un ulteriore aggiornamento che riconduca la ricerca su un piano
interdisciplinare, dove il geografo, lo storico, l’antropologo, il
sociologo, l’architetto e il legislatore mettano insieme i loro studi
utilizzando i documenti di archivio e decifrando i segni del territorio
per arrivare alla comprensione totale del paesaggio agrario.
Da qui nasce l’esigenza di condurre una ricerca su aree omogenee,
dove il fattore fisico e le vicende storiche hanno determinato non
solo il perpetuarsi delle tecniche di utilizzazione del suolo, ma anche il
ristagno dei sistemi insediativi e il ripetersi delle forme abitative.
Da queste considerazioni risulta alquanto impossibile affrontare la
tematica delle masserie ostunesi e delle connesse attività agrituristiche
senza aver prima tracciato un quadro geografico, storico,
paesaggistico ed economico.
Punto di partenza del lavoro è l’analisi dell’evoluzione del paesaggio
agrario e dell’attività agricola in Puglia; quindi attraverso lo studio dei
mutamenti della masseria nei tempi, ho condotto una classificazione
della stessa a seconda delle esigenze abitative o produttive a cui
doveva far fronte. La masseria, infatti, ha da sempre costituito un
legame tra u o m i n i, l a v o r o a g r i c o l o e p r o d u z i o n e
(Mongiello, 1989, p.9) e quindi è intimamente legata al dinamismo
della economia agricola.
Dopo un’attenta analisi della dimora rurale in Puglia, ho cercato di
classificare le masserie per attività economica praticata, servendomi
della presenza di particolari elementi caratterizzanti la struttura, quindi
ho accennato le masserie fortificate, le masserie regie e gli
insediamenti monastici.
L’osservazione si è poi concentrata sulla città di Ostuni e sul suo agro
che con i suoi 22.384 ettari è uno dei più estesi della provincia di
Brindisi, occupando da sempre un ruolo rilevante nell’economia
rurale della provincia.
Dalla visione generale del territorio, l’attenzione si sofferma sull’aspetto
architettonico e turistico, apportando una classificazione dei beni culturali
della città.
Inoltre ho accennato l’aspetto demografico di Ostuni, quindi ho
analizzato la popolazione dedita ai vari settori economici cercando di
cogliere eventuali connessioni tra settore primario ed evoluzione del
patrimonio artistico-rurale, e quindi della masseria. In seguito ho
approfondito le prospettive degli assi portanti dell’economia
ostunese, facendo riferimento in particolare al settore agricolo e al
settore turistico.
Nel capitolo III l’indagine si sposta sulle masserie, quali beni culturali
che, come sottolinea Pinna (1981), ricadono nel dominio di studio del
geografo, in quanto ubicati in modo stabile sul territorio.
Attraverso uno studio sulle masserie dell’agro ostunese, si può notare
che attualmente solo alcune sono state rivalutate e recuperate, nelle
quali si svolgono attività economiche quali l’agriturismo e il turismo
rurale, altre sono ancora sede di allevamento e coltivazione mentre la
stragrande maggioranza verte in uno stato di abbandono totale. Altro
aspetto peculiare del capitolo è la catalogazione delle masserie e la
relativa ubicazione; da questa indagine è scaturito che la maggior
parte delle masserie è concentrata nella zona collinare della città, più
idonea al pascolo e alla trebbiatura dei cereali.
Nel capitolo IV ho approfondito l’indagine sulla rivalutazione delle
masserie, quindi ho analizzato l’attività agrituristica in Puglia.
Inoltre ho fatto riferimento alla Legge Quadro nazionale n.730/1985, la
prima che ha regolarizzato l’attività agrituristica facendola rientrare tra le
attività economiche a pieno titolo. Considerevole attenzione meritano
anche le iniziative delle autorità locali, il Patto Polis (che coinvolge 12
comuni del sud-est barese) e il P.R.U.S.S.T. In particolare il primo, si
propone quale scopo principale il sostegno allo sviluppo integrato e
coordinato dai settori trainanti per l’economia locale, migliorando la
vivibilità del territorio. Infine l’analisi si restringe nel territorio di Ostuni
e quindi si accenna al tipo di attività prevalente, alle origini del fenomeno
agrituristico della zona e alla rivalutazione delle vecchie strutture rurali.
L’ultimo capitolo si concentra sulla ‘geografia della percezione’.
