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CAPITOLO 1
LA MEMORIA : DEFINIZIONE E CLASSIFICAZIONE
1.1 Definizione
La memoria riguarda il mantenimento dell’informazione nel tempo, cioè la capacità di
elaborare, conservare e recuperare l’informazione. La memoria è tanto centrale nei
nostri processi cognitivi che senza di essa saremmo privi di ogni vita intellettuale,
vegetali incapaci di vedere ed udire dato che la nostra percezione dipende dalla
memoria.
Con il termine memoria si fa riferimento ad abilità molto differenti:dal mantenimento
dell’informazione sensoriale, al ricordo del significato delle parole, al nostro patrimonio
di conoscenze e ai nostri ricordi personali nonché alla programmazione di azioni future.
La memoria è composta da molti differenti sistemi interconnessi con funzionamenti
alquanto diversificati, che hanno in comune la caratteristica di mantenere le
informazioni nel tempo. Questo tempo può variare dalla frazione di secondo, al minuto,
alla vita, così come la quantità di informazione conservata può variare da capienze così
esigue da non essere in grado di conservare numeri telefonici troppo lunghi fino a
dimensioni analoghe a quella di qualsiasi computer.
La memoria può essere considerata come il meccanismo che permette a tutte le specie
animali, con potenzialità proporzionali alla complessità del sistema nervoso, di fissare,
conservare e rievocare esperienze ed informazioni acquisite dall’ambiente e derivate
anche dal pensiero e dalle emozioni. Le informazioni entranti nell’arco di una giornata
sono tantissime, molte sono prive d’importanza, molte altre però dovranno essere
ricordate.
Un ausilio utile per non rischiare di perdere qualcosa d’importante è quello di ricorrere
ad un qualche tipo di memoria esterna: un’agenda, il computer o semplicemente un
foglietto di nota. La memoria interna quindi è la fonte maggiore, ma non l’unica via per
il mantenimento di un’informazione
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1.2 Codifica, ritenzione e recupero
I sistemi di memoria (interna o esterna) sono spesso descritti mediante l’uso di termini
quali: codifica, ritenzione e recupero.
Il termine codifica fa riferimento al modo in cui l’informazione entrante è
immagazzinata o rappresentata in un sistema; ritenzione è riferito al modo in cui, nel
corso del tempo, l’informazione è conservata; recupero è invece il modo in cui
l’informazione è ripescata da un sistema.
Ad esempio quando noi ci fissiamo un appunto, lo scriviamo utilizzando il nostro
sistema grafico e la nostra lingua (codifica), una volta scritto nero su bianco esso non
scompare (ritenzione), e quando lo rileggiamo ritroviamo l’informazione che non
volevamo perdere (recupero).
Durante uno qualunque di questi processi, può avvenire una perdita di informazione, in
altre parole un’ interferenza nel corretto recupero dell’informazione.
Ad esempio, se noi non trovassimo più il nostro appunto dove lo avevamo lasciato,
potremmo averlo perso definitivamente e con esso anche la nostra informazione; oppure
qualcuno potrebbe semplicemente averlo cambiato di posto, così che, con una breve
ricerca la nostra attività di recupero potrebbe in ogni caso andare a buon fine e rendere il
recupero dell’informazione solo temporaneamente inattuabile.
Un’informazione, per essere inserita in un sistema di memoria, deve essere trasformata
in un codice o rappresentazione.
Ognuno di questi codici possiede sue caratteristiche specifiche che sono diverse sia tra i
sistemi sia dentro i sistemi.
Un certo tipo di informazione può essere più facile e rapido da codificare in un modo
piuttosto che in un altro, come ad esempio per ricordare un paesaggio è più facile
scattare un’istantanea che farne una descrizione orale; oppure l’informazione può essere
codificata in modi diversi entro lo stesso sistema, e quindi il mio appunto scritto in
inglese o in italiano avrebbe in ogni caso un identico contenuto.
L’informazione può inoltre essere ricodificata, sia recuperando l’informazione da un
sistema e codificandola in un altro, sia ricodificandola nello stesso sistema.
La ricodifica può comportare la riduzione (o la perdita) dell’informazione oppure la sua
riorganizzazione. La riduzione, perché la ricodifica può eliminare parte dei contenuti
dell’informazione ritenuti irrilevanti; la riorganizzazione, perché alcune parti
dell’informazione ritenute importanti possono comparire prima rispetto all’originale o
raggruppate in modo differente.
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Tra i processi che agiscono sull’informazione sono da ricordare anche l’elaborazione,
un processo che può arricchire l’informazione originaria, e i processi ricostruttivi o
reintegrativi che possono completare un’ informazione parziale o frammentata grazie a
ipotesi sui frammenti stessi.
1.3 Rievocazione, riconoscimento, riapprendimento.
Un’ulteriore descrizione dei sistemi di memoria può riguardarne la capacità.
