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novità nel dibattito politico contemporaneo. Voci autorevoli in tale dibattito provengono,
in particolare, dalla teoria politica statunitense e da quella nordeuropea, soprattutto tedesca
e anglosassone.
Negli ultimi anni il tema si sta facendo strada anche in Italia: compaiono i primi libri, le
riviste riportano diversi contributi sulla questione e persino sui quotidiani non capita
raramente di leggere articoli dedicati a ‘sondaggi deliberativi’, a ‘giurie di cittadini’e ad
altri processi decisionali inclusivi.
Per iniziare a mettere ordine nel complesso e variegato panorama, sia teorico sia pratico,
afferente ai processi deliberativi è utile partire da una preliminare definizione di
democrazia deliberativa; possiamo intenderla come ‘un processo basato sulla discussione
pubblica tra individui liberi e uguali, da cui trae la propria legittimità’
1
. La deliberazione
va quindi considerata nell’accezione inglese di ‘dialogo’, ‘discussione’ che precede la
decisione e non in quella italiana di ‘decisione vincolante ‘ ( cfr. Capitolo 1).
L’elemento caratterizzante dei processi deliberativi, nonché in generale di quelli inclusivi,
va rintracciato nel fatto che la definizione del problema e la ricerca di una soluzione sono
esplicitamente demandate all’interazione di una pluralità di attori (pubblici, associativi,
privati) che rispecchiano gli interessi e i punti di vista rilevanti per la questione sul
tappeto (Bobbio, 2005); ne deriva che, in questi casi, le istituzioni rinunciano
temporaneamente a risolvere la questione secondo le modalità e procedure tipiche della
democrazia rappresentativa, ponendosi come promotrici di un confronto tra coloro che
sono coinvolti dalla questione in esame e che saranno influenzati dalla decisione presa a
riguardo.
In relazione a quanto appena esposto, risulta ben evidenziabile quanto processi di stampo
deliberativo-inclusivo portino con sé degli indubbi vantaggi:
- la discussione, il dialogo tra i soggetti coinvolti incentivano e producono una maggiore
informazione, responsabilità e senso critico nei cittadini;
- nell’ambito di tali processi si producono decisioni più stabili e facili da attuare, nonché
dotate di maggiore legittimità;
- i processi deliberativi promuovendo una partecipazione attiva da parte dei cittadini ed
un elevato grado di inclusività, convergono verso un accrescimento della qualità delle
democrazie.
1
Definizione tratta da La deliberazione pubblica, Pellizzoni, pag. 8.
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Posta questa breve premessa, illustro qui di seguito come intendo sviluppare il tema:
- nel Capitolo 1 pongo un’introduzione sul tema della democrazia deliberativa.
L’attenzione si focalizza sul significato di ‘deliberare’ e sulle principali caratteristiche dei
processi deliberativi, con particolare riguardo alla partecipazione e al metodo della
deliberazione. Si procede poi con la descrizione e l’analisi delle arene deliberative quali
ambiti fisicamente individuabili entro i quali si strutturano i processi deliberativi. Il
capitolo si conclude con la descrizione di alcune proposte di tipo deliberativo assai
rilevanti: le citizens juries, il sondaggio deliberativo di Fiskin e il Deliberation Day di
Ackerman.
- nel Capitolo 2 analizzo il tema deliberativo-inclusivo da una prospettiva locale, in
riferimento ai processi che si instaurano tra amministrazioni locali, associazioni, imprese e
privati cittadini ponendo in rilievo i tempi, i soggetti, gli esiti di tali processi inclusivi.
Il capitolo si conclude con la descrizione di un’esperienza deliberativa praticata a livello
locale: il Bilancio Partecipativo.
- nel Capitolo 3 analizzo l’importante connessione tra processi deliberativo-inclusivi e
programmazione di interventi in ambito sociale attraverso la descrizione di quattro
esperienze di programmazione che si avvalgono dell’approccio deliberativo.
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Capitolo 1:
DEMOCRAZIA DELIBERATIVA: UN’INTRODUZIONE.
1.1. Deliberazione. Perché?
Sondaggi deliberativi, Giurie di Cittadini, Progetti di Agenda 21, Bilanci Partecipativi:
queste e molte altre esperienze simili costituiscono una delle più rilevanti novità nel
panorama politico di diversi Paesi europei e d’Oltreoceano. Si tratta di esperienze che si
basano su processi deliberativi ed inclusivi, o che cercano di approssimarne
ragionevolmente i principi. Ma cosa si intende per deliberare? Per rispondere a tale
domanda è utile operare una distinzione terminologica: in inglese il termine deliberation
ha un’accezione diversa rispetto all’italiano; esso indica “il processo attraverso il quale si
esamina una proposta, una questione, un progetto e se ne ponderano con attenzione i
vantaggi e gli svantaggi prima di prendere una decisione e dopo avere esaminato gli
argomenti favorevoli e contrari.” (Bosetti, Maffettone, 2004). Nella lingua italiana, per
converso, esso denota l’atto del “venire ad una determinazione, del prendere una
decisione, spec. collegiale o comunque su questioni di una certa importanza”
2
; viene
meno, quindi, l’elemento della valutazione della questione. Pertanto quando si discorre su
processi e pratiche deliberative bisogna rifarsi all’accezione inglese del termine in quanto,
in tali contesti, assumono considerevole rilievo la discussione e il dibattito tra i
partecipanti in seno al percorso che porterà alla decisione. Più correttamente, discussione
pubblica, argomentazioni razionali e dibattiti costruttivi rappresentano l’asse portante di
ogni processo che si configuri come deliberativo.
Sebbene abbia acquisito maggiore spessore e rilevanza soltanto negli ultimi decenni, la
deliberazione ha radici molto lontane nel tempo: già nell’Atene di Pericle la discussione e
la riflessione venivano considerate un momento essenziale nella vita di ogni cittadino, in
quanto realizzavano l’ideale della partecipazione diretta al governo e, tramite essa,
2
Dal Dizionario Garzanti della lingua italiana.
5
dell’uguaglianza; non a caso nella polis greca era dominante l’idea del ‘cittadino attivo’,
vale a dire di colui che si impegna e partecipa in prima persona alle questioni riguardanti il
governo della città, piuttosto che ricoprire il ruolo del semplice suddito. Altra voce
autorevole sul tema della deliberazione è J.J. Rousseau che, nella sua celebre distinzione
tra “volontà di tutti” e “ volontà generale” afferma come quest’ultima, essendo rivolta
all’interesse comune non può coincidere con la somma di volontà particolari sino al
raggiungimento di una maggioranza, ma deve risultare da una deliberazione svolta nelle
condizioni corrette. Risulta doveroso citare, inoltre, J.S. Mill il quale considera la
partecipazione alla discussione pubblica un mezzo essenziale di accrescimento e di
crescita morale, e funzionale alla creazione di una cittadinanza informata, virtuosa e
impegnata. L’eclissi delle teorie e delle pratiche deliberative avviene con l’affermazione
delle democrazie di massa nel XX secolo; ne risulta sintomatica la definizione che
Schumpeter dà della democrazia, come strumento istituzionale per giungere a decisioni
politiche, in base al quale singoli individui ottengono il potere di decidere attraverso una
competizione che ha per oggetto il voto popolare
3
. Si evince qui una concezione della
democrazia come tecnica, come metodo per conciliare interessi plurimi, attraverso la quale
il popolo attribuisce il potere di decidere a determinati individui. In altre parole, rispetto a
concezioni della democrazia che enfatizzano un attivo coinvolgimento dei cittadini nelle
scelte riguardanti la collettività, qui è il principio di rappresentanza ad assumere rilievo, è
la delega ai rappresentanti a porsi come fattore centrale.
Ad oggi i significativi studi sulla deliberazione, accompagnati da diverse sperimentazioni
pratiche, sono indici di un rinnovato interesse per il tema da parte di filosofi politici
4
,
sociologi e politologi. Interesse che si connette alla quasi generalizzata percezione dello
stato di crisi in cui versano le istituzioni e le prassi democratico-rappresentative. L’origine
di tale crisi può essere rintracciata, come afferma Pellizzoni (2005, p. 10), nell’incapacità
delle moderne democrazie di far fronte alla crescita delle aspettative che un numero
sempre più ampio di individui nutre nei confronti dell’accesso a risorse materiali e
simboliche, ma oltre a tale ‘carenza’ di responsiveness l’attenzione va focalizzata sul
mutamento del ruolo dei partiti politici registratosi a partire dal secondo dopoguerra. La
scomparsa dei partiti ideologici tradizionali i quali, nella fase di assestamento della
3
Tratta da Fondamenti di scienza politica . Cotta, Della Porta, Morlino
4
Le basi filosofiche della cultura deliberativa sono state poste, in particolare, da John Rawls, pensatore che
ha molto influenzato il pensiero politico e sociale del secondo Novecento.
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democrazia moderna, hanno giocato il cruciale ruolo di raccordo tra le istituzioni e il
cittadino, organizzando il consenso e, insieme il controllo dei rappresentanti, nonché
stimolando la partecipazione attiva della cittadinanza, è stata certamente un fattore
rilevante nell’insorgere della crisi sopra menzionata. I partiti politici risultano essenziali in
un contesto democratico-rappresentativo in quanto, grazie a loro, il popolo può esercitare
la sua influenza indiretta e permanente sulle istituzioni; ora la loro scomparsa,o più
correttamente la loro trasformazione in macchine di caccia al voto non su progetti politici
ma intorno al nome di alcuni leader (i cosiddetti catch all party e cartel party) ha posto le
premesse per un deficit di rappresentanza nei confronti dell’elettorato. In tale contesto,
peraltro, è abbastanza evidente e testimoniato, inoltre, da alcune ricerche
5
il crescente
scetticismo e distacco da parte dei cittadini non solo nei confronti dei partiti, ma della vita
politica in generale.
Le pratiche deliberative (e in generale quelle inclusive) si pongono come una possibile
soluzione alla crisi odierna delle democrazie. Esse mirano a ridare spazio e peso ai
cittadini, a coinvolgerli in prima persona nelle questioni che li riguardano accrescendo, in
tal modo, l’incisività della partecipazione e la qualità della vita democratica.
5
Fra tutte, Belardinelli (1997) e Cartocci (2000) citate in La partecipazione politica. Francesco Raniolo. Il
Mulino, pag. 140.