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necessario operare una selezione per poter meglio spiegare le valenze antropologiche
sottese a questo personaggio.
Ma chi era dunque Medea? Inserita nel ciclo mitico degli Argonauti2 la storia di
Medea prende avvio a Iolco in Tessaglia nel momento in cui Giasone e i suoi 55 mitici
eroi si mettono in gioco nella conquista del Vello d‟oro. Qui Medea, sotto l‟impulso di
Eros e Afrodite, aiuta con i suoi phármaka3 l‟impresa di Giasone. Fa dunque la sua
prima apparizione in questo senso, identificandosi con quanto è affermato dalle fonti
tradizionali4 e stagliandosi secondo una definizione di donna che per amore verso l‟eroe
arriva a compiere azioni riprovevoli, ma che in realtà è solo una donna, inserita in una
società non sua, che ama alla follia un uomo e che di fronte all‟amore tradito si sente
umiliata e abbandonata tanto da commettere il più orrendo dei delitti, l‟infanticidio.
Tale è dunque l‟impianto sul quale autori e registi, sia teatrali che
cinematografici hanno impostato le loro rivisitazioni di un personaggio che al giorno
d‟oggi è arrivato a costituire una sindrome definita da Marie-José Bataille come
‹‹l‟ensemble des pulsions inconscientes ayant pour objet la destruction […] de l‟enfant
[…] par sa mère››5.
Dunque una donna, maga, moglie, amante, rivale di un‟altra donna, infanticida
che continua a destare la curiosità di un mondo votato alla razionalità in cui ella si
inserisce con forza quasi a dover far prevalere la propria identità che sconosciuta a sé
stessa la fa sentire barbara, a tal punto che arriva a meditare una vendetta non spiegabile
a parole e che si attesta ad essere ancora uno dei punti che più la caratterizzano. Alla
luce di quanto affermato dunque, l‟eroina si pone in una condizione sempre di fuga,
vuoi per un lato del suo carattere, vuoi per un altro non riesce a controllare le proprie
azioni e in ogni luogo in cui si trova ad agire quello che la precede è la paura di lei per il
fatto di essere barbara.
2
Le fonti maggiori dell‟antichità, per questo ciclo mitico sono Le Argonautiche di Apollonio Rodio e Le
Argonautiche di Valerio Flacco.
3
La parola phármakon in greco classico, significa al tempo stesso il veleno e il suo antidoto, il male e il
rimedio, e, infine, qualsiasi sostanza capace di esercitare un‟azione estremamente favorevole o
sfavorevole a seconda dei casi […] Il phármakon è la droga magica o farmaceutica di cui gli uomini
comuni devono lasciare la manipolazione a coloro che godono di conoscenze eccezionali (R. Girard, La
violenza e il sacro, Adelphi, Milano 1986, p.131).
4
Pindaro, IV Pitica, 213.
5
M.-J. Bataille, Peut-on parler d‟un complexe de Médée?, in Angoisse et Divination. IerCongrès
International de Mythologie et Psychoterapie, Paris-Delphes 25-31 Août 1988.
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Il suo essere barbara quindi, è forse il carattere più interessante dal punto di vista
antropologico e pertanto può essere assurto come primo punto di inizio di questo
viaggio che ci si è preposti di fare. Chi era dunque Medea? Perché è considerata da
qualsiasi studioso come una donna in terra straniera? Ѐ difficile dare una spiegazione
sintetica di ciò anche perché le motivazioni di ogni singolo studioso sono totalmente
differenti tra loro. Ciò che le accomuna e, con Euripide raggiunge il suo massimo
splendore, è la critica alla società ateniese in primis e in senso più ampio a quella greca.
