chiave di lettura, di una stringa interpretativa che consenta di “tradurre”[7], facendole - in questo modo -
proprie, le visioni alterate e alteranti di universi “assoluti”[8], a se stanti, privi di significato (se si vuole) ma
pieni di significanti.
Siamo, infatti, di fronte ad un pianeta solitario, che rinuncia, cioè, a qualsiasi astro gravitazionale; come un
marinaio di altri tempi che ha rinunciato alla fedele e perenne guida della stella polare, il pianeta
Jodorowsky si lancia negli infiniti e sconosciuti spazi siderali alla ricerca di quel “Tutto” che è
imperscrutabile ad occhi abituati alle certezze della stori-fanta-mito-scienza occidentale. Misconosce i
pianeti fratelli, rinuncia al sole che dà (e impone) luce, calore e certezze, straccia le vesti teatrali di cui si
sono appropriati i numi, spoglia le eroiche e immobili statue delle certezze, bestemmia gli dei o il dio
imposto dalle Istituzioni e venendo maledetto, tristemente felice, si avvia lungo l’ignota strada per Tar.
Jodorowsky, in sostanza, nega Newton. La forza di gravità, sostiene Alexandro, è uno stato mentale[9].
Tutto dipende dal sole che scegliamo.
“ Ce qui est en bas” e “Ce qui est en haut”[10] (letteralmente “Ciò che è in alto” e “Ciò che è in basso”)
sono due titoli che ci possono aiutare a comprendere meglio questo apparente paradosso. Due
paradigmatiche sceneggiature di fumetti (quanto appare riduttiva tale definizione in questo contesto)
appartenenti entrambi alla saga di Jonhn Difool. “Abbandonate ogni cognizione di «alto e basso» voi che vi
approcciate a tali «testi» - sembra dire l’autore. “Non vi è scampo! La gravità non esiste…”. E l’impressione
che si prova vivendo le avventure di questo antieroe è proprio questa. Ciò che ne rimane è una categoria
psicologica del tutto particolare, personale, caratteristica di una mente originale e libera – si sarebbbe detto
in altri tempi – che, proprio come un pianeta impazzito, rinuncia alla sua orbita prestabilita e preordinata
(quanto valore hanno quei pre) e si inoltra negli apeiristici spazi siderali senza “peso”, né odore, sempre
alla eroica ricerca del proprio significato nell’universo.
Questo il significato nascosto in quelle profetiche righe che caratterizzarono l’uscita del primo film di
Alexandro Jodorowsky, Fando y Lis: otto righe che riassumono come in un trattato di alchimia, le leggi
cosmiche di un universo, la ricetta di una pietanza appetitosa, gli algoritmi di una funzione, i precedenti di
un processo, i referti di un coroner e i consigli di un amico. Forse, e sottolineo forse, un centro di gravità
permanente lo abbiamo trovato. Proviamo a giustificarlo.
Jodorowsky Errante - Viaggio nel cinema di Alexandro Jodorowsky - di Emanuele Bertolini
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PARTE I - IL VIAGGIO OLTRE LO SCHERMO
Jodorowsky Errante - Viaggio nel cinema di Alexandro Jodorowsky - di Emanuele Bertolini
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CAPITOLO 1 - LE ORIGINI DI UNA PERSONALITA’ IN VIAGGIO
Cenni biografici
Iquique
“Un giorno trovammo una pietra gigante che gallegiava in mare. E poi fui seguito da un ape, una ape d’oro.
Tutti i giorni, per tre anni, mi seguì. Una volta gli altri bambini mi legarono ad un grande aquilone e mi
lanciarono in cielo. Fu terribile. All’interno delle nuvole vidi un cimitero di areoplani della prima guerra
mondiale. E dentro gli areoplani c’erano i cadaveri dei piloti. E dentro i cadaveri c’erano dei vampiri bianchi.
