meno accessibili a determinate fasce di consumatori in quanto meno pubblicizzate sui
mezzi di comunicazione più importanti.
I prodromi di questo nuovo settore economico, dall’età approssimativa di quarant’anni,
possono essere identificati nelle nuove idee diffuse grazie alle proteste giovanili della fine
degli anni 60. Molte culture originatesi in questo periodo, infatti, hanno posto una
particolare attenzione all’alimentazione, al rapporto con gli esseri viventi non umani e con
l’ambiente, nonché all’idea di consumo in sé, generalmente criticata a favore del recupero
di una vita più sobria. Svariate idee sviluppate in ambiti anche molto lontani tra loro
(filosofia, religione, scienza, ecc.) hanno contribuito a far aumentare l’interesse verso un
modello di vita più vicino alla natura e basato su relazioni meno squilibrate tra animali
umani e non umani. In particolare, il movimento animalista si è sviluppato dagli anni 70 in
base a molteplici fattori di sviluppo: innanzitutto il sorgere e consolidarsi dei movimenti
ambientalisti, che criticavano l’idea stessa del dominio assoluto dell’uomo sul resto della
realtà vivente; il dibattito su questioni bioetiche, come l’aborto; la pubblicazione dei
risultati di moltissimi studi sulle abilità di linguaggio di scimpanzé e gorilla; gli sviluppi
dell’etologia, della sociobiologia, della fisiologia, dell’anatomia comparata, dell’ecologia
comportamentale, delle neuroscienze –che hanno evidenziato la presenza di innumerevoli
tratti comuni tra esseri umani e animali-; soprattutto, le prime testimonianze fotografiche
della vivisezione, diffuse con i volumi di Ruth Harrison (Animal Machines, 1964) e Hans
Ruesch (L’Imperatrice Nuda, 1976). Sulla base di stimoli molto differenti tra loro, è nata la
temperie culturale al cui interno si è venuta definendo la questione animale
1
: risalgono
appunto a questo periodo i primi contributi filosofici sul rapporto tra animali umani ed altri
animali.
A partire da un simile groviglio di spunti scientifici e idealistici, è stata inevitabile una
ricaduta nel business: difatti, la diffusione crescente dei veg*ani, degli ambientalisti
(termine ormai sempre meno esplicativo, utilizzato per indicare atteggiamenti fin troppo
differenti), o comunque di una nuova consapevolezza nei confronti del mondo circostante
ha fatto sì che nuovi bisogni dovessero trovare dei riscontri sul mercato. Sono nate le prime
aziende ad agricoltura biologica, le prime imprese di cosmetica che non effettuavano i test
di tossicità in vivo -sbandierati per la prima volta al grande pubblico dal famoso libro di
Peter Singer (Liberazione Animale, 1975)-, i primi detersivi non testati né inquinanti.
A livello ideologico, l’iniziale concentrazione di istanze -quali la tutela dell’ambiente, la
protezione degli animali non umani, la nonviolenza come strategia politica- caratterizzante
1
Barbara De Mori, Che cos’è la bioetica animale, Carocci, 2007, pp. 13-16.
5
l’innovazione culturale degli ultimi anni Sessanta si è successivamente indebolita, con la
nascita di numerose ONG e gruppi di pressione dedicati a rivendicazioni più specifiche:
sono sorte, così, associazioni che si battono per la protezione dell’ambiente e dei soli
animali in estinzione, tralasciando le condizioni di tutti gli altri; aziende agricole a
conduzione biologica che non disdegnano l’allevamento intensivo di animali;
organizzazioni a favore dello sviluppo dei paesi poveri che molto spesso non analizzano né
la questione ambientale né quella animale. Questa polverizzazione del messaggio non è
stata sicuramente positiva per nessuno dei singoli obiettivi, perché spesso non è riuscito a
evidenziare il necessario legame tra loro. Conseguentemente, il messaggio animalista,
ambientalista e terzomondista è spesso stato abbinato al comportamento di alcuni gruppi
sociali, più ricchi, che “si potevano permettere” di pensare a questi problemi. In questo
modo, la portata di ogni singolo messaggio è andata affievolendosi, giacché tali attività
venivano viste solo come nuovi passatempi di benestanti scansafatiche, del tutto estranei
alle necessità e agli interessi della gente.