Una società che subordina il ruolo della donna rispetto a quello dell‟uomo, una società
che relega la donna a poche semplici funzioni6; è il caso di citare, a titolo di esempio il
ruolo di Aspasia ad Atene, donna innamorata di Pericle, ma mai sua moglie, mai
cittadina ateniese e sempre straniera, seppure godesse di una stima quanto mai elevata
per una donna7. Il discorso riguardo la società ateniese è altresì talmente ampio che una
trattazione nei minimi particolari, con ovviamente i limiti di spazio di una tesi, non
sarebbe sufficiente per spiegare quali dovevano essere le norme e le regole che tanto
fermamente Euripide critica.
Ed è proprio da Euripide che il lavoro di tesi ha origine. La tragedia di Medea
come spiegazione di una più ampia caratterizzazione antropologica della subordinazione
dei sessi, della netta separazione di genere. Una tragedia che al suo interno richiama
tutti i più classici spunti degli antropologi dei giorni nostri, e ai quali ci si rifà quando
viene preso in considerazione il conflitto identità – alterità. Conflitto che già ai tempi di
Euripide8 era considerato uno dei più importanti per capire quali fossero le mansioni
nella società della donna e dell‟uomo. L‟una incubatrice di nuovi opliti, l‟uomo invece
eroe della patria che aveva il compito di portare avanti la propria stirpe. E proprio
contro questo schema che Euripide, attraverso le parole di Medea, ci fa conoscere il suo
pensiero. Uno schema, che come si vedrà, non era del tutto congeniale al tragediografo.
Una novità questa che porta Euripide a criticare la polis e soprattutto a criticare
Giasone, marito fedifrago.
6
Cfr. Nicole Loraux, Le madri in lutto, Laterza Roma-Bari, 1991.
7
Cfr. Aspasia, la straniera, l‟intellettuale in N. Loraux (a cura di), Grecia al femminile, Laterza Roma-
Bari, 1993.
8
La tragedia è scritta nel 431 a.C, nel periodo d‟oro della polis.
Viaggiare altrimenti: uno sguardo antropologico al mito di Medea | 8
In questo senso diventa imperante una domanda: che cosa c‟è nella trattazione
euripidea che la fa essere il modello privilegiato per qualsiasi riscrittura? Perché Medea
è vista sempre sotto gli occhi del tragediografo e mai in quelli delle trattazioni
antecedenti? Una risposta potrebbe forse essere attestata su una motivazione
utilitaristica in quanto la tragedia di Euripide è l‟unica ad essere giunta completa fino ai
giorni nostri. Ecco dunque che, nell‟immaginario collettivo, l‟idea che si potesse trattare
della descrizione più efficace risulta essere la cifra entro la quale essa viene ripresa in
qualsiasi luogo e in qualsiasi tempo, quasi a voler consacrare l‟immagine dell‟eroina
presentata dal drammaturgo ateniese. Ma c‟è di più: Medea, tramite Euripide, diventa il
veicolo entro il quale proporre una critica alla società greca, così dannatamente
patriarcale che non lasciava spazio all‟identità femminile.
La prova di quanto affermato sembra attestarsi anche nella volontà della
tradizione latina di non porre come nodo centrale l‟infanticidio ma la sfera amorosa che
assume, nella tragedia di Seneca, l‟espressione di una vita votata al proprio uomo. Una
vita che si vedrà non rappresenta più nulla per Medea, costretta alla sua condizione di
esule dopo essere stata abbandonata dal proprio marito e obbligata all‟esilio dal bando
della città di Corinto. Una donna in preda dunque all‟ira e al furore, che abbandonati i
panni della barbara venuta da lontano si attesta ad incarnare la condizione di moglie e
madre.
Tali sono i modelli a cui scrittori, poeti, pittori, drammaturghi hanno attinto dal
Cinquecento fino ai giorni nostri. Uno classico, greco, e l‟altro, di impronta più
vendicativa, romano. Pertanto il viaggio a questo punto si trova di fronte ad un bivio.
