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INTRODUZIONE
“Omero ci presenta Ulisse come il più saggio dei greci poiché aveva
viaggiato molto e aveva visto città e costumi di molte genti”. Cosi esordisce
Richard Lassels nella sua celebre guida del 1635, An Italian Voyage.
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È indubbio che il viaggio sia, in ogni cultura ed epoca, un‟esperienza
fondamentale dell‟essere umano. Esso rappresenta inoltre uno dei topoi
letterari più frequenti e, proprio per questo motivo, offre numerosi spunti di
analisi.
In questo lavoro si intende indagare il genere della letteratura di viaggio, in
particolare il ruolo che ha rivestito nel Settecento, analizzandone alcuni
registri, temi e punti di osservazione. Non solo vengono prese in
considerazione le osservazioni scientifiche e naturalistiche ma anche
un‟attenzione antropologica alla vita di altri popoli e altre culture, grazie
anche alla nascite delle nuove discipline umano-sociali.
A tal fine si è scelto di prendere in considerazione quattro autori, Samuel
Johnson, James Boswell, Martin Martin e Thomas Pennant, vissuti a breve
distanza l‟uno dall‟altro, che si sono cimentati col medesimo percorso lungo
i sentieri delle Highlands.
Tramite un‟analisi comparativa degli scritti, si è tentato di evidenziare i
punti di contatto e le differenze dei quattro punti di vista, nonché i diversi
approcci stilistici, tra osservazioni empiriche e soggettive.
1
Brilli, Attilio, Quando viaggiare era un’arte: il romanzo del Grand Tour, Il Mulino,
1995, pag. 11.
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Questo studio si rivela anche un‟occasione per approcciarsi in maniera
diversa, laterale, alla figura di Samuel Johnson, celebre nella storia della
letteratura inglese per le sue opere saggistiche, biografiche e poetiche tra le
quali spiccano London, pubblicato nel 1738, Life of Mr Richard Savage,
1744, il racconto filosofico The History of Rasselais Prince of Abyssinia del
1759 ed il suo più grande successo A Dictionary of the English Language
del 1775.
Per raggiungere tale obiettivo si è ritenuto opportuno suddividere il presente
lavoro in due capitoli.
Nel primo si offre una panoramica sul genere della Travel Literature in
relazione agli studi teorici compiuti sul viaggio e le sue diverse fasi:
partenza, transito, arrivo o ritorno. Sull‟ultimo punto si analizzeranno le
diverse teorie di Eric Leed e di Paolo Terzo.
La trattazione verterà sull‟idea del viaggio come scoperta intellettuale grazie
al confronto con l‟alterità la quale, apportando elementi nuovi, costringe a
un riassetto concettuale e ad un allargamento dell‟orizzonte cognitivo.
Una volta chiarite le fasi ed il senso del viaggiare, si è cercato di tracciare i
tratti essenziali del viaggiatore del Settecento, il secolo del Grand Tour.
L‟espressione “Grand Tour” venne coniata da Richard Lassels
2
. Con tale
termine si indicavano i viaggi che, a partire dal diciassettesimo secolo, le
élites culturali del Nord Europa compivano in Italia ed in paesi del sud del
continente.
Piacere dispendioso, riservato ai pochi giovani nobili e ricchi borghesi, che,
oltre che richiedere un‟attenta preparazione ed abilità organizzative,
comportava spostamenti lunghi e disagevoli ed era ricco di imprevisti e non
del tutto privo di rischi; caratteristiche tuttavia, che lungi dallo scoraggiare il
viaggiatore, al contrario aggiungevano al Grand Tour lo stimolo della
2
Brilli, pag.25.
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scoperta delle vestigia di civiltà millenarie, in tempi in cui fioriva e si
diffondeva l'interesse per la storia antica e l'archeologia. La possibilità,
offerta dal lento, inevitabile susseguirsi delle tappe del lungo tragitto, di
contemplare il paesaggio e infine il rapporto diretto con gli abitanti dei paesi
visitati, che permetteva di conoscere i vari costumi ed usi delle popolazioni
e di scoprire la ricchezza di un patrimonio riguardante ogni aspetto del
vivere umano, dall'artigianato alla gastronomia, dalla moda al canto
popolare, sono i fini ultimi del viaggio settecentesco.
