INTRODUZIONE:
Le mie esperienze personali mi hanno portato ad interessarmi alla
Pedagogia Speciale e quindi ritenere opportuno concludere il mio
percorso di studi con una tesi inerente.
Al momento della scelta dell’argomento non ho trovato difficoltà
perché sapevo cosa volevo approfondire e cosa mi incuriosiva
principalmente: il disturbo autistico.
Il primo capitolo delle tesi riguarda il processo d’integrazione che un
individuo deve affrontare per essere cittadino e quindi i diritti che
questa società dovrebbe garantire a un individuo con disabilità,
qualunque essa sia.
La società nella quale viviamo è artefice delle norme e delle
restrizioni sociali con cui ogni individuo deve convivere, quindi egli
dovrà essere consapevole di queste norme e armarsi di tutti gli
strumenti in grado di permettergli una migliore vivibilità all’interno
di essa.
Mi sono interessata soprattutto a quelle restrizioni che non permettono
un adeguato processo d’integrazione delle persone con disabilità.
La Convenzione Internazionale dei diritti delle persone con disabilità
è uno strumento essenziale per affrontare l’analisi di che cosa vuol di
“integrazione”.
La Convenzione nasce nel Dicembre 2006 nell’Assemblea Generale
delle Nazioni Unite, aperta alla firma nel Marzo 2007; l’Italia
recepisce la Convenzione il 3 Marzo 2009 in legge ordinaria.
L’integrazione molte volte viene ostacolata da barriere invisibili che
impediscono il dialogo e la conoscenza dell’Altro. Se le barriere
vengono superate, si dimostrano elementi essenziali e risolutivi dei
problemi di accettazione. La conoscenza e il dialogo, infatti, possono
facilitare il superamento delle restrizioni sociali che vive un soggetto
con disabilità; quindi questo processo deve essere favorito e voluto
con tutta la nostra forza.
L’interazione tra gli individui, inoltre, può favorire la conoscenza e la
formazione, perché ognuno di noi è fonte inesauribile di sapere e
questo sapere viene arricchito se condiviso dall’Altro.
Nel secondo capitolo affronto il tema dell’autobiografia nella
disabilità.
Questo metodo di scrittura può essere un ponte tra l’individuo con
disabilità e il resto delle persone. Molte volte la difficoltà
dell’integrazione è la mancanza di mezzi per comunicare.
La scrittura autobiografica lo rende possibile e apre lo spazio
dell’incontro anche con tutti quei soggetti che non potrebbero (per
varie ragioni) sostenere una normale conversazione.
Tale mezzo, quindi, può far capire a molti le difficoltà oggettive di
queste persone.
Oltre a “strumento di comunicazione” l’autobiografia è, per sua stessa
natura, un mezzo per poter ricercare e re-incontrare la propria identità.
Attraverso l’autobiografia vi è una ricerca e questa ricerca può portare
a una trasformazione in un percorso di crescita interiore.
Il terzo capitolo si inoltra nel come sia stata utilizzata l’autobiografia
da parte di persone affette da autismo.
Ho tentato, attraverso la mia tesi, di far capire la mia voglia di lottare
per un mondo dove vi sia voglia di interagire con l’Altro senza voler
giudicare e ritenendosi migliori.
CAPITOLO 1
SOCIETA’, DIRITTI E DISABILITA’
1.1 La disabilità come problema sociologico
La disabilità in questi ultimi anni ha trovato un posto all‟interno della
società moderna diventando un vero e proprio “fenomeno sociale”; un
fenomeno enfatizzato che, rappresenta alcuni aspetti profondamente
inseriti nella nostra cultura ed è, anche se sembra un elemento di
1
disturbo, una componente essenziale della nostra società.
Questo tema ha assunto negli anni sempre più spessore fino a
considerarsi il Problema Sociale per eccellenza e ogni politica sociale
dovrebbe valutare questo tema come degno della massima
considerazione e affrontarlo in modo adeguato per garantire il miglior
equilibrio sociale possibile.
La nostra società impone a tutti i suoi membri fin da piccoli dei diritti
e delle regole utili per interpretare il proprio ruolo sociale e quindi far
parte attivamente della comunità.
Tentando di conformare ogni individuo, la società tenderà a escludere
chi non presenti o non rispecchi le caratteristiche richieste.
Quindi in una società esistono, se pur invisibili, dei confini, dei
margini che segnano le distanze e le differenze tra un individuo e un
altro.
I confini non sono soltanto quelli che limitano l‟area territoriale di uno
Stato o di una regione; esistono dei confini meno comuni che
chiariscono le differenze tra più gruppi come per esempio il confine
1
Ferrucci F., Disabilità e politiche sociali, Milano : Franco Angeli, 2005, p. 9.
1
tra chi sa e chi non sa, tra chi cura e chi è curato e infine tra chi è abile
e chi è disabile, tra chi è incluso e chi è escluso.
