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CAPITOLO II
IL GIORNALE QUOTIDIANO:
GENESI E STRUTTURA
1. UN SECOLO DI GIORNALISMO ITALIANO
Il giornalismo è un fenomeno caratteristico della modernità,
nonostante usualmente siano considerati antenati dei giornali gli Acta
diurni latini, resoconti atti a documentare le maggiori attività del
Senato e dell’imperatore, o le pubblicazioni imperiali dell’antica
Cina, che fin dal VII secolo con cadenza regolare davano notizia dei
provvedimenti del governo.
Secondo Oliviero Bergamini
15
i giornali in quanto “pubblicazioni
prima manoscritte e successivamente stampate, destinate a diffondere
notizie e opinioni non soltanto in un flusso unidirezionale, dal potere
al suddito e dall’alto verso il basso, bensì dando vita ad un circuito
orizzontale e pluralistico, animato da molti soggetti diversi diffusi
nella società […] andrebbero elencati, insieme alle nuove tecnologie
navali, alle armi da fuoco, agli orologi e ad altre invenzioni che gli
storici della tecnica indicano come l’origine della sua superiorità
materiale sul resto del mondo, tra i caratteri distintivi dell’Occidente
moderno”.
In Italia il quotidiano moderno nasce e si sviluppa come mezzo
diffuso di informazione e di opinione e come impresa nel corso
15
Bergamini, O., [2006], La democrazia della stampa, Laterza, Bari, pag.V
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dell’Ottocento: infatti proprio durante il Risorgimento e nei primi
anni dell’Unità nasce in forme artigianali una parte considerevole dei
giornali tuttora in circolazione.
I fattori principali strettamente connessi di tale sviluppo sono il
consolidamento dei regimi di libertà e i progressi registrati
nell’ambito del processo di industrializzazione e dei trasporti.
Vediamo nel dettaglio della tabella, stilata in ordine cronologico,
quando e dove sono nate le principali testate italiane del periodo.
Tabella 1: luogo e data di nascita dei principali quotidiani italiani
QUOTIDIANO CITTA’ ANNO
La Nazione Firenze 1859
Il Giornale di Sicilia Palermo 1860
L’Osservatore Romano Roma 1861
Il Sole Milano 1865
Il Secolo Milano 1866
Il Corriere della Sera Milano 1876
Il Messaggero Roma 1878
Il Piccolo Trieste 1881
La Tribuna Roma 1883
Il Resto del Carlino Bologna 1885
Il Secolo XIX Genova 1886
Il Gazzettino Venezia 1887
Il Mattino Napoli 1892
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La Stampa Torino 1895
Avanti! Genova 1896
La Gazzetta dello Sport Milano 1896
L’Italia unitaria è un paese agricolo, che presenta un livello di
scolarizzazione alquanto basso e conseguentemente un tasso di
analfabetismo piuttosto alto, che nel 1871 ingloba più di due terzi
della popolazione, con picchi del 80% nel Mezzogiorno.
La quota di lettori dei quotidiani italiani si stima attorno al 2% dei
cittadini, sostanzialmente corrisponde agli aventi diritto di voto.
Il basso tenore di vita, soprattutto nelle regioni meridionali, è fra le
principali cause della povertà del mercato di lettura dei quotidiani,
considerati un lusso domenicale.
L’emergere di grandi interessi economici e finanziari e le lotte
politiche sono all’origine della nascita dei principali giornali
dell’epoca. I processi di industrializzazione cominciano alla fine
dell’Ottocento, mentre per l’avvio delle iniziative editoriali di matrice
industriale si deve attendere l’inizio del secolo successivo.
L’industrializzazione della stampa comporta l’apporto di capitali
estranei all’editoria che non diventa mai a gestione professionale ed
esclusiva. Nella maggior parte dei casi si è trattato dell’intervento di
grandi famiglie, una costante nella storia dell’editoria nostrana.
La commistione tra editori ed imprenditori di altra matrice non ha
fatto altro che rafforzare il rapporto di contiguità e l’intreccio tra
giornali e attività politica.
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La presenza dell’editore “puro”, cioè privo di altri interessi, resta una
prerogativa dei soli quotidiani locali.
La stampa in questa fase si conferma come strumento di una
comunicazione d’élite.
I giornali sono formati da quattro pagine a due o tre colonne, di cui la
prima dedicata all’editoriale, la seconda e la terza alle informazioni di
carattere locale, l’ultima alle notizie estere.
Il concetto di professione giornalistica è ancora molto lontano: i
giornalisti dell’epoca sono uomini politici o letterati che considerano
la stampa un’attività accessoria, intesa a divulgare e popolarizzare i
contenuti della propria occupazione principale.
