2
Per C.E. Monti “con il termine di cecità intendiamo designare sia il grado
di minorazione dell’acutezza visiva, sia le difficoltà del soggetto che ne è affetto
ad adattarsi all’ambiente circostante”
3
.
La distinzione tra cecità e ipovisione è necessaria nell’orientare e distinguere gli
interventi educativo-riabilitativi e di formazione professionale.
Ogni Stato dispone di una sua specifica legislazione che definisce i
criteri con i quali determinare il grado di invalidità dei cittadini affetti da
disabilità visiva e i limiti entro i quali è possibile avere diritto a determinate
agevolazioni di natura economica, occupazionale, assistenziale e sanitaria. In
Italia l’invalidità è trattata diversamente a seconda della causa che ha
determinato la minorazione; si fa distinzione quindi tra invalidità da lavoro, di
servizio, di guerra e invalidità civile, ovvero invalidità non determinata dalle
prime tre cause. La percentuale di invalidità è determinata da apposite
commissioni mediche, in base a tabelle definite con decreto del Ministro della
Sanità
4
.
Nella categoria dei ciechi civili rientrano tutti i soggetti con riduzione
dell’acuità visiva uguale o superiore a 9,5-10 con correzione lenti, con un
residuo visivo quindi uguale o inferiore a 0,5-10.
3
C.E. Monti, La socializzazione del fanciullo non vedente, Milano: Angeli, 1983.
4 G. Ferraro, Provvidenze legislative a favore dei mutilati ed invalidi civili, ciechi e sordomuti,
Roma: Ministero dell’Interno, 1989; per un quadro sintetico sugli aspetti legislativi cfr. il
paragrafo dedicato all’argomento.
3
La cecità nell’opinione comune e i comportamenti più idonei da
tenere nella relazione con i non vedenti
Come nel caso della maggior parte degli handicap, anche per ciò che
riguarda la cecità l’opinione comune attesta atteggiamenti diversi e, nel caso
specifico, contrastanti: imbarazzo, disagio, curiosità, paura, pietà, ammirazione,
rispetto, simpatia.
In generale si attesta una evidente difficoltà di comunicazione con i non
vedenti, causata dalla mancanza di informazioni sul comportamento da adottare,
dal timore delle reazioni del soggetto interessato dall’handicap, dalle paure del
soggetto sano, dalla mancanza di esperienze concrete con persone non vedenti.
Nell’opinione comune i ciechi sono considerati “abnormal, helpless and
dependent”
5
. Alla presenza dei non vedenti, i vedenti provano disagio e
manifestano di conseguenza nei loro confronti comportamenti di evitamento, di
ipersollecitudine o di incertezza sul da farsi. Nessuna di queste reazioni risulta
salutare, poiché contrasta con l’autopercezione dei ciechi, i quali si ritengono
capaci di vivere autonomamente e sono dotati di fiducia in se stessi
6
.
5
M.E. Monbeeck, The Meaning of Blindness, Bloomington and London: Indiana University
Press, 1973; R. Scott, The Making of Blind Man, New York: Russel, Sage Fondation, 1969; J.
Van Weelden, On Being Blind, Amsterdam: Netherlands Society for the Blind, 1967.
6
B.I. Richelman, J.N. Blaylock, Behaviors of Sighted Individuals Perceived by Blind person, in
“Journal of Visual Impairment and Blindness”, American Foundation for the Blind, 1, 8-11,
1983.
4
Più specificatamente, nel valutare le reazioni dei ciechi nei confronti della
visione stereotipata dei vedenti, T.H. Cutsfoth distingue tre categorie di
comportamenti. Si tratta innanzi tutto di coloro che accettano gli stereotipi e li
interiorizzano come parte del proprio concetto di sé, quindi di coloro che
rifiutano totalmente queste definizioni e si isolano dalla collettività, sia nel
microcosmo familiare che nei rapporti sociali più in generale, e infine di quanti
accettano di confrontarsi con i vedenti e non si rassegnano ad assumere ruoli e
atteggiamenti che confermino la loro posizione di inferiorità
7
.
In Italia il quadro risulta poi ancor più negativo: i ciechi si muovono nel
mondo circostante meno che altrove; l’assenza di un reale interessamento della
collettività e delle autorità preposte nei confronti delle problematiche della
riabilitazione del cieco contribuiscono ad incrementare l’isolamento dei non
vedenti e ad aumentare a dismisura i pregiudizi che li interessano. La cecità è
concepita per lo più come cecità assoluta e la condizione fisica di ipovisione non
viene quasi mai presa in considerazione.
