10
le politiche comunitarie, queste trovano un più ampio margine di successo nel sostegno
diplomatico fornito da una politica estera integrata ed autonoma. La realizzazione della
politica estera, a sua volta, richiede la capacità di disporre degli strumenti necessari per
poter perseguire gli obiettivi comuni affidando alla capacità operativa espressa sul
terreno il compito di dimostrare l’esistenza concreta di un’identità politica
3
.
In altri termini, <<se l’Europa vuol porsi come soggetto politico in posizione di
par in parem nella comunità internazionale, nell’ambito di un confronto globale delle
potenzialità economiche, non potrà fare a meno di un chiaro strumento politico e
operativo in materia di politica estera per poter esprimere un’unica, rilevante posizione
sugli eventi mondiali>>
4
.
Gli interessi prevalentemente economici insiti nel processo di integrazione
europea quindi - in considerazione del processo di progressiva ridefinizione degli
equilibri sistemici attualmente in atto - impongono all’UE di accrescere il proprio peso
politico globale, e, a tal fine, di dotarsi di una capacità di difesa autonoma
5
. Si tratta di un
imperativo che si definisce progressivamente nel tempo parallelamente all’approfondirsi
dei contrasti tra gli interessi economici dell’UE e quelli dell’attore attualmente egemone
nel sistema internazionale, gli Stati Uniti d’America. Tali contrasti trovano una sorta di
ricomposizione a livello politico, entro le sedi istituzionali preposte a disciplinare
l’interazione tra gli specifici interessi internazionali (FMI, WTO, Banca Mondiale, ma
anche ONU, NATO ecc.): si comprende pertanto come il peso politico degli attori
protagonisti delle relazioni internazionali, sia potenzialmente in grado di influenzare le
scelte politiche delle varie istituzioni internazionali. Ciascun attore globale, inoltre, è in
grado di ricavare un valore aggiunto, ai fini dell’incremento del proprio peso politico,
dalla capacità di contribuire all’ordine del sistema internazionale, da cui dipende, in
ultima analisi, il funzionamento delle istituzioni stesse. A sua volta, è principalmente il
possesso di un efficace dispositivo militare che consente (anche attraverso la forma della
semplice dissuasione) di intervenire nei contesti suscettibili di alterare l’ordine
3
Quindi, una volta conseguita l’unificazione monetaria, il completamento del processo di
comunitarizzazione politica richiede la garanzia della sicurezza fisica della regione dalla quale dipende
quella economica dei partners e dell’intero aggregato politico-istituzionale così realizzato.
4
G. Romeo, Eurosicurezza: la sfida continentale ...dal disordine mondiale ad un ordine europeo, Soveria
Mannelli, Rubbettino, 2001, cit. p. 108.
5
Infatti, secondo Vacca, op. cit., cit. 21-22 <<il compimento della sovranazionalità procede di pari passo
con gli sviluppi della sovranità europea e , poiché questa riguarda innanzi tutto il suo profilo esterno, è
evidente che dopo l’Euro il passo successivo debba essere la difesa comune>>.
11
internazionale
6
. Quindi, affinché la capacità dell’intervento soddisfi l’interesse politico
che si vuole tutelare, è essenziale che il dispositivo militare sia indipendente ed
autonomo.
È proprio in questo scenario che si definisce l’elemento di debolezza politica
caratterizzante l’UE, costretta, nell’eventualità dell’intervento militare, a ricorrere alle
capacità (tanto in termini di pianificazione quanto di equipaggiamenti) offerte dalle
strutture militari dell’Alleanza Atlantica, a loro volta messe a disposizione dagli Stati
Uniti. Il rapporto di dipendenza militare esistente tra l’UE e gli Stati Uniti, si ripercuote
principalmente sulla difficoltà europea ad esprimere una politica indipendente ed
autonoma qualora appaiano importanti divergenze strategiche con Washington.
I leader dei principali Stati membri dell’UE, consapevoli dei limiti politici
dell’azione esterna dell’Unione, dopo aver strutturato una politica monetaria comune,
hanno mostrato un crescente interesse a sviluppare il processo di integrazione della difesa
europea
7
, sotto il profilo operativo, organizzativo e delle capacità tecnologiche. Si è
trattato in sostanza della volontà di incrementare l’autonomia strategica europea, che ha
trovato anche il sostegno (condizionato) di un attore tradizionalmente scettico dinnanzi a
tali prospettive, come la Gran Bretagna
8
.
L’obiettivo prioritario del presente studio, pertanto, è quello di definire, sulla base
dell’analisi di specifiche iniziative, se il sistema di difesa dell’UE si stia effettivamente
evolvendo in una dimensione autonoma.
