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PREMESSE
“Le società multiculturali, nelle quali ci troviamo a vivere assieme a persone di origine e formazione
diversa, condividendo con le stesse istituzioni, sono tra i risultati piø grandi dell’umanità. Ma sono
anche tra i piø fragili.”
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La fragilità di cui parla Farian Sabahi, giornalista e docente universitaria di origini iraniane, è una
caratteristica predominante del discorso che si terrà nelle seguenti pagine, sul quale verte il rapporto
tra il mondo islamico e quello occidentale: un fragile rapporto, appunto, in cui prospettive reciproche,
attori, processi sociali e conflittualità identitarie non mancano di essere alla sua base. E basta davvero
poco per minarlo, ma un grande sforzo culturale e conoscitivo da entrambe le parti, per rafforzarlo e
renderlo realmente uno dei migliori spettacoli dell’umanità.
Le società multietniche, e quindi multiculturali e multireligiose, in cui una vastissima varietà di persone,
religioni e culture coabitano (ma non per questo “con-vivono”), presentano il continuo impegno di
dover costruire una coesistenza, dove il fattore religioso, pregnante nella formazione di molti individui
e delle società, risulta essere decisivo.
Come teorizza Donati, studioso del campo, esistono quattro possibili soluzioni per quanto riguarda la
co-esistenza religiosa: una prima possibilità, è il permanere di conflitti fra religioni differenti, sfociando,
nei casi piø estremi, in guerre di religione dove le parti non hanno intenzione di scendere a
“compromessi culturali” o di negoziare, il che verrebbe a significare, un indebolimento di posizione e
quindi di potere.
La seconda soluzione, è la costruzione di un’identità religiosa “patchwork”, da parte dell’individuo,
dove gli apporti delle varie religioni diventano i tasselli per la formazione di una religione ibrida,
risultato, però, di una mescolanza confusa, e non praticabile in termini comunitari: la credenza in una
sorta di politeismo religioso individuale, non può essere condiviso e quindi perde di rilevanza religiosa,
appunto.
La terza via, corrisponde al confinamento della religione esclusivamente nella sfera privata ed intima:
il suo trattamento da parte dei governi e degli stati, frutto di un processo culturale e sociale ormai
insito nella mentalità di molti, rimane sul piano dell’indifferenza, della neutralità, senza valorizzare i
numerosi apporti che la religione può donare alla società, in campo pubblico.
Per la quarta ed ultima possibilità, Donati si esprime in questi termini: “Cercare le condizioni culturali,
storiche e sociali, in base alle quali sia possibile una sfera pubblica ‘laica’ religiosamente qualificata,
nel senso di riuscire a configurare le relazioni fra le varie religioni in modo che nessuna debba
rinunciare alla propria identità e la possa non solamente esporre ma anche far valere in pubblico
secondo regole di reciprocità che consentano una convivenza solidale, cosicchè la religione possa
mantenere una sua rilevanza pubblica.”
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Ma come si può creare una “sfera pubblica” in cui le religioni possano essere valorizzate e non entrare
comunque in conflitto? Costruire un campo “universalistico” capace di regolare lo scambio ed il
confronto fra le varie religioni, senza svalorizzare il loro apporto nella società? Un apporto, come
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Cit. F. Sabahi, “Islam: l’identità inquieta dell’Europa. Viaggio tra i musulmani d’Occidente”, pag. 26
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Cit. Donati, “Multiculturalismo e identità” pag. 51
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afferma Donati, di cui la democrazia necessita “se non vuole cadere e degenerare nella pura e
semplice amministrazione di nudi interessi materiali”
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.
Le relazioni di potere che entrano in gioco all’interno di questo processo (ad esempio la condizione
maggioritaria di una o poche religioni che “schiaccia” ed indebolisce le altre presenti sul territorio, o
l’influenza politica esercitata da una religione sulla modalità di governare di uno Stato) sono molte, e
non vanno sottovalutate.
Nel mondo occidentale, con l’avvento della democrazia, i tentativi di realizzare questo “campo di
convivenza” non sono mai mancati, ma, molto spesso, forze di natura politica, economica o sociale,
non slegate dal mondo religioso, si sono, per così dire, scontrate con i concetti “decantati” dalla
democrazia, quali i diritti dell’uomo riguardanti la libertà religiosa: “Il tentativo che si ripete dall’inizio
della modernità occidentale è quello di trovare una pacificazione fra le religioni, che ne riconosca le
particolarità e allo stesso tempo edifichi quel tanto di universalismo che è necessario per una sfera
pubblica sui cui possa essere costruita una cittadinanza comune.”