Ciò che si verifica nei riguardi della realtà dei non vedenti è in sintesi un
insieme di comportamenti e opinioni del tutto inappropriati. Un pregiudizio dei
più diffusi è ad esempio quello che associa alla mancanza della vista altre
disabilità, o che viceversa attribuisce ai ciechi delle qualità eccezionali, senza
distinguere i singoli individui e le loro personalità.
Nel 1983 B.I. Richelman e J.N. Blaylock hanno effettuato un’indagine su
un campione di sessanta non vedenti, chiedendo loro opinioni e consigli
7
T.H. Cutsforth, Are We Truly Part of the Community?, in “New Outlook for the Blind”, 55,
121-125, 1961.
5
riguardanti gli atteggiamenti che, nella relazione con persone interessate
dall’handicap, essi ritenevano più appropriati. Questi sono stati i risultati
ottenuti dai due studiosi:
• rispettare e valorizzare l’individualità della persona cieca e la sua indipendenza
e, di conseguenza, tenere in conto che persone non vedenti possono non aver
bisogno d’aiuto, evitare di essere troppo premurosi;
• parlare con il cieco con piena consapevolezza della situazione in cui si trova,
avvertirlo nel caso in cui si provi imbarazzo o difficoltà di relazione, parlare
rivolgendosi direttamente all’interessato;
• apprendere alcune indicazioni essenziali sulle tecniche di accompagnamento.
Offrire il braccio e camminare poco più avanti del cieco, muoversi
normalmente, con un passo regolare, ma non per forza lento, descrivere a parole
la strada o il percorso che si sta facendo, entrare per primi dalle porte o da altri
passaggi stretti
8
.
Per toccare infine un tema più specifico, è utile precisare che,
nell’educazione e nella riabilitazione dei soggetti affetti da cecità totale, occorre
tener presenti le notevoli diversità che intercorrono tra coloro che sono nati
ciechi o che lo sono diventati nella prima infanzia e coloro che lo sono diventati
in età più avanzata.
8
B.I. Richelman, J.N. Blaylock, 1983, cit.
6
Y. Hatwell e C.K. Miller hanno rilevato, in soggetti interessati da cecità dalla
nascita, ritardi evolutivi per ciò che concerne la formazione dei concetti di
conservazione del peso, della massa, nelle operazioni di seriazione, ecc.
9
.
Cecità reale e ipovisione
Ciò che risulta chiaramente evidente dall’analisi delle opinioni comuni
sulla cecità, nonché dalla definizione di cecità derivante dalle norme legislative
di tutela dei non vedenti, è l’oggettiva mancanza di distinzione tra cecità reale e
ipovisione.
Per chiarire la questione una volta per tutte, può risultare utile fare
riferimento a una sintetica, ma chiara distinzione elaborata da Dario Galati: “(...)
è oggettivamente cieco colui che non dispone di nessuna percezione visiva
derivante da stimoli luminosi provenienti dall’ambiente esterno; (...) è
funzionalmente cieco colui che, pur disponendo di percezioni visive (luci e
ombre, colori, forme vaghe , ecc.) non può per altre cause (età avanzata,
malattia, difficoltà di movimento, mancanza di adeguato addestramento,
difficoltà intrinseche di apprendimento, ecc.), organizzare l’input sensoriale in
9
Per un quadro dettagliato su questo problema cfr. Y. Hatwell, Privation sensorielle et
intelligence, Paris: Press Universitaire de France, 1966; idem, Toucher l'espace, Lille: Press
University de Lille, 1986; C.K. Miller, “Conservation in blind children”, Education of the
Visually Handicapped, 1, 101-105, 1969.
7
percezioni operativamente utili rispetto alla necessità di sviluppare strategie
adattive almeno in un settore della vita quotidiana: lettura, spostamenti in casa,
spostamenti all’aperto, ecc. ”
10
.
Sui ritardi evolutivi dei bambini ciechi dalla nascita esistono numerosi
studi che, di volta in volta, ne hanno messo in evidenza i comportamenti di tipo
autistiforme, i ritardi nella acquisizione nelle abilità sociali, le difficoltà di
apprendimento e quelle nella comunicazione non verbale
11
.
