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INTRODUZIONE
L'obiettivo che questo lavoro di tesi si propone è quello di fornire elementi
utili alla comprensione dell'esperienza concentrazionaria attraverso un "viaggio"
all'interno de L'espèce humaine.
Il testo di Robert Antelme si presenta suddiviso in tre parti. Nella prima,
intitolata Gandersheim, Robert descrive ciò che ha vissuto all'interno del lager
tedesco di Bad Gandersheim subcampo del più noto Buchenwald. Come egli
stesso afferma nella sua introduzione, in quel campo i diretti responsabili dei
detenuti erano i loro nemici. Digiuno, punizioni, miseria del corpo e dell'anima
sono tutti "deterrenti" usati dalle S.S. e dai "kapos" al fine di privare i prigionieri
non solo dei beni materiali, ma soprattutto della loro identità in quanto esseri
umani. La seconda parte del libro, La Route, è imperniata sul racconto
dell'estenuante marcia susseguita all'evacuazione del campo. La terza, La Fin,
descrive invece la liberazione tanto agognata dai deportati.
In tale sede, si analizzerà e si interpreterà l'opera di Robert Antelme in base
ad una chiave di lettura che permetterà di focalizzarne il messaggio, coinvolgendo
coloro che si avvicinano per la prima volta alla testimonianza come letteratura in
un vero e proprio "viaggio" attraverso le pagine del libro: a sua volta concepito
come un "viaggio", il presente lavoro è stato suddiviso in percorsi.
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Il primo ha la funzione di introdurre la vita dell'autore e la sua esperienza nel
campo di lavoro. Una volta riordinati i pochi dati storici e biografici disponibili su
Robert Antelme, inizieremo ad esplorare la via de L'espèce humaine.
Nel secondo percorso metteremo in evidenza il messaggio che Robert vuole
trasmettere al lettore attraverso l'analisi e l'interpretazione di alcuni episodi del
racconto particolarmente carichi di pathos: nel campo di concentramento non si
può parlare di inumano, perché tutto ciò che accade ai detenuti è in realtà
infinitamente uomo in quanto appartiene all'essere umano ed è egli stesso che lo
genera. Il carnefice e la vittima fanno parte entrambi della specie umana e ciò che
l'uno fa all'altro è ciò che l'uomo fa a se stesso. Si arriva così ad un grado zero
dell'uomo, lo stadio ultimo a cui egli può arrivare nei suoi due aspetti più estremi.
A tale proposito si è voluta rispettare la riflessione di Robert anche nella
numerazione dei capitoli assegnando simbolicamente al primo capitolo il numero
0 e non il numero 1.
Il terzo percorso coinvolge invece la sfera del linguaggio e della
comunicazione prese in esame poiché ritenute fondamentali nella comprensione
del testo e ancor di più in quella dell'esperienza concentrazionaria.
Infine, dopo aver analizzato sequenzialmente il racconto di Antelme, si
approderà all'ultimo stadio del nostro viaggio arrivando ad ottenere una visione
globale del testo attraverso una breve descrizione del suo impianto narrativo che
permetterà di inserirlo nella controversia sulla letteratura concentrazionaria.
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CAPITOLO 0
ROBERT ANTELME:
UN UOMO, UN TESTIMONE
0.1 Antelme prima e dopo il concentramento
Chi era Robert Antelme? Chiunque si ponga questo tipo di quesito si trova
certamente di fronte ad una questione di non facile soluzione. Infatti, poco o nulla
trapela della vita privata di quest’uomo. Forse si dovrebbe partire proprio da tale
affermazione: Robert Antelme era (prima di essere un politico, un testimone, uno
scrittore) un uomo. Uomo come tutti gli altri: un marito, un padre, un fratello, un
figlio, ma soprattutto (e per la maggior parte di coloro che l’hanno conosciuto), un
amico: per alcuni “il migliore”, per altri “l’unico”, per altri ancora, infine, “ami
incomparable”.
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E’ proprio questo aspetto della sua personalità che traspare con
maggior chiarezza dalle parole dei suoi conoscenti. Tutti, durante le interviste
raccolte da Jean-Pierre Saez
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, hanno sottolineato la grande e insostituibile
disponibilità di Robert ad ascoltarli nel momento del bisogno.
