2
Introduzione
I primi italiani a recarsi in Valacchia e Moldavia furono
probabilmente i missionari; infatti, sappiamo che le prime diocesi
cattoliche furono istituite nella prima metà del XIII secolo anche
se, generalmente, non ebbero lunga durata: rapporti più regolari
si stabilirono a partire dal secolo seguente. I missionari furono,
forse, anche i primi a lasciare impressioni scritte sui loro
viaggi; purtroppo, esse sono numericamente scarse. Una presenza
tangibile fu quella di architetti, decoratori, costruttori edili e
anche semplici muratori, attivi già dalla fine del XV secolo: il
primo di questa schiera pare sia stato un tal Giovanni Provana (o
Privana) che ebbe da parte di ġtefan-cel-Mare1 di Moldavia
l‟incarico di costruire una chiesa a Chilia. Per quanto concerne
l‟influsso dell‟arte italiana sull‟architettura dei principati
romeni, questo fu continuo perlomeno fino al XVII secolo,
nonostante l‟afflusso di “materiale umano” dall‟Italia non fosse
sempre costante. In questo caso le testimonianze scritte sono
praticamente inesistenti. Abbastanza antica è la presenza dei
mercanti nei due principati: i più “attivi” furono indubbiamente i
genovesi e i veneziani che, peraltro, avevano fondato colonie
sulle sponde del Mar Nero. Anche nel caso dei mercanti le
testimonianze scritte sono scarse. A partire dal „600, con
l‟ingresso in scena di intellettuali di un certo spessore,
aumentano la quantità e, soprattutto, la qualità della
1
Stefano il Grande.
3
letteratura in materia, in precedenza limitata spesso a un
livello epistolare. In questo senso, la “vetta” è raggiunta, quasi
certamente, nel XVIII secolo con personaggi quali Sestini,
Boscovich e, soprattutto, Del Chiaro che, come vedremo,
rappresenta da molti punti di vista un precursore. I viaggiatori
furono indubbiamente fondamentali veicoli di cultura italiana nei
principati danubiani che nei suoi confronti nutrirono sempre
grande ammirazione. I personaggi che vengono qui presentati, pur
con le comprensibili differenze dovute alle diverse estrazioni
socio-culturali, rappresentano interessanti esempi di questo
fenomeno.
4
Missionari
Nicolò BARSI
Nativo di Lucca, il monaco Nicolò Barsi ebbe l‟opportunità di
recarsi in Moldavia in due occasioni. Per quanto concerne la sua
data di nascita, non abbiamo informazioni.
Giunse in Moldavia una prima volta nell‟estate del 1633,
venendo dalla Polonia e scendendo verso la città di Rădăuţi per
arrivare poi a IaĢi e, una seconda volta, ritornando dalla Crimea,
quando passò per Ciubǎrciu, dirigendosi verso Moghilëv e
Varsavia.
Il lucchese, come afferma all‟inizio della sua relazione, fu
spinto dal desiderio di conoscere i paesi e i costumi degli
“infedeli” e dalla volontà di convertirli.2
La relazione, riguardante i suoi viaggi nel principato romeno,
ha per titolo: “Nuova e vera relatione del viaggio fatto da
Nicolò Barsi da Lucca, nell’ anno 1632 sino all’1639 nelle
parti di Tartaria, Circassia, Abazza3 e Mengriglia, dove si
narrano molti successi strani e curiosi, data in luce
dall’istesso e dedicata al ...”.
In questo suo scritto l‟autore, come sostiene Giurescu,
non manca di fare descrizioni molto dettagliate.4
2
Il viaggio ebbe inizio il 20 maggio 1632 da Venezia.
3
La parola Abazza fu aggiunta in seguito.
