisce uno spunto rilevante per la ricerca.
La trattazione delle due guerre comincia con una descrizione della
situazione politica del Vietnam e dell’Afghanistan, negli anni che
precedono l’intervento delle due superpotenze, per verificarne la
compatibilità con gli interessi strategici di Washington e Mosca. Le
particolarità e le caratteristiche specifiche dei due paesi asiatici, così come
le loro vicende interne, si collegano nella situazione internazionale ad un
determinato periodo della rivalità fra il campo occidentale e quello
socialista.
In base a queste premesse si cerca di capire quali fattori
determinarono la politica degli americani e dei sovietici, quali rischi e
benefici presentava l’intervento armato e come furono valutati dalla Casa
Bianca e dal Cremlino; infatti la guerra venne considerata dai due governi
il mezzo più idoneo per raggiungere gli obiettivi che essi si erano proposti.
Lo svolgimento del conflitto vietnamita, così come di quello
afghano, viene descritto riferendosi all’andamento generale delle
operazioni militari, facendo accenno alle battaglie più importanti e agli
6
episodi più significativi. I dati e le cifre riportati servono a dare un’idea
della intensità dei combattimenti, della vastità dell’impegno delle parti in
lotta, dei danni e dei sacrifici che le due guerre provocarono. Si capisce
così che, pur trattandosi in entrambi i casi di guerriglie con pochi grandi
scontri frontali, esse furono portate avanti con accanimento e decisione,
sfruttando tutti i mezzi possibili per annientare l’avversario e costringerlo
alla resa. Le difficoltà incontrate dalle superpotenze vengono evidenziate
con le loro similitudini mentre, insieme alle operazioni militari, si cercava
con sempre maggiore urgenza una via d’uscita diplomatica.
Per quanto riguarda le trattative si cerca di seguire la loro evoluzione
per vedere in quale modo le superpotenze, a dispetto del loro enorme
potenziale bellico, furono costrette ad accettare una pace negoziata
escogitando un compromesso fra la rinuncia ai loro piani e la salvaguardia
della loro credibilità a livello mondiale.
Infine viene svolta una breve analisi dei costi e dei risultati ottenuti e
una riflessione su questi avvenimenti per comprendere in quale modo essi
abbiano pesato sia all’interno del paese dove si svolsero, sia nella
superpotenza coinvolta direttamente, oltre agli effetti sul piano
internazionale.
L’intera trattazione dell’argomento è suddivisa in tre parti: la prima
riguarda la storia della guerra in Vietnam ed è a sua volta divisa in capitoli
che identificano periodi diversi della vicenda, con un appendice per
esaminare la coerenza interna e le contraddizioni presenti nel processo
decisionale adottato dai responsabili politici.
La seconda parte riguarda l’Afghanistan e, come la prima, è separata
in capitoli per suddividere l’arco di tempo che, dai decenni precedenti
l’invasione sovietica, arriva fino alla conclusione della guerra.
7
La terza parte è dedicata al confronto e mette in risalto le similitudini
e i punti in comune fra le due guerre evidenziando anche le differenze più o
meno importanti.
Per concludere viene esposta una breve riflessione sull’intero tema
trattato.
8
PARTE PRIMA
LA GUERRA IN VIETNAM
9
CAPITOLO I
La sconfitta francese e l’interessamento degli Stati Uniti verso
l’Indocina
Nel 1949, quando Ho Chi Min,
1
un comunista vietnamita, proclamò
la Dichiarazione d’indipendenza della Repubblica Democratica del
Vietnam, il governo americano non si interessò alla situazione politica di
questo paese; ma la caduta della Cina in mano ai comunisti nello stesso
anno e l’invasione della Corea del Sud da parte degli stessi nell’anno
successivo, portarono il problema dell’espansione comunista in Asia in
primo piano. La situazione in Indocina
2
aveva implicazioni importanti per
l’Asia, perciò, sia l’amministrazione Truman, che quella Eisenhower, si
impegnarono a fornire consistenti aiuti economici ai francesi che erano
considerati come il baluardo anticomunista nel Vietnam.
Eisenhower, nei suoi discorsi inaugurali, aveva espresso la linea
politica condivisa dai vari presidenti succedutisi nel ventesimo secolo: la
pace e il progresso universali erano gli obiettivi dell’America in campo
internazionale, così come la libertà di ogni singola nazione indipendente.