Per avere un’idea corretta di che cosa sia l’ipovisione, occorre conoscere
i processi che rendono possibile la percezione visiva. Esistono al riguardo
diverse teorie.
Innanzi tutto vi è chi qualifica l’esperienza visiva come risultato finale di
un processo costruttivo. Alcuni apparati del sistema percettivo originano
messaggi neurali connessi a specifiche caratteristiche dell’immagine che si
10
D. Galati, Vedere con la mente, Milano: Franco Angeli, 1996 (IV ediz.), p. 25.
11
Cfr. L. Giacco, M.M. Comma, Il bambino non vedente con comportamenti autistiformi, in
“Hd Handicap e disabilità di apprendimento”, LP 2, 13-19, 1988; B. Cratti, Movement and
Spatial Awareness in Blind Children and Youth, Springfield: C. Thomas Publishers, 1971; J.V.
Eichel, A Taxonomy for Mannerism of Blind Children, in “Journal of Visual Impairment and
Blindness”, American Foundation for the Blind, 73, 167-178, 1979; B.A. Hoffman, Observation
and Work with Preschool Blind Children, in “International Journal for the Education of the
Blind”, 8, 93-97, 1959; D.H. Warren, Blindness and Early Childhood Development, New York:
American Foundation for the Blind, 1980; per un quadro completo delle difficoltà evolutive dei
soggetti con grave disabilità visiva dalla nascita e delle conseguenti strategie di intervento
riabilitativo, cfr. B.D. Turner, P.W. Hercul, Bambini con disturbi visivi: strategie di intervento,
in “Hd Handicap e disabilità di apprendimento”, LP s.r.l., 3, 2-12, 1988.
8
combinano con informazioni già presenti in memoria. Secondo un altro filone di
teorie alla percezione visiva costituirebbe un processo di verifica di ipotesi
memorizzate che verrebbero selezionate dal cervello, a seconda del grado di
rispondenza ai dati sensoriali. Quando questi ultimi non sono sufficienti o
risultano insufficientemente precisi, il cervello formula diverse ipotesi e non
riesce mai a sceglierne una definitivamente.
Altre teorie ipotizzano che l’informazione visiva provenga dalla luce
riflessa dagli oggetti stessi che si trovano nell’ambiente; l’osservatore non ha
quindi necessità di elaborare preventivamente le immagini, ma le ricava
dall’incontro con gli oggetti che lo circondano.
U. Neisser sostiene che la percezione, non solo quella visiva, sia
un’attività continua e ciclica nella quale alcuni ‘schemi cognitivi anticipatori’
agiscono sul soggetto e lo preparano ad accettare determinati tipi di
informazioni, orientando l’attività visiva
12
.
Secondo le teorie ora accennate, l’ipovisione è necessariamente collegata
a problemi di cattivo funzionamento dell’apparato percettore che danno origine
a vere e proprie alterazioni dei segnali provenienti dal mondo esterno e generano
quindi errori nei processi cognitivi, che dovrebbero elaborare gli stimoli stessi.
La poca chiarezza e la confusione di opinioni che riguardano la
concezione attuale di ipovisione è riflessa dall’estrema varietà dei termini
impiegati per designare questo tipo di handicap visivo. Chi è affetto da
ipovisione viene qualificato, di volta in volta, con i termini di semicieco,
12
U. Neisser, Cognition and Reality, Principles and Implication of Cognitive Psychology, San
Francisco: W.H. Freeman and Company, 1976.
9
semivedente, minorato visivo, ambiliope, deficiente visivo, disabile visivo,
subvedente, videoleso, malvedente.
In Italia l’ipovedente è colui che presenta un residuo visivo fino a 3/10,
senza considerare il campo visivo.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità prevede invece cinque categorie
di disabili visivi, con visus compreso tra i 3/10 e l’1/10 e la cecità totale
13
.