Quali delle due strade scegliere? Da una parte c‟è una Medea, infanticida, che commette
il più efferato dei crimini, dall‟altro invece c‟è una Medea, tutta concentrata nella
vendetta. Non è di certo una decisione facile ma studiosi e scrittori teatrali si sono
orientati chi sull‟uno, chi sull‟altro aspetto del personaggio mitico. Si basti citare
Ludovico Dolce9 in merito alla trama euripidea e invece Pierre Corneille10 riguardo a
quella senecana.
9
Ludovico Dolce, Medea, 1557.
10
Pierre Corneille, Médée, 1635.
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Dopo Corneille, Medea è stata rappresentata di volta in volta in una pluralità di
definizioni che l‟hanno elevata ad eroina di un femminismo tutto particolare che trova la
sua massima espressione nel capolavoro di uno dei più discussi registi degli ultimi anni
del XX secolo: Pier Paolo Pasolini.
Le mosse da cui prende avvio il cinema di Pasolini si giocano tutte in una
volontà del regista di mettere su schermo le ansie e le paure di un mondo rigettato dalla
società moderna, in cui il diverso costituisce l‟emblema di quella dicotomia tra mondo
barbarico e mondo razionale, greco, che si può trasporre anche in una dimensione più
psicologica dell‟autore, esplicabile nella ‹‹nostalgia della simbiosi con il corpo della
madre››11 (Carotenuto, 1985) . Un cinema in sintesi, che si staglia su due orizzonti
differenti, un cinema in cui il sacro si connette alla matrice documentaria, imperante
nell‟antropologia del tempo.
In questo dunque, coerentemente con la sua stessa impostazione di uomo isolato,
la barbarie diventa il mezzo attraverso il quale spiegare le motivazioni dei gesti di
Medea, nel più diretto confronto con il mondo del suo uomo, quello greco mai
auspicabile e mai raggiunto dall‟eroina che arriva alla conclusione del film ad una
lucida consapevolezza: l‟uccisione dei figli come il più chiaro esempio di una vendetta
nei confronti del marito traditore di quella promessa fattale anni prima. Il film Medea si
attesta dunque in questa cornice come una dicotomia tra il mondo ieratico e arcaico,
quasi sacro di Medea, e il mondo di Giasone, razionale e mosso da un cinismo dettato
dall‟ambizione di elevarsi socialmente.
L‟esperienza di Pasolini nella Medea risulta pertanto indicativa di come si
possano sintetizzare due culture, quella greca e quella degli stranieri, universalizzandole
nei termini di un conflitto antropologico. Due culture, che nel viaggio mitico intrapreso,
sono sempre in contraddizione tra loro, sono sempre l‟una di fronte all‟altra nella
dicotomia maschile – femminile.
Allora viene in mente una domanda imperante da fare: che cosa viene preso così
in considerazione di questa dicotomia? Perché si tende a parlare di ‹‹genere fuori
11
Cfr. Carotenuto A., L‟autunno della coscienza. Ricerche psicologiche su Pier Paolo Pasolini, Bollati
Boringhieri, Torino, 1985.
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genere››12? L‟‹‹operatore femminile››, così definito da Nicole Loraux13, viene così ad
identificarsi come una paura di confusione tra i due sessi. Si viene di nuovo a creare
quel misticismo che corre dietro la definizione dei ruoli dell‟uomo e della donna. Tale è
pertanto il nodo da sciogliere nel viaggio senza ritorno che la rappresentazione teatrale
del Novecento, e in particolare con Corrado Alvaro, ci appare come fondante di una
società in cui la nozione di gender tende a diventare espressione dell‟isolamento del
personaggio e accentuazione della disperata solitudine in cui matura la decisione
estrema. La spiegazione del concepimento della sua Medea è spiegata dalle parole
stesse di Alvaro:
Medea mi è parsa un‟antenata di tante donne che hanno subìto una persecuzione razziale, e
di tante che, respinte dalla loro patria, vagano senza passaporto da nazione a nazione,
popolano i campi di concentramento e i campi di profughi. Secondo me, ella uccide i figli
per non esporli alla tragedia del vagabondaggio, della persecuzione, della fame: estingue il
seme di una maledizione sociale e di razza, li uccide in qualche modo per salvarli, in uno
slancio disperato di amore materno (cfr. Alvaro1950)14.