Gli Stati Uniti si prendevano il compito di difendere questi valori senza
1
Ho Chi Min era un rivoluzionario vietnamita che aveva studiato in Francia aderendo al partito
socialista prima, e a quello comunista poi, quando questo si formò, nel 1921, dalla scissione con il primo.
Dopo il 1941 si dedicò alla guerriglia contro i giapponesi in Indocina. Nell’agosto del 1945 costituì il
“Viet Minh”, un movimento rivoluzionario per la liberazione del Vietnam, che sanciva a livello politico la
lotta armata contro i giapponesi. Il 6 marzo 1946, Ho Chi Min concluse un accordo con il commissario
della Francia nel Tonchino, in base al quale il Vietnam sarebbe diventato uno stato autonomo all’interno
della federazione indocinese, inclusa a sua volta nell’Unione francese. Benché approvato dal governo
francese, tale accordo risultò privo di effetti e i guerriglieri vietminh, che si erano battuti contro i
giapponesi per ottenere la libertà del proprio paese, dovettero allora continuare la lotta contro la Francia
che ripristinava in Indocina l’antico potere coloniale. Per un approfondimento si veda Jean Baptiste
Duroselle, L’età contemporanea, in “Storia Universale dei popoli e delle civiltà”, vol. XIII, tomo II,
Torino, 1971.
2
Dopo la loro sconfitta nella seconda guerra mondiale, i giapponesi si ritirarono dai territori
indocinesi smantellando il sistema amministrativo coloniale francese e trasferendo tutti i loro poteri alle
popolazioni locali dove erano presenti gruppi politici che variavano dalla destra (nazionalisti) alla sinistra
(comunisti). Nel Vietnam il movimento rivoluzionario “Viet Minh” era riuscito ad affermarsi in gran
parte del paese. Per un approfondimento si veda J. B. Duroselle, op. cit.
10
calcoli egoistici, senza valutare gli interessi nazionali e gli altri interessi in
gioco, senza considerare la situazione geografica e i vari rischi. Non si
trattava di entrare in guerra per rispondere ad una minaccia diretta alla
propria sicurezza ma per opporsi all’ingiustizia e all’aggressione in astratto,
per difendere la sicurezza collettiva. Impedire la conquista da parte
comunista di un paese lontano rientrava in questi principi: era necessario
prevenire e resistere ad ogni espansione del comunismo.
Ispirandosi ai principi suddetti, Washington pensò che la sicurezza
del mondo libero esigeva che l’Indocina non diventasse comunista, perciò
era necessario sostenere economicamente lo sforzo francese nel Vietnam, al
fine di scongiurare la conquista di questo paese da parte dei comunisti di
Ho Chi Min. In questo caso, però, il popolo vietnamita stava combattendo
per ottenere la propria libertà da una potenza straniera e gli Stati Uniti,
avendo alle spalle una tradizione antimperialista ben consolidata, non
volevano appoggiare la restaurazione del dominio coloniale francese, per
cui condizionarono i loro aiuti economici a precise richieste di riforma, che
avrebbero consentito un tipo di autonomia più avanzato. In pratica il
Vietnam, nei piani americani, avrebbe dovuto ottenere la libertà sia dai
comunisti, sia dai colonialisti francesi, ma questo ragionamento implicava
una contraddizione evidente: perché la Francia avrebbe dovuto impegnarsi
in questa difficile guerra, in un paese del proprio impero, sapendo di
doverlo poi lasciare? Il governo americano non valutava la possibilità di
includere il Vietnam nell’Unione Francese,
3
e vedeva il conflitto franco-
vietnamita solamente come guerra di contenimento del comunismo.
Il popolo vietnamita era desideroso di ottenere l’indipendenza e
nutriva speranza nell’aiuto degli Stati Uniti, che costituivano un esempio di
3
La Francia voleva formare, insieme con tutte le ex-colonie e i popoli d’oltremare, una “Unione
francese” fondata sull’uguaglianza dei diritti e dei doveri fra gli Stati membri, i cui interessi all’estero
sarebbero stati rappresentati dalla stessa Francia. Per un approfondimento si veda Jean Baptiste Duroselle,
L’età contemporanea, in “Storia Universale dei popoli e delle civiltà”, vol. XIII, tomo II, Torino, 1971.