Il prezzo di vendita dei quotidiani oscilla tra i 5 e i 15 centesimi
( mediamente il salario di un operaio è di 2 lire al giorno ), mentre la
pubblicità occupa uno spazio limitato e residuale: è infatti relegata in
ultima pagina e il suo contributo al bilancio delle entrate è
decisamente modesto.
Il primo quotidiano italiano stampato nell’Italia unita è L’Osservatore
Romano, segno di un’attenzione alle forme moderne di
comunicazione che contraddistingue lo sforzo delle autorità
ecclesiastiche di mantenere una base di consenso all’interno
dell’Italia laica.
In ambito laico il primo quotidiano ad affermare la propria leadership
è Il Secolo, che assegna maggiore spazio alla cronaca della vita
cittadina e raggiunge la tiratura giornaliera di 30 mila copie,
assurgendosi a giornale della borghesia colta e riformatrice.
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Da una sorta di continuità con il passato risorgimentale derivano
diverse conseguenze destinate a rivelarsi delle peculiarità di lungo
corso: innanzitutto la vocazione politica della stampa italiana, che
lascia sullo sfondo i processi di mercificazione della notizia e rigetta
la stampa popolare e di intrattenimento, attenta soprattutto alle
cronache e alle tirature, che è un fenomeno tipico negli Stai Uniti.
In secondo luogo si registra la frammentazione del mercato dei lettori
su scala regionale, come riflesso dei confini degli stati preunitari.
Secondo Forgacs
16
“ il processo di industrializzazione soffre non solo
della divisione tra nord e sud, che interessa gli assetti economici e
civili, ma anche di un vincolo persistente che impedisce il nascere di
quotidiani e riviste effettivamente nazionali, capaci di proporsi come
strumenti di omogeneizzazione culturale”.
È con l’inizio del Novecento che il quotidiano acquista il carattere di
una vera e propria impresa industriale, subendo delle trasformazioni
strutturali decisive.
In alcuni grandi quotidiani, fra i quali Il Corriere della Sera, diretto da
Albertini, potere economico e potere operativo sono accentrati nelle
mani dei direttori-manager.
La parentesi del primo conflitto bellico mondiale è caratterizzata dal
monopolio delle agenzie di stampa governative e militari e
dall’imposizione di norme di censura che proibiscono di pubblicare
informazioni su caduti, feriti e prigionieri, con la conseguenza di
diffondere un certo appiattimento sul tono retorico del patriottismo.
16
Forgacs, D., [1992], L’industrializzazione della cultura italiana 1880-1990, Il Mulino,
Bologna, pag. 92
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L’esperienza della guerra rende tuttavia più forti i quotidiani italiani,
ormai tutti concentrati nelle mani di editori impuri, quali industriali,
possidenti terrieri, banchieri.
Agli inizi degli anni trenta vede la luce nelle redazioni la teletysetter,
una macchina dotata di sistema a banda di carta perforata per
telescriventi che consente la composizione a distanza degli articoli,
facilitando la moltiplicazione dei luoghi di stampa di uno stesso
giornale.
Nel periodo tra le due guerre si registrano importanti cambiamenti
all’interno delle redazioni: i giornalisti infatti cominciano a dividersi
tra chi scrive il giornale e chi ne gestisce la struttura e il contenuto.
In redazione compare la figura del capo-servizio, incaricato di seguire
in modo continuativo un settore di attività del giornale: esteri, interni,
cronaca nera, sport, ecc. In tal modo si sviluppa la tendenza alla
specializzazione dei giornalisti in particolari campi dell’informazione.
Inoltre aumenta il peso assunto da anonimi cronisti e redattori a
scapito delle grandi figure di letterati che circoscrivono la propria
collaborazione alla Terza pagina.
In questa fase si delinea in maniera sempre più decisa la figura del
giornalista professionista, che spesso assomma nella scrittura una
componente schiettamente giornalistica ad una squisitamente
letteraria, come accade nel caso degli inviati speciali.
Durante l’era fascista le ripercussioni sul mondo della carta stampata
sono inevitabili: l’attacco del partito fascista nei confronti dei giornali
non allineati è durissimo, tanto che il numero delle testate tra il 1926
e il 1933 decresce inesorabilmente da 110 a 77. Inoltre si avvia un
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processo di “fascistizzazione sotterranea” della stampa, attraverso
manovre nella composizione dei consigli di amministrazione, decise
a tavolino con gruppi di potere privati.
In qust’ottica si inserisce l’istituzione nel 1926 dell’Albo dei
Giornalisti, un vero e proprio ordine professionale, al quale possono
iscriversi solo quei giornalisti in possesso del “certificato di buona
condotta”: uno strumento assai utile per estromettere dalle redazioni
persone poco gradite al governo.