Essendo l‟esclusione un fenomeno sociale, la sociologia se n‟è
occupata in maniera da poterlo definire e comprendere sempre meglio;
la comprensione e la consapevolezza di questo fenomeno fanno sì che
non sia sottovalutato.
Negli anni la sociologia ha presentato numerosi approcci interpretativi
per ridefinire la disabilità; questi approcci sono di tipo:
Struttural-funzionalista per il quale la disabilità sarebbe intesa
come un particolare Ruolo Sociale. La vita della società richiede
il lavoro che ogni individuo compie svolgendo il proprio ruolo.
Il disabile rappresenta il ruolo del malato che, per quanto non
segua precisamente le principali norme sociali, compie una
devianza legittima perché non responsabile del suo stato. Quindi
questa non volontarietà non può essere punita né derisa, ma
2
accettata e aiutata in quanto parte integrante della vita sociale.
Essendo considerato il ruolo di malato come quello di un
deviante accettato, il disabile avrà a che fare con tutta una serie
di figure professionali che tenteranno di portare la sua
condizione più vicina alla “normalità”.
Interazionista, quest‟approccio evidenzia come la società
etichetta un individuo come deviante e lo faccia diventare
portatore di un vero e proprio stigma sociale perché il suo
comportamento non segue le norme sociali condivise. Come
dichiara Goffman , la disabilità è considerata una differenza non
desiderata che influenza le relazioni sociali; perciò l‟identità
2
Ferrucci F., Disabilità e politiche sociali, Milano :Franco Angeli, 2005, p. 13.
2
della disabilità sarà stigmatizzata e quindi costruita dalla società
3
stessa.
Cronico, gli approcci precedenti presentavano la disabilità come
un problema transitorio e non definito. Invece quest‟approccio
vede la disabilità simile a una malattia cronica e quindi tenta di
prevedere un adattamento prolungato che possa far svolgere al
soggetto una vita all‟interno dei ruoli. Mentre gli altri approcci
tentano di cambiare una condizione di fastidio, quest‟approccio
comprende la non variazione della condizione di disabilità e
quindi è quello di chi capisce che la condizione di disabilità non
varia e presenta tutta una serie di metodologie utili per vivere
con una malattia cronica. L‟individuo dovrà instaurare un
rapporto con la società ma anche essere consapevole della sua
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malattia e della sua vita con essa.
La teoria dei ruoli, che è utilizzata per descrivere e definire
come la società contribuisca alla disabilità. Secondo
quest‟approccio la disabilità sarebbe uno status dominante che
la società assegna alle persone con deficit fisici o mentali
visibili. Lo status è dominante perché è capace di influenzare la
vita della società stessa. Non è l‟unico status dominante
presente, ce ne sono alcuni collegati al sesso e alla razza ma che
differiscono da quello della disabilità per vari motivi, tra i quali
l‟inizio; per esempio chi nasce con un determinato sesso se lo
terrà per tutta la vita mentre l‟etichetta di disabile può essere
ricevuta in qualsiasi momento oppure essere tolta e grazie
3
Ferrucci F., Disabilità e politiche sociali, Milano :Franco Angeli, 2005, p. 16.
4
Ivi, p. 21.
3
all‟impiego di vari ausili nel corso della propria vita. La
disabilità inoltre diventa status dominante grazie a una serie di
fattori come la visibilità o non visibilità, la rivelazione o non
5
rivelazione.
Ogni approccio comporta difficoltà di comunicazione, interazione tra
gruppi diversi d‟individui che però appartengono alla medesima
società. Tra questi gruppi è come se esistessero dei confini invisibili
che bloccano ogni tentativo di transito del messaggio.
La limitazione del confine o comunque di una convinzione generale è
la difficoltà nei transiti ed è per questo che metaforicamente
dovrebbero per ogni confine esistere delle Dogane.
Per esempio queste dogane potrebbero favorire il dialogo tra due
posizioni contrapposte che hanno formato un limite invisibile e allo
stesso tempo invalicabile cioè il confine che separa il mondo dei
6
disabili da quello dei “normali”.
Il dialogo è il solo mezzo possibile e necessario per contribuire
all‟accettazione e all‟integrazione di queste persone relegate in piccoli
spazi o in errati modelli ideologici.
D‟altra parte il dialogo e il transito attraverso le dogane non sono
semplici perché ogni persona deve rispettare l‟altra e non sentirsi
proprietari di una libertà assoluta; non dobbiamo essere degli intrusi
nella vita degli altri ma dobbiamo poter transitare nel loro terreno con
la volontà di conoscerlo e non di curiosare senza permesso.
5
Ferrucci F., Disabilità e politiche sociali, Milano:Franco Angeli, 2005, p.25.
6
Canevaro A., Le logiche del confine e del sentiero. Una pedagogia dell’inclusione (per tutti,
disabili inclusi), Trento: Erickson, 2006, p.10.
4
Andrea Canevaro descrive due tipi di logiche utili per comprendere il
processo d‟integrazione di queste due realtà: la logica del confine e la
7
logica del sentiero.