Nell’elaborazione di programmi e progetti educativo-riabilitativi, si
dovrebbe comunque tener conto del tipo di patologia presentata dal disabile non
vedente o ipovedente, il suo adattamento alla luce, il valore funzionale delle
varie parti della retina (un danno periferico compromette l’autonomia della
deambulazione in modo diverso, rispetto a un danno centrale). I soggetti affetti
da ipovisione dovuta a degenerazione tapetoretinica (retinite pigmentosa)
conserva un buon grado di autonomia e di capacità di autogestione, in
condizioni ottimali di luminosità. Nelle ore preserali e con l’illuminazione
artificiale il valore funzionale del residuo si riduce notevolmente fino alla cecità
13
Si tratta in particolare delle seguenti categorie: 1) soggetti che, con la miglior correzione
standard raggiungono un visus tra i 3/10 e l'1/10; 2) soggetti che con la miglior correzione
standard raggiungono un visus tra l’1/10 e l’1/20; 3) soggetti che con la miglior correzione
standard raggiungono un visus tra l’1/20 e l’1/50; a questa categoria appartengono anche i
soggetti che indipendentemente dal visus dispongono di un campo visivo compreso tra i 10° e i
5°; 4) soggetti che con la miglior correzione standard raggiungono un visus tra l’1/50 e la
percezione luce; a questa categoria appartengono anche i soggetti che indipendentemente dal
visus dispongono di un campo visivo inferiore ai 5°; 5) ciechi assoluti.
10
totale. Lo stesso fenomeno si verifica in condizioni di incremento improvviso di
luminosità.
Quando la cecità colpisce il soggetto in età avanzata, il grado di
autonomia dell’ipovedente è condizionato grandemente dai fattori psicologici.
In ogni caso poi, la paura del giudizio negativo dei vedenti può essere
fortemente invalidante e limitante per i soggetti non vedenti o ipovedenti: gli
individui interessati dall’handicap si sentono impacciati e imbranati, rispetto ai
sani, oppure provano vergogna a chiedere la loro collaborazione.
Se da un lato, come già accennato, nel rapportarsi ai ciechi o agli
ipovedenti, per evitare errori e consolidamenti di comportamenti scorretti, i
vedenti devono acquisire alcune accortezze comportamentali e una corretta
conoscenza dell’handicap, dall’altro lato i non vedenti hanno l’obbligo di
raggiungere una corretta coscienza del proprio limite, quale momento
privilegiato di consapevolezza della minorazione
14
. Soprattutto nel caso dei
ciechi dalla nascita, ciò è possibile, grazie al clima del contesto familiare, nei
primissimi anni di vita, e a quello comunitario-sociale, nel periodo successivo.
“Nessun cieco dalla nascita avverte spontaneamente la sua minorazione; –
scrive ad esempio Stefano Salmeri – è piuttosto il contesto sociofamiliare a dare
e sancire la condizione della discriminazione facendo vivere in forma coatta e
cogente la diversità, cioè sono gli altri a trasmettere al cieco i pregiudizi del
mondo influenzandone quindi in modo attivo, con il condizionamento, lo
14
Cfr. S. Salmeri, La minorazione visiva. Consapevolezza della diversità e approccio
multimediale, Catania: C.U.E.C.M., 1992, cap. 3.
11
sviluppo e lo strutturarsi della personalità”
15
. Perché il cieco costruisca una
personalità equilibrata deve potenziare l’attività immaginativa, sviluppare una
“multimedialità” cognitiva, perfezionale la capacità di autogestione e acquisire
una serie di prerequisiti necessari a un approccio sintetico alle realtà del mondo
in cui vive.
Un cieco che manifesta insofferenza nei confronti della sua condizione
fisica rivela un Io non ben strutturato che porta a un rifiuto del contesto in cui
egli vive. L’insofferenza incoraggia e conferma l’idea della cecità come
sofferenza che può essere lenita solo grazie alla ‘pietà’ dei vedenti.
Anche se il cieco non può fare tutto, e sbaglia chi incoraggia il
pregiudizio che sostiene il contrario, egli può essere attivo in molti campi e con
ottimi risultati. Quanti sottolineano gli aspetti negativi della cecità, senza
considerare minimamente le possibilità di realizzazione personale e di
conseguente integrazione sociale e professionale che questa permette alla
persona, non si propongono una reale integrazione del cieco, ma cercano
soltanto di ottenere privilegi, non sempre costruttivi anche e soprattutto per il
cieco stesso.
Il cieco che ha maturato una corretta coscienza del proprio limite non
cerca di nasconderlo, né si concentra nel sottolineare a se stesso e agli altri le
cose che oggettivamente non è in grado di fare. Il cieco può integrarsi nel
contesto sociale, senza troppe difficoltà, naturalmente nei campi nei quali può
15
Ibidem, p. 23.
12
essere alla pari con gli altri e, quando ciò non è possibile, deve saper recedere,
presentando la sua minorazione con senso di realtà.