Sorprendentemente, gli anni Novanta hanno visto avvicendarsi una nuova ondata di
consapevolezza sociale a favore di queste rivendicazioni; ciò è stato dovuto anche alla fine
di buona parte delle contrapposizioni ideologiche del passato, che rendevano tali istanze un
patrimonio esclusivo di una sinistra snob, ma soprattutto, più verosimilmente, grazie alla
diffusione sempre più capillare di informazioni sulla crisi ambientale e sui maltrattamenti
quotidiani degli animali (un ruolo importante ha avuto anche la crescente consapevolezza
della nocività degli alimenti animali). Le vicende di “Mucca pazza” e simili, il referendum
(fallito) sulla caccia, le spettacolari proteste di Greenpeace contro la caccia alle balene,
l’aumento dei pets e la mole di informazioni accessibili su Internet hanno fatto sì che il
rapporto tra l’uomo e gli altri animali diventasse un argomento sempre più discusso e
influente, è aumentata la frequenza e l’esposizione mediatica di manifestazioni di protesta
e sit-in, molte tradizioni locali incentrate su atti di tortura su animali sono state prese di
mira e gettate in pasto all’indignazione del pubblico globale (la corsa dei tori di Pamplona,
la “colomba di Orvieto”, ecc.). Il pensiero filosofico animalista è entrato in una seconda
fase, in cui nuovi autori hanno rifiutato lo sterile approccio protezionista a favore del più
risolutivo abolizionismo, dopo trent’anni di progressi pressoché irrilevanti. La crescente
attenzione verso i problemi degli equilibri ambientali sta iniziando a diffondere presso il
pubblico l’idea che il modello di consumo dei paesi industrializzati non sia ecologicamente
sostenibile e, in particolare, che l’alimentazione basata sui cibi animali giochi un ruolo
fondamentale nell’aumentare l’impronta ecologica del consumatore globale (non potendosi
6
più limitare il fenomeno all’Occidente). Il legame carne/desertificazione /fame nel mondo
/scarsità d’acqua /inquinamento fatica ad affermarsi nella cultura di massa, ma le attenzioni
di giornali e siti internet sull’argomento stanno aumentando, e questo fa sperare in un
prossimo futuro più consapevole. Come causa ed effetto di questi stimoli, i veg*ani
aumentano ovunque, si fanno sentire sempre di più e sono sempre più accettati (sebbene
ciò valga per lo più per i lacto-ovo-vegetariani, secondo il principio per cui una novità
sconvolgente inizialmente viene ridicolizzata, poi sottoposta a durissime critiche e alla fine
accettata
2
; per i vegani, siamo sicuramente ancora al primo stadio).
L’analisi qui proposta si concentra sul fatto per cui questo settore di mercato sembra
sempre più interessante agli occhi degli operatori economici, sia per le dimensioni sempre
più cospicue, sia perché, ponendo l’attenzione verso istanze “etiche” in senso lato (incluso
commercio equo e solidale, agricoltura biologica, ecc.) i grandi operatori della Grande
Distribuzione Organizzata (GDO) e molte grandi aziende agroalimentari dalle dimensioni
globali, note per la storica avversione a ogni tipo di eticità del comportamento
3
, hanno
capito di poter guadagnare molto di più: alcuni recenti studi
4
mostrano che il consumatore
medio diventa sempre più sensibile ai messaggi di tipo salutista, ambientalista, animalista,
solidale –una buona parte del merito è da attribuire agli aumentati timori sulla sicurezza
alimentare
5
e al tam-tam dei medici a favore un’alimentazione meno squilibrata
6
.