La logica del confine ha l‟utilità di comprendere il proprio essere
all‟interno del proprio territorio, ma pecca nel fatto che porterebbe il
soggetto a poter pensare agli altri (e quindi a chi è fuori dai confini)
come una minaccia.
La logica del sentiero, al contrario, riconosce l‟utilità di percorrere
sentieri in direzioni degli altri.
Seguendo la concezione di queste due logiche non esiste e non deve
esistere l‟individualismo di massa ma gli individui della società
devono cooperare per la creazione di nuovi terreni comuni affinchè
8
ciascuno non si ritiri nel proprio.
Il vero obiettivo di ognuno di noi dovrebbe essere quello di seguire
almeno in parte queste logiche per dimostrare l‟importanza
dell‟integrazione e dell‟accettazione di ogni individuo sia diverso che
debole.
La legge 180/78, meglio nota come Legge Basaglia, ha tentato di
abbattere per la prima volta il confine quasi invalicabile tra il
“normale” e l‟“anormale”, imponendo la chiusura dei manicomi e
introducendo quasi per la prima volta la possibilità di rivedere le
opportunità di vita di numerosi disabili.
« La follia è una condizione umana. In noi la follia esiste ed è presente
come lo è la ragione. Il problema è che la società, per dirsi civile,
dovrebbe accettare tanto la ragione quanto la follia, invece incarica
7
Canevaro A., Le logiche del confine e del sentiero. Una pedagogia dell’inclusione (per tutti,
disabili inclusi), Trento: Erickson, 2006, p.14.
8
Ivi, p.13.
5
una scienza, la psichiatria, di tradurre la follia in malattia allo scopo di
eliminarla. Il manicomio ha qui la sua ragion d'essere » dichiarò
Franco Basaglia.
Franco Basaglia usò una frase che descrisse bene l‟unicità di ogni
9
persona: <<visto da vicino, nessuno è normale>>.
Fino ad oggi sono stati utilizzati numerosi aggettivi, termini anche
dispregiativi per parlare delle persone con disabilità senza capire
quanto una parola può essere caratteristica e soprattutto quanto una
convinzione possa influenzare i comportamenti umani.
A livello internazionale la terminologia moderna parla di Persone con
Disabilità ponendo l‟accento sulla scelta della parola Persona perché è
un termine neutro senza caratteristiche né negative né positive.
Il linguaggio e l‟uso di questo o quel termine non deve essere un
processo ovvio o sbrigativo; ogni parola è frutto di una storia ed ha
delle conseguenze enormi se non ben ragionata: nella storia delle
persone con disabilità vi è un enorme quantitativo di aggettivi o nomi
che portavano all‟esclusione, alla segregazione e alla cancellazione
sociale.
La loro vita era sbrigativamente giudicata e messa al bando attraverso
10
termini a volte molto negativi.
La società moderna si trova dunque immersa in un progetto di
Integrazione, inteso non solo come accettazione del diverso in quanto
persona degna di rispetto, ma anche impegno nella lotta contro un
linguaggio fatto di confini quasi invalicabili da abbattere.
9
Baratella P., Littamè E., I diritti delle persone con disabilità. Dalla Convenzione Internazionale
ONU alle buone pratiche, Trento: Erickson, 2009, p. 29.
10
Ibidem.
6
Le “parole sono come pietre” che se utilizzate in malo modo, posso
far male e avere un peso enorme sulla vita dei singoli individui.
Per questo la società moderna avrebbe bisogno e necessiterebbe nel
suo modo d‟agire della solidarietà. La solidarietà richiede la
donazione di una parte di noi in funzione di altri; un atto volto a
prestare la nostra persona per l‟Altro.
La solidarietà non deve essere intesa come un gesto limitato all‟azione
del dare qualcosa, ma è un concetto molto più ampio che comprende
la comprensione, l‟accettazione, la riconoscenza etc. insomma il buon
volere.
L‟atto del “donare” trova numerose barriere nella società
contemporanea; innanzitutto la società è limitata perché in genere
l‟interesse personale è l‟ingranaggio che muove tutto e quindi ogni
atto compiuto è gratuito ma mosso dalla volontà di ricevere qualcosa
11
in cambio.
Il voler rendersi utili è uno strumento e che non deve nemmeno essere
visto come un sacrificio altrimenti si tramuterebbe in un dovere e non
più in un libero gesto dettato da amore.
Donare è un atto molto complesso e difficile da mettere in atto.
Inoltre vanno sapute mantenere le giuste distanze per non rischiare di
invadere e offendere la dignità di chi riceve perché si deve tener conto
del fatto che non in tutte le azioni del donare vi è la purezza nel cuore
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del donatore.
Una società solidale, comunitaria che ha come suo scopo
l‟integrazione degli individui dovrebbe fare della solidarietà uno
11
Ferrucci F., Disabilità e politiche sociali, Milano:Franco Angeli, 2005, p. 116.
12
Ivi, p. 125.
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