Di questo corretto modo di approcciarsi all’handicap i ciechi stessi
devono costituire i modelli. Se della cecità si sottolineano gli aspetti di
sofferenza e dolore, confrontandola con la condizione di vita dei normodotati, i
soggetti interessati dall’handicap non giungono a capire che, per raggiungere
l’integrazione, non esistono qualità eccezionali. Se infatti è vero che la cecità
cancella un aspetto fondamentale della sensorialità, è altrettanto vero che
l’impiego della parola per la comunicazione intersoggettiva e l’uso del pollice
per controllare la realtà, attraverso la prensione, rendono possibile al cieco
un’esistenza piena e autonoma, pur limitativamente a seconda del grado di
minorazione visiva.
La cecità non è affatto il più grave degli handicaps, come erroneamente
sostengono alcuni. Con adeguati programmi di riabilitazione e educazione, il
cieco non presenta alcun ritardo evolutivo
16
.
16
Y. Hatwell, cit., 1966; E. Ceppi (a cura di), Minorazione della vista e apprendimento, Roma:
Armando, 1984.
13
2. LA LEGISLAZIONE DELL’HANDICAP
Aspetti legislativi: cenni storici
17
Per quanto riguarda la legislazione relativa ai non vedenti, possiamo
notare un vero e proprio ribaltamento nell’arco di un secolo circa: nel 1865 il
codice Zanardelli sanciva infatti una visione del cieco come persona
impossibilitata a studiare, a lavorare e quindi incapace di gestirsi in autonomia;
per questo poteva essere solo oggetto di beneficenza, ma mai soggetto, tanto
meno dal punto di vista civile e giuridico.
La situazione comincia ad evolversi dopo la Prima Guerra Mondiale
grazie all’azione dei ciechi di guerra, che rivendicano un sostegno e soprattutto
una ricollocazione lavorativa nella società; si comincia a comprendere che se è
possibile per loro lavorare lo è anche per i ciechi civili. Tale presa di coscienza
porterà alla fondazione a Genova nel 1920 dell’Unione Italiana Ciechi – che
contribuirà in maniera determinante al reinserimento sociale e all’adeguamento
legislativo, e sarà riconosciuta come struttura di rappresentanza e di tutela dei
non vedenti con la Legge 26 settembre 1947 n. 1047 (confermata con D.P.R. 23
dicembre 1978) – e alla creazione di scuole per formare educatori dei ciechi e
alla trasformazione delle strutture preesistenti, da ricoveri a vere e proprie
Scuole Statali per non vedenti.
17
Cfr. Legislazione sociale in favore dei ciechi: dall’esperienza di pochi, riflessi importanti per
tutti, di G. Fucà, in AA.VV. Dialogo nel buio, Roma: QuinTilia, 1997.
14
Sinteticamente, i risultati raggiunti saranno relativi a:
• il riconoscimento della piena capacità giuridica dei ciechi, sancito dall’art.415
del Codice Civile;
• il diritto allo studio, esteso fino ai titoli accademici;
• il diritto al lavoro attraverso il collocamento obbligatorio di insegnanti,
centralinisti, massaggiatori, massofisioterapisti e terapisti della riabilitazione;
• il riconoscimento di una pensione sociale in proprio favore, conseguita in
anteprima non solo a livello italiano, ma anche europeo (1954).
15
La Costituzione
Non possiamo omettere di citare quanto stabilito dalla nostra
Costituzione riguardo alla problematica degli handicappati.
In generale, l’art. 3, primo comma, sancisce che “tutti i cittadini hanno
pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni (…) di
condizioni personali e che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di
ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e la uguaglianza
dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana” (comma 2).
Più nello specifico, l’art. 38 regola i diritti dei portatori di handicap e i
doveri che lo Stato assume nei loro confronti: in particolare, il primo comma
prevede il diritto al mantenimento e all’assistenza sociale in favore di chi è
inabile al lavoro e/o sprovvisto di mezzi; il terzo sancisce il diritto
all’educazione e all’avviamento professionale; il quarto regola il sostegno dello
Stato nei compiti di cui sopra; il quinto riconosce la libertà dell’iniziativa privata
al riguardo.
Vediamo di seguito la concretizzazione dei principi in alcune leggi, in
particolare riguardo a due aspetti che sono per noi di maggiore interesse, ovvero
il problema delle barriere architettoniche e della possibilità di crescita
intellettuale per i non vedenti.