11
progresso sociale ed economico, ma il governo americano si dimostrò
ostile verso il Viet Minh
4
perché sospettato di essere una pedina della Cina
e, al contrario, permise l’utilizzo delle proprie navi per il trasporto delle
truppe francesi, che ripresero il controllo del territorio dopo la
proclamazione d’indipendenza di Ho Chi Min. Gli Stati Uniti, quindi,
appoggiavano la riconquista coloniale francese, anche se l’obiettivo
dichiarato era l’opposizione al comunismo, perdendo in questo modo il
consenso fra la popolazione vietnamita che era insensibile alla propaganda
anticomunista degli americani, ma era decisa ad ottenere l’autonomia dalla
Francia. La restaurazione coloniale dei francesi incontrò molte difficoltà e
rimase incompleta: i vietnamiti riuscirono a mantenere il controllo di Hanoi
e della zona settentrionale del paese con l’utilizzo di materiale bellico
giapponese fornito loro dai cinesi.
Gli americani propagandavano la libertà dal comunismo al popolo
vietnamita il quale, però, desiderava solamente l’indipendenza dai suoi
sfruttatori, francesi e indigeni e, nonostante le pressioni sulla Francia,
affinché si impegnasse più a fondo nella lotta contro i vietminh e la
promessa di una futura autonomia del Vietnam, essi erano considerati, al
pari dei francesi, come degli invasori che si opponevano alla libertà di una
nazione.
In quel periodo il problema della collaborazione tra la Francia e gli
Stati Uniti riguardava anche l’Europa. La strategia di contenimento globale
del comunismo, infatti, prevedeva la creazione di un organismo collettivo
di difesa: proprio per questo, nel 1952 era stato firmato il trattato che
istituiva la CED, la Comunità Europea di Difesa, che raggruppava Francia,
Germania occidentale, Italia, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo. Il trattato
della CED doveva essere poi ratificato dai parlamenti dei paesi membri per
4
Il Viet Minh (“Lega per l’indipendenza del Vietnam”) era un movimento di resistenza creato da
Ho Chi Min, un militante comunista che aveva soggiornato a lungo in Unione Sovietica, con lo scopo di
opporsi, durante la seconda guerra mondiale, ai governi filo-giapponesi. Per un approfondimento si veda
J. B. Duroselle, L’età contemporanea, op. cit.
12
diventare effettivo.
5
In Francia le forze politiche erano divise e guardavano
con preoccupazione al riarmo tedesco previsto dal trattato, ma gli Stati
Uniti premevano affinché la CED fosse costituita perché sarebbe stata un
importante baluardo per arginare l’espansione del comunismo in Europa e
rientrava nella strategia di contenimento intrapresa da Washington. Il
Sottosegretario di Stato del governo Eisenhower, Dean Acheson, affermò
che i francesi avevano preteso il sostegno economico in Indocina come
prezzo per l’adesione alla CED.
6
L’opinione pubblica in Francia era però
stanca e disgustata dal conflitto asiatico, non condivideva la causa per la
quale si combatteva e riteneva più opportuno investire le risorse
economiche per le necessità interne.
Gli Stati Uniti stavano assumendo un ruolo crescente nella guerra in
Indocina con i loro aiuti economici, ma erano scontenti di come tale
sostegno veniva utilizzato dai francesi che avevano creato un grande
mercato speculativo;
7
inoltre, il mancato appoggio della popolazione
rendeva sempre più difficile la sopravvivenza del governo di Bao Dai
8
e
l’esercito francese si trovava in evidente difficoltà di fronte agli attacchi dei
vietminh. Nel 1953 i francesi, seguendo gli ordini del generale Navarre,
avevano dislocato un reparto scelto di dodicimila uomini
9
in una postazione
fortificata a Dien Bien Phu, un importante incrocio stradale collocato in
5
Il presidente del Consiglio francese, Renè Pleven, propose, nell’ottobre del 1950, un piano per
creare un esercito comune responsabile di fronte all’assemblea europea e diretto da un ministro della
difesa europeo. Questo esercito avrebbe compreso i soldati tedeschi evitando però che la Germania ne
avesse uno proprio. Per un approfondimento si veda J. B. Duroselle, op. cit.
6
Cfr. Barbara W. Tuchman, La Marcia della Follia, Dal cavallo di Troia alla guerra del
Vietnam, Milano,1985, pag. 302.