L‟opera di Alvaro si inserisce dunque in quello stuolo di opere in cui la colpa
dell‟infanticidio di Medea è rimossa e in cui l‟unica cosa con cui la protagonista deve
fare i conti è la propria condizione di isolamento in una società, che si ricordi è quella
del dopoguerra nell‟opera di Alvaro, che non lascia spazio alle operatore donna, vista
come una vittima delle persecuzioni razziali.
La meta del viaggio mitico è quasi all‟orizzonte e ciò che l‟impianto schematico
della tesi richiede, per meglio comprendere l‟identità di questo personaggio, è volgere lo
sguardo alla Medea contemporanea. Sono quindi analizzati tre contributi che nella
tradizione sono considerati come un‟alta descrizione dell‟identità antropologica di
Medea, quasi come se si volesse fare di Medea un nuovo personaggio non più collegato
all‟infanticidio.
Ricalcando il modello pasoliniano in cui la tematica della barbarie era il
fondamento della vicenda mitica di Medea, l‟opera di Christa Wolf si inserisce con
12
Per una trattazione antropologica di Pasolini si veda S. Petrilli, Genere e fuori genere. Il discorso e il
femminile in Pier Paolo Pasolini, in “Revue Interdisciplinaire Textes & Contextes, II, Varia, 2008.
13
Cfr. Nicole Loraux, Il femminile e l‟uomo greco, Laterza Roma-Bari, 1991, introduzione pp. VI-XXVI.
14
Per la versione integrale cfr. Corrado Alvaro, La Pavlova e Medea, in “Il Mondo”, 11 Marzo 1950.
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forza nella grande moltitudine delle opere dedicate al mondo di Medea. Motivata da
sentimenti attivisti nell‟ambito dell‟antropologia politica, Christa Wolf concepisce un
modello del tutto nuovo per la sua Medea. Infatti, la vede come uno specchio rotto in
tanti frammenti, ognuno dei quali raccontato da diverse „voci‟. Ed è proprio questo il
suo carattere innovativo, quello di mascherare dietro la maschera di altri personaggi il
vero volto di Medea, che tutto è, secondo la Wolf, tranne che un‟infanticida. Anzi si
attesta a diventare il nuovo custode del segreto del benessere di Corinto, un infanticidio
commesso dal re Creonte anni prima per preservare la linea patriarcale messa a rischio
dalla nascita di una figlia, Ifinoe, che per il bene del popolo sarà sacrificata. Questa è
dunque la colpa di Medea nell‟opera della scrittrice tedesca, quella di aver scoperto un
segreto chiuso nel tempo da mille e mille anni.
Di tutt‟altra fattura è invece l‟opera di Franz Grillparzer, che nel viaggio di
ritorno costituisce una tappa obbligata per chiunque voglia documentarsi sul mito di
Medea in connessione con il più ampio ciclo mitico degli Argonauti. Viene così a
inserirsi in questo gioco di unioni l‟immagine di una Medea scandita in quella che è la
sua opera più famosa: Il vello d‟oro, trilogia che comprende al suo interno tre diverse
fasi dell‟impresa argonautica. Si delineano pertanto tre profili di Medea, ognuno in
corrispondenza di una parte della trilogia. Ne L‟ospite Medea è una fanciulla dedita al
culto di una sacra dea, Darmiba, ancora non sopraffatta dall‟amore, anzi quasi di opposti
sentimenti, come dimostra il grave tono accusatorio che ha nei confronti dell‟amica
Peritta che cede alle lusinghe di un uomo. La protagonista degli Argonauti è invece una
donna diversa. Entra qui in gioco la caratterizzazione antropologica della donna come
maga, quell‟immagine della strega che vive in un completo isolamento e in luoghi
tenebrosi. In Medea si assiste, infine, all‟ultima trasformazione. Non più maga, in
quanto scuce di dosso tale identità, vuole sentirsi greca a tutti i costi, e in tale
prospettiva si avvicina alla rivale, diventa sua amica. Ma una nuova metamorfosi è alle
porte, nel momento in cui si accorge che l‟amica altro non è che la donna che le ha
portato via il proprio marito. Allora ritorna ad essere la donna ferale che giunge
all‟infanticidio consapevole della propria dignità ferita, ma che non si risolve in un
efferato delitto, quanto in una vendetta incentrata sul sublime, tema caro
all‟antropologia romantica.