Sulla base della consapevolezza dei singoli consumatori è possibile tentare di tracciare una
linea divisoria tra la veg-economy vera e propria, che si incontra nelle botteghe biologiche,
è contraddistinta da marchi conosciuti nel settore che per lo più non operano anche nel
“convenzionale” e propongono prezzi non elevatissimi ma di certo superiori ai prodotti che
2
“Tutti i grandi movimenti, inevitabilmente, conoscono tre stadi: il ridicolo, il dibattito, l’accoglimento”.
John Stuart Mill, citazione presente in Tom Regan, I diritti animali, Garzanti, 1990, p. 16.
3
McDonald’s, ad esempio, ha fatto del suo ignorare ripetutamente ogni appello ad istanze etiche un
elemento distintivo, seppure conosciuto solo da una parte del pubblico. Ultimamente sembra che invece
ammantarsi di buoni propositi sia una tendenza sempre più seguita presso le grandi aziende, resesi conto del
ritorno in termini di acquisti: per restare allo stesso esempio, McDonald’s effettua sempre più spesso spot
incentrati sulle nuove McInsalate o che esaltano la sicurezza della propria filiera.
4
Una recente indagine Ipsos svolta in quindici paesi ha evidenziato che “complessivamente, oltre la metà dei
consumatori intervistati preferirebbe acquistare prodotti e servizi da aziende che vantano una buona
reputazione ambientale, anche a costo di spendere di più, e quasi l’80% ritiene importante lavorare per realtà
che si dotino di politiche ambientali sostenibili. Nel caso del campione italiano si riduce sensibilmente il
primo valore mentre resta confermato il secondo (rispettivamente 33% e 81%)”. L’articolo è disponibile su
http://v2.promiseland.it/view.php?id=2213 .
5
Una disamina delle più recenti crisi alimentari è presente in Paolo C. Conti, La leggenda del buon cibo
italiano e altri miti alimentari contemporanei, Fazi Editore, Roma, 2006.
6
Diciamo “meno squilibrata” in quanto finora l’establishment sanitario si è generalmente limitato a indicare
regole molto blande e spesso contraddittorie, che non impediscono di commettere errori alimentari abnormi,
in particolare riguardo al consumo di alimenti animali.
7
intendono sostituire, e quella che gravita attorno ai grandi marchi storici
dell’agroalimentare, che intendono rinnovare la propria immagine in un senso “bio-eco”
per cavalcare l’onda –la moda, secondo alcuni- dell’acquisto etico, propone prezzi spesso
molto più elevati rispetto al biologico “puro” per prodotti dalla qualità talvolta discutibile
7
e soprattutto di comportamenti aziendali complessivamente poco mutati. In linea generale,
al primo ambito fanno riferimento i consumatori più informati, che non basano i propri
comportamenti d’acquisto esclusivamente sulla pubblicità televisiva, sono disposti a
spendere di più (anche se non necessariamente a fronte di risorse economiche superiori)
per un prodotto del cui livello di qualità sono consapevoli, destinano i propri acquisti a
imprese dalla reputazione migliore, compiono scelte etiche importanti anche in altri ambiti;
al secondo ambito accede la clientela standard della GDO, che per lo più fonda le proprie
decisioni di consumo sui messaggi veicolati dai media “generalisti”, cerca sopratutto un
buon compromesso tra qualità e prezzo ma non sempre sa valutare il primo requisito, non
ha ben chiara la differenza tra l’immagine che le imprese vogliono portare avanti e il loro
reale comportamento. E’ evidente come il primo settore si caratterizzi per il suo costituire
una nicchia di mercato, con importanti e diverse barriere all’accesso da parte della maggior
parte dei consumatori, mentre il secondo costituisca un “innesto ecologico” su un corpo
principale di altra natura, che risponde principalmente al solo stimolo della produzione
massima. Tuttavia, è improprio pensare in termini dicotomici, dato che entrambi i
fenomeni vanno assumendo elementi dell’altro, con esiti complessi da valutare
attentamente.