In particolare nel Settecento si sottolineavano gli effetti benefici che
l‟intensificazione dei viaggi avrebbe potuto produrre sulla fisionomia
culturale dell‟intera Europa, estendendo lo spirito delle persone, elevandolo,
arricchendolo di conoscenze, guarendolo dai pregiudizi nazionali.
L‟osservazione diretta, empirica suggerita già da Bacone, divenne un mezzo
per considerare anche la propria realtà collocandola in un contesto più
ampio. Apprendere le diversità doveva costituire un arricchimento che
avrebbe inciso sulla stessa capacità e qualità della rappresentazione
letteraria, nonché sull‟immaginario dello scrittore stesso.
La letteratura di viaggio del periodo assume quindi un carattere
documentaristico. Le reazioni, i gusti, i pareri troppo personalistici sono
banditi. Prevalgono le descrizioni di luoghi e cose in uno stile oggettivo e
accurato che si propone come lo specchio fedele della realtà prendendo le
distanze dallo sfogo memorialistico e dalla predominanza del narratore,
atteggiamenti che saranno tipici dell‟ultima parte del secolo e poi
dell‟Ottocento. Nei diari, cronache, relazioni, guide ed opere epistolari di
quel secolo, scarseggia il gusto dell‟aneddoto salottiero, la notazione di
sentimento o personale, mentre predomina il desiderio di oggettività del
resoconto. La lettera ed il diario in particolare costituiscono una scelta tra le
preferite in quanto consentono uno stile discorsivo, piano e alieno da
ricercatezze; autorizza a saltare da un argomento ad un altro grazie alla
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presenza di un interlocutore spesso fittizio e comporta l‟idea di una scrittura
immediata, contemporanea alla stesura che era garanzia di veridicità.
Nel secondo capitolo vengono messe a confronto le quattro opere
considerate evidenziando le analogie e differenze tra osservazioni empiriche
e punti di vista soggettivi, tenendo in considerazione i diversi momenti in
cui sono stati redatti i diari di viaggio e la differente origine e radice
culturale degli scrittori.
Dopo aver chiarito le motivazioni che hanno spinto Martin, Pennant,
Johnson e Boswell ad intraprendere un Tour attraverso la Scozia e alle Isole
Ebridi, vengono analizzati i diversi approcci stilistici dei rispettivi resoconti
di viaggio.
Il capitolo viene suddiviso in due parti che prendono in considerazione due
delle categorie oggetto di narrazione nelle opere considerate: la terra e il
popolo. Nella prima, passando in rassegna le città ed i paesaggi osservati, si
mettono in evidenza le sensazioni e le considerazioni personali di ciascun
autore circa l‟architettura, la terra stessa, la sua topografia, le pianure, i
monti e i fiumi, le vedute naturali notevoli e le risorse naturali.
Nella seconda sezione vengono descritti il temperamento della popolazione,
i suoi usi e costumi, l‟abbigliamento, la dieta, le lingue, la religione e in
generale il modo in cui viveva.
In particolare Johnson si focalizzerà sull‟istruzione, o ignoranza, del popolo
scozzese e sulla questione concernente la veridicità dei Canti di Ossian, a
parere di Boswell, fine ultimo del viaggio dello stesso Johnson.
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CAPITOLO I
1.1 La cultura del viaggio
Viaggiare e spostarsi da un luogo all‟altro sono azioni di tutti i giorni, di
tutte le epoche, razze e culture: un elemento costante dell‟esperienza umana.
Come osserva Eric J. Leed nel suo libro La mente del viaggiatore.
Dall'odissea al turismo globale pubblicato nel 1992, il viaggio ha da sempre
avuto una forte carica metaforica. È, in tutte le culture del globo, un giardino
di simboli con cui si esprimono transizioni e trasformazioni di ogni genere.
Si è attinto all‟esperienza della mobilità umana per esprimere il significato
della morte (trapasso), la struttura della vita (cammino), per illustrare i
mutamenti della situazione sociale (riti di passaggio) e persino per indicare
il movimento attraverso una parte di testo (un passo). Il viaggio, almeno
nelle tradizioni culturali dell‟occidente, è un paradigma dell‟esperienza
autentica e diretta.
Ma, a differenza di quanto accade nella vita, il viaggio, come il racconto,
affida al soggetto il compito della progettazione dell‟itinerario scandito in
tre momenti, la partenza, la meta, il ritorno. Tali fasi corrispondono a quanto
dice Aristotele
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di ogni narrazione, che deve avere un inizio, un mezzo, una
fine.