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Si arriva così quasi alla conclusione di questo viaggio, ma un ultimo accenno va
fatto per un‟opera in particolare, che verrà messa in termini di confronto con quella di
Pasolini. Si tratta del film del 1991 di Lars von Trier, che si attesta in quella tradizione
del Novecento che vedeva il nucleo semantico della barbarie come imperante di una
condizione di Medea quanto mai diversa nel mondo in cui viveva. Il pregio di Lars von
Trier è stato quello di sintetizzare i due aspetti fondamentali di Medea in uno solo, è
riuscito cioè a connettere il suo essere straniera, barbara, al fatto che fosse stata tradita e
abbandonata da un uomo, soggiogato dalle ambizioni del potere.
Il viaggio termina qui, avendo volto l‟occhio al passato, attraverso le tappe quasi
obbligate del tempo. Un viaggio che ci ha portato dalla Grecia, paesaggio mitico di cicli
amorosi e magici, alla Germania del post caduta del muro di Berlino, terra infestata da
guerre e per questo motivo quasi demoniaca. Il lavoro svolto è altresì una sintesi di ciò
che secoli e secoli di tradizione, letteraria, cinematografica, teatrale, ci ha tramandato e
che continua a tramandarci. Dalla rilettura alla riscrittura viene da chiedersi? Non è
escluso visto che il personaggio di Medea continua ancora oggi a destare curiosità, a
instillare in ognuno di noi la voglia di conoscere ciò per cui è stata tanto criticata, amata,
odiata. Una Medea, infine, che ha commesso gravi crimini ma sempre dettata
dall‟amore, da un sentimento troppo grande anche per lei.
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Euripide e Seneca: due modelli per Medea
Sintetizzare la storia di Medea nel racconto dei suoi due modelli principali è
un‟impresa che non può prescindere dall‟analisi incipiale dell‟organizzazione del teatro
sia ellenico che latino. La prospettiva, presente nell‟Atene del V sec. a.C., trova nella
rappresentazione teatrale l‟intersecarsi di tre fattori caratterizzanti. Il primo si attesta
nella consapevolezza che si dovesse trattare di un fenomeno religioso collegato ai culti,
trasposti poi in manifestazioni teatrali, in onore del dio del riso, Dioniso1. Da ciò deriva
dunque l‟abitudine dei Greci di percepire nella rappresentazione teatrale non tanto di
assistere a uno spettacolo, quanto di partecipare a un rito da cui ne scaturisce poi
l‟intensa consapevolezza della componente religiosa, la quale esercitava il suo influsso
anche nel momento in cui il dramma veniva composto: i personaggi tragici molto spesso
sono ispirati al mito, e la tragedia inserendosi in questa tendenza, si identifica come una
rivisitazione degli eventi sotto l‟influsso delle divinità. Il secondo invece contiene il
carattere politico che la stessa tragedia ha nella sua natura. Si ricordi, proprio in
relazione a ciò che era lo stato il principale affidatario della messa in scena della
rappresentazione teatrale, ma in sostanza l‟interesse della collettività esulava da questo
fatto. Stato e interesse della collettività quindi, due categorie che andavano di pari passo
nella società del tempo. E in parte la rappresentazione teatrale e più in generale artistica,
era ben connessa con la funzione educativa della città, sia pure con la stessa costituzione
politica di Atene, che nel V secolo a.C. si accingeva a diventare la più alta
rappresentazione della democrazia, in cui gli uomini erano cittadini liberi che
partecipavano alla vita politica attivamente. Di conseguenza quindi, la rappresentazione
teatrale si poneva in una condizione di importante occasione d‟esperienza per la
collettività che si connetteva all‟individuo, in una stretta dipendenza con la struttura del
dramma stesso, ossia i piani in cui agiscono l‟eroe e il coro. Terzo, ma non ultimo in
1
A questo riguardo il volume di N. Spineto, Dionysos a teatro, ‹‹L‟Erma›› di Bretschneider, 2005,
costituisce un punto di fondamentale importanza nella trattazione delle feste dionisiache a teatro.