Sebbene l’oggetto dell’analisi riguardi un insieme di elementi che trovano una
sintesi nella politica di difesa europea, allo scopo di comprenderne i margini evolutivi in
termini di autonomia, saranno parimenti presi in considerazione taluni aspetti della
politica di sicurezza, della politica estera e della politica militare dell’UE, ovvero tutto
ciò che maggiormente concorra a definire i caratteri basilari di una difesa comune
6
<<Dobbiamo sviluppare una cultura strategica che promuova interventi tempestivi, rapidi e, se
necessario, vigorosi. […] Un’Unione europea che assume maggiori responsabilità ed è più attiva è
un’Unione che gode di maggiore peso politico>>. J. Solana, “Un’Europa sicura in un mondo migliore.
Strategia europea in materia di sicurezza”, documento adottato dai capi di Stato e di governo al Consiglio
europeo del 12 dicembre 2003.
7
A questo proposito, il presidente francese Jaques Chirac, in un discorso tenuto a Strasburgo il 6 marzo
2002, afferma: <<nel momento in cui il mondo si apre, l’economia diventa globale, le frontiere si
annullano, i movimenti mondiali influenzano sempre più la nostra vita quotidiana, noi abbiamo bisogno di
un’Europa capace di difendere gli interessi e i valori ai quali siamo legati. […] Più visionaria, più
volontaria e meglio compresa, la politica estera europea deve, inoltre, disporre di strumenti efficaci per
affermarsi con forza>>, discorso consultabile al sito internet:
http://europa.eu.int/constitution/futurum/documents/speech.it; 2 aprile 2004.
8
Secondo il Primo ministro Tony Blair, <<i cittadini d’Europa necessitano un’Europa forte e unita. Di
un’Europa che sia una potenza nel mondo. Qualunque sia la sua origine, l’Europa oggi non riguarda più
solo la pace. Riguarda la proiezione di potenza collettiva>>. Prime Minister’s Speech to the Polish Stock
Exchange, 6 ottobre 2000, http://www.number10.gov.uk/output/Page3384.asp; 10 marzo 2004.
12
europea. In particolare, è opportuno premettere che la politica di sicurezza, la politica
estera, la politica di difesa e la politica militare risultano strettamente connesse tra loro
9
:
nell’area della politica di sicurezza si identificano le minacce, i fattori di rischio e le
opportunità strategiche rilevanti ai fini dell’interesse dell’Unione, del benessere delle sua
popolazione e dello sviluppo del suo sistema economico. Alla componente diplomatica
spetta, invece, il compito di definire e concretizzare il disegno complessivo di politica
estera entro il quale affrontare le minacce, contenere i rischi e sfruttare le opportunità.
Ma la diplomazia può non bastare. In contesti estremi, infatti, quando è necessario
difendersi da un avversario esterno o tentare di condizionarne il comportamento, le
esigenze della politica di sicurezza possono imporre l’uso della forza. Si entra allora nel
terreno della politica di difesa, che è pertanto uno strumento della politica di sicurezza
complementare rispetto alla politica estera. L’importanza relativa della politica di difesa
rispetto alla politica estera varia a seconda dei casi ed è in genere proporzionale al grado
di militarizzazione delle relazioni internazionali. La politica militare, infine, è un aspetto
tecnico della politica di difesa nel quale rientrano tutte le misure relative al
potenziamento, all’organizzazione, all’approntamento e all’impiego delle forze armate.
Tornando alla questione centrale dell’analisi che verrà condotta, quelle iniziative
di cui sarà valutata la portata autonoma ai fini dello sviluppo della difesa comune
europea, saranno innanzitutto circoscritte in un determinato arco temporale,
corrispondente ai mesi intercorsi tra l’attacco anglo-americano all’Iraq (primavera del
2003) e l’inizio del 2004. Si tratta di una fase storica la cui origine, coincidente con il
manifestarsi della duplice “crisi”, in Iraq e nei rapporti transatlantici, si riallaccia
puntualmente alle premesse avanzate precedentemente in relazione alle divergenze
strategiche euro-atlantiche. Le crisi, infatti, sono in grado di mostrare, anche per una
frazione di tempo, forme embrionali di politiche di potenza che, sebbene siano subito
riassorbite dalla dimensione diplomatica delle politica, rivelano tracce importanti per
l’analisi strategica. L’evento bellico, in altri termini, in quanto riflesso oggettivo del
disaccordo politico-strategico tra potenze, è stato scelto al fine di scandire i tempi di un
processo (gli sviluppi autonomi della difesa europea) che, date le implicazioni derivanti
dalla sua concretizzazione, si presta ad essere interpretato mediante il riferimento a
strumenti analitici (di natura politico-strategica) analoghi a quelli in grado di spiegare gli
eventi bellici. La fase conclusiva del periodo storico che si è scelto di considerare
(corrispondente ai primi mesi del 2004) invece - in virtù della continua evoluzione
9
G. Dottori, La politica di sicurezza tedesca verso il Duemila, Milano, Franco Angeli, 1997, pp. 91-92.
13
caratterizzante il cammino verso una difesa autonoma europea - è stata definita in modo
arbitrario.