In questa situazione non mancano nuove tendenze che si aggiungono nel tempo. La veg-
economy, infatti, appare molto sensibile ai cambiamenti tecnologici, sociologici, politici,
economici, giuridici, scientifici: è inevitabile che una tematica di questo tipo si incroci con
altri tipi di pressioni sui consumi (come il movimento per la decrescita), con l’evoluzione
filosofica nella teoria dei diritti animali (il fruttarismo), con le necessità imprenditoriali,
per citare solo alcune influenze. E’ tuttavia molto probabile che la veg-economy costituirà
un settore sempre più interessante nel corso del tempo, a cui le istituzioni dovrebbero
prestare una maggiore attenzione affinché possa espandersi – considerando che un
miglioramento della qualità della vita è interesse di tutta la società, le istanze su cui essa si
fonda meritano di trovare accoglimento presso tutte le sue componenti.
7
Spesso, ad esempio, i prodotti a base di soia che si trovano nella GDO non sono biologici e, perciò, non
sono ugualmente garantiti da una contaminazione da parte di OGM.
8
Parte 1.
Premesse
“Nascere, vivere e morire è un puro cambiamento di forme. E che cosa importa l’una
o l’altra forma? Ogni forma ha la sua felicità e la sventura che ad essa spettano.
Dall’elefante alla pulce, e dalla pulce alla molecola sensibile e vivente, che costituisce
l’origine di ogni cosa, non c’è un punto in tutta la natura che non soffra o che non
goda”.
Denis Diderot
8
“Tu scopri in lui gli stessi organi di sentimento che sono in te. Rispondimi, o
meccanicista, la natura ha dunque combinato in lui tutte le molle del sentimento
affinché egli non senta?”
Voltaire, 1764
9
“E’ ridicolo negare una verità evidente così come affaticarsi troppo a difenderla.
Nessuna verità sembra a me più evidente di quella che le bestie sono dotate di pensiero
e di ragione al pari degli uomini: gli argomenti a questo proposito sono così chiari che
non sfuggono neanche agli stupidi e agli ignoranti”.
David Hume
10
“Auschwitz inizia ogni volta che qualcuno guarda a un mattatoio e pensa: sono solo
animali”.
Theodor Adorno
11
“Non già pietà, ma giustizia si deve all’animale”.
Arthur Schopenhauer, 1851
12
8
Denis Diderot, Oeuvres Philosophiques, Bordas, Paris, 1990; citato in B. De Mori, cit., p. 7.
9
Voltaire, Dizionario Filosofico, Mondadori, Milano, 1968, p. 108.
10
David Hume, Trattato Sulla Natura Umana, Laterza, Roma-Bari, 1993, p. 190.
11
Theodor Adorno, citato in Charles Patterson, Un’Eterna Treblinka. Il massacro degli animali e
l’Olocausto, Editori Riuniti, Roma, 2002, p. 57.
12
Arthur Schopenhauer, Parerga e Paralipomena, Bollati Boringhieri, Torino, 1963, p. 1056.
9
L’inaccettabilità etica dello sfruttamento degli animali
Una parte importante dei vegetariani e vegani è divenuta tale principalmente per motivi
etici: cibarsi di animali è considerato un atto immorale, contrario al senso di giustizia che
tanto sta a cuore, a proposito di altre faccende, a tutta la società, la maggior parte della
quale tuttavia sembra rimuovere il fatto che bistecche, uova, formaggini e scatolette di
tonno non crescano sugli alberi. Sono pertanto motivazioni di natura etica che stanno alla
base della nascita stessa del settore “veg-economy”: così come sarebbe considerato
immorale cibarsi di esseri umani, così, sulla base del fatto che gli animali provano dolore
come noi, è ingiusto alimentarsi di carni e derivati (o sfruttare gli animali per altri motivi).
