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1.2.4. Il non vero Tancredi: vicende e personalità smembrate in altri
personaggi.
1.2.4.1. Tancredi in Rinaldo
Nel canto XIX quando finalmente l’esercito crociato entra in Gerusalemme nelle ottave
33-38 si menziona il tempio di Salomone, abbattuto l’ultima volta da Tito nel 70 d.C. nei
cui pressi fu costruita la moschea di Omar, e le conseguenti stragi perpetrate da Rinaldo
che sono derivati dalla cronaca ma, come sopra accennato, non è Rinaldo lo storico
attore, bensì Tancredi. Citiamo il passo tratto dal capitolo XX del libro ottavo delle
Historie di Guglielmo di Tiro
Concorse nel tempio una gran parte del popolo di Gierusalemme, come quello che era nella più
secreta parte della Città, e forte di torri di gagliardissime porte; ma non giovò loro molto questa sua
fuga: perche subito vi sopragiunse Tancredi con una grandissima parte dell’essercito, e entrato per
forza nel tempio, dopo haver fatta una grande uccisione, portò fuori una gran quantità d’oro,
d’argento e i pietre preciose; le quali come fu acchetato il tumulto, furono medesimamente riportate
nel medesimo tempio. Intanto havendo gli altri Prencipi tagliati a pezzi tutti quelli che havevano
rincontrati nell’altre parti della Città, havevano havuto l’aviso che la maggior parte del populo s’era
retirato nel tempio. Onde subito andarono a quella volta entrandovi dentro un buon numero di soldati
a piedi, e di cavalli con essi loro, e tagliarono a pezzi quanti ve ne trovarono, riempiendo di sangue
tutto quel mattonato; […] era cosa ispaventevole a mirar i morti, e veder le membra humane sparse
in questa, e in quella parte; vedendo macchiati di sangue tutte le mura. Non dava solamente travaglio
il veder i corpi lacerati spiccati da i corpi, e le teste spiccate da i busti, ma era cosa spaventevole
ancora veder i vincitori tutti sanguinosi, dalle piante de i piedi fin alla testa […]
18
18
Cit. Guglielmo di Tiro, Historia, p. 198.
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Il capitolo prosegue con la descrizione sanguinosa delle uccisioni nel Tempio e nella città.
Per economia dell’azione del poema l’eroe perfetto che entrava in Gerusalemme avrebbe
dovuto essere Rinaldo, a Tancredi spettava il risolvere il duello lasciato in sospeso con
Argante, di più data la sua imperfezione e tormento non poteva fare.
1.2.4.2. Tancredi in Argante
Inizio prima citando una domanda legittima che il Multineddu, e anche noi a questo punto,
si pone: «ma Tancredi fu veramente quello che noi conosciamo leggendo la
Gerusalemme?».
19
La risposta è immediata e chiara «No, da vero».
20
E la motiva con un
sunto dei tratti del Tancredi del poema e quello storico «Se volgiamo l’attenzione agli atti
suoi, il Tancredi purissimo, cortesissimo ed oltremodo gentile, diventa quello che era
veramente, un uomo litigioso quant’altri mai, ambizioso, avaro, crudele, incontinente».
21
Vi ricorda qualche personaggio all’interno del poema molto vicino a Tancredi? Fredi
Chiappelli espone una teoria interessante per cui la figura di Argante sia un alter-ego di
Tancredi.
22
Ci soffermeremo ora sulla questione storica, dove Fredi Chiappelli afferma
che Tasso avrebbe scomposto le fonti storiche accentrando le qualità buone sul miles
Christi e le qualità di truculenza, indisciplina e violento individualismo sulla nemesi di
Argante. Vediamo alcuni esempi.
