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attenzione sono il libretto, la struttura narrativa e gli oggetti-simbolo (questi
ultimi esemplari nel rivelare la dimensione poetica dell'opera pucciniana). Il
terzo capitolo La musica e la scena riflette sul linguaggio musicale nei due
paragrafi La vocalità della Bohème e I temi musicali, e sul linguaggio
scenico in Aspetti scenici e didascalie. Lungo tutto questo percorso si
evidenziano, nell'opera del compositore, i caratteri non appartenenti al
verismo, che possono ascriversi alla categoria del «reale fantastico».
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Capitolo I
Puccini e il verismo
1.1. Il verismo letterario
Negli ultimi decenni dell'Ottocento la rivoluzione industriale e le nuove
scoperte scientifiche favorirono la diffusione del pensiero positivista in tutta
Europa. Come gli scienziati avevano cercato di dedurre dai fatti empirici la
legge capace di spiegarne il multiforme manifestarsi, così i filosofi
positivisti dovevano avere come obiettivo la scoperta delle leggi che
regolano l'esistenza per cominciare a promuovere nuove forme di progresso
sociale.
1
Il positivismo, che nella sua essenza esaltava la scienza come unico
fondamento della conoscenza e dell'agire dell'uomo rifiutando ogni ipotesi
metafisica, ebbe ripercussioni notevoli anche in ambito letterario.
2
In
particolare diede luogo in Francia a una corrente che prese il nome di
naturalismo.
L'osservazione della realtà era di importanza decisiva e i naturalisti
cercavano di riprodurla nelle loro opere con esattezza fotografica, cercando
di avere una visione il più oggettiva possibile. I nuovi scrittori, tra cui Emile
Zola e i fratelli Goncourt, avevano l'ambizione di realizzare romanzi che
avessero valore di documento scientifico. Si sforzavano pertanto di
rinunciare a ogni intrusione del sentimento, per giungere a un'impassibile
registrazione dei crudi fatti; soprattutto intendevano studiare l'uomo non nei
1
Ettore Bonora, Letteratura italiana, Borgo San Dalmazzo, Petrini Editore, 1985, pp. 405-406.
2
Per un panorama più ampio sul positivismo si veda Fabio Cioffi, Franco Gallo, Giorgio Luppi, Dialogos
Filosofia contemporanea, Borgaro Torinese (TO), Bruno Mondatori, 2000, pp. 116-117.
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suoi impulsi spirituali, bensì nei suoi condizionamenti fisici, ereditari,
ambientali e sociali.
In Italia il naturalismo fu alla base dell'opera dei veristi.
3
Come i naturalisti,
questi ultimi assunsero un angolo visuale materialistico e scientifico,
proponendosi di rappresentare oggettivamente la realtà senza alcuna
intrusione soggettiva, né di sentimenti né di ideologie, dallo studio
scientifico dei fatti alla formulazione delle leggi che li determinano. Così
Verga vagheggiava un romanzo che sembrasse fatto da sé, maturato
spontaneamente: un fatto naturale, distaccato dal suo autore.
A differenza del naturalismo, che si focalizzava di norma su ambienti
metropolitani e classi (dal proletariato all’alta borghesia) legate alle grandi
città e al loro sviluppo, il verismo privilegiava le descrizioni di ambienti
regionali e municipali e di gente della campagna. La piccola provincia e il
mondo rurale, con la miseria e l’arretratezza, gli stenti e le ingiustizie
sociali, divennero i suoi luoghi e temi prediletti. Ciò contribuì in modo
decisivo a svelare aspetti profondi o addirittura sconosciuti dell'epoca.
Un ulteriore elemento che allontanava il verismo dal naturalismo consisteva
nel diverso approccio al principio dell'impersonalità. Infatti i veristi
mantennero, almeno nei loro maggiori esponenti (Giovanni Verga, Luigi
Capuana, Federico De Roberto e Matilde Serao), un atteggiamento più
cauto nei confronti del canone della riproduzione oggettiva della realtà.
“L'arte non sarà mai la fotografia”, affermava Luigi Capuana.
I caratteri del verismo devono essere considerati nel contesto culturale del
tempo. In sostanza, era proprio la più larga diffusione della letteratura nel
pubblico borghese a far nascere l'esigenza di una più autentica sincerità
dell'autore, di un'urgente denuncia delle contraddizioni della vita italiana di
3
Sul naturalismo francese e sul verismo letterario italiano si veda Mario Pazzaglia, Letteratura italiana,
l'Ottocento, Bologna, Zanichelli Editore, ristampa 1997, pp. 616-618.
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quel tempo. Fine ultimo era creare una letteratura che fosse strumento di
conoscenza e diffusione del vero, di analisi critica della società, stabilire
un'idea dell'uomo libera da ipocrisie e convenzionalismi. In questo senso
dietro l'impassibilità perseguita dai veristi c'era una volontà di smascherare i
falsi miti di una società che rincorreva scopi egemonici e di profitto
materiale, nascondendoli sotto vecchie, e sempre tradite, idealità romantico-
risorgimentali, o evitando di prendere in considerazione la propria difficile
situazione dovuta ai problemi economico-politici dell'Italia all'indomani
dell'Unità. Si erano aggravate le condizioni della classe contadina e operaia,
mentre la proclamazione di Roma capitale segnava una svolta decisiva nella
politica unitaria. Le differenze di costumi e tradizioni esistenti in un paese
che non aveva conosciuto per secoli un'unità politica erano
improvvisamente minacciate da un indesiderato livellamento. Ispirandosi
essenzialmente alla multiforme vita delle regioni e delle province, i veristi
si attennero al rispetto del vero, ma vollero essere al tempo stesso i poeti di
un mondo che sembrava ormai volgere al tramonto. Il verismo rinunciava
così alla proposta d'una cultura organizzata unitariamente in un'idea di
progresso. L'arte finiva per trionfare sulla verità, o, almeno, per
subordinarla.
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1.2. Il verismo musicale
Sotto l'influsso letterario del verismo, nell'ultimo decennio del XIX secolo i
compositori italiani privilegiarono soggetti legati alla classe proletaria
trattati con gusto realistico, talvolta evidenziando la brutalità e le ingiustizie
di alcune situazioni messe in scena.
I critici degli anni a cavallo tra Otto-Novecento accomunarono con
l'appellativo “Giovane scuola” un gruppo di compositori (Ruggero
Leoncavallo, Pietro Mascagni, Umberto Giordano, Francesco Cilea e
Giacomo Puccini) dediti al melodramma, che venne chiamato da allora
“verista”.
4
Questi musicisti non ebbero una formazione musicale omogenea:
Leoncavallo, Giordano e Cilea frequentarono il Conservatorio di Napoli,
mentre Puccini e Mascagni si perfezionarono al Conservatorio di Milano
sotto la guida di Amilcare Ponchielli. Tutti i compositori erano legati alla
Casa Sonzogno, escluso Puccini, che aveva come editore Ricordi.
Ciò che interessava ai compositori veristi era promuovere l'identificazione
del pubblico dell'epoca con i personaggi e le situazioni emotive messe in
scena.
Un ruolo importante in questo senso fu svolto dai letterati della
“scapigliatura” movimento letterario d'avanguardia che contribuì ad
aggiornare la cultura italiana al più avanzato romanticismo d'oltralpe negli
ultimi decenni del XIX secolo.
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Nutriti di un gusto particolare per il
grottesco, il sinistro e l'eccentrico, essi posero l'attenzione sulla necessità di
una letteratura non aulica, più vicina al parlato quotidiano. Alcuni esponenti
di questo movimento, tra cui Arrigo Boito, Giuseppe Rovani ed Emilio
Praga, si interessarono fortemente alla musica, cimentandosi anche nella
4
Per un quadro generale sull’opera verista si consulti Guido Salvetti, La nascita del Novecento, nuova ed.,
Torino, EDT, 1991, cap. V.
5
Sul movimento della Scapigliatura si veda Pazzaglia, Letteratura italiana cit., pp. 532-534.
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professione di librettista (soprattutto Boito).
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Gli scapigliati, che criticavano il melodramma tradizionale, si mossero in
direzione sia di una migliore qualità letteraria dei libretti, sia di un forte
sperimentalismo linguistico. Si avvertiva inoltre il bisogno di inglobare nel
linguaggio operistico il parlato quotidiano. I personaggi dei drammi veristi
si esprimono in un linguaggio semplice e concreto, la lingua di ogni giorno.
I testi divengono polimetrici e flessibili, tanto che il sistema metrico che
aveva governato il libretto dell'opera italiana per circa due secoli, ossia
l'architettura in numeri musicali funzionali al discorso drammatico, viene
rivoluzionato.
La rigida struttura a numeri (ognuno dei quali composto da due sezioni
cinetiche e due statiche) fu sostituita da forme più flessibili e dinamiche.
7
Assunsero un'importanza determinante le sonorità locali-esotiche, gli inserti
di danza (in precedenza il ballo era separato totalmente dall'azione
dell'opera) e il dispiegamento di masse corali. Per questo tipo di opera fu
coniata la nuova definizione di “opera-ballo”, di cui sono celebri esempi
Aida di Giuseppe Verdi, La Gioconda di Amilcare Ponchielli e Le Villi di
Giacomo Puccini.
Determinante in tal senso fu anche l'influenza del teatro musicale francese.
Il periodo che va dal 1860 al 1890 è infatti caratterizzato dall'ingresso e
dalla presenza di opere straniere sulle scene italiane: dai grands opéras di
Giacomo Meyerbeer e di Fromental Halévy alla Carmen di Georges Bizet.
Senza dimenticare il più lento diffondersi del “sinfonismo” wagneriano.
La Carmen, in particolare, diede un contributo significativo per
l'affermazione della Giovane Scuola e del verismo, cioè di quell'ideale
operistico che punta ad esibire il sentimento nelle sue manifestazioni più
6
Rubens Tedeschi, Addio fiorito asil. Il melodramma italiano da Boito al verismo, nuova ed., Pordenone,
Edizione Studio Tesi, 1992.
7
Una sintesi efficace della storia del melodramma si legge nel volume di Lorenzo Bianconi, Il teatro
d’opera in Italia. Geografia, caratteri, storia, Bologna, Il Mulino, 1993.