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ordine di importanza, la tragedia era vista come una competizione agonistica in cui
scontrarsi per riscattare ideologie e sentimenti civili2.
I tre aspetti, religioso, politico e agonistico, nell‟evento teatrale erano ben
connessi tra loro tali da far risultare complessa la loro articolazione, molto più
complessa di quanto non lo sia nel teatro moderno. In questa sede non si cerca però di
indagare i termini di confronto fra le due concezioni del teatro, antica la prima e
moderna la seconda, ma ciò che si è voluto fare con questa premessa è stato quello di
offrire al lettore una panoramica generale degli aspetti peculiari del teatro tragico.
Perciò, in diretta connessione con ciò che è stato scritto nelle righe precedenti, è
possibile affermare che anche Euripide, quando decise di fare di Medea la protagonista
di una tragedia, conoscesse e avesse ben chiare le tre caratterizzazioni del teatro
classico.
1.1 Euripide: il punto di vista di un ateniese del V secolo
Scritta nel 431 a.C., Medea è nell‟ottica di Euripide, una donna barbara, che ha
aiutato l‟eroe greco Giasone a conquistare il vello d‟oro, che lo ha sposato e che è
venuta in Grecia, a Corinto, dove i suoi figli, per mano sua, sono morti.
L‟interpretazione del drammaturgo ateniese, per quello che l‟antichità ha tramandato si
gioca dunque tutta su due piani paralleli di prospettive: da un lato c‟è quella di cittadino
ateniese del V secolo, dall‟altra quella di un innovatore, moderno nel modo di
interpretare la realtà e fortemente critico nei confronti della società.
Nell‟analizzare il primo aspetto con cui Euripide scrive la tragedia si può
innanzitutto porre l‟accento su due temi che nel cittadino ateniese producono paura e
ansia: il maschilismo e la xenofobia. Questa sua particolare impostazione, Atene la deve
alle radici del suo passato che, nel passaggio dal rito al mito, ‹‹ha dato al principio
paterno il più puro sviluppo e ha condannato la donna ad una posizione subordinata››3
(Bachofen, 1949: 68). Pertanto, fatte queste premesse, la potenza distruttiva dell‟amore
di Medea spinto fino al limite e il suo desiderio di vendetta, sono visti dal cittadino
2
A tale proposito basti ricordare l‟importanza che veniva attribuita alle competizioni sportive.
3
Cfr. J.J. Bachofen, Le madri e la virilità olimpica. Studi sulla storia segreta dell‟antico mondo
mediterraneo, introduzione di J. Evola, Bocca, Milano 1949, p.68
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ateniese del V secolo, come cause del suo essere donna e per giunta straniera. Entrambe,
categorie di una diversità altra, in cui gli uomini erano i soli beneficiari della società.
Medea è, dunque in questa prospettiva, una donna utile all‟uomo solo come „strumento‟.
