5
raggiungere la meta. Il viaggio non è mai facile, ma nonostante questo
l’uomo medievale può essere considerato un “uomo in cammino”, in
un’epoca anch’essa in continuo movimento ed espansione. Il
pellegrinaggio, ad esempio, la testimonianza più concreta e conosciuta
dell’Itinerarium medievale, è un viaggio che esemplifica l’andare stesso
dell’umanità, in una vita intesa essa stessa come cammino. L’uomo
medievale avverte il senso dell’infinito, della completezza, della totalità.
Lentamente, quest’uomo tende a lasciare la famiglia, la parrocchia o la
città, dirigendosi verso mete lontane per raggiungere luoghi di culto o di
scambio. A testimonianza di questi viaggi, - Itinera e Passagia - così
erano chiamati -,
1
ci restano numerose fonti, cronache, resoconti, diari da
cui possiamo dedurre le difficoltà, le paure, le speranze di coloro che
viaggiavano.
1
L. Gatto, Le Crociate, Milano, Tascabili Economici Newton, 1994 p.12
6
LE STAGIONI
Le condizioni del viaggio rimasero, in Europa, in gran parte immutate
dall’Antichità fino all’Epoca Moderna:
2
la stagione preferita per mettersi
in viaggio era l’estate; il clima è mite e le ore di luce a disposizione sono
maggiori che in primavera e in inverno ( sino a sei ore in più nelle regioni
centrali dell’Europa ). I valichi alpini diventano praticabili, mentre in
mare, i venti costanti favoriscono la navigazione sul Mediterraneo
(proprio all’inizio dell’estate, pellegrini e crociati s’imbarcavano alla
volta di Gerusalemme). In estate è possibile trovare più facilmente
alloggio e vitto o anche dormire all’aperto.
In autunno le condizioni per viaggiare sono ancora buone, migliori che in
inverno o in primavera, quando le piogge o le nevi e i venti forti
impediscono sia il cammino, sia la navigazione: durante la stagione
autunnale le ore di luce a disposizione sono ancora numerose, e, a causa
delle vendemmie e delle mietiture, le strade risultano maggiormente
frequentate e relativamente sicure. Anche in inverno, specie nei paesi del
Nord, sfruttando per esempio i fiumi gelati, il viaggio era possibile:
tuttavia la navigazione era sconsigliata per il pericolo di improvvise
tempeste che mettevano a repentaglio nave (e relativo carico) ed
equipaggio. Viaggiare via terra in inverno era tuttavia difficoltoso, sia per
2
P. Schreiner, Viaggiatori a Bisanzio, il diplomatico, il monaco, il mercante, in Atti del V
convegno internazionale di studi dell’Associazione per il Medioevo e l’Umanesimo Latini,
Genova, 1991, p. 30
7
la rigidità del clima, sia per la cattiva condizione delle strade, battute da
pioggia, neve e venti gelidi. Via mare, la navigazione era sconsigliata
dalla metà di settembre fino a marzo e chi viaggiava lo faceva a suo
rischio e pericolo. In primavera le condizioni climatiche miglioravano, le
ore di luce aumentavano, la neve si scioglieva anche nelle regioni più
settentrionali, il foraggio per gli animali diventava più reperibile ma le
piogge, spesso abbondanti, creavano disagi ai viaggiatori, riempiendo di
fango le strade, mentre le nevi sui valichi, a causa degli improvvisi
scioglimenti, potevano risultare molto pericolose
3
. E’ proprio a tarda
primavera che gli eserciti si mettono in viaggio, e i re e gli imperatori
convocano le proprie truppe (l’esercito Franco fu convocato nel 755 ad un
“campo di marzo”)
4
facendo affidamento sulle migliori condizioni
climatiche e sull’abbondanza di cibo e foraggio (non dimentichiamo che
la maggior parte dei combattenti per tutto l’Alto Medioevo era costituita
da cavalieri che dovevano procurare il sostentamento ai propri cavalli). Le
ore di marcia coincidevano con le ore di luce a disposizione. Ci si alzava
di buon mattino e dopo la colazione e le orazioni ci si metteva in
cammino. Era importante giungere prima del tramonto in prossimità di
qualche ospedale o luogo di ricovero, per evitare di passare la notte al
buio. La notte era infatti il momento di maggior pericolo e insicurezza: ci
si poteva imbattere più facilmente in malfattori e in bestie selvatiche.