Ebbinghaus (1885), si può considerare il pioniere dei primi esperimenti per la
valutazione della memoria.
Egli elaborò una serie di semplici compiti di memoria e registrò come venivano svolti
dai soggetti. Tre esemplificativi tipi di compito usati a tal fine sono: la rievocazione, il
riconoscimento e il riapprendimento.
La rievocazione è un processo attivo che richiede tempo e concentrazione, può essere
diviso in due fasi: la ricerca delle tracce in memoria e la successiva decisione su quale
utilizzare; un tipico compito di rievocazione può consistere nell’elencare al soggetto una
lista di item da ricordare chiedergli con la richiesta poi di ripeterli.
Molte variabili possono influenzare questo tipo di compito: l’effetto seriale, ad esempio,
può far ricordare più facilmente le parole all’inizio (effetto priorità, primacy) o alla fine
(effetto recenza, recency) della lista; la distribuzione dell’esercizio (frazionato o
massivo); la presenza o l’assenza di facilitatori o indici di richiamo.
Il riconoscimento è un tipo di ricordo particolare in cui l’item stesso funge da indice di
rievocazione, proprio per questo motivo riconoscere un item è generalmente più facile
che ricordarlo.
Il riapprendimento consiste nel fatto che, anche quando un soggetto sembra aver
completamente dimenticato una cosa appresa in precedenza, può riapprenderla in un
tempo minore di quello speso per memorizzarla la prima volta.
Questo risparmio di tempo suggerisce che al momento della prova i soggetti
possedessero già, o ancora, delle tracce mnestiche del materiale in questione.
Su questo principio si basa la curva dell’oblio di Ebbinghaus (1885) che verrà trattata
più dettagliatamente nel paragrafo successivo.
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1.4 Aspetti psicologici della memoria
La natura della memoria e le modalità del suo funzionamento sono state affrontate in
termini diversi e talvolta contrastanti dalle varie scuole psicologiche in base ai rispettivi
orientamenti teorici (www.italz.it). Le prime ricerche, a partire da Ebbinghaus, si
basano sul modello associativo, che in seguito è stato contestato dalla psicologia della
forma secondo la quale la memoria non è spiegabile in termini di nessi associativi ma,
come per i processi percettivi, in termini di organizzazione dell’insieme memorizzato,
che tende sempre ad assumere la struttura più semplice, più economica e più regolare. A
questa tesi si è opposto il comportamentismo, per il quale la memoria è “un capitolo”
dello studio dell’apprendimento che è possibile spiegare in termini di condizionamento
sul modello stimolo-risposta.
Il cognitivismo ha contestato la tesi comportamentista relativa all’unicità del processo di
memorizzazione, distinguendo una memoria a lungo, a breve e a brevissimo termine (o
memoria iconica). Quest’ultima non sarebbe sottoposta a fenomeni di interferenza
semantica come accade alle prime due forme di memoria. Inoltre la memoria a lungo
termine non avrebbe alcun rapporto con l’ambito percettivo, che invece caratterizza la
memoria a breve termine e quella iconica. Il cognitivismo, che ha fatto della memoria
l’oggetto specifico del suo studio, ha inoltre elaborato modelli interpretativi mutuati
dalle categorie concettuali della teoria dell’informazione e della cibernetica. Infatti, la
costruzione di memorie per calcolatori permette di elaborare modelli che si rivelano
validi anche per il funzionamento della mente umana e viceversa.
Infine, nell’ambito della sociobiologia, R. Dawkins ha introdotto il concetto di
“meme”, che a suo avviso rappresenterebbe la controparte culturale del gene, sarebbe
cioè l’unità dell’ereditarietà culturale che avrebbe alcune proprietà dell’evoluzione
biologica con possibilità di trasmissione culturale da individuo a individuo. Dawkins
distingue i memi, che sono le unità di informazione conservate nella memoria, dai
prodotti dei memi, che sono le loro manifestazioni esterne percepibili.
È importante che il cervello non sia impegnato in altri compiti quando memorizza un
evento (www.opsonline.it). La questione dell’interferenza, ossia di come le nuove
informazioni apprese interagiscano con le vecchie, è un punto fondamentale per la
formulazione di teorie dell’apprendimento e del ricordo. Se ad uno scolaro si presentano
definizioni senza che tra queste sia lasciato del tempo e sempre in una forma diversa,
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egli non può immagazzinare tutto il materiale nello stesso momento, poiché il processo
biologico dell’immagazzinamento di informazioni (la memoria immediata) non lo
consente. Il docente, allora, non fa altro che distruggere gli impulsi già eccitati con
informazioni nuove che li inibiscono proprio per la loro somiglianza. Si parla in questo
caso di interferenza: ciò che sarebbe stato necessario per l’apprendimento e la
ritenzione, cioè una risonanza interna dei contenuti mnesici già esistenti, non può
verificarsi. Se si deve recuperare un ricordo, è più facile farlo se esso risveglia un
significato, se si riferisce ad un oggetto animato o inanimato, meno se ne è privo. Certe
cose si possono ritenere solo per qualche istante, altre invece il tempo appena necessario
per superare un esame, altre ancora rimangono in testa per tutta la vita. Ciò avviene
perché entrano in gioco emozioni intense, desideri personali, preferenze, e naturalmente
i momenti di straordinaria commozione, le situazioni importanti, oppure eventi
spiacevoli, che colpiscono o impressionano profondamente, per un motivo qualsiasi.