Ai giornali viene imposto, attraverso reiterati inviti e suggerimenti,
uno stile preciso, sobrio e privo di retorica.
La limitazione della cronaca nera, fino alla sua eliminazione totale, è
finalizzata a fornire un’immagine pulita del Paese.
Lo sforzo delle redazioni pertanto si concentra sulla Terza pagina,
dedicata alla cultura e alla ricerca di un prestigio settario o scientifico
in grado di compensare la piattezza informativa del resto del giornale.
Inoltre cresce la rilevanza e lo spazio concesso alle sezioni non
politiche, quali rubriche di intrattenimento, moda, varietà e sport.
La fine del Fascismo sancisce una nuova stagione della stampa
italiana: nel 1945 nasce l’ANSA ( Associazione Nazionale Stampa
Associata ), ancora oggi la più importante agenzia si stampa italiana,
formata da una cooperativa di editori di quotidiani e regolata da uno
statuto e da un codice deontologico, che la rendono una garanzia della
libertà di stampa e della democrazia pluralista.
Con l’entrata in vigore della Costituzione nel 1948 si assiste al
riconoscimento della libertà di stampa nell’articolo 21, il quale recita:
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“Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con
la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione.
La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure.
Si può procedere a sequestro soltanto per atto motivato dell’autorità
giudiziaria nel caso di delitti, per i quali la legge sulla stampa
espressamente lo autorizzi, o nel caso di violazione delle norme che la
legge stessa prescriva per l’indicazione dei responsabili. […]
La legge può stabilire, con norme di carattere generale, che siano resi
noti i mezzi di finanziamento della stampa periodica […]
17
”.
Negli anni Cinquanta la “formula omnibus”, quotidiano per tutti,
rimane predominante; i giornali continuano a polarizzare i loro
contenuti in direzioni diverse: verso l’élite attraverso meticolosi
articoli di natura politica, i cosiddetti “pastoni”, lunghi riassunti delle
principali prese di posizione dei partiti e delle istituzioni, o attraverso
editoriali e articoli di fondo eruditi; verso il popolo attraverso una
cronaca ricca di scandali e omicidi .
Enzo Forcella nel suo articolo del 1959 intitolato Millecinquecento
lettori dà un quadro ben delineato della situazione del giornalismo
italiano dell’epoca: “il giornalista politico, nel nostro paese, può
contare su circa millecinquecento lettori: i ministri e i sottosegretari
(tutti), i parlamentari (parte), i dirigenti di partito, sindacalisti, alti
prelati e qualche industriale che vuole mostrarsi informato. Il resto
non conta, anche se il giornale vende trecentomila copie. Prima di
tutto non è accertato che i lettori comuni leggano le prime pagine dei
giornali, e in ogni caso la loro influenza è minima. Tutto il sistema è
17
Vigna, P.L., [2004] Costituzione, Codici, Legislazione speciale, Laurus Robuffo, Roma, pag.26
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organizzato sul rapporto tra il giornalista politico e quel gruppo di
lettori privilegiati”
18
.
Nel 1963 viene istituito l’Ordine dei giornalisti come ente unico cui si
accede attraverso un esame di stato, concepito come garante della
professionalità e della deontologia giornalistica.
I temi forti che hanno caratterizzato gli anni Sessanta e Settanta, dal
boom economico al terrorismo, dall’urbanizzazione alla crisi del
sistema democratico, hanno saggiato la capacità di analisi del
giornalismo italiano, contribuendo decisamente a renderlo più
pluralistico, vivace e moderno.
Il giornalismo italiano continua a conservare il proprio tratto
distintivo di fondo: una congenita e perdurante ristrettezza del
mercato dei lettori di stampa quotidiana, testimoniata dal numero di
copie vendute di quotidiani che si mantiene stabilmente basso e di
gran lunga al di sotto delle medie degli altri paesi sviluppati: circa 98
copie ogni 1000 abitanti se consideriamo i quotidiani sportivi, 84 se li
escludiamo, cioè meno di un terzo di Gran Bretagna e Germania,
meno della metà degli Stati Uniti, metà della Francia.
L’attuale articolazione del mercato dei quotidiani italiani si dipana fra
una decina di testate a diffusione nazionale e una cinquantina a livello
regionale e provinciale.
Concludiamo il nostro excursus presentando un quadro sinottico dei
principali quotidiani italiani e del numero di copie che dichiarano di
vendere ogni giorno.
18
Bergamini, O., [2006], La democrazia della stampa, Laterza, Bari, pag. 309