Quando mi avvicinai i vampiri cominciarono a muoversi…”
Iquique: un piccolo villaggio situato nella regione di Tarapacà in Cile, una zona desertica ricca di giacimenti
di nitrato di sodio. È qui che il padre di Alexandro, un emigrato russo di origine ebrea, conosce all’inizio del
secolo una giovane cantante d’opera argentina, a sua volta di origini russe, decidendo di sposarla. Il 17
febbraio 1929 nasce Alexandro, un bimbo dalla pelle chiara (una rarità in quelle latitudini) e dalla
nazionalità promiscua. Sin dall’infanzia il piccolo Jodorowsky viene deriso e sbeffegiato dai coetanei e
compaesani che vedevano in lui una miscellanea di elementi contradditori e poco graditi a cominciare
proprio dalla sua eredità genetica: russo, ebreo, cileno e in seguito, per acquisizione, messicano e
francese. Lo stesso Jodorowsky della sua gioventù non conserva un buon ricordo: descrive Iquique come
un postribolo di marinai (il porto era molto attivo proprio per le esportazioni di nitrato) e prostitute;
precocemente venuto a contatto col mondo della sessualità (masturbazioni di gruppo, bere il latte materno
delle capre, frequentare donne di vita sono ricordi che lo stesso regista cita più volte[11]), ecluso e isolato
dai compagni, impara prestissimo a leggere. Si appassiona alla letteratura francese Dumas e Féval
soprattutto, si tuffa nel mondo dei fumetti Mandrake, Valiant, Flash Gordon, Popeye, Little Orphan Annie,
sprofonda nei comics di Al Capp e Dick Tracy, e rinasce in nuovi mondi grazie alla Marvel Comics con i
suoi Spider Man e Thor. Un’istruzione questa che molto influirà sull’animo fertile del giovane Alexandro
stimolando e nutrendo la sua fantasia con lisergiche dosi di colori, eroi e (ir)realtà. Infinite volte lo stesso
regista riconoscerà in queste esperienze una fonte inesauribile a cui attingere per il suo cinema[12].
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La famiglia Jodorowsky si trasferisce a Santiago dove il giovane Alexandro termina gli studi liceali.
All’università frequenta filosofia, psicologia, fisica, matematica denotando già un’irrequietezza che sarà la
caratteristica precipua della sua personalità. Due anni di studi, interessi e letture che verranno abbandonati
senza troppi ripensamenti in favore del teatro. Accanto agli impegni universitari, infatti, porta avanti, da
diversi anni, una passione che lo accompagnerà per tutta la vita (sebbene le modalità mutino nel corso del
tempo): il teatro[13] e in maniera particolare quello delle marionette. Una passione, nata in tenera età, per
quelle rappresentazioni che animavano i suoi giochi infantili e che ha un naturale e giustificato seguito nel
mondo della rappresentazione teatrale. Già fra il 1946 e il 1952, infatti, raggiunge in Cile una popolarità
notevole come animatore di marionette (aveva già fondato tempo addietro il “suo” teatro di pupazzi) [14]. Si
instaura con il mondo delle burattini un rapporto così stretto che fa nascere in lui il desiderio di convertirsi in
uno di loro, vale a dire in un attore di teatro. Comincia, infatti, ad esercitarsi lui stesso come mimo, recita
pièces, dirige il teatro dell’università, arrivando a fondare una sua propria compagnia. Non gli interessa il
teatro psicologico, volto all’imitazione della realtà. Esso è, per Jodorowsky, un’espressione d’arte volgare,
tesa a ricreare la dimensione più apparente ma anche più vacua e oscura del mondo. Un teatro che
rinuncia alla dimensione onirica e magica del reale. Egli inizia a destestare il concetto d’autore, di testo,
dello stesso “edificio” teatrale. Molte di queste esperienze saranno le basi da cui prenderà l’avvio il
movimento “panico”. Di queste prime esperieze purtoppo ci è rimasto poco se non nei ricordi dello stesso
Alexandro.
Parigi
Ma la noia è sempre in agguato. Il Cile, “quel folle, incredibile paradiso”, comincia a stargli stretto. Nel 1953
parte alla volta di Parigi all’epoca mèta e simbolo di libertà intellettuale e artistica, viva e fertile quanto mai
proprio in campo letterario e teatrale. Marceau, Jean-Luis Barrault sono nomi che hanno la suggestione e
la forza delle sirene per l’irrequieto e iperattivo Jodorowsky. Etienne Decroux, discepolo proprio dei due
suddetti maestri, dirige una scuola di recitazione. Studiare mimica presso di lui sarà per Alexandro il
prossimo passo. Ovviamente non si ferma qui: riesce a lavorare con Marceau grazie ad una convincente
improvvisazione. Il Fabbricante di Maschere e La Gabbia sono due pantomime che scrive proprio per il
maestro francese. Ha inizio, così, una collaborazione che lo porterà in tournée per sei anni in giro per il
mondo. Tornato a Parigi è tutto un susseguirsi di successi. Con un’originale e innovativa versione di
Aspettando Godot celebra la sua consacrazione in terra di Francia. Contattato dall’impresario Canetti
accetta di dirigere Maurice Chevalier in One Man Show che precede di qualche mese Le Tres Horaces.