Ciò che resta inequivocabile a proposito dell’esistenza di Robert Antelme è
che mai, secondo i tanti amici dei quali possiamo leggere le testimonianze, il suo
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Cf. M. BLANCHOT, «Dans la nuit surveillée» in AA.VV., Textes inédits sur “L’Espèce
humaine”. Essais et témoignages, Paris, Gallimard, 1996, p. 71.
2
Cf. J.-P. SAEZ, Autour de Robert Antelme, in AA.VV., Textes inédits…, cit., pp. 252-272.
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modo di essere, la sua personalità, la sua disponibilità verso gli altri, sono
cambiati nel corso degli anni.
Nemmeno quando, nel 1983, un intervento alla carotide lo costringerà
all’infermità fino alla sua morte, Robert Antelme si distrarrà dal prestare
attenzione esclusivamente al prossimo: “Ce qu’il y avait de merveilleux dans
l’horreur de son enfermement c’est que la douleur jamais ne le détourna des autres
et que dans la solitude où le destin semblait le reclore, il demeura constamment
attentif à autrui”.
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Robert è sempre stato l’amico di tutti eppure, durante la sua
infermità, versava in un profondo stato di solitudine. Egli si sentiva solo e non ha
mai smesso di tendere la mano agli altri e per gli altri, senza pensare a se stesso.
Le incisive esperienze di Robert non cambieranno quindi il suo “essere
umano per gli altri”. Queste sono parole che fanno riflettere sulla concezione di
Antelme riguardo l’essere umano e il suo rispetto per quest’ultimo. Ed è
naturalmente attraverso queste parole che si può dipingere un ritratto di Robert.
Sì, perché non c’è una biografia vera e propria che racconti la vita di questa
persona straordinaria.
L’esistenza di Robert, di conseguenza Robert stesso, è una constante nelle
vite di altri personaggi più o meno famosi, nei loro libri, nelle loro memorie.
Nessuno di loro si dimenticherà mai di lui. Un esempio per tutti è racchiuso nella
vita e nelle opere di Marguerite Duras. Robert Antelme ne entra a far parte nel
1939, al momento del loro matrimonio ed è destinato a restarvi per sempre. Anche
se, dopo il loro divorzio nel 1946, Robert sposerà Monique (sua inseparabile
3
C. ROY, Post-scriptum, in AA.VV., Textes inédits…, cit., p. 274.
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compagna), il profondo legame di amicizia e stima nato con Marguerite resterà
invariato negli anni.
Robert e Marguerite non formeranno mai una vera coppia, la loro unione si
baserà sul rispetto e la sincerità reciproci, ma entrambi durante il loro matrimonio
avranno relazioni extraconiugali. Sarà proprio attraverso questo percorso che
Robert farà la conoscenza di Dionys Mascolo, suo importante e intimo amico, al
quale indirizzerà le prime parole scritte al ritorno dai campi di concentramento e
di lavoro di Buchenwald, Gandersheim e Dachau.
Il legame che Antelme instaura con loro e con altri personaggi come
François Mitterand, Maurice Blanchot, Georges Beauchamp, Edgar Morin, si
rinforzerà al ritorno dai campi anche per il loro impegno e il loro contributo al
fine della sua liberazione: “ C’est à toi que j’écris le premier car je veux que tu
puisse entretenir en toi, peut-être quelque temps de plus, le merveilleux sentiment
d’avoir sauvé un homme”.
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Tali sono le prime parole di Robert per l’amico Dionys. Nel 1943 Robert,
Marguerite e Dionys, entrano a far parte della Resistenza aderendo al gruppo
MNPDG (Mouvement National des Prisonniers de Guerre) diretto da François
Mitterand. Nel 1944 Robert Antelme viene arrestato dalla Gestapo in rue Dupin,
a Parigi, assieme alla sorella Marie-Louise che morirà deportata in Germania.
Robert riuscirà a tornare vivo da Dachau nella primavera del 1945 grazie al
tempestivo intervento di Dionys Mascolo e Georges Beauchamp che partono per
il campo, su segnalazione di François Mitterand, travestiti da ufficiali francesi
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D. MASCOLO, Autour d’un effort de mémoire. Sur une lettre de Robert Antelme, Paris, Maurice
Nadeau, 1987, p. 13.