Da un’indagine condotta tra 383 studenti del liceo classico e scientifico
del mio paese, ho cercato di cogliere il livello di conoscenza dei ragazzi
di età compresa tra i 14 e i 19 anni a proposito delle masserie del
territorio ostunese, dell’agriturismo e delle eventuali proposte di
riutilizzazione. A tal proposito si è cercato di sensibilizzare i giovani
cercando di ottenere pareri favorevoli circa gli eventuali interventi di
recupero di una potenziale ricchezza economica–culturale qual è
appunto la masseria.
CAPITOLO I
Il fenomeno masseria
1.1 L’agricoltura in Puglia
Nella trama dei segni che costituiscono il paesaggio agrario,
l’architettura ne rappresenta il segno dominante e come tale deve essere il
punto di partenza per ogni tipo di lettura del paesaggio stesso
(Costantini, 1984). La ricerca sull’architettura rurale appartiene, quindi,
ad uno studio più ampio del paesaggio rurale e del paesaggio agrario. Il
primo considera i caratteri esteriori, le immagini ed i modelli propri dello
ambiente agricolo in contrapposizione a quelli dell’ambiente urbano e si
sofferma infatti, ad analizzare il disegno dei campi coltivati, la
disposizione ed il tipo delle colture, la distribuzione e la qualità delle
abitazioni agricole. Se in esso si ritrova un contenuto prettamente
descrittivo, il paesaggio agrario evoca interessi di carattere giuridico-
economico.
Quest’ultimo sposta l’attenzione dalle forme del paesaggio campestre
ai campi che sono o potranno essere coltivati,dunque a tutto quanto
riguardi le strutture economiche della produzione: dall’utilizzazione
del suolo, le scelte produttive, il mercato di collocazione dei prodotti
(Grillotti, 1992).
Proprio perché soggetto a continue variazioni, il paesaggio rurale non
può essere studiato soltanto attraverso l’insieme dei segni che lo
costituiscono, ma deve comprendere ogni forma di organizzazione
insediativa. In particolare, la masseria pugliese, oltre alla percezione
del dato storico, rappresenta la testimonianza antropico-culturale
dell’economia agricola. Il suo inserimento all’interno dell’ambiente
naturale ha definito e segnato il paesaggio pugliese.
Quello della Puglia “è un paesaggio segnato dalla persistente e diffusa
caratterizzazione rurale, frutto di una occupazione antica del suolo, di
una agricoltura affamata di spazio, che non è arretrata davanti a
terreni poveri e scoscesi e li ha fertilizzati con una sovrabbondanza di
lavoro umano. Reagendo a una natura non benigna, l’uomo è riuscito
a conquistare all’agricoltura l’80% del territorio” (Bissanti, 1997,
p.166).
Per millenni l’occupazione fondamentale degli abitanti della Puglia,
come delle altre regioni italiane, è stata l’agricoltura. La proprietà
fondiaria in Puglia presenta le sue variazioni in rapporto soprattutto al
rendimento della copertura vegetale. La grande proprietà
latifondistica, costituita per lo più dalle zone rocciose sterili o a
pascolo magro, è presente nel Gargano, nelle Murge alte e in alcune
zone del Tavoliere.
Il frazionamento è diventato altissimo in tutto il resto della regione
pugliese, e specialmente lungo la costa settentrionale garganica: nella
larga fascia costiera del Barese, nella Murgia dei trulli, lungo la vasta
sezione centrale del Salento. In queste zone le proprietà inferiori ai 2
ettari superano il 90% delle proprietà esistenti (Colamonico, 1970).
L’ alta valorizzazione agraria di buona parte di codeste aree è di data
recente, ed è stata interamente opera dell’agricoltore, che con il lavoro
personale e intenso, ha saputo trasformare su vaste contrade la nuda
roccia in fitte colture legnose di vigneti, oliveti, mandorleti, agrumeti
e altri frutteti (Colamonico, 1970).
Prendendo in esame le indagini dell’Istituto Nazionale di Economia
Agraria, risulta evidente, nelle linee generali, la prevalenza della
proprietà coltivatrice sulla affittanza, con la maggiore diffusione di
quest’ultima nella pianura del Tavoliere e nell’altopiano delle Murge
rivolte al Mar Ionio, e con la prevalenza della proprietà coltivatrice
nella larga fascia che si allunga dal Tavoliere meridionale a Leuca.
Altra caratteristica da rilevare è la limitata presenza della colonia
parziaria appoderata, segnalata specialmente in qualche zona del
tavoliere e nella pianura messapica, di fronte alla larga diffusione della
colonia parziaria non appoderata, rappresentata sia nelle varie parti
delle Murge settentrionali e meridionali del Salento (Colamonico,
1970).