Negli ultimi quarant’anni è stato più semplice venire a conoscenza delle condizioni in cui
gli animali sono trattati nelle nostre società e questo, unito al crescente successo mediatico
di molte organizzazioni animaliste –che hanno fatto sentire la propria voce in modi sempre
più eclatanti ad un pubblico sempre più vasto-, ha reso possibile una sempre più diffusa
riflessione sul rapporto tra noi e gli altri animali. Questo risultato, se talvolta ha spinto
alcune amministrazioni a delle modifiche legislative, ha prodotto principalmente un
aumento di coloro che decidono di astenersi dai “cibi della morte”.
I primi fautori dell’alimentazione vegetariana per ragioni morali –e, in generale, del
trattamento rispettoso degli animali- risalgono, come minimo, all’antica Grecia (basti
pensare al famoso testo di Plutarco Del mangiare carne). Successivamente, Jeremy
Bentham è stato il precursore della teoria utilitarista e ha dedicato molte riflessioni al
trattamento degli animali non umani; sue sono le citazioni più famose sull’argomento,
ancora oggi di grande valore. Nel corso dell’Ottocento i paesi anglosassoni –in particolare,
la Gran Bretagna- hanno conosciuto un vasto movimento di opinione pubblica a lungo
battutosi per la diffusione del vegetarismo e il miglioramento delle condizioni di vita degli
animali sfruttati dall’essere umano, che però appariva inevitabilmente limitato alla parte
più istruita della popolazione.
E’ solo a partire dagli anni 70 del Novecento che la questione del trattamento degli animali
è diventata di dominio pubblico.
10
Peter Singer
La responsabilità principale dell’improvvisa crescita di consapevolezza riguardo al
trattamento degli animali e, pertanto, la spinta al mutamento in senso animalista,
identificata come il principale motore della “veg-economy”, è da attribuire al lavoro di
Peter Singer. Insigne filosofo australiano, ha insegnato nelle università di mezzo mondo e
fatto puntualmente scalpore con ogni sua opera. Animal Liberation (1975) è da alcuni
considerato il primo testo-manifesto dell’animalismo moderno, in cui sono presentate le
tesi più importanti e controverse del filosofo; un altro volume fondamentale per capire la
sua teoria è Applied Ethics (1989), in cui l’autore considera anche altre importanti
questioni morali legate alla bioetica, tuttora attualissime nel dibattito politico. Il suo
ultimo lavoro è The Ethics of What We Eat (2006), in cui analizza più da vicino la realtà
delle differenti scelte alimentari.
Singer parte da un insieme fondamentale di principi etici che devono gestire le relazioni tra
gli esseri viventi. “Il fondamentale principio di eguaglianza, su cui poggia l’eguaglianza di
tutti gli esseri umani, è il principio dell’eguale considerazione degli interessi”
13
. Questo,
secondo il filosofo, non può essere limitato agli umani: “avendolo accettato come base
morale valida per i rapporti con altri della nostra stessa specie, siamo con ciò impegnati ad
accettarlo anche come base morale valida per i rapporti con quelli al di fuori della nostra
specie: gli animali non umani”
14
. Singer motiva l’estensione del principio di eguaglianza
agli animali in base allo stesso principio di eguale considerazione degli interessi: “il tener
conto degli altri non deve dipendere dalla loro razza o dalle loro capacità”.
Molti filosofi, secondo Singer, hanno invocato una qualche forma di eguale
considerazione degli interessi come principio morale fondamentale, ma pochi si sono
accorti che il principio possiede implicazioni che vanno al di là della nostra specie; tra
questi, forse il più importante fu Jeremy Bentham, il padre fondatore dell’utilitarismo
moderno. “In un passo anticipatore, scritto in un tempo in cui gli schiavi neri dei domini
britannici venivano ancora trattati più o meno come oggi noi trattiamo gli animali non
umani, scriveva:
“Verrà il giorno in cui il resto del creato animale potrà acquisire
quei diritti che solo la mano della tirannia ha potuto negare loro. I
francesi hanno già scoperto che il colore nero della pelle non è una
13
Peter Singer, Etica Pratica, Liguori, 1989, p. 56.
14
Ibidem.