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con documenti falsi e riescono a farlo evadere. In quel periodo Dachau era già
stato liberato dalle truppe alleate, ma era stato dichiarato in quarantena a causa del
tifo che vi imperversava. Robert ha dunque dovuto fuggire da un campo già
libero; se non fosse stato così, non ce l’avrebbe mai fatta. Al suo ritorno, egli pesa
trentotto chilogrammi, quando era partito ne pesava circa ottanta.
Robert, Dionys e Georges arrivano a Parigi in due giorni. Qui, inizia la sua
rieducazione alla vita sostenuto in primo luogo, in tutto e per tutto, da
Marguerite.
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A questo proposito, incisiva è la sua testimonianza attraverso il libro La
douleur. Tale testo rappresenta infatti un prezioso documento per la comprensione
del percorso compiuto da Robert per ritornare alla vita, ma non solo. L’assenza
costantemente presente di quest’uomo nel racconto di Duras è infatti il perno
attorno a cui si concentra la prima parte del libro e quindi la vita stessa di
Marguerite: “Je crois que de toute façon je vais mourir. S’il revient je mourrai
aussi. S’il sonnait: “Qui est là. – Moi, Robert L.”, tout ce que je pourrai faire c’est
ouvrir et puis mourir”.
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In questo diario, Marguerite libera la sua interiorità
descrivendo con estrema precisione quella terribile angoscia che l’avvolgeva
costantemente durante l’attesa del ritorno di Robert. Non vi è un attimo della sua
giornata in cui Marguerite non rivolga lo sguardo al telefono, alla porta, alla
finestra nella speranza che, da un momento all’altro, appaia Robert.
Ma il pensiero in assoluto più presente nella sua mente, il più inquietante e il
più distruttivo per la sua interiorità, è quello della morte di Robert. Talvolta sotto
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J.-P. SAEZ, Autour de Robert Antelme in AA.VV., Textes inédits..., cit., p. 254.
6
M. DURAS, La douleur, Paris, Gallimard, 1985, p. 39.
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forma d’immagine, altre volte come sensazione o peggio ancora in quanto
certezza, questo pensiero assale Marguerite senza sosta alcuna:
Ce n’est pas ordinaire d’attendre ainsi. Je ne saurai jamais rien. Je sais
seulement qu’il a eu faim pendant des mois et qu’il n’a pas revu un morceau de
pain avant de mourir, même pas une seule fois. Les dernières satisfactions des
morts, il ne les a pas eues.
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Questi momenti sono destinati a finire quando si viene a conoscenza del
ritrovamento di Robert a Dachau. Tuttavia, non è il ritorno che Marguerite si
aspettava; soprattutto, il ricordo che ella ha del loro incontro sembra essere
sfocato e lontano come le appare la figura di Robert in un primo momento:
Je ne sais plus extactement. Il a dû me regarder et me reconnaître et sourire.
J’ai hurlé que non, que je ne voulais pas voir. Je suis repartie, j’ai remonté
l’escalier.[…] Je ne le reconnais pas. Il me regarde. Il sourit. Il se laisse regarder.
Une fatigue surnaturelle se montre dans son sourire, celle d’être arrivé à vivre
jusqu’à ce moment-ci. C’est à ce sourire que tout à coup je le reconnais, mais de
très loin, comme si je le voyais au fond d’un tunnel.
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Ciò che Marguerite si ritrova di fronte non sembra essere una persona, bensì
una figura. L’aspetto di Roert è sconcertante a tal punto che la priva della facoltà
di poterlo ancora definire uomo. Egli, infatti, non è che una forma stesa sul
divano; nemmeno il medico, all’inizio, riesce a capire la situazione e questo
perché non vede che quella forma:
Le docteur est arrivé. Il s’est arrệté net, la main sur la poignée, très pâle. Il
nous a regardé puis il a regardé la forme sur le divan. Il ne comprenait pas. Et puis
il a compris : cette forme n’étais pas encore morte, elle flottait entre la vie et la
7
Ibid., p. 37.
8
Ibid., pp. 68- 69.