Nel canto II, 88-91 la scena di insofferenza al cospetto di Goffredo, sembra ispirata a
quella del Tancredi storico in presenza dell’imperatore bizantino Alessandro Comneno,
dove si rifiutò di prestare giuramento di fedeltà, con la promessa di rendere all’impero
tutte le terre conquistate durante la crociata. Nel canto VI, 2 e ss. nel proporre l’idea di
singolar tenzone in modo insofferente ed egocentrico, concorda con la modalità mostrata
dal Tancredi storico nella conquista della Cilicia, dove sulla via da Costantinopoli ad
Antiochia, durante un consiglio dei capi sulla via da seguire, si mostra il suo
19
Multineddu 1895, p. 204.
20
Ibidem.
21
Ibidem.
22
Cfr. F. Chiappelli, Il conoscitore del caos. Una «vis abdita» nel linguaggio tassesco, Bulzoni, Roma 1981,
pp 65-76.
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individualismo indisciplinato rifiutandosi di seguire la decisione presa e sperandosi
dall’armata andando per conto suo attraverso la Cilicia.
Quindi del Tancredi storico, concordando con la tesi di Chiappelli, ne abbiamo una
versione edulcorata smembrata dalla parte di indisciplina, intolleranza, irascibilità, furore,
ma non forse l’individualità; seppur facendo capo al solo Goffredo, l’individualità bellica
del Tancredi storico si traduce in altro, come vedremo nei successivi paragrafi riguardanti
le fonti letterarie e come nel poema si articola la narrazione di questo eroe individuale.
1.3. Tancredi personaggio
Arriviamo finalmente ad analizzare il Tancredi protagonista delle vicende raccontate dal
Tasso nel corso della Gerusalemme Liberata. Abbiamo visto nei paragrafi precedenti
quanto delle cronache riguardanti il prencipe fosse presente e attiva nel poema, ma non
tanto esaustiva da coprire tutto il Tancredi del poema.
Ma allora da dove viene questo Tancredi? E perché vien proprio Tancredi?
1.3.1 Tancredi nell’Allegoria della Gerusalemme Liberata
Tasso nella sua Allegoria della Liberata spiega che «L'esercito composto di varii principi
e d'altri soldati cristiani, significa l'uomo virile, il quale è composto d'anima e di corpo: e
d'anima non semplice, ma distinta in molte e varie potenze.»
23
e Gerusalemme non è
solamente un luogo da liberare, ma il mezzo con cui l’uomo può raggiungere la felicità.
La figura dell’esercito crociato come corpo è stata già descritta nelle Lettere Poetiche, V
«i molti cavalieri sono considerati nel mio poema come membra d’un corpo, del quale è
capo Goffredo, Rinaldo destra», divenendo così agente unitario, con cui Tasso garantiva
il rispetto dell’«unità d’agente, non che d’attione» (Lettere poetiche, V). Nel brano sopra
citato dall’Allegoria all’immagine dell’esercito cristiano come corpo Tasso aggiunge la
tripartizione platonica dell’anima, raffigurata nel Fedro: Goffredo, Rinaldo e Tancredi
compongono le rispettive parti dell’anima e traspongono in azione le sue peculiarità.
23
Cit. T. Tasso, Allegoria del poema, in Prose diverse, a cura di C. Guasti, Firenze, Le Monnier, 1875. vol. I,
pp. 302-303.
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Goffredo, che di tutta questa adunanza è capitano, è in vece dell'intelletto, e particolarmente di
quell'intelletto che considera non le cose necessarie, ma le mutabili, e che possono variamente
avvenire. Ed egli, per voler d'Iddio e de' principi, è eletto capitano in questa impresa. Però che
l'intelletto è da Dio e da la natura constituito signore sovra l'altre virtù dell'anima, e sovra il corpo;
e comanda a quelle con potestà civile, ed a queste con imperio regale. Rinaldo, Tancredi, e gli altri
principi sono in luogo dell'altre potenze dell'animo.
24
L’anima razionale, Goffredo che tiene l’unità del suo esercito, governa «con il segnale di
comando e con la parola»
25
il cavallo bianco (la potenza irascibile). L’altro cavallo,
pericoloso, cattivo e meno nobile, cioè la potenza concupiscibile, è governato dalla
ragione «con una frusta fornita di pungoli»
26
. Rinaldo figura con le caratteristiche del
cavallo bianco, Tancredi invece quelle del cavallo nero: con il carattere di animale ribelle
a qualsiasi comando.