7
Una disposizione commerciale, denominata Commercial Import Program (Cip), permetteva
agli importatori vietnamiti di ordinare merci straniere che gli Stati Uniti avrebbero pagato in dollari; essi
avrebbero versato l’equivalente del costo delle merci al governo americano utilizzando le piastre, la loro
valuta artificiale. Washington, però, spendeva le piastre per aiutare il governo di Saigon, per cui nelle
città del Sud affluivano merci e denaro che servivano ad arricchire i funzionari e i commercianti. Cfr.
Frances Fitzgerald, Il lago in fiamme, Storia della guerra del Vietnam, Torino, 1974, pag.100.
8
Bao Dai era salito sul trono dell’impero del Vietnam (costituito anticamente dal Tonchino,
dall’Annam e dalla Cocincina) nel 1932, ma il controllo del paese era nelle mani dei francesi. Una volta
finita l’occupazione giapponese il Viet Minh aveva proclamato l’indipendenza del Vietnam dichiarando
decaduto Bao Dai, il quale fu poi rimesso al potere dalla Francia durante gli anni della guerra contro i
comunisti (1946-54).
9
Dati presi da: B. W. Tuchman, La Marcia della Follia, pag. 307.
13
una posizione ritenuta inespugnabile, cercando di attirare i comunisti in uno
scontro frontale, ma la capacità e l’astuzia dell’avversario vennero
ampiamente sottovalutate,
10
errore che verrà commesso anche dagli
americani negli anni del loro diretto coinvolgimento. Il campo trincerato
francese era formato da cinque capisaldi centrali e da molti altri situati a
vari chilometri di distanza dai primi. Il 13 marzo 1954 i vietminh
attaccarono in forze Dien Bien Phu, riuscendo, nel volgere di poco tempo, a
conquistare i capisaldi più avanzati e cominciarono a bombardare con le
armi pesanti la parte centrale della postazione. Le forze francesi
11
resistettero strenuamente ma, poiché i rifornimenti per via aerea erano
diventati praticamente impossibili a causa degli attacchi martellanti
dell’artiglieria vietminh sul campo d’atterraggio, esse furono costrette a
capitolare definitivamente il 6 maggio 1954.
12
Dopo questo evento così
drammatico, si aprì l’8 maggio a Ginevra la conferenza di pace che vide la
presenza di Francia, Gran Bretagna, Cina, Unione Sovietica, e le parti in
cui era stata divisa l’Indocina: Cambogia, Laos, Vietnam del Nord e
Vietnam del Sud. Gli Stati Uniti, pur partecipando alla conferenza, non
firmarono l’accordo perché Dulles, il Segretario di Stato del governo
Eisenhower, era un estremista della guerra fredda e nutriva la massima
diffidenza per le trattative con i comunisti. I negoziati si conclusero il 21
luglio e stabilirono la divisione del paese in due parti, lungo il
diciassettesimo parallelo, quella del Nord, comunista, con capitale ad
Hanoi, e quella del Sud, democratica, con capitale a Saigon, che si
sarebbero riunite nel giro di due anni mediante libere elezioni; fu stabilita
inoltre l’indipendenza del Laos e della Cambogia. Una commissione di
10
I francesi sbagliarono, non tanto nella valutazione del numero di soldati vietminh, bensì sulla
loro dotazione di armi pesanti: la postazione francese, infatti, sarebbe risultata praticamente inattaccabile
a qualsiasi armamento leggero.
11
Le truppe francesi a Dien Bien Phu (circa 12000 soldati) erano composte dal 33% di
vietnamiti, dal 24% di uomini della legione straniera, dal 22% di francesi metropolitani e dal 20% di
militari dell’Africa del Nord e dell’Africa Nera. Riuscirono ad aggiungersi a questi 4000 uomini come
rinforzi. Dati presi da J. B. Duroselle, L’età contemporanea, op. cit.
14
controllo formata da India, Canada e Polonia aveva il compito di far
rispettare i termini dell'accordo. In pratica tali accordi si ridussero ad un
espediente per interrompere le ostilità, mentre la soluzione politica del
problema veniva rimandata e rimaneva incerta ma, con il riconoscimento
del governo del Vietnam del Nord, il blocco comunista aveva conquistato
una nuova importante posizione, mettendo in pericolo gli interessi
strategici degli Stati Uniti in quella regione. Nell’agosto dello stesso anno il
parlamento francese aveva respinto il trattato della CED, per cui questa
iniziativa, fortemente sostenuta da Dulles, falliva rendendo necessario un
maggior impegno sul fronte asiatico.