11
ragione per abbandonare senza protezione un essere umano ai
capricci di un torturatore. Si potrà un giorno giungere a riconoscere
che il numero delle gambe, la villosità della pelle, o la terminazione
dell’osso sacro sono ragioni ugualmente insufficienti per
abbandonare un essere senziente allo stesso fato. Che altro
dovrebbe tracciare il limite invalicabile? La facoltà della ragione, o
forse quella del linguaggio? Ma un cavallo o un cane adulto sono,
oltre ogni paragone, più razionali e più capaci di comunicare di un
bambino di un giorno, o di una settimana, o perfino di un mese. Ma
supponiamo pure che sia altrimenti, che importa? Il problema non è
‘possono ragionare?’, e neppure ‘possono parlare?’, ma ‘possono
soffrire?”
15
Singer attribuisce alla sensibilità (capacità di provare piacere o dolore) il peso maggiore
come criterio guida nel trattamento degli altri: “La capacità di provare dolore e/o piacere o
felicità non è una caratteristica come le altre: è il prerequisito per avere interessi in
assoluto. Se un essere soffre, non può esserci nessuna giustificazione morale per rifiutarsi
di prendere in considerazione tale sofferenza”
16
. E’ sulla base della sensibilità che Singer
attribuisce gli interessi agli esseri viventi: “Quale che sia la natura dell’essere, il principio
di eguaglianza richiede che la sua sofferenza conti quanto l’analoga sofferenza di ogni
altro essere –nella misura in cui confronti di tal genere possono essere fatti. Se un essere
non è capace di provare dolore, o di avere esperienza di piacere o felicità, non c’è nulla da
prendere in considerazione. Ecco perché il limite della sensibilità è il solo confine
difendibile per il tener conto degli interessi altrui. Tracciare questo confine mediante altre
caratteristiche, quali l’intelligenza o la razionalità, sarebbe arbitrario”
17
. Sulla base di tale
unico discrimine, Singer afferma che nei casi in cui tra un animale umano e un animale
non umano non si possa quantificare una differenza nella sofferenza provata, non c’è un
motivo per innalzare lo status morale dell’essere umano su quello dell’animale; l’uno non
vale più dell’altro. Se si fa una discriminazione sulla base della mera appartenenza al
genere umano, si compie un ragionamento specista: si mette in atto una discriminazione
arbitraria funzionale al gruppo dominante, composto dagli esseri umani, così come in
passato accadeva per i bianchi verso i neri e per gli uomini verso le donne. Lo specismo
18
è
visto come l’ultima, colossale violazione del principio di uguaglianza (considerando
superate, in teoria, razzismo e sessismo)
19
in quanto non accetta l’idea secondo cui il
15
Ibidem, p. 57.
16
Ibidem.
17
Ibidem.
18
Termine coniato nel 1970 da Richard Ryder, psicologo. Richard Ryder, Victims of Science, Davis-Poynter,
London, 1975, citato in B. De Mori, cit., p. 44.
19
“Il razzista viola il principio di uguaglianza attribuendo maggior peso agli interessi dei membri della sua
razza qualora si verifichi un conflitto tra gli interessi di questi ultimi e quelli dei membri di un’altra razza. Il
sessista viola il principio di eguaglianza favorendo gli interessi del proprio sesso. Analogamente lo specista
12
dolore (inteso come ‘la medesima quantità di dolore’, che può essere inflitta in modi
diversi a seconda della struttura fisica dell’essere
20
) provato da maiali e topi non è
altrettanto cattivo di quello provato dall’uomo; lo specismo è un pregiudizio che
manteniamo perché (e finché) ci fa comodo
21
.