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La convivenza interreligiosa è possibile, non semplice da realizzare, ma i buoni propositi per
perseguirla esistono, e le democrazie occidentali, spesso, si innalzano a fautori di questo percorso,
promuovendo il diritto di libertà religiosa.
Secondo la normativa generale in Europa, il concetto di libertà religiosa è un principio fondamentale:
si riconosce il diritto di manifestare individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, la
propria religione, ed è primato della propria coscienza individuale, cambiarla o abbandonarla. In
questo modo, la libertà di religione si definisce in un ambito di stampo universalistico, in cui la
democrazia di natura occidentale, prescinde da qualsiasi differenza religiosa, nel rispetto di tutte, ma
cadendo nell’indifferenza per ciascuna.
Dal momento in cui la religione assume tratti esclusivamente privati, individuali, un suo possibile ruolo
all’interno della sfera pubblica non viene concepito, quando in realtà, ne è parte vitale.
Le basi universalistiche dell’idea di libertà religiosa, ha profonde radici storiche, che affondano
nell’excursus della storia occidentale, prettamente europea, in cui l’imposizione del mercato all’interno
della vita sociale e politica, definito come scambio generalizzato ed impersonale, ha portato,
lentamente, al “ritiro” del ruolo della religione dalla scena pubblica, intesa non solo come condivisione
di regole e precetti, ma anche come luogo in cui vivere, concretamente, in modo comunitario.
La peculiarità delle società post-moderne è, infatti, caratterizzata dalla divisione in quattro grandi sfere
differenziate tra loro: il mercato (lo scambio mercantile che si articola nell’ambito della
globalizzazione), lo Stato (sfera politica), la società civile (tutti gli ambiti al di fuori del mercato e della
politica) e la religione. In questo scenario, suddiviso in compartimenti che rendono la società
fortemente parcellizzata, la questione di ritagliare uno spazio religioso all’interno della pubblica scena,
eretto su principi universali che non siano incompatibili o indifferenti verso le religioni, diventa
predominante.
Dall’altra parte della “sponda”, esistono diverse problematiche che nascono in seno alla religione
stessa: alcune religioni, appunto, hanno la pretesa di essere universali anche nella sfera pubblica;
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Cit. Donati, “Multiculturalismo e identità” , pag. 52
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Cit. Donati, ibidem, pag. 52
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rivendicano un ruolo primario nella società, scontrandosi, nelle democrazie occidentali, con il principio
di laicità e neutralità.
E’ il caso dell’Islam in Europa, dove, i dettami religiosi islamici, in alcuni paesi, guidano e legittimano
governi e politiche; non si parla delle persone musulmane immigrate in Europa, con il proprio modo di
vivere la religione, ma della natura e dell’ideologia della religione islamica, che è tutt’altra cosa, da non
confondere con le derive estremiste e fondamentaliste che, a loro volta, non rappresentano l’Islam in
generale.
Purtroppo, la percezione che si ha dell’Islam, suscita paure ed angosce che portano, i vari Stati
europei, ad adottare misure non concordanti con il principio di libertà religiosa: gli imperativi di laicità e
neutralità vengono meno dal momento in cui la religione islamica incarna un’inquietudine atavica:
l’Islam risulta incompatibile, a causa della sua rigidità ed immutabilità (caratteristiche percepite e non
reali), ai principi occidentali.
E’ la grande sfida europea e del nuovo Islam europeo, che va affrontata in termini di tolleranza attiva
verso ciò che è ritenuto lontano e irrimediabilmente diverso, e non in nome di un mero riconoscimento;
a volte, purtroppo, manca anche quello: “Riconoscere e rispettare una cultura significherà in primo
luogo riconoscerne e rispettarne l’anima religiosa. Per questo il ruolo pubblico delle religioni in una
società multiculturale è un problema di rilievo, perchØ quasi coincide con il problema del ruolo
pubblico delle culture stesse.”