Sempre con Canetti dirige per un anno il teatro Trois Baudets, ma è nel 1959 che per la prima volta si
confronta con il cinema: lo spunto è un romanzo di Thomas Mann. Jodorowsky lo adatta a pantomima e
gira un mediometraggio di 40 minuti che intitola Le Teste Scambiate[15]. Il film è girato in 16 mm, a colori,
realizzato grazie all’intervento produttivo dell’americano Saul Gilbert e di sua moglie Ruth Michelly che,
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insieme a Raymond Devos, parteciparono alla lavorazione[16]. Jean Cocteau, colpito dal lavoro, ne scrive
l’introduzione.
È, poi, di nuovo in Messico, dove soggiorna per qualche anno, curando la regia di numerosi drammi. Il
repertorio da cui attinge è quello della tradizione classica dell’avanguardia europea: Jonesco, Strindberg,
Beckett ma non disdegna il confronto con Shakespeare, Nietzsche o Arrabal. Elemento costante della sua
messa in scena è l’infedeltà nei confronti dei testi: Jodorowsky, infatti, riscrive intere parti dei drammi che
dirige. Stravolge atmosfere, situazioni, personaggi [17]. Notevole successo ebbero il suo Le Sedie, Finale
Di Partita, Sonata Di Fantasmi.
Dopo aver fondato una rivista surrealista dal titolo “S.NOB” insieme ad altri scrittori, torna a Parigi dove
riprende una frenetica vita di frequentazioni artistiche molto feconde. È, infatti proprio nella Cité che si
ritrovano i futuri fondatori del Panico [18], come il drammaturgo Fernando Arrabal e lo scrittore-surrealista
Roland Topor. Erano soliti intrattenersi (e intrattenere) al Cafè de la Paix e a Place de l’Opéra, discorrendo
di tutto: filosofia, poesia, teatro, psicoanilisi. Catherine Harlè, direttrice di un’agenzia di modelle, mette a
disposizione di Jodorowsky il suo appartamento che diviene, in breve, anch’esso luogo di incontro per
artisti di ogni genere. Proprio qui si inscenano sotto l’attenta guida del regista cileno, autentici psicodrammi
e molte riunioni che determineranno il fertile humus da cui nascerà il movimento Panico.
Comincia nel febbraio del 1962 l’esperienza panica. Un movimento non-istituzionale e non-istituzionalizzato
caratterizzato da una dichiarata filiazione surrealista. Non vi erano limitazioni né espressive (raccolte di
poesie, saggi, rappresentazioni teatrali, pittoriche), né contenutistiche (l’unico obbligo era quello di citare
Pan[19] in ogni creazione). Di qui lo slancio sovversivo e iconoclasta del movimento che si farà promotore
di una pulsione liberatoria nei confronti di qualsiasi restrizione (morale, sociale, razionale o estetica).
Padre spirituale del movimento è Antonin Artaud [20] e proprio i suoi testi, e in maniera particolare “Il teatro
e il suo doppio” [21] influiscono enormemente sull’animo del giovane Jodorowsky che, facendo proprie le
teorie dello scrittore-attore-regista francese, inventa i suoi 27 effimeri panici. Così li descrive Massimo
Monteleone nel suo “La talpa e la fenice”: “Happening oltraggiosi, affidati al realismo più crudo nell’uso
degli elementi organici e non, per una provocatoria rottura della barriera tra la scena ed il pubblico. Il loro
effetto doveva essere di esaltazione euforica, uno stato surreale misto di orrore e umorismo, una zona
privilegiata per scatenare l’identificazione tra pensiero e atto, Gran Guignol ed esperienza concreta, luogo
panico che i suoi pensieri hanno denominato Festa-spettacolo. Insomma delirio eretto a protesta ma
animato da una voglia di realtà totale.” [22] E anche scorrendo le descrizioni e le note di scena di questi
show è incredibile notare quanti elementi verranno ripresi nell’opera cinematografica jodorowskiana come
tratti di una “profetica antologia” [23].
Jodorowsky Errante - Viaggio nel cinema di Alexandro Jodorowsky - di Emanuele Bertolini
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