In senso perciò molto più generale, nella prospettiva ateniese, Medea porta con sé tante
diverse caratterizzazione: è la straniera, l‟altra, la barbara, la maga, con tutte le
connotazioni che questi aspetti implicano per un greco: differenza, magia malefica,
crudeltà, perfidia, ignoranza e rifiuto delle leggi su cui si fonda la civiltà. In qualsivoglia
definizione si racchiude il personaggio mitico ciò che è comune in tutte le rivisitazioni
della saga mitica è che l‟eroina proviene dall‟estremità del mondo, ed è da un lato il
fantasma dell‟eroe greco, che detiene tutti i poteri, e si insinua nella stuola di donne che
non vogliono aderire alle leggi politiche della città, donne che installano la
ginecocrazia4; e dall‟altro invece spettro dei demoni femminili della notte5.
Detto questo, si deve sottolineare con particolare lucidità che Euripide però è un
cittadino ateniese „anomalo‟. Anomalo nel senso che pone lo sguardo in maniera critica
alle dinamiche politiche e sociali della pólis quali le problematiche che scaturiscono
dall‟espansione coloniale e territoriale, oppure quelle più legate alla sfera antropologica
che abbracciano le diverse concezioni che ruotano intorno alle categorie diverse, ossia
la donna e lo straniero. La vicenda mitica di Medea pertanto, anche alla luce della sua
„anomalia‟, è sì legata al suo essere donna, straniera e maga, ma nella prospettiva
opposta, cioè secondo il tragediografo ateniese l‟eroina è semplicemente una vittima
della società greca del tempo portata all‟estreme conseguenze delle sue azioni a
compiere l‟infanticidio.
Alla sua condizione di esule in terra straniera, Euripide aggiunge anche la forza
della mêtis che però, sempre secondo i costumi e le regole del tempo, era mal vista
dagli Ateniesi, restii a introdurre nuovi ideali nella pólis: basti ricordare a tal proposito
4
Oltre Medea vanno citate le figure femminili di Clitemnestra, delle abitanti di Lemno o anche le
Amazzoni. Cfr a questo riguardo A. Moreau, Le mythe de Jason et Médée. Le va-nu-pied et la sorcière,
Les Belles Lettres, Paris 1994.
5
In questo caso il riferimento è per le Erinni, le Gorgoni, le Sirene, Sfinge e Lilith. Cfr. Moreau, op. cit.,
p. 68
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che in quegli stessi anni viene mandato a morte Socrate e viene condannato il modello
di vita e ricerca filosofica di Anassagora6.
Inoltre, negli anni in cui Euripide scrive Medea, in particolare, ad Atene, che sta
diventando la capitale di un impero, l‟afflusso degli stranieri è forte e molti cittadini
ateniesi, per commercio, viaggiano in Asia Minore, così i matrimoni misti sono
frequentissimi. Si vengono così a delineare le linee generali della società greca del V
secolo, in cui il drammaturgo contestatore e innovatore rivede, nella vicenda mitica di
amore e abbandono di Medea, quella vissuta da tutte le donne straniere che, lasciata la
casa paterna e giunte, dopo un lungo viaggio per mare, ad Atene per seguire lo sposo
greco, sono poi da lui ‹‹ripudiate in ossequio ai principi della cittadinanza ateniese››7
(Tarditi, 1976: 60).
1.1.1 La trama della protagonista
Il dramma è aperto dal prologo, recitato dalla nutrice8. La scena è ambientata a
Corinto e il racconto della donna presenta gli antecedenti alla vicenda mitica di Medea.
Vengono perciò ricordati il suo viaggio dalla Colchide sulla nave Argo, l‟uccisione di
Apsirto, l‟arrivo a Iolco, l‟uccisione di Pelia e l‟amore con Giasone, nato sotto il segno
di Afrodite. Giunti però a Corinto, la loro unione è messa alle strette da un nuovo amore
all‟orizzonte, infatti Giasone è deciso a sposare la figlia del re. Questi i fatti presentati
dalla nutrice che poi continua il monologo, dedicando una notevole parte alla
descrizione dell‟aspetto affranto e dell‟atteggiamento di rifiuto assunto dalla padrona
nel momento dell‟abbandono.