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In Europa, e non solo, la costruzione di un futuro in cui lo spazio pubblico si impossessi nuovamente
della sfera religiosa, ed in questo caso, anche di una religione che non appartiene al proprio passato,
è un percorso che ha fondamentale bisogno di ritrovare (o rifondare) un dialogo prima di tutto
interreligioso, in cui le parti siano considerate vicendevolmente alla pari: se non esiste dialogo, non
esiste modalità di apportare influenze positive e costruttive alla società; è ciò che bisogna prospettare
e seguire: “[..] Bisogna notare che non si può pensare che le religioni sappiano adeguatamente
partecipare al dibattito politico se non sono capaci di dialogare fra loro. Certamente la cooperazione
sul piano della società civile e l’incontro di fatto delle identità culturali possono favorire lo stesso
dialogo interreligioso. V’è, infatti, chi pensa che escludere le religioni dalla sfera pubblica e dalla vita
politica significa rafforzare la loro tendenza verso l’intolleranza e impedire il loro sviluppo critico. Ma
per le religioni è piø facile trovare punti in comune nell’opera di edificazione della città umana che per
quanto riguarda la salvezza eterna, dove necessariamente sono portate a dividersi. In ogni caso i
progressi del dialogo interreligioso, che è ancora ai suoi primi passi, mettono le religioni in condizione
di essere piø incisive.[..] E’ naturale che ogni religione tenda a considerarsi come l’unica vera. Se non
fosse così, perderebbe di credibilità agli occhi dei suoi stessi credenti. Ma una condizione
imprescindibile di questo dialogo è che almeno si riconosca l’altra come vera e propria religione,
anche se non come la religione vera.”
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Cit. F. Viola, “Multiculturalismo e identità”, pag. 113
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Cit. F. Viola, ibidem, pag. 131
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1.EUROPA
1.1 ISLAM IN EUROPA: COME VIENE PERCEPITO
La presenza musulmana in Europa, ormai stabile dai primi flussi migratori avvenuti verso gli anni
Sessanta, è il prodotto di una fenomeno sociale che non accenna ad arrestarsi e che lascia ‘tracce’
visibili e concrete; questi segni, oltre ad essere presenti ad un livello di socializzazione ed integrazione
nel territorio ospitante, sono anche l’esito di un progressivo processo di visibilizzazione che le
comunità islamiche affrontano per rispondere all’esigenza di “rappresentatività”: rappresentare se
stessi e di conseguenza organizzarsi come “gruppi definiti” per poter ottenere un riconoscimento
sociale, utile e necessario per una concreta integrazione.
Partire, quindi, dalla “definizione” che le comunità musulmane danno di se stesse, è il primo passo
verso una piø approfondita comprensione del fenomeno “islamico”, e delle conseguenze scaturite
dall’incontro con il contesto di approdo; in che modo questa definizione influisce sul riconoscimento
che la comunità ospitante “concede loro”?
“[..] La ‘definizione della situazione’ data dall’attore sociale fa testo, proprio perchØ induce
conseguenze personali e sociali fondamentali; ed è contesto, nel senso forte, etimologico, del termine
[..] ‘ tessuto con, intrecciato’. Se l’attore si definisce musulmano, è chiaro che fa riferimento a un
insieme di credenze e di pratiche supposte come relativamente unitarie, “intrecciate” e simili a quelle
di coloro che come lui si definiscono allo stesso modo [..] ed è quasi inevitabile che riduca ad unum
questi riferimenti, cioè che li viva, e si viva all’interno di essi, come se fossero i medesimi; è questa del
resto, spesso, la sua percezione.”
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L’Islam è una solida tradizione culturale e religiosa, e nella storia occidentale, è sempre stato
concepito come l’elemento di alterità per eccellenza, in quanto l’universo di significati che lo
caratterizzano, viene percepito come entità compatta, immutabile ed appunto “altra”.
In realtà, l’Islam presenta forti peculiarità al suo interno, che mettono in discussione la visione unitaria
e non modificabile dipinta dal mondo occidentale, in questo caso rappresentato dall’Europa, e dalla
stessa auto-rappresentazione che molti gruppi culturali-religiosi danno all’esterno, in questa sede i
gruppi islamici; anche l’ “Occidente”, è frutto del medesimo processo di rappresentazione e di
autodefinizione che ha sempre contraddistinto i raggruppamenti umani: “[..] i termini Islam ed Europa
sono mistificanti se vengono assunti come indicazione di due entità unitarie ed omogenee che, di
fatto, non esistono. Gli Islam e le Europe sembrano corrispondere meglio alla realtà.”
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ed ancora : “ [..]
esistono - piø che come realtà, come riferimenti che assumono realtà per il fatto che sono richiamati
ed evocati – degli universali culturali e religiosi che chiamiamo ebraismo, cristianesimo, islam, tra loro
distinguibili.”