Sotto il riguardo della utilizzazione del suolo, il territorio pugliese si
presenta con varie tipologie di paesaggio agrario.
Da una netta prevalenza dei cereali, nell’Alta Murgia si passa nelle
maggior parte della regione al dominio delle colture arboree, vite e
olivo in particolare : esse ricoprono un’area di oltre 700 mila ettari e
costituiscono poco meno del 40% della superficie agraria e forestale di
tutta la Puglia. Si riscontra inoltre la prevalenza degli agrumi nel
tarantino, del tabacco e delle patate nel leccese (Inea, 1997).
Nel tavoliere divenuto un punto di forza della daunia e della stessa
Puglia, il grano, per lo più duro, occupa ancora una parte notevole
dello spazio rurale, con ordinamenti più razionali rispetto al passato.
Grazie all’irrigazione ed alle moderne tecnologie si sono diffuse
colture intensive (industriali e orticole) e legnose (oliveto, vigneto e
frutteto) tipiche dell’agricoltura pugliese che hanno contribuito
all’elevazione del reddito agricolo (Carparelli, 1998).
Un esame dei più importanti indicatori strutturali riferiti all’agricoltura
pugliese è utile per definire la struttura agricola caratteristica del
nostro territorio. Le aziende agricole pugliesi nel 1997 erano 300.614,
di cui la quasi totalità condotta direttamente dal coltivatore. La
Superficie Agricola Utilizzata (SAU) pugliese ammontava nel 1997 a
1.431.099 ettari, con una media aziendale di 4,8 ettari, inferiore ai
valori medi meridionali e nazionali pari rispettivamente a 5,5 e 6,4
ettari (Inea, 1999).
I dati riferiti all’occupazione segnalano una percentuale di addetti
tuttora in declino in agricoltura (13,7% nel 1997 contro il 17% nel
1991), a fronte di una sostanziale stabilità intorno all’8% dell’analogo
valore nazionale. Il valore della produzione agricola pugliese ha
raggiunto nel 1997 quasi 6 miliardi di lire. La ripartizione della
Produzione Lorda Vendibile (PLV) regionale risulta sostanzialmente
ugualmente ripartita tra le colture erbacee e quelle arboree che
incidono sul valore totale con una quota di circa il 44%. Gli
allevamenti rappresentano invece la rimanente quota (11% circa).
Dall’analisi più specifica per comparto produttivo, si evince che tra i
prodotti delle colture erbacee il valore più alto è da attribuire al
comparto delle patate e ortaggi; per quanto riguarda la cerealicoltura,
essa è in gran parte rappresentata dal frumento duro che costituisce
circa l’87% del totale produttivo.
Tra i prodotti delle colture arboree il più alto livello di produzione è
ascrivibile al comparto delle olive, seguito da quello di uva da vino e
quindi da quello dell’uva da tavola (Inea, 1997).
Si tratta quindi, di una agricoltura intensiva, altamente specializzata,
influenzata dagli andamenti del mercato, in grado di fornire un reddito
adeguato agli occupati del settore. La struttura agricola descritta è
propria del XX secolo: in passato, infatti, il territorio pugliese era
caratterizzato da una agricoltura estensiva votata all’autoconsumo ed
alla presenza in azienda di più colture. Infatti sin dai tempi dei
Romani, la struttura fondiaria era tale da promuovere nelle nostre
terre la coltivazione intensiva in piccoli poderi che sotto l’impero
furono inghiottiti dai latifondi. Con le invasioni barbariche, le terre di
Puglia furono ridotte a “campi di pastura per nomadi armenti”
(Fiorese, 1900). La pastorizia in questo periodo rappresentò l’unico
modo possibile di sfruttamento delle terre ormai sottratte alle
coltivazioni arboree. Con l’avvento dei Normanni, degli Svevi,
Angioini ed Aragonesi si ebbe una politica di incremento della
pastorizia che venne organizzata con apposite leggi (istituzione della
regia dogana delle Pecore, istituzione di un tribunale privilegiato per i
pastori).
Tale contesto non subisce mutamenti se non con l’avvento di Carlo
III di Borbone e dei suoi successori (seconda metà del Settecento inizi
dell’Ottocento) ai quali si devono utili riforme economiche. Allora i
boschi si rinfoltirono, la vite comparve nelle terre sottratte al pascolo;
con la vite furono impiantate le talee dell’olivo ed altre colture
arboree. Poco per volta quindi, grazie alla sicurezza delle terre, ai
benefici governativi ed all’abbandono della pastorizia nomade si
vennero a formare vigneti, uliveti, mandorleti e frutteti (Fiorese,
1900).