L‟azione drammatica prende avvio con un dialogo tra la nutrice e il pedagogo
dei bambini, il quale riferisce il bando di Creonte, ovvero l‟esilio non ancora
ufficializzato di Medea. Nel medesimo istante, in un gioco di sovrapposizione di tempi
e luoghi, dall‟ala interna della casa si diffonde la voce di Medea, che umiliata e
6
Sulla storia della costituzione ed evoluzione della pólis si può fare riferimento al manuale di letteratura
greca di Monaco, Casertano, Nuzzo, L‟attività letteraria nell‟Antica Grecia, Palumbo editore, Palermo
1997.
7
Si veda Tarditi, Euripide e il dramma di Medea, cit. p. 90.
8
A differenza del tipico prologo euripideo, un monologo meramente espositivo, Medea si apre in maniera
singolare: un soliloquio seguito da un dialogo. Cfr. U. Albini, Euripide o dell‟invenzione, Garzanti,
Milano 2000. Il testo greco scelto come riferimento è l‟edizione critica curata da Dario del Corno (a cura
di), Euripide, Medea – Ippolito, trad. di R. Cantarella, Oscar Mondadori, I classici greci e latini, Milano
1985.
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addolorata, grida: ‹‹Ahi, me sventurata, misera in tante pene! Ahi, ahimè, come vorrei
morire!›› (vv. 96 -97). In queste parole sono evidenti i sentimenti di Medea, da un lato il
dolore e dall‟altro lo smarrimento, entrambi originati sia dal fatto che l‟eroina ha reciso
i legami con il passato9, sia perché il suo sogno di diventare „greca‟ sta per svanire.
Esule due volte viene da dire, ma anche sola, donna ripudiata per le sue doti magiche e
quindi temibile, straniera che esprime più volte il desiderio di morire. È il primo
momento in cui si inserisce la protagonista che farà la sua comparsa poi intorno al verso
214.
Dopo l‟esposizione dei fatti antecedenti, la parodo segna l‟ingresso delle donne
di Corinto, solidali alla moglie tradita e la invitano a non disperare:
CORO: In qual modo potrebbe ella mai venire alla nostra presenza e ascoltare le nostre
parole, perché deponga il tristo furore e l‟ardire dell‟anima? Almeno non manchi agli amici
la mia sollecitudine! Va‟ dunque e conducila qui fuori dalla casa. Dille che anche noi le
siamo amiche. Ma affrettati, prima che possa fare del male là dentro: il suo dolore si muove
impetuoso (vv. 173 – 184).
C‟è in queste parole del coro una sorta di identificazione del femminile, che si
prospetta come l‟unica via di collegamento tra le donne corinzie e Medea. Un punto di
incontro di due culture, quella barbara e quella greca, che però sotto il segno del
„femminile‟ non sono più in contrapposizione ma si compenetrano tra loro, come una
forza unica contro il maschilismo della società ateniese. La conclusione della parodo
segna l‟ingresso in scena di Medea. In un gioco di metafore si può descrivere la barbara
eroina come una donna vestita di abiti greci, simile per quanto sostenuto in precedenza,
alle donne del coro. Abiti come metafora di un‟identificazione con una cultura tanto
sognata, quanto mai raggiunta, in virtù anche del fatto che, nell‟epilogo della tragedia,
subirà una metamorfosi dovuta soprattutto al suo essere barbara e straniera all‟ordine
civile. A prescindere da questi particolari si può con sicurezza affermare che la
caratterizzazione dell‟eroina con vesti barbare esprime con tutta la sua forza e il suo
carico antropologico, la condizione di esule, di esclusa dalla società greca che tanto ella
ha sognato e aspirato.
9
Si fa riferimento alla terra natia di Medea, la Colchide, in primo luogo e al legame con il padre Eeta, che
ha reciso nel momento in cui ha seguito Giasone verso la Grecia.