4
Pubblicato a cura di C.C. Giurescu con il titolo di Le voyage de Niccolò Barsi en Moldavi (1633) (AA.VV., Mélanges
de l’école roumaine en France, part I, ed. Gamber, Paris, 1925); fu tradotto in romeno, per la prima volta da
5
Dopo un lungo peregrinare, attraverso la Polonia, il monaco
lucchese arriva nel principato romeno:
“Giunti in una villa detta Radauz,5 posta sovra il fiume Prott6 et havendo dormito la notte alla riva di
detto fiume, essendo così l‟usanza di quel paese l‟estate dormir sempre in campagna, caminai
tutto il giorno seguente pure per pianure e colline senza trovare habitazione alcuna, e fui
necessitato dormire anco la notte seguente sovra la riva del medemo fiume, sempre con timore di
ladri, delli qualli quella provincia n‟abonda, e pare che tutti vi naschino con questa inclinazione di
rubare. Alla fine, havendo il seguente giorno caminato da quindeci miglia in circa arivai ad una
cittadella chiamata Stefaneste e quivi stanco mi riposa[i] per tutto quel giorno. Il dì seguente,
caminai sempre vicino al sudetto fiume Prot senza trovar giamai habitazione alcuna, solo che la
sera al tardi arivai ad una villa chiamata Tabor, così detta perché in quel luogo, quando Ottomano
faceva guerra co‟ Pollachi (come habbiamo accenato di sopra), piantato haveva li suoi padiglioni
che in lingua turchesca vuol dir l‟istesso campo di soldati quando stanno a quartiere che Tabor.”7
Successivamente, Barsi fa una descrizione della città di IaĢi,
capitale della Moldavia. Di questa città nomina il monastero di
Galata, che ritiene molto bello; le abitazioni sono fatte di terra
o di paglia mescolata allo sterco, quasi tutte hanno un balcone e
solo le case dei boiari, oltre al palazzo del voivoda, hanno le
tegole. Nella città sono presenti molti stranieri: turchi,
polacchi, francesi, ungheresi, russi, armeni e greci. Non manca
una dettagliata descrizione delle usanze matrimoniali:8
Alexandrina Istrătescu e pubblicato a Chişinău, nel 1933, con il titolo di: Starea nouă şi adevărată a Valahiei, a
călătoriei făcută în anul 1632 pîna la 1639 în Tartaria Circasia Abassa şi Mengrelia unde se povestesc multe stranii şi
curiose, tradus din limba italiană.
5Radauz = Rădăuţi
6
Prott = Prut
7
Ivi, pp. 295 – 297.
8
Ivi, pp. 300 – 301.
6
“Costumano anco, quando si maritano, far banchetti per tre giorni e tre notti continue, dove non si
fa altro che mangiare e bere, ballare, sonare e cantare, imbriacandosi uno con l‟altro; solo la sposa
per il primo giorno non mangia cosa alcuna, ma sempre deve star in ballo con la faccia coperta
sino a notte, in modo che nè anco lo sposo la può vedere sino a mezza notte, quando vanno a
consumare il matrimonio. Quando vanno alla chiesa per sposarsi, la donna sta in ginocchioni
avanti l‟altare con la faccia coperta e l‟huomo in piedi con la beretta in testa; finita poi la ceremonia,
escono dalla chiesa, accompagnati da parenti, li quali vanno sonando diversi instrumenti avanti la
carozza dove và la sposa, et in ogni piazza bisogna che la sposa smonti di carozza e balli con tutti
che l‟invitano. Gl‟altri vanno a cavallo, quando però la sposa è forastiera. Giunti alla casa della
sposa, si cominciano di nuovo li balli, e li vecchi come giovani fanno il loro ballo con la sposa e poi
ciascheduno si pone a tavola a mangiare, dove sono serviti da padroni della casa, e per il primo
giorno lo sposo serve anche lui in tavola. Quando passa un forastiero che essi se n‟accorghino,
l‟invitano a bere, e se quello rifiutasse l‟invito, essi lo prendono per forza in braccio e s‟imbriaca
(stimando esser gran vergogna se uno forastiere partisse da loro senza esser imbriacato); e quello
di poi bestemia e maledice il padrone che l‟hà invitato, in vece di ringraziarlo.”
Anche per quanto concerne le danze e le onoranze funebri,
Barsi è molto preciso nelle sue descrizioni:9
“I Moldavi dunque e tutti habitanti in questa provincia, quando vogliono far qualche ballo, si
pongono li stivali con li ferri a piedi, e li huomini comme donne li portano di diversi colori; le donne
però hanno il ferro al piede alto più di quello degl‟huomini; e, volendo principiare il ballo, suonano
prima diversi instrumenti come violini, sordelline, piffari, tamburi, collascioni con tre corde, e poi si
prendono per la mano un huomo et una donna e fanno una fila lunga e sempre saltano gridando e
battendosi i piedi uno con l‟altro, e, doppo haver saltato un pezzo, si stringono assieme in modo
d‟un cerchio e saltano come di sopra. Quando muore qualcuno sogliono tenerli in casa per lo
9
Ivi, pp. 301 – 302.
7
spazio di tre giorni, massime se è tempo freddo e d‟inverno, e per tutti questi tre giorni non fanno
altro che dare a mangiare sì a poveri come a viandanti, suonando sempre li sopradetti instrumenti
atorno il cataletto o bara del defunto. Compiti li tre giorni, lo portano nel cimiter[i]o della chiesa
suonando le campane con il sacerdote apresso, con molti huomini e donne, le quali vanno tutte
scompigliate, gettando grandissime strida e strapandosi i capelli; dato che l‟hanno sepoltura, la
quale è una semplice fossa sotto terra, e ricoperto il cadavere con la medema terra, tornano a
casa; dove di nuovo si fà banchetto d‟huomini e di donne, e poveri, e ricchi, e d‟ogni sorte di
nazione, e chiamano il prete a benedir la mensa. In questo non mangiano altro che pesce e
dicono che ciò fanno per mostrar mortificazione e malinconia del morto; bevono però del vino e
della birra. Usano ancora quando si va ... o si taglia la testa a qualcheduno, lassarlo per tre giorni
in terra et così ogniuno che passa li puone denari sopra il suo corpo; et con quel denaro si
sepelisce.”