Si vede quindi come man mano si sia passati da un’agricoltura
incentrata sull’autoconsumo in cui si era soliti associare le diverse
colture ad un tipo di agricoltura intensiva, muovendo i primi passi
verso un’agricoltura specializzata e da reddito che caratterizza
attualmente il settore agricolo pugliese.
1.2 La dimora rurale in Puglia
“Lo studio della casa rurale in Puglia è legato ai tanto numerosi fatti e
fenomeni del mondo fisico e dell’attività umana, che costituiscono gli
elementi fondamentali contenuti nello studio geografico della regione.
Sono infatti, evidenti tanto i rapporti con la natura del terreno, con i
suoi aspetti morfologici, con le influenze dell’idrografia e del clima e
con le forme della vegetazione spontanea, quanto i legami con la
tradizione storica e la distribuzione della popolazione, soprattutto col
popolamento sparso, e quelli infine con l’utilizzazione del suolo e con
gli altri numerosi problemi geografici dell’economia rurale” (Colamonico,
1970, p.1)
La Puglia è una delle regioni meglio individuate del nostro Paese. La
sua unità fisica è essenzialmente il risultato della sua origine e della
uniformità della sua costituzione litologica. I suoi terreni, formatisi
nell’ultimo periodo del mesozoico, hanno finito per creare, attraverso
la diffusa opera di corrosione nei calcari, una comune idrografia e
morfologia. La roccia, più diffusamente rappresentata nella regione
pugliese è il calcare compatto del cretacico; la larghissima sua
presenza ha offerto all’uomo, nel corso dei secoli, il materiale per la
costruzione delle abitazioni, per l’innalzamento dei muri di confine
come limiti delle proprietà fondiarie nelle campagne, per il selciato
delle strade e in una vasta area delle Murge meridionali, la particolare
diffusione in superficie di strati calcarei di limitato spessore ha
favorito quel singolare tipo di dimora che va sotto il nome di
“trullo”(Colamonico, 1970).
In una regione simile, caratterizzata quasi interamente da idrografia
carsica, l’uomo è stato anzitutto costretto a scegliere per i suoi
insediamenti i punti in cui ha potuto utilizzare, per gli elementari
bisogni della vita, le acque delle falde freatiche residuali del mantello
tufaceo e sabbio – argilloso pliopleistocenico. La diffusissima roccia
calcarea ha fatto specialmente delle campagne murgiane e garganiche
estese pietraie sterili e brulle.
In particolare la zona denominata “Murgia dei Trulli” che abbraccia
anche il territorio di Ostuni, è caratterizzata da due aspetti che
caratterizzano e individuano l’unità regionale definita dal toponimo: la
forma affatto singolare dell’abitazione, irta di cupole conformi e la
dispersione dell’insediamento rurale sui fondi, fatto altrettanto
singolare tra paesi di massimo “accentramento agricolo”.
Da misurazioni al planimetro eseguite su carte a grande scala, la base
territoriale dell’abitato a trulli risulta estendersi per 1056 kmq. Si tratta
di una dimensione del tutto nuova del paese con popolamento
contadino sparso nei trulli. Come ricovero campestre e come
accessorio rustico dell’abitazione rurale, la casedda si diffonde
realmente su uno spazio più vasto; per cui, appena fuori dai limiti
della plaga a popolazione dispersa, si assiste a un più o meno rapido
diradamento delle costruzioni a trullo, ma non alla loro repentina
scomparsa. Su territori a brevi distanze dai centri abitati e
nuovamente caratterizzati da un’economia agricola e pastorale a
conduzione capitalistica, la sede di campagna torna ad essere la
comune masseria pugliese che dalla tradizione edilizia della vicina oasi
a trulli può aver mutato il modo di costruire i ripari giornalieri sparsi, i
pagliai, i ripostigli e gli stessi ricoveri del gregge annessi al nucleo
principale. In tali zone, gli elementi a copertura coniforme inseriti nel
caseggiato delle masserie rappresentano un fattore del tutto normale
(Colamonico, 1970).
C’è da dire anche che non tutte le abitazioni sparse nella plaga
murgiana sono costituite uniformemente da elementi a copertura
circolare. Un gran numero di esse risulta dall’unione di edicole a trullo
e di elementi con tetto a lamia estradossata o a due pioventi con forte
inclinazione e, secondo lo stile dell’architettura del luogo, con manto
di chiancarelle al posto delle comuni tegole laterizie. Tale tipologia
costruttiva segna cronologicamente il