13
La Francia era uscita, così, dalla guerra in Indocina con la
consapevolezza della impossibilità di mantenere il proprio impero in quella
parte del mondo; i sette anni di combattimenti avevano impegnato, nel
momento del massimo sforzo bellico, 561000 uomini e avevano provocato
perdite umane pesantissime: 94000 morti e 78000 feriti.
14
La posizione dei vari protagonisti delle vicende indocinesi era
diversa e variegata: l’Unione Sovietica non aveva interessi significativi in
quella regione e, a così poco tempo dalla morte di Stalin, non era preparata
ad un confronto con l’altra superpotenza; la Cina non desiderava un
conflitto con gli Stati Uniti dopo meno di un anno dalla conclusione della
guerra di Corea; gli Stati Uniti non avevano né una strategia né il sostegno
dell’opinione pubblica per un intervento; infine, la Francia si stava ritirando
dalla regione e i comunisti vietnamiti necessitavano di rifornimenti per
continuare la guerra.
12
Furono fatti prigionieri dal Viet Minh più di diecimila uomini che, con estenuanti marce a
piedi, furono condotti in campi di “rieducazione”.
13
Si veda J. B. Duroselle, op. cit.
14
Dati presi da C. W. Robertson, Vietnam, le ragioni di una guerra, in “Storia Illustrata”, luglio
1967, n° 116.
15
CAPITOLO II
Gli accordi di Ginevra e l’inizio dell’intervento americano
Alla fine del 1953 Eisenhower, consigliato dall’ammiraglio Radford,
presidente dello Stato Maggiore generale americano, aveva deciso di
adottare il new look, una strategia elaborata tenendo conto degli
insegnamenti della recente guerra di Corea. In quella occasione il
presidente Truman aveva preferito non conseguire una vittoria militare
totale, perché era alto il rischio di innescare una escalation con
conseguenze imprevedibili.
15
Il new look si basava su tre principi: il primo,
quello della rappresaglia massiccia (massive retaliation), prevedeva l’uso
della bomba atomica di fronte ad una invasione di territori liberi da parte
delle truppe comuniste, dissuadendo in questo modo l’avversario
dall’intraprendere azioni belliche di tal genere ed evitando così il verificarsi
di situazioni come quella della Corea. Il secondo principio prevedeva delle
rappresaglie immediate (instant retaliation), per cui se gli Stati Uniti non
disponevano di alcun mezzo per intervenire nel luogo dell’aggressione,
avrebbero comunque reagito immediatamente in un altro punto del campo
comunista. Il terzo principio (no sanctuary) escludeva l’esistenza di
qualsiasi santuario, implicando che tutti i luoghi potevano essere sottoposti
a bombardamento. Lo scopo del new look era quello di dissuadere
l’avversario con la minaccia del ricorso immediato alla guerra totale se si
15
Truman aveva impedito al generale McArthur di invadere e bombardare il territorio cinese,
riconoscendo così la presenza di un “santuario”, cioè di una zona non sottoposta ad azioni di guerra.
Eventuali operazioni militari nella Manciuria cinese avrebbero potuto causare un’escalation, intendendo
con questo termine la possibilità che uno dei belligeranti ricorra all’uso dell’armamento atomico nel caso
si trovi in gravissime difficoltà in una guerra condotta con armi convenzionali. Per un approfondimento si
veda J. B. Duroselle, L’età contemporanea, op. cit.
16
fosse verificata un’aggressione comunista in qualunque punto del globo.
16
La nuova strategia statunitense non poteva ignorare quello che era successo
in Vietnam, dove i francesi avevano ceduto di fronte al Viet Minh che
adesso si apprestava a estendere il proprio controllo su tutto il territorio.