Pare che il monaco lucchese non avesse un‟alta opinione del
popolo moldavo, come dimostrerebbe questa frase:10
“Questi Moldavi sono huomini vili, non vagliono troppo in guerra, ma solo al agricoltura et a
rubbare, del che questa provincia ne hà grandissima abbondanza.”
Il suo primo viaggio in Moldavia si svolse con alcune
interruzioni di pochi giorni; per esempio, rimase quindici giorni
in attesa di persone per formare una carovana in grado di entrare
in Moldavia senza problemi. La descrizione del viaggio porta la
data dell‟anno 1640.
Barsi fu il primo missionario a sostenere l‟origine latina
10
Ivi, pp. 304 – 305.
8
dei romeni. Parlando con alcuni moldavi, egli notò la somiglianza
della lingua romena con quella italiana. Pregò il vicario
arcivescovile di IaĢi di spiegargli questa cosa:11
“Havendo per tanto trascorsa tutta questa provincia, me ne tornai in Iasci, e quivi mi trattenni per
aspettar la caravana apresso ad un padre di S. Domenico, vicario generale di monsignor vescovo
della sudetta provincia di Moldavia, il quale, per esser Italiano della città d‟Osmo, mi vidde
volentieri e, stando un giorno a discorrere insieme con alcuni Vallachi e Perotti, e sentendo io
pronunciar da loro alcune parole latine et anco italiane, pregai il detto padre vicario che mi facesse
favore di dirmi come quella lingua si conformava in alcune parole alla nostra, et egli
cortesissimamente mi rispose, dicendo : Sappiate che, essendo anticamente questa provincia
dishabitata afatto e solo dalla parte del fiume Proth dimorandovi alcuni pochi Russi, l‟imperatori,
volendo castigare li Romani, li mandavano in esilio in questa provincia; quelli, vedendo il paese
assai fertile (con tutto che fusse poco habitato), comminciorono a seminare e posero tant‟affetto a
questo paese, che, essendo rivocati dall‟esilio, non volero giamai più partirsi e ritornare in Italia et,
havendo comercio con li Russi, con Tartari e con Transilvani, con Grechi e con Turchi et altra
gente, che quivi capitava, guastorono la loro lingua italiana e ne composero una diversa, che è una
quint‟essenza di tutte le sopra nominate. E così vedete che hanno alcune parole turche, altre
armene, altre greche et altre italiane, e da qui nasce prima che poi essi cominciarono unitamente
ad habitare vi posero nome Romano, perché Romani furono quelli che principio à questa terra
dierono, anzi che loro istessi godono d‟esser chiamati Romani”.
Barsi morì, probabilmente, dopo il 1640.
11
Ivi, pp. 309 – 310.
9
Altri missionari
Per quanto concerne gli altri missionari, le notizie sono
abbastanza frammentarie anche perché, spesso, non hanno lasciato
scritti riguardo alla loro attività. I successori di Niccolò Barsi
sono: Silverio Pilotti ( ? - dopo il 1640. Frate minore
conventuale. Giunse nei paesi romeni nel 1635.), Giovenale Falco (
? - dopo il 1641. Minore conventuale. Giunse in Valacchia nel
1635.), Benedetto Emanuele Remondi ( ? - dopo il 1643. Giunse in
Moldavia nel 1635 come missionario.), Bartolomeo Bassetti ( ? -
dopo il 1644. Giunse in Moldavia nel 1640, appartenente a
Propaganda Fide, fu vice-prefetto delle missioni.), Angelo Tassi (
? - dopo il 1658. Venne designato come missionario di
Propaganda Fide in Moldavia e Valacchia nel 1652.), Francesco M.
Spera (1625 ? - 1670. Giunse in Moldavia nel 1644 in qualità di
missionario. Nel 1669, divenne prefetto della Valacchia e della
Moldavia e provinciale di Transilvania.), Bernardino Valentini ( ?
- dopo il 1670. Giunse come missionario in Moldavia nel 1650.),
Angelo Petricca ( ? - 1673. Missionario di Propaganda Fide, dal
1632 al 1638, nei principati romeni), Antonio Rossi ( ? - dopo il
1680. Frate minore conventuale. In Moldavia nel 1663.), Antonio
Giorgini ( 1660 ca - dopo il 1691. Missionario di Propaganda Fide.
Giunse in Moldavia nel 1679.), Francesco A. Renzi ( ? - 1697 ca.
Minore conventuale. Giunse in Moldavia nel 1679.).12
12
AA.VV. Călători străini destre ţările române, Editura Ştinţifică, Bucarest, voll. V (1973), VII (1980), VIII (1983).