Detto questo, lo studio relativo alla valutazione della capacità europea di
sviluppare un sistema di difesa autonomo, procederà attraverso la presentazione dello
scenario (storico, geopolitico e teorico) in cui essa si contestualizza. In questo modo, nel
corso del primo capitolo saranno definite le chiavi di lettura mediante le quali si intende
valutare gli specifici fenomeni che saranno trattati nel corso dello studio. Si tratta di una
prospettiva analitica, che tiene conto degli aspetti storici e geopolitici del processo di
costruzione della difesa comune e che tenta di inquadrarne i margini evolutivi alla luce
dei principali approcci teorici finalizzati a descrivere la dinamica integrativa nel suo
complesso.
Successivamente, nel corso del secondo capitolo, saranno presentate quelle
variabili (interessi dei principali attori, politica, economia e guerra) considerate
“determinanti”, ai fini della capacità di influenzare - tanto nella dimensione evolutiva
quanto in quella involutiva - il carattere autonomo del sistema di difesa europeo. Le
tendenze di fondo della difesa comune, infatti, possono essere considerate come la
risultante di una pluralità di forze combinate tra loro: interessi dei principali attori statali
e delle organizzazioni militari da essi create, decisioni e evoluzioni di istituzioni
comunitarie, pressioni di grandi gruppi economici, guerre. L’intenzione, pertanto, è
quella di risalire alle dinamiche che muovono questo insieme di variabili, in modo tale da
avere a disposizione una serie di strumenti analitici, alla luce dei quali, successivamente,
saranno interpretati gli ultimi sviluppi della difesa comune europea. Infatti, una volta
individuata la natura delle “variabili determinanti”, sarà possibile ipotizzare in quale
misura esse debbano essere dosate al fine di permettere alla difesa europea di avanzare
sulla via dell’integrazione e di evolversi in una dimensione autonoma.
In questo modo, nel corso del terzo capitolo, mediante l‘analisi delle implicazioni
prodotte dalle ultime iniziative in tema di difesa, si valuterà se esse siano in grado di
soddisfare le condizioni evolutive ipotizzate nel secondo capitolo. Allo scopo di favorire
un confronto analitico tra gli ultimi sviluppi della difesa comune e le sue generali
tendenze connotative, si utilizzeranno nuovamente, come strumento di paragone, le
categorie concettuali rappresentate dalle “variabili determinanti”.
Come si è accennato, lo studio di queste ultime sarà condotto, mediante il ricorso
alle chiavi di lettura presentate nel corso del primo capitolo.
14
Così, si tenterà in primo luogo di risalire alle “leggi” generali che governano le
“variabili determinanti” tentando di inquadrarle storicamente. A partire dalla valutazione
delle dinamiche materializzatesi attraverso l’esperienza storica, quindi, saranno
individuate le implicazioni e le necessità imposte dall’evoluzione di particolari processi
politici, economici e bellici. In particolare, mediante la chiave di lettura storica, si risalirà
alle culture strategiche dei principali attori che tradizionalmente hanno dimostrato di
essere “catalizzatori” rispetto al processo di costruzione di un sistema difensivo europeo
(ma anche rispetto al processo integrativo nel suo complesso), senza dimenticare quegli
attori che hanno giocato un ruolo opposto, disgregatore o frenante, dinnanzi alle
iniziative tendenti a dotare l’UE di una dimensione strategica autonoma.
Si tenterà, in altri termini di analizzare “da dove provengono” i fattori
maggiormente in grado di condizionare l’autonomia della difesa europea, allo scopo di
comprendere “dove si stiano dirigendo”. Tutto questo scandendo l’analisi attraverso una
distinzione tra periodo bipolare e post-bipolare.
A quest’ultimo elemento si lega il significato della chiave di lettura geopolitica.
Infatti, sarà a partire dalla valutazione del peso specifico assunto dall’Europa
successivamente al crollo del regime bipolare, che si potranno interpretare i fini e gli
strumenti (senza dimenticare le concrete capacità) su cui si fonda la volontà di proiezione
dell’UE verso l’ambiente esterno. A questo proposito, come si è già accennato, il
dissolvimento dell’URSS, con la conseguente fine della logica delle sfere d’influenza
condivise tra due soli attori, ha incoraggiato a livello globale la ricerca, da parte dei più
importanti attori del sistema internazionale, di un maggiore peso politico, economico e
militare. Così, come altre potenze emergenti sul piano delle relazioni internazionali
(Cina, India), anche l’UE ha cominciato ad organizzarsi per partecipare alla competizione
per la leadership della successiva fase di governo globale, riponendo un crescente
interesse verso la realizzazione di un sistema difensivo autonomo.
L’analisi geopolitica consentirà pertanto di interpretare le principali iniziative
maturate tra il 2003 e il 2004 facendo riferimento alle implicazioni prodotte dalla
progressiva emersione di una pluralità di poli, a livello mondiale, in concorrenza fra loro
per il soddisfacimento dei rispettivi interessi. Le “variabili determinanti”, saranno quindi
descritte mediante un approccio analitico mirato ad inquadrare gli interessi dei principali
attori e le loro iniziative politiche, economiche e militari, alla luce delle conseguenze
strategiche suscettibili di incidere sugli equilibri globali tra potenze.
15
In particolare, dato il ruolo occupato all’interno del sistema internazionale da
parte di Stati Uniti e Unione europea (riconducibili rispettivamente al rango di potenza
egemone e potenza sfidante
10
), la chiave di lettura geopolitica sarà fondamentale ai fini
della comprensione dei fattori connotativi del rapporto transatlantico e delle sue tendenze
evolutive. A sua volta, la variabile transatlantica produce una pluralità di implicazioni
che investono i caratteri distintivi di tutte le “variabili determinanti”: le varie
sfaccettature del sistema di difesa europeo e la sua capacità di evolversi in una
dimensione autonoma, risultano costantemente permeate dalla conflittualità esistente tra
gli interessi strategici americani ed europei. Tale contrasto di interessi sarà rilevato in
primo luogo relativamente alle capacità militari europee, in termini operativi e di
pianificazione, che l’interesse strategico americano tende a circoscrivere nell’ambito
dell’Alleanza Atlantica. Inoltre, rimandano ad un medesimo approccio interpretativo sia i
contrasti (euro-atlantici e intra-europei) emersi in occasione di eventi bellici, sia le
difficoltà cooperative tra l’asse franco-tedesco e la Gran Bretagna (tradizionalmente
legata da una “special relationship” con Washington). Anche le problematiche che
saranno trattate attraverso la descrizione della variabile economica risultano influenzate
dalla conflittualità transatlantica, soprattutto in riferimento al tema specifico
dell’industria degli armamenti, rispetto al quale capi di governo
11
e multinazionali si
sono progressivamente impegnati a creare un fronte comune europeo per contrastare
l’invadenza delle imprese americane, che, dal canto loro, esercitano forti pressioni sui
governi europei affinché acquistino armi e equipaggiamenti americani.
Complessivamente, secondo la prospettiva dei reciproci interessi geopolitici, il rapporto
transatlantico, dal punto di vista delle iniziative americane, è caratterizzato dalla volontà
di diluire la valenza delle iniziative europee miranti ad affermare una propria
10
In un’intervista rilasciata al Washington Post il 17 marzo 2002, il presidente della Commissione europea,
Romano Prodi, inserì tra gli obiettivi principali dell’UE quello di creare <<una superpotenza sul continente
europeo che sia al pari degli Stati Uniti>>. Ancora più esplicito il parere di Chirac:<< In un mondo in cui si
afferma la potenza considerevole degli Stati Uniti d’America, non è auspicabile che si stabilisca un dialogo
autentico, più equilibrato, più esigente, tra Americani ed Europei? Un dialogo che rafforzi le possibilità di
riuscita dei nostri obiettivi comuni fondamentali? Noi saremo sempre degli alleati affidabili e responsabili,
ma non dobbiamo essere alleati ciechi. Non è ugualmente necessario che l’Europa si affermi e sviluppi la
sua relazione con i grandi paesi emergenti che saranno domani grandi potenze? Ecco perché io mi auguro
che l’Europa diventi uno dei grandi attori di un mondo che deve essere multipolare e più armonioso>>.
Discorso consultabile al sito internet: http://europa.eu.int/constitution/futurum/documents/speech.it; 2
aprile 2004.
11
A questo proposito Chirac afferma: << Che non ci si sbagli, l’Europa conterà nel mondo e avrà un peso
nella prevenzione e nel controllo delle crisi, solo se disporrà di reali capacità militari. È inutile lamentarsi
del dislivello tecnologico tra le forze americane ed europee. È tempo di uno sforzo. È tempo di sviluppare
un’industria della difesa potente ed organizzata, mobilitata intorno a grandi progetti comuni. L’industria
europea deve avere l’ambizione e i meccanismi che le permetteranno di trattare alla pari con i suoi partner
americani>>.
16
soggettualità in termini di potenza. Questo dato emergerà in particolare dall’analisi della
variabile politica che, scomposta nelle tre dimensioni di approfondimento, espansione
delle competenze ed allargamento, mostrerà l’interesse europeo a dosare costantemente
lo sviluppo dell’Europa-potenza entro i margini evolutivi dell’Europa-spazio
12
,
impedendo così che la costruzione di un’unione politica europea venga rimpiazzata da
un’area economica di libero scambio (opzione tradizionalmente perseguita dai governi di
Londra e Washington).
L’analisi dei fattori costitutivi della difesa comune si avvarrà infine del contributo
interpretativo delle teorie generali sull’integrazione (federalismo, funzionalismo, neo-
funzionalismo, intergovernativismo, transazionismo e transnazionalismo, neo-
istituzionalismo). Infatti, le variabili che si è scelto di prendere in considerazione (in
particolare gli interessi dei principali attori, le dinamiche politiche e quelle economiche)
riflettono l’essenza dei principi generali da cui traggono origine i principali approcci
teorici sull’integrazione: ciascuno di essi si contraddistingue per il fatto di concentrarsi su
un livello di analisi il cui criterio guida verte implicitamente proprio sul riconoscimento
della centralità di una delle “variabili determinanti”.
In questo senso traspare una corrispondenza tra la teoria intergovernativa, neo-
istituzionalista e funzionalista e l’impalcatura concettuale insita nelle variabili costituite
rispettivamente dagli interessi dei principali attori, dalla politica e dall’economia. Si
tratta in sostanza di un’analogia che deriva dalla centralità che determinati elementi
assumono tanto nelle teorie integrative quanto nelle rispettive “variabili determinanti”, e
che trova conferma nel significato “teorico” delle iniziative politiche ed economiche,
approvate dall’UE tra il 2003 e il 2004, successivamente all’intesa intergovernativa
anglo-franco-tedesca.
Si definisce così il secondo obiettivo dello studio, che si configura come una
diretta conseguenza del metodo analitico utilizzato al fine di comprendere se l’UE stia
sviluppando un dispositivo di difesa autonomo. Infatti, data la corrispondenza esistente
tra le principali teorie sull’integrazione e le “variabili determinanti” del sistema di difesa
europeo, l’analisi di queste ultime, oltre a fornire un indice del livello di autonomia
12
Per “Europa-spazio” si intende un’Europa “allargata” del mercato unico e della moneta unica, con
agenzie e authorities di arbitraggio sovranazionali ma con istituzioni politiche relativamente deboli.
L’“Europa-potenza” invece indica un’Europa, più ristretta, formata dai paesi che più si sono integrati nei
decenni scorsi, con strutture (se non proprio istituzioni) comuni più solide e funzionanti. In questa Europa i
paesi membri potrebbero condividere finalità politiche e strategiche e costituire un nucleo più omogeneo e
compatto (i cosiddetti “euro-europei”, secondo il neologismo di Giscard d’Estaing e Schmidt): in altri
termini, potrebbero condividere la sovranità più degli altri, e rappresentare una sorta di polo magnetico
politico, economico e strategico per l’intera Unione europea a 28 o 30 paesi.
17
prodotto dalle iniziative maturate tra il 2003 e il 2004, risulterà utile anche ai fini della
comprensione di quale approccio teorico (federalismo, funzionalismo, neo-
funzionalismo, intergovernativismo, transazionismo e transnazionalismo, neo-
istituzionalismo), risulti il più adatto a spiegare l’aspetto militare dell’integrazione
europea. Ciò è possibile in base ad una valutazione di quale, tra le “variabili
determinanti” (e quindi tra i rispettivi modelli teorici che esse presuppongono), assuma il
peso maggiore, contribuendo così in modo sostanziale a determinare gli esiti del percorso
verso una difesa autonoma europea.
In ultima analisi, la questione si risolve nuovamente nell’analisi degli effetti
esercitati da parte delle specifiche iniziative - emerse tra il 2003 e il 2004 -
sull’autonomia del sistema di difesa europeo. Ci si domanderà pertanto quale aspetto
delle varie iniziative abbia maggiormente influenzato tale sistema: quello riconducibile
all’intesa raggiunta tra gli interessi dei principali attori; quello derivante dalla
strutturazione politica di tali iniziative, conseguita mediante l’intervento delle istituzioni
comunitarie; oppure quello “indotto” dalle esigenze di natura economica.
Naturalmente, in questa parte dell’analisi, le variabili riguardanti il rapporto
transatlantico e la guerra, non riflettendo l’essenza di una specifica teoria
sull’integrazione, saranno debitamente valutate. Vale a dire che la loro funzione non sarà
considerata in termini “costruttivi” ai fini della realizzazione di un sistema di difesa
europeo integrato ed autonomo. Sarà invece analizzata alla luce del potenziale effetto
frenante e disgregativo, sebbene suscettibile di convertirsi, se combinato con le altre
“variabili determinanti”, in una sorta di impulso “accelerativo”.
Infine, nonostante il ricorso ad una pluralità di chiavi di lettura e di categorie
concettuali, si tenterà di rispondere alle questioni che sono state sollevate e di interpretare
i fenomeni che saranno descritti, rivolgendo costantemente l’attenzione ad un principio-
guida in particolare, rappresentato dal concetto di autonomia.
18
CAPITOLO I
STRUMENTI PER LO STUDIO
DELLA DIFESA COMUNE
La valutazione delle prospettive di sviluppo del sistema di difesa europeo deve
essere preceduta dalla descrizione dello scenario in cui questo si contestualizza.
Attraverso tale premessa, si vogliono definire i caratteri delle tendenze (teoriche, storiche
e geopolitiche) che animano l’essenza della questione “difesa europea”, tentando quindi
di comprenderne lo stadio di sviluppo attuale. In altri termini, l’intenzione è quella di:
teorizzare gli strumenti costitutivi e i margini evolutivi del processo politico-economico
da cui discende tale questione; riassumere, mediante il ricorso all’esperienza storica, le
principali iniziative da cui ha tratto origine la configurazione delle capacità, delle
problematiche e degli interessi caratterizzanti il sistema di difesa europeo; comprendere
la natura degli interessi strategici di fondo risultanti dal contesto geopolitico globale in
cui tutto ciò trova attuazione.
Inoltre, il ricorso a tali strumenti analitici servirà anche al fine di presentare le
chiavi di lettura mediante le quali si intendono valutare i fattori costitutivi della difesa
comune. Si tratta di una prospettiva che tiene conto degli aspetti storici e geopolitici del
percorso verso la creazione di una difesa autonoma europea, tentando di inquadrarne i
margini evolutivi alla luce dei principali approcci teorici finalizzati a descrivere la
dinamica integrativa nel suo complesso. Quindi, anche l’analisi delle ultime iniziative in
tema di difesa comune sarà condotta alla luce: dei cambiamenti prodotti rispetto alle
precedenti esperienze storiche; delle conseguenze strategiche suscettibili di incidere sugli
equilibri globali tra potenze; del loro richiamo alle particolari teorie sull’integrazione.
19
1. LA TEORIA: TEORIE SULL’INTEGRAZIONE EUROPEA
L’analisi relativa alla capacità europea di dotarsi di un sistema di difesa
autonomo, non può prescindere dalla valutazione degli strumenti necessari affinché la
politica europea di sicurezza e di difesa (PESD) possa considerarsi pienamente integrata.
In questo senso, l’affermazione di una politica di difesa comune è il presupposto
necessario per poter parlare di difesa autonoma europea.
Il cammino verso la realizzazione di una difesa comune, si inquadra nel più ampio
processo pluridecennale di integrazione europea, la cui prima manifestazione si è avuta
nell’ambito degli interessi economici. Dal secondo dopoguerra si rileva, infatti, un
progressivo impegno, da parte degli Stati europei, a cooperare su una gamma di settori,
che a partire da quello economico-commerciale, hanno finito per abbracciare anche
quello sociale, istituzionale, ambientale, culturale, ecc. e quindi anche militare. Da questo
punto di vista, l’esperienza dell’UE, si presenta differente rispetto a quella dei singoli
Stati europei, nei quali, la sicurezza e la difesa dalle minacce esterne sono state le prime
preoccupazioni dei costruttori degli Stati. Invece, il sistema nato dall’integrazione dei
paesi europei, ha assunto tra le proprie competenze la politica estera, prima, la politica di
sicurezza, dopo, e negli ultimi anni la politica di difesa, solo dopo aver raggiunto una
certa maturazione.
In quest’ottica, per comprendere le leggi che governano l’integrazione militare
europea, può essere utile riferirsi ai modelli teorici elaborati per spiegare globalmente il
processo di integrazione europea. Si tratta di teorie finalizzate a comprendere i fattori
basilari del processo di integrazione europea in modo tale da facilitare le previsioni sulla
sua probabile evoluzione futura. Nel perseguire questo obiettivo, tali teorie fanno
riferimento ad una serie di variabili, tra le quali: i motivi che hanno spinto gli Stati
fondatori a dare vita alle comunità, le caratteristiche politico-istituzionali assunte dalla
Comunità dopo la sua creazione, l’obiettivo ultimo del processo integrativo.
20
1.1 Il Federalismo
Quando si parla di Federalismo, occorre premettere che, a differenza delle altre
teorie sull’integrazione, non si fa riferimento ad un chiaro taglio di scuola accademica,
ma bensì ad una sorta di strategia politica
13
.
L’idea di Stato federale sovranazionale, inteso come unità di soggetti autonomi
(gli Stati) subordinati ad una autorità superiore e limitata costituzionalmente, comincia
infatti ad imporsi quale alternativa allo Stato nazionale nel periodo compreso tra le due
guerre mondiali. In questa fase storica lo Stato nazionale si espande dall’Europa verso
l’intero sistema internazionale; grazie anche al processo di decolonizzazione post-bellico
si assiste così alla mondializzazione dello Stato nazione. Ma è proprio questo processo, a
cui fa seguito la nascita di una fitta rete di interdipendenze mondiali che impediscono ai
governi nazionali di rimanere gli unici gestori dei processi politici ed economici
nazionali, a determinarne la crisi. Alcuni federalisti, così detti “universalisti”
14
, hanno
pensato di poter rispondere a tali contraddizioni attraverso la nascita di un governo
federale mondiale. I federalisti europei, invece, ritengono che la creazione di un governo
federale sia un processo politico istituzionale che possa essere ristretto solo a regioni
geopolitiche che presentino una certa omogeneità sociopolitica. Per questi ultimi solo una
tale dinamica, che si concretizzerebbe nell’affermazione degli “Stati Uniti d’Europa”,
garantirebbe la pace europea, minacciata dall’alternativa del sistema degli Stati nazionali,
per sua natura instabile e conflittuale. L’intento dei teorici del federalismo di favorire
l’unione degli Stati europei, non è influenzato solamente dal desiderio di pace entro i
confini geopolitici europei, ma anche dalla presa di coscienza della perdita di centralità
del ruolo svolto dall’Europa nella politica mondiale nel secondo dopoguerra, in virtù
dell’affermazione di nuove potenze globali. Secondo questa prospettiva, solo la soluzione
federalista sembra consentire agli Stati europei la possibilità di poter gestire con
maggiore autonomia il proprio rapporto con il resto del sistema.
Da un punto di vista essenzialmente tecnico, il Federalismo descrive sistemi
politici che presentano una divisione di autorità tra il governo centrale e regionale. A
questo proposito è possibile distinguere due diverse concezioni di Federalismo: il
Federalismo centralizzato e il Federalismo decentralizzato.
13
Cfr. B. Rosamond, Theories of European Integration, Houndmillis, Macmillan, 2000.
14
F. Longo, L’integrazione europea fra interdipendenza e nazionalismo, Bari, Cacucci, 1995, pp. 103-105.
21
Riguardo al primo approccio, Pinder e Pryce
15
elencano una serie di politiche la
cui gestione dovrebbe diventare competenza delle istituzioni comuni: politica estera,
politica di difesa, politica industriale, politica monetaria, comunicazioni e
regolamentazione del comportamento delle multinazionali. Il Federalismo
decentralizzato si basa invece sul concetto di sussidiarietà, che prevede l’affidamento al
livello comunitario solo di quelle materie che lo Stato non riesce a gestire da solo, o che
gestisce con minore efficienza rispetto alle istituzioni comunitarie.
Anche per quanto riguarda le strategie attraverso cui realizzare un sistema
federale bisogna operare una distinzione tra due correnti (radicale e gradualista), che
presentano però, entrambe, un presupposto considerato essenziale: l’esistenza di una
comunanza di obiettivi tra gli attori destinati ad unirsi in una federazione
16
.
I federalisti radicali, tra i quali Altiero Spinelli
17
, propongono di dare luogo ad
un’azione immediata e diretta che dimostri all’opinione pubblica e ai leader politici la
necessità di operare un superamento dello Stato nazionale che porti alla concretizzazione
della soluzione federale, da realizzarsi a sua volta mediante la convocazione di una
assemblea costituente finalizzata a redigere una costituzione federale da far ratificare ai
vari governi.
Invece per i sostenitori della soluzione gradualista, il Federalismo deve essere
coltivato come un movimento popolare che, attraverso un’attività soprattutto
propagandista, crei l’impeto per la realizzazione di un patto federale tra le élites politiche.
Anche questa strategia individua nella creazione di un’assemblea costituente eletta
popolarmente e nella conseguente predisposizione di una Costituzione federale da
ratificare nei parlamenti nazionali, i passaggi obbligati per approdare alla federazione;
ma allo stesso tempo è necessario anche lo sviluppo di tattiche che consentano di
superare l’inevitabile resistenza dei governi nazionali.
John Pinder
18
, in virtù dello scostamento dalle tappe istituzionali e politiche
descritte dal Federalismo classico, definisce “neofederalista” il processo integrativo
europeo. Infatti, sebbene l’autore individui nell’ambito della struttura istituzionale
dell’Unione numerosi elementi, come la cooperazione nel campo monetario o in quello
15
J. Pinder e R. Pryce, Europe after De Gaulle, Middlesex, Penguin Book, 1969, in F. Longo, op.cit., p.
105.
16
B. Rosamond, op. cit., p. 27.
17
Altiero Spinelli, nel suo Manifesto di Ventotene, parla della necessità di dare luogo ad una vera e propria
rivoluzione politica, organizzata da militanti professionali inquadrati in una struttura organizzativa
operante dentro, ma al di sopra dei partiti.
18
Cfr. J. Pinder, “European Community and Nation State: a case for a neo-federalism”, International
Affairs, vol. 62, n.1, 1985.
22
della politica estera, che sembrano confermare l’approfondimento di un percorso
federalista, allo stesso tempo egli riscontra come il trasferimento di competenze verso la
Comunità Europea non si manifesti negli stessi campi in cui è avvenuto nella formazione
degli Stati federali contemporanei (moneta, tassazione, forze armate), ma in aree meno
politicizzate di così detta low politics.
1.2 Il Funzionalismo
Come il Federalismo, anche il Funzionalismo tende a teorizzare le condizioni per
porre fine ai conflitti umani. Infatti l’assunto da cui muove il pensiero Funzionalista
riconosce che la razionalità e il progresso pacifico sono possibili e che il conflitto e la
disarmonia non sono endemici per la condizione umana
19
.
Il Funzionalismo, con il suo impianto teorico, proposto inizialmente da David
Mitrany
20
, dell’integrazione da realizzarsi in modo gradualista, attraverso piccoli passi,
ha ispirato il metodo operativo seguito dai “padri dell’Europa”. Le premesse su cui si
fonda il pensiero di Mitrany sono due: << il nazionalismo e la struttura statocentrica del
sistema internazionale sono le cause principali della guerra; la cooperazione
internazionale, perché abbia successo, deve realizzarsi in settori che per il fatto di essere
tecnici sono assunti come non conflittuali>>
21
. In sostanza, secondo Mitrany, è prioritario
non tanto stabilire quale debba essere la forma ideale della società internazionale, ma
quali debbano essere le sue funzioni essenziali. È opportuno, al fine di assicurare la pace,
non organizzare il mondo attraverso ciò che lo divide, ma al contrario organizzarlo
indirizzando gli sforzi verso aree di problemi transnazionali, tenendo <<insieme
l’interesse comune di tutti senza interferire eccessivamente con il particolare aspetto di
ciascuno>>
22
. Ciò è possibile solo se l’integrazione tra Stati viene indirizzata lungo i
canali della soluzione dei problemi sociali o economici, che sono gli unici rispetto ai
quali si riscontra una sostanziale comunanza di interessi e di aspettative tra i vari governi.
Infatti, non trattandosi di problemi essenzialmente politici, sarà possibile che tecnici
esperti gestiscano tali problematiche a livello sovranazionale, senza il rischio di
interferire sulle prerogative politiche dei governi nazionali. Nel definire quali siano le
questioni che possono essere affrontate secondo un approccio funzionalista, Mitrany
19
B. Rosamond, op. cit., p. 31.
20
Cfr., D. Mitrany, A Working Peace System, Royal Institute of International Affairs, 1943.
21
D. Mitrany, op.cit., in M. Mascia, Il sistema dell’Unione Europea appunti su teorie attori processi,
Padova, Cedam, 2001, cit. p. 31.
22
Ibidem, p. 31.
23
distingue tra “cooperazione politica-costituzionale” e “cooperazione tecnica-
funzionale”
23
: la prima è di natura conflittuale, in quanto si riferisce a tematiche di high
politics, generalmente condizionate da contrasti ideologici; la seconda, invece, essendo
orientata a soddisfare interessi economici, sociali, culturali e tecnologici, è di natura non
conflittuale. Da questo punto di vista il Funzionalismo può essere ricondotto ad una
distinzione tra le categorie di high e low politics. Queste sono definite non tanto in virtù
della percezione che di esse ne hanno i governi, ma sulla base della distinzione oggettiva
esistente tra politica e tecnica
24
.
Il Funzionalismo di Mitrany, pertanto, offre una visione tecnocratica della
governance umana: Mitrany sostiene la necessità di favorire lo sviluppo di
organizzazioni internazionali tecniche
25
, strutturate (nonostante il fatto che risultino una
diretta emanazione della volontà degli Stati) secondo principi funzionali miranti a
conseguire il benessere sociale ed economico. Infatti, dall’opera più importante di
Mitany, A working peace system, emerge la tesi centrale secondo cui non è possibile
trasferire la sovranità attraverso una formula, ma solo attraverso una funzione
26
.
Mitrany, inoltre, è critico nei confronti di un processo integrativo a carattere
regionale: questo riprodurrebbe su larga scala le contraddizioni dei sistemi statali. Infatti
le unioni regionali sono costituite in modo analogo alla costruzione statale, ma, allo
stesso tempo, sono prive della “coesione naturale” propria delle nazioni
27
. Da questo
punto di vista, Mitrany apprezza la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio e
l’Euratom, vedendo in esse chiari elementi di logica funzionale: entrambe le
organizzazioni rappresentano una soluzione funzionale ad un particolare ambito di
bisogni settoriali caratterizzanti l’Europa del dopoguerra. La stessa valutazione non
sembra valida se riferita ai successivi sviluppi dell’integrazione europea a partire dalla
metà degli anni Sessanta: tale integrazione è dominata dai processi formali connessi alla
CEE, laddove la CEE rappresenta un corpo cresciuto al di fuori dei pre-esistenti schemi
funzionali. Per Mitrany non c’è ragione per cui le questioni relative all’energia atomica,
al carbone e all’acciaio siano svincolate in istituzioni regionali
28
.
23
M. Mascia, op. cit., p. 32.
24
Per una più approfondita trattazione concettuale dei termini high e low politics, si rimanda al paragrafo
trattante l’approccio intergovernativo, ivi pp. 27-28.
25
Lo spirito tecnocratico del pensiero di Mitrany, è stato accostato da alcuni autori, come ad esempio il
neofunzionalista Haas, al marxismo-leninismo, per la comune volontà di sostituire il governo dell’uomo
con l’amministrazione delle cose.
26
D. Mitrany, op. cit., in M. Mascia, op. cit., p. 32.
27
B. Rosamond, op. cit., p.37.
28
B. Rosamond, op. cit., p. 38.