Una critica che Singer anticipa è quella per cui gli umani hanno un consapevolezza
maggiore di ciò che gli sta accadendo, sulla base della capacità di autocoscienza (di sentirsi
cioè degli individui, dotati di una dimensione temporale, di un passato, un futuro, delle
aspettative) e questo rende la loro sofferenza peggiore. Questo potrebbe
22
essere vero, ma
significa solo che dobbiamo fare molta attenzione nell’effettuare confronti tra gli interessi
di specie diverse. Se, in presenza di una medesima quantità di dolore, si continua a
difendere un’ulteriore distinzione tra animali ed umani, ciò è possibile solo sulla base di
una preferenza moralmente indifendibile per membri della nostra specie; lo specismo,
appunto.
Se gli animali contano in quanto portatori del medesimo interesse umano a non soffrire, il
nostro cibarcene diventa difficile da difendere, tenendo conto che nella più ampia
maggioranza dei casi, la carne è un lusso e non una necessità
23
e che quasi sempre (il
dubbio è concesso, ma con molti indizi del contrario) la morte di un animale allevato non è
permette che gli interessi della sua specie prevalgano su interessi superiori dei membri di altre specie. Lo
schema è lo stesso in ciascun caso”. Peter Singer, Liberazione Animale, Net Edizioni, Milano, 2003, p. 24.
20
P. Singer, Etica Pratica, cit., p. 58.
21
“Se vogliamo evitare di essere annoverati tra gli oppressori, dobbiamo essere pronti a rivedere tutti i nostri
atteggiamenti verso gli altri gruppi, anche i più radicati. Dobbiamo considerarli dal punto di vista di chi è più
danneggiato da tali atteggiamenti e dalle pratiche che da essi conseguono (…) Io credo che i nostri
atteggiamenti verso i membri delle specie diverse dalla nostra siano basati su una lunga storia di pregiudizio
e arbitraria discriminazione, e argomento che non vi può essere ragione –ad eccezione dell’egoistico
desiderio di mantenere i privilegi che sono appannaggio del gruppo dominante- per rifiutarsi di estendere ai
membri delle altre specie il fondamentale principio dell’eguaglianza di considerazione. Io vi chiedo di
riconoscere che i vostri atteggiamenti verso i membri delle altre specie sono una forma di pregiudizio non
meno contestabile del pregiudizio connesso alla razza o al sesso di una persona”. P. Singer, Liberazione
Animale, cit., p. 13.
22
“ Se si prende una persona per sottoporla ad un esperimento scientifico estremamente doloroso o letale,
essa soffrirà di un dolore addizionale, l’angoscia mentale, rispetto a quello dell’esperimento in quanto
immagina cosa gli potrebbe accadere. Così non sarebbe per un coniglio, perché non immagina e non prevede
cosa gli succederà (…) ma a volte gli animali possono soffrire di più a causa della loro comprensione più
limitata: un prigioniero di guerra può essere rassicurato dal sapere che alla fine delle ostilità sarà rilasciato;
una tigre catturata invece è terrorizzata parimenti dalla cattura e dalla morte, perché non può immaginare un
futuro di libertà, perché non distinguerebbe tra la cattura e la morte (…) gli esseri umani normali adulti hanno
capacità mentali che, in alcune circostanze, li porteranno a soffrire più di quanto soffrirebbero gli animali
nelle stesse circostanze [ma può accadere anche il contrario, nel caso di] esseri umani neonati o ritardati
mentalmente, che non potrebbero immaginare le sofferenze da patire. Dunque, dovremmo chiederci se siamo
pronti anche a consentire esperimenti su neonati umani e adulti ritardati.”. Ibidem, p. 60.
23
“Gli esquimesi che vivono [anzi, vivevano] in un ambiente in cui l’alternativa all’uccisione di animali è la
morte per fame, potrebbero essere giustificati nell’affermare che il loro interesse a sopravvivere è superiore a
quello degli animali che uccidono. Ma la maggior parte di noi non può difendere la propria dieta abituale in
questo modo. Per i cittadini dei paesi industrializzati, seguire una dieta priva di cibo animale è possibile,
auspicato da una vastissima letteratura scientifica, ecologico. Perciò, mangiar carne è un lusso; il suo
consumo si giustifica solo perché alla gente piace il suo sapore”. Ibidem, p. 64.
13