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Cit. S. Allievi, “Musulmani d’Occidente. Tendenze dell’Islam europeo”, pag. 16
8
Cit. S. Ferrari, “L’Islam in Europa. Lo statuto giuridico delle comunità musulmane”, pag. 6
9
Cit. S. Allievi, ibidem, pag. 15
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L’Islam e l’Occidente, infatti, vengono riconosciuti come sistemi culturali antitetici, non in grado di
comunicare fra loro, e in continuo scontro. Il confronto “forzato”, nell’ultimo trentennio, dalla presenza
musulmana migrante, assume sempre piø caratteri conflittuali e difficilmente si sforza di arrivare ad
una conoscenza piø approfondita, da entrambe le parti.
Come bene sottolinea Silvio Ferrari, a seguito del fenomeno migratorio che l’Europa ha vissuto, ci si è
allontanati dall’altro da sØ, paradossalmente, in maniera piø netta: “ l’ebreo (o il cristiano o il
musulmano) della porta accanto diviene l’ebreo (o il cristiano o il musulmano) dello schermo televisivo
che ci mostra immagini di un paese lontano e diverso dal nostro. Dalla conoscenza “vissuta”, fatta di
carne ed ossa, si passa ad una conoscenza “mediatica”, fatta d’immagini. Il rischio di costruire e
propagare un’immagine deformata dell’altro si accresce in proporzione della riduzione del suo
spessore concreto: ne è una prova il successo riscosso, in certi strati dell’opinione pubblica europea,
dallo stereotipo dell’arabo fondamentalista, dispotico e terrorista con cui fa il paio, nei paesi arabi,
quello dell’occidentale materialista, immorale e sfruttatore.”
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Un discorso, certamente, che non può essere generalizzato a tutti gli attori sociali coinvolti, e che
viene “svalorizzato” dalle esperienze positive e concrete, nate grazie alla socializzazione ed
integrazione di molti migranti musulmani, avvenute principalmente in contesti quotidiani e locali. Ma su
questo tema ci tornerò piø avanti.
Il procedimento “essenzialista” che l’attore sociale, o il gruppo a cui appartiene, compie per raffigurarsi
l’altro da sØ, distoglie dalla realtà plurale, frammentaria e mutabile, certamente piø difficile da
catalogare e da comprendere; e non è tutto: a volte, anche lo stesso individuo rappresenta se stesso
ed il proprio gruppo, attraverso il processo dell’essenzialismo.
L’immagine deformata e costruita che l’altro dà di noi, a lungo andare influisce sulla propria
raffigurazione.
Tornando al discorso specifico, l’urgenza di affermare la propria identità collettiva, che contrassegna
alcune Ølites dell’immigrazione islamica, nasce dal timore di perdere il patrimonio religioso e culturale,
ritenuto appunto, immutabile. La paura della perdita e del dissolvimento ha, purtroppo, irrigidito la
posizione di queste fasce di immigrati (per lo piø elitarie e a capo di organizzazioni musulmane a volte
di stampo politico), riducendo la realtà ad un immaginario collettivo, sicuramente piø confortante e
“comodo”, rispetto ad una difficoltosa procedura di conoscenza e vicinanza al contesto d’approdo. Di
contro, in Europa, l’Islam viene spesso percepito come una minaccia, insieme al piø generale
fenomeno dell’immigrazione in cui è inserito.
I concetti di irriducibilità ed incompatibilità, statici e “serrati”, rendono ardua l’interpretazione del
mondo islamico, chiudendosi alle evoluzioni ed ai cambiamenti, che caratterizzano ogni “alterità”, la
quale altro non è che il risultato di un processo relazionale ed evolutivo, cambia ed è cambiata.
Pregiudizi, stereotipi, mala informazione e scarsa conoscenza vengono veicolati dai discorsi politici e
mediatici ed arrivano agli ultimi destinatari del processo di comunicazione, la popolazione,
rafforzandoli e motivandoli; non solo l’abbattimento delle “frontiere immaginarie” ha destabilizzato i
sistemi dei paesi europei, ma ha creato un clima di diffidenza ed un’immagine dell’ “islamico” poco
rassicurante: “Una religione praticata da circa un miliardo e mezzo di persone, una presenza
geograficamente diffusa in tutto l’ecumene (dal Maghreb, l’occidente – questo significa la parola –
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Cit. S. Ferrari, “L’Islam in Europa. Lo statuto giuridico delle comunità musulmane”, pag. 5