Eric J. Leed, nel suo studio, al momento del ritorno, sostituisce quello
dell‟arrivo.
Come spiega nel suo libro, gli effetti del viaggio cominciano con il suo
primo termine, la partenza. Si tratta sempre di una separazione che esige che
l‟individuo si lasci alle spalle molto di ciò che prima aveva definito la sua
identità civile. Partire è infatti il distacco da un luogo noto, una separazione
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Poetica ( 334- 330 A.C.), cap.VII, ed. Piccola Biblioteca Einaudi, 2008, pag. 27.
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da legami e condizioni in qualche misura stabilizzati. L‟origine rimane a una
distanza che continua ad aumentare nel corso del viaggio e nella memoria
costituirà un bagaglio identificativo residuo però più autentico o idealizzato
dalla nostalgia rispetto a quanto si è effettivamente abbandonato. Partire è
rinunciare a una parte di sé, destinata a rimanere indietro.
Con la partenza, il mondo diviene uno schieramento di oggetti, manufatti ed
esemplari il cui significato è misterioso per l‟estraneo e deve essere
decodificato sulla base delle apparenze. Allontanandosi e cambiando
prospettiva, l‟individuo può arrivare a vedere la civiltà nella quale è nato
come un fenomeno unificato e descrivibile: “quando uno è al di fuori di
qualcosa, quel qualcosa diventa una sostanza; quando invece uno vi è
dentro, è un mezzo. Il nativo non vede dall‟interno le cose allo stesso modo
perché nella sua mente non può vedere la totalità”
4
.
Il transito è per definizione temporaneo; esprime ciò che bisogna superare e
lasciare. Ma esso costituisce il corpo stesso del viaggio, sia perché rispetto
alla partenza e all‟arrivo è effettivamente la fase del movimento e del
trasporto, sia perché “ha in sé il senso di ciò che il viaggio è nella maggior
parte dei casi: esplorazione, ricognizione, visita, quando cioè comporta il
ritorno, e dunque collega e prevede di reiterare partenza e arrivo. Nel
transito partenza e arrivo si ripetono continuamente.”
5
4
Leed, Eric J., La mente del viaggiatore. Dall'odissea al turismo globale,Il Mulino,
Bologna 1992, pag. 64.
5
Leonardo Terzo, Critica dell’erranza: navigare in rete e la filosofia del
viaggio, pp. 73-87, in Nerozzi Bellman P. , Marra V., Il viaggio e la scrittura
a cura di Patrizia e Vincenzo Matera , Napoli, L'ancora del Mediterraneo,
2003, pag.78.
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L‟arrivo è il momento in cui il viaggiatore porta a compimento la mutazione
iniziata durante il transito e si trasforma in straniero. Ora la condizione di
estraneo implica un confronto, se non un conflitto, con il luogo e la società
in cui si è pervenuti e una condizione di debolezza. L‟arrivo comporta una
ristrutturazione del sé e l‟inizio di una fase nuova, di adattamento al nuovo
ambiente, naturale e sociale.
I procedimenti dell‟arrivo sono importanti non soltanto per ciò che rivelano
dei legami e delle identificazioni sociali dei quali è reso partecipe l‟estraneo,
ma anche perché si tratta di avvenimenti che creano strutture di luogo.
Come scrive infatti Eric Leed:
le architetture del luogo sono un‟elaborazione e strutturazione
dell‟umanità che le attraversa, un‟elaborazione materiale degli
scambi, incontri e tecniche di esclusione che creano spazi
privati, che non devono essere raggiunti dagli sguardi degli
estranei. Il luogo ordinato, città, villaggio, è solo una
materializzazione della sua realtà intrinseca, di quei rapporti,
identità e comportamenti che lo formano
6
.
Gli arrivi sono classicamente una strutturazione delle interazioni umane che
genera i criteri delle identificazioni, che a loro volta fissano e perpetuano le
differenze tra culture.
Leonardo Terzo
7
, nel suo saggio Critica dell’erranza: navigare in rete e la
filosofia del viaggio, esamina il momento del ritorno.
6
Leed, pag. 112.
7
Leonardo Terzo, Critica dell’erranza: navigare in rete e la filosofia del viaggio, pp.73-87,
in Nerozzi Bellman , pag.81.