Non volendo disimpegnarsi dall’Indocina né tantomeno
adeguarsi agli accordi di Ginevra, gli Stati Uniti, due mesi dopo la
conclusione di tali accordi, durante una conferenza a Manila, crearono per
mano di Dulles, la SEATO (“South East Asia Treaty Organization”),
17
un’organizzazione che comprendeva il Pakistan, la Tailandia, le Filippine,
l’Australia, la Nuova Zelanda, la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. L’alleanza
fra le parti non era automatica: esse si sarebbero consultate nel caso di un
attacco armato contro uno dei territori protetti dal trattato, valutando se tale
aggressione potesse mettere in pericolo la propria sicurezza e prendendo, di
conseguenza, i provvedimenti necessari. Uno speciale protocollo includeva
nell’area protetta dal nuovo organismo di difesa anche il Vietnam del Nord,
il Laos e la Cambogia. In realtà, né la SEATO, né la lettera con la quale
Eisenhower prometteva aiuti economici al regime di Saigon,
18
vincolavano
gli Stati Uniti ad intervenire militarmente in Vietnam; essi, piuttosto,
definivano un interesse d’importanza vitale in quel territorio e questo
provocò il graduale coinvolgimento nella guerra. La SEATO aveva
impegni e obiettivi non molto chiari, che non prevedevano un’azione
comune come nel caso della NATO, ma essa servì comunque agli Stati
Uniti ad avere un quadro legale per la difesa dell’Indocina.
I motivi dell’impegno statunitense in Vietnam erano precisi: la
necessità di opporsi al comunismo, considerato come una minaccia globale,
16
La validità del new look durò fino al 1957: in quell’anno, infatti, i sovietici sperimentarono i
missili intercontinentali, il cui lunghissimo raggio d’azione esponeva lo stesso territorio statunitense alla
possibilità di un attacco atomico. Questo fatto rese necessario un nuovo rafforzamento delle forze armate
convenzionali. Sull’argomento si veda J. B. Duroselle, L’età contemporanea, op. cit.
17
Sull’argomento vedi Henry Kissinger, L’Arte della Diplomazia, Milano, 1996, pag. 495. La
SEATO era “l’Organizzazione del trattato del Sud-est Asiatico”, un piano già predisposto a Washington
nel giugno del 1954 durante la visita di Eden e Churchill. Per un approfondimento si veda J. B. Duroselle,
op. cit.
17
di cui la conquista della Cina e l’invasione della Corea erano i segni
evidenti, e la teoria del domino, che Eisenhower espose in una conferenza
stampa del 1954. In quella occasione il presidente affermò che, dopo la
conquista del primo, i paesi dell’Indocina sarebbero caduti nelle mani dei
comunisti uno dietro l’altro, esattamente come i pezzi di un domino e
diventava necessario impedire questa reazione a catena difendendo il
Vietnam.
19
La penisola indocinese era, inoltre, ricca di materie prime (gomma,
stagno, tungsteno) molto utili per l’industria giapponese,
20
la quale era
considerata un importante fattore di stabilizzazione in estremo oriente. Se il
Giappone si fosse trovato nella condizione di dipendere da stati comunisti
per tali minerali esso avrebbe potuto impoverirsi, rendendo possibile una
svolta a sinistra all’interno del paese.
21
Il governo americano rinunciava a trattare le problematiche e le
caratteristiche dei paesi del sud-est asiatico con una politica specifica, e le
inseriva nel quadro della guerra fredda e dello scontro con il blocco
comunista, considerato come monolitico, globale, senza tenere conto delle
particolarità e delle realtà diverse dei vari paesi che ne facevano parte e che
lo rendevano piuttosto eterogeneo anche a livello ideologico.
22
18
Arthur M. Schlesinger Jr., Vietnam, Amara Eredità (1941-1966), Milano, 1967, pag. 21.
19
Si veda A. M. Schlesinger Jr., op. cit., pag. 15.
20
Cfr. J. e G. Kolko, I Limiti della Potenza Americana, Torino, 1975, pag. 852.
21
In realtà c’erano forti interessi capitalistici anche negli Stati Uniti riguardo alla gomma, un
materiale molto importante per l’industria di questo paese: proprio le pressioni dei gruppi industriali
hanno influenzato la linea politica di Eisenhower. Negli anni seguenti, però, con l’affermarsi della gomma
sintetica nei processi industriali non ci fu più la necessità di importare questo materiale da paesi come il
Vietnam.
22
Dagli anni cinquanta il “movimento internazionale comunista” non era più un’organizzazione
unitaria sotto l’egemonia sovietica, bensì un insieme di stati, partiti e movimenti che consideravano con
sempre maggiore attenzione i loro interessi specifici; le affinità e le divergenze a livello politico e
soprattutto propagandistico, emerse nel campo socialista, dimostravano una connotazione anticinese nel
nazionalismo vietnamita, e l’atteggiamento filocinese di Hanoi era soprattutto una scelta tattica finalizzata
alla riunificazione del Vietnam.