Dal vocabolario Treccani il termine viene così individuato: concupiscibile agg. [dal lat.
tardo concupiscibĭlis, der. di concupiscĕre «bramare»], letter. – Che può essere oggetto di
desiderio; […] tendenza dell’anima verso ciò che le si presenta come piacere; Tancredi
secondo questo principio allegorico è immagine sensibile del desiderio incontrollato, una
sorta di mina vagante, che lo porterà nel corso dell’opera ad errare per colpa della sua
“follia d’amore”, presente dall’inizio del poema. Infatti, dei “compagni erranti” citati
nell’ottava proemiale del primo canto, cui Goffredo ha il compito di ridurli “sotto i santi
segni”, è l’unico ad avere insito in sé l’errore, dove gli altri saranno portati all’errore in
seguito al «programma di lotta»
27
pronunciato da Lucifero nell’ottava 17, durante il
concilio infernale del canto IV
Sia destin ciò ch’io voglio; altri disperso
Sen vada errando: altri rimanga ucciso:
Altri in cure d’amor lascive immerso,
Idol si faccia un dolce sguardo e un riso:
Sia 'l ferro incontro al suo rettor converso
Dallo stuol ribellante e in se diviso:
24
Cit. T. Tasso, Allegoria del poema pp. 302-303.
25
Cit. Platone, Fedro, a cura di G. Reale, Milano, Bompiani, 2006, p. 127.
26
Ibidem.
27
Cit. C. GIGANTE, op. cit. 2007. p. 176.
18
Pera il campo e ruini, e resti in tutto
Ogni vestigio suo con lui distrutto.
Tancredi negli errori successivi al canto IV non è assoggettato unicamente e/o
direttamente dalle potenze infernali, ma dall’errore iniziale «S’alcun’ombra di colpa i
suoi gran vanti/rende men chiari, è sol follia d’amore» (GL I 45, 5-6) che lo porterà ad
esempio nel canto III, prima della maledizione luciferina, a rincorrere uno dei suoi
compagni crociati «uomo inumano» (GL III 29, 3) poiché aveva ferito l’oggetto della sua
follia d’amore, cioè la pagana Clorinda.
1.3.2 Tancredi nelle Lettere Poetiche
Le Lettere Poetiche sono una cinquantina di missive che Tasso scrive ai revisori della
cosiddetta revisione romana cui si sottopone dalla primavera del 1575 alla tarda estate del
1576 per ricercare suggerimenti e conseguenti critiche in previsione della messa a stampa
del poema. Il gruppo di esperti, coordinato da Scipione Gonzaga, un ecclesiastico
principale responsabile dell’Accademia degli Eterei, coetaneo del Tasso e il suo più
stabile e fidato interlocutore, era formato da: Silvio Antoniano, letterato della curia
romana, con solida formazione classica e un orecchio attento ai versi più immorali e
lascivi, il suo beneplacito era una garanzia per il giudizio del Sant’Uffizio; Flaminio de’
Nobili, letterato e filosofo morale autore del Trattato dell’amore umano, responsabile
delle passioni del poema e della trasposizione poetica delle scene liriche; il Bargeo, al
secolo Pietro Angelio da Barga, poeta latino attendente nello stesso periodo un poema
sulla Crociata, punto di riferimento per il racconto storico su base religiosa; Sperone
Speroni, esperto delle dottrine aristoteliche, cui Tasso sperava legittimasse la norma epica
della Gerusalemme.
28
Ci soffermeremo su quanto detto nelle lettere XII, a Luca Scalabrino e XXXVIII, a Silvio
Antoniano.
Nella lettera XII viene spiegato come i cavalieri cristiani, tranne Goffredo, Rinaldo e
28
Cfr. E. Russo, Guida alla lettura 2014, pp. 30-33.