5
In
Europa viaggiare era ed è tuttavia più facile: non vi sono cicloni tropicali
3
N.Ohler, I viaggi nel Medioevo, Milano, Garzanti, 1988, pp. 28-37
4
Vedi N.Ohler, Op.cit., p.28
5
G. Cherubini, Santiago di Compostella il pellegrinaggio medievale, Siena, Protagon editori,
1998, p. 180
8
o siccità catastrofiche come in Africa o Asia, non esiste la malattia del
sonno, trasmessa dalla mosca tse-tse, la malaria è poco diffusa e i
terremoti raramente hanno effetti catastrofici.
6
Insomma le condizioni
climatiche, territoriali e ambientali dell’Europa favorirono gli spostamenti
dell’uomo medievale: bisognava solo decidere se viaggiare via mare o via
terra.
VIAGGIARE VIA TERRA E VIA MARE
Nell’Alto Medioevo le condizioni delle strade erano alquanto precarie:
viaggiare via terra era un impresa difficile e pericolosa.
La manutenzione stradale risultava pressoché assente a causa del ristagno
economico dei traffici di scambio, e il rischio del brigantaggio era alto.
Durante il corso dei secoli, le caratteristiche dell’ambiente naturale -
passi, valli, paludi – hanno determinato la costruzione delle vie di
comunicazione.
7
Le strade erano strette e quasi sempre costruite al di
sopra dei fondovalle onde evitare le piene dei fiumi e l’aria malsana.
8
Inoltre viaggiare lungo i crinali o le pendici delle colline assicurava un
maggior controllo visivo del territorio circostante.
9
E’ anche vero che in
molti casi, ma non sempre, le vie o strade medievali ricalcavano o
6
N. Ohler, Op.cit., p. 27
7
G. Cherubini, Op.cit., p. 109
8
N. Ohler, Op.cit., pp. 51-52
9
seguivano gli antichi percorsi romani. Così le vie del pellegrinaggio, per
esempio, sono anzitutto le strade costruite dai romani: la “Viarum
Regina” o Via Appia, che è la prima strada verso Gerusalemme, oppure la
Via Aurelia o la Via Claudia Augusta, che portano oltralpe.
10
Con la
rinascita del commercio e dei traffici ( XI sec. ) si moltiplicarono anche
gli interventi per la creazione o la manutenzione di nuove e antiche strade
da parte dei poteri laici o ecclesiastici, che coincisero con il
miglioramento delle condizioni di viaggio dei viaggiatori: migliori strade,
migliori animali da sella e da tiro, migliori carri, numero di ponti in
progressivo aumento e soprattutto maggior facilità di trovare nutrimento
nei centri più raggiungibili. Monarchie, signorie territoriali, governi
cittadini e vescovadi s’impegnarono a costruire ponti, luoghi di
accoglienza, a rendere i fondi stradali meno accidentati, a ridurre i costi e
ad abolire pedaggi e gabelle, a combattere il brigantaggio, per facilitare
gli spostamenti di uomini e merci. Sorsero strade quali la Via Francigena,
per esempio, che univa i maggiori centri di devozione d’Europa, utilizzata
anche per scopi commerciali, o la Germanica, o quella per Santiago detta
“Camino”. Nello stesso tempo, lungo queste vie si edificarono anche
chiese, monasteri, abbazie, e più tardi locande, dormitori e ospizi a
testimonianza delle migliorate condizioni di viaggio e dell’aumentare del
flusso dei movimenti.
Quale bagaglio portavano con sé questi viaggiatori-avventurieri
medievali?
9
G. Cherubini, Op.cit., p. 111
10
F. Sisinni, In viaggio: pellegrinaggi e giubilei del popolo di Dio, Roma, Città Nuova, 1998, p.
61
10
Per chi andava a piedi ovviamente il meno possibile: un bagaglio
ingombrante e pesante rallentava la marcia, già difficile in condizioni
normali. Si parte così come ci si veste nel proprio paese. Un mantello, che
serve anche per coperta, un bastone ed un cappello oltre che una borsa per
conservare il denaro ( chi ne possiede ) e carte di riconoscimento sono alla
base dell’equipaggiamento dei pellegrini medievali. Durante l’età aurea
dei viaggi dei missionari in Oriente, il papato emanò provvedimenti a
favore di questi ultimi: si permise ai frati di lasciarsi crescere la barba e i
capelli ed indossare l’abito dei mercanti, più comodo ed adatto allo scopo.
Più tardi compariranno persino abiti come pellicce o cappotti foderati.
11
A
ciò si potevano aggiungere utili accessori quali la pietra focaia o un
coltello da tavola utili per cucinare all’aperto. Come nutrimento ci si
accontentava di pane e formaggio, frutta secca e acqua conservata in
brocche di coccio od otri di pelle di poco peso.
12
Il mezzo più veloce per
viaggiare era sempre il cavallo per chi poteva permettersene uno e
provvedere al suo sostentamento: solo i ricchi e i nobili o gli ecclesiastici
di alto rango godevano di un tale privilegio. Ma la vera paura del
viaggiatore, specie di colui che viaggia a piedi, è quella di perdersi, di
vagabondare senza nessun aiuto, senza riparo dalle nebbie e dentro fitti
boschi: la paura della solitudine, di cadere vittima d’imboscate ( ordite da
vere proprie bande di briganti ) o peggio ancora. Ecco perché si cercava di
viaggiare con altri compagni evitando gli orizzonti chiusi, i valloni
impenetrabili, le paludi, dove si rischiava di girare in tondo per ore,
accrescendo la tensione ed il disagio, al punto che si preferiva la pur
11
J. P. Roux, Gli esploratori nel Medioevo, Milano, Garzanti, 1990, pp. 162-163
11
penosa e faticosa ascensione lungo strade in alta quota verso i passi alpini
e pirenaici, che offrivano una strada relativamente sicura e da seguire fino
alla fine senza sbagliarsi.
Per via d’acqua si viaggiava più rapidamente, sfruttando le correnti ed i
venti favorevoli, oltre che più a buon mercato. Le merci pesanti come
sale, grano, vino infatti venivano trasportate via nave a prezzi
convenienti. Gli Arabi attuarono la loro conquista sfruttando il mare
Mediterraneo, che resero insicuro con le loro scorrerie.
13
Le città
marinare traevano vita dal mare che i loro mercanti e soldati solcavano.
Le navi più usate nel Mediterraneo erano le galere a remi e a vele, i
velieri, presto soppiantate, specie nel Baltico e nel Mare del Nord, dalle
cocche, più veloci e dalla stiva più ampia.
Nonostante le innovazioni tecniche e marittime, viaggiare per mare era
tuttavia molto pericoloso e fastidioso: incappare in una tempesta ( e fare
naufragio ) o peggio nei pirati era un rischio più che mai reale cui si
aggiungevano le cattive condizioni di viaggio, specie per i meno abbienti,
alla mercé di topi, di cattivi e nauseabondi odori e al continuo cigolio
della nave. Possiamo cercare di capire cosa si provasse ad attraversare il
mare in quelle condizioni dagli stessi viaggiatori, che nelle numerose
testimonianze di viaggio giunte a noi, non perdono l’occasione per
lamentarsi dei tremendi disagi della traversata. Per mare si poteva
incappare in predoni e pirati: mussulmani o cristiani che fossero non ci si
poteva aspettare niente di buono. Una cronaca di Lubecca del 1453
riferisce che una nave con 300 pellegrini, di ritorno dalla Terrasanta cadde
12
N. Ohler, Op.cit., pp. 56-57
12
in mano saracena: grande fu l’eccidio perpetrato dai “ malvagi “ infedeli
nei confronti dei cristiani.
14
E non è l’unico caso registrato nelle fonti. Un
altro pericolo in agguato per i marinai come per chi viaggiava in loro
compagnia, erano le epidemie, frequenti in caso di lunghi viaggi e lunga
permanenza in mare aperto: carenze alimentari, acqua infetta e cattive
condizioni igieniche davano spazio a scorbuto, tifo e anche peste. Lo
scorbuto si rivelò particolarmente mortale per gli equipaggi per la
mancanza di vitamina C contenuta nella frutta e verdura fresca.
L’equipaggio di Vasco de Gama, durante il suo viaggio verso le Indie
Orientali, fu decimato da questa malattia: più di trenta uomini morirono
nel viaggio di andata e così nel ritorno.
15
L’azione risanatrice e preventiva
degli agrumi fu riconosciuta solo a partire dalla metà del XVIII secolo. Da
allora in poi tutte le navi furono provviste di succo di limone. Gli
innumerevoli disagi, sia per mare sia per terra, non fermarono gli uomini
dall’intraprendere il cammino: la loro sete di conoscenza o di profitto era
ed è più forte di ogni rischio.
13
N. Ohler, Op.cit., p. 65
14
N. Ohler, Op.cit., p.79
15
N. Ohler, Op.cit., p. 79-80
13
VIAGGI IN MONTAGNA
Chi si recava dalla Francia verso la Spagna o dalla Germania all’Italia, e
viceversa, doveva affrontare Alpi e Pirenei che si ergevano come
catenacci impenetrabili. Le condizioni, in alta montagna, erano più
difficili che altrove: freddo, improvvise bufere, neve o bestie selvatiche
erano i pericoli in agguato. Ma in montagna l’acqua scorre in abbondanza
così come non mancano i boschi dove ripararsi. Inoltre con l’aumentare
dei traffici si moltiplicarono gli insediamenti specie a ridosso dei passi,
con la possibilità di trovare vitto e riparo dalle intemperie. Anche i banditi
erano in agguato, favoriti dal terreno accidentato: nell’IX e X secolo pirati
Saraceni costituirono una testa di ponte a Frasne, sulle Alpi marittime
francesi, terrorizzando con le loro scorrerie la valle del Rodano e la
Borgogna.
16
Il costante senso di solitudine pervade il viaggiatore che sale
ad alta quota, misto ad una sensazione di impotenza di fronte alle forze
della natura, lungo orizzonti privi di qualsiasi rifugio. La sinistra fama
dell’alta montagna era accresciuta anche da strane e misteriose leggende
riguardo gli abitatori dei monti e dei boschi, che spiavano di nascosto i
viaggiatori: è qui che nasce la paura e la sgradevole sensazione di essere
osservati, presente nei resoconti di viaggio. Dell’ossessiva paura di
viaggiare in montagna ( che peraltro durerà ben oltre il Medioevo ) è
testimonianza l’atto di fondazione dell’ospizio di Roncisvalle ( 1127-1132
16
N. Ohler, Op.cit., p.179
14
), il quale ci riferisce i racconti degli abitanti della zona riguardo le “molte
migliaia di pellegrini, morti soffocati dalle tormente o morti assaliti e
divorati vivi dai lupi”.
17
Viaggiare in alta montagna non era dunque una
passeggiata, non solo per il fisico ma anche per la mente: da qui la
necessità di sfruttare al meglio i passi alpini. Uno dei più importanti era il
Brennero, situato a 1371 metri di altezza, praticabile anche in inverno, che
nei secoli precedenti era servito come principale via d’accesso delle
popolazioni barbare verso l’Italia. Altri passi nelle Alpi Occidentali erano
il Moncenisio, il Gran San Bernardo e il Monginevro, che “smistavano” i
pellegrini diretti a Roma, e i passi svizzeri dello Julier Pass e del Septimer
Pass, da dove scendevano gli eserciti imperiali tedeschi. Spesso, come
abbiamo già sottolineato, lungo i percorsi che portavano ai passi, si
costruivano ospizi, priorati, locande, al fine di offrire riparo ai vulnerabili
viandanti. Al passo del Moncenisio, prima di giungere all’ospizio fondato
in epoca carolingia, i viaggiatori avevano la possibilità di ristorarsi al
casale della Tavernetta, dove secondo quanto afferma un pellegrino
francese diretto a Gerusalemme nel 1536, “vi sono taverne e buon
vino”.
18
Per l’attraversata dei Pirenei, i viandanti si dirigevano sul
Somport d’Aspe o a Roncisvalle, sedi entrambi di importanti ospizi. Le
fonti ci parlano spesso degli attraversamenti dei “grandi” della storia, che
viaggiavano con un imponente seguito e le migliori guide: la “gente
comune” viene citata solo di rado e molti erano i viaggiatori o pellegrini
che precipitavano nei burroni o morivano di freddo e fame e che venivano
ritrovati solo dopo lo scioglimento dei ghiacci, a primavera inoltrata.
17
G. Cherubini, Op.cit., p. 200