La fissazione e la rievocazione del vissuto sono strettamente associate al corretto
funzionamento dell’attività di coscienza. Non tutto ciò che si presenta in ogni istante nel
campo di coscienza viene stabilmente memorizzato: è immagazzinato solo ciò che ha
una rilevante connotazione emotiva. Tanto più profondo è il livello di destrutturazione
della coscienza, tanto minore è la fissazione del vissuto. Ricordare non corrisponde a
recuperare immagini statiche immagazzinate nella memoria, non viene acquisito
l’evento di per sé ma la potenzialità di attivare categorie di quella esperienza. Ricordare
vuol dire ricostruire dinamicamente un’esperienza in un nuovo contesto, attraverso il
continuo rimaneggiamento di mappe neuronali, attraverso un continuo lavoro di
elaborazione e ricatalogazione in termini di rilevanza biologica / adattiva,
risignificazione.
Il ricordo non è, perciò, la semplice ripetizione di un’ esperienza passata ma la
ricostruzione di una fantasia rappresentazione mentale, secondo procedure non dissimili
da quelle della immaginazione (www.italz.it). L’immaginazione - nel senso di previsioni e
programmi - si dispiega come una ininterrotta narrazione di potenzialità future che
originano da eventi passati. Il confronto tra scenari ricordati e scenari immaginati, tra
esperienze vissute e obiettivi prefigurati, tra le emozioni ed i sentimenti che ad essi si
accompagnano, guiderà la scelta delle decisioni future.
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La memoria - come Giano bifronte - guarda al passato, ma anche al futuro: le
prospettive tendono ad avere una coerenza con le esperienze passate (www.italz.it)
Sorgente di tale continuità è la incessante ricostruzione della propria identità, ottenuta
modellando - anche in termini neuronali - il passato ed il futuro come aspetti di una
stessa scena, attraverso la capacità - solo umana - di raccontare a sé e ad altri il passato
ed il futuro. Nella narrazione vecchie storie vengono risignificate, pensieri e sentimenti
del passato vengono distanziati dal presente, fantasie sul futuro vengono attualizzate e
rivalutate.
L’inconscio è essenzialmente memoria che non può essere ricordata. Parte delle
operazioni psichiche che vengono comprese sotto la definizione di “memoria”,
avvengono al di fuori del controllo della coscienza. La selezione del materiale
percettivo, l’immagazzinamento delle cosiddette “tracce mnesiche”, il riaffiorare
improvviso di ricordi estranei al contesto del momento, sono tutti processi estranei alla
volontà cosciente.
L’oblio è la dimenticanza parziale o totale delle esperienze passate, descrivibile
graficamente con la curva dell’oblio, messa a punto per la prima volta nel 1885 da
Ebbinghaus, che dimostra come la diminuzione del ricordo sia rapida all’inizio e più
lenta in seguito. L’intensità della caduta di detta curva dipende ovviamente dalla qualità
del materiale appreso (verbale o motorio, con senso o senza senso), dal tipo di memoria
misurata (reintegrazione, rievocazione, riconoscimento), dalle condizioni di
apprendimento con le conseguenti ripercussioni sull’immagazzinamento e sul
consolidamento. Per spiegare l’oblio esistono tre teorie interpretative:
1. La teoria della traccia mnestica che ipotizza, oltre a un decadimento spontaneo della
traccia col passare del tempo per effetto dei normali processi metabolici del cervel1o,
una sua distorsione sistematica responsabile più dei cambiamenti qualitativi che di
quelli quantitativi del ricordo. La psicologia della forma ha mostrato come una relativa
omogeneità fra gli elementi percepiti o la mancanza di una chiara e definita struttura
crei condizioni sfavorevoli non solo per la fìssazione del ricordo, ma anche
un’inibizione retroattiva per gli altri, per cui nel ricordo le figure tendono a divenire più
simmetriche di quel che sono, oppure accentuano le loro irregolarità; se poi
assomigliano a qualche oggetto specifico, tale somiglianza viene accentuata con
conseguenti distorsioni, come nel caso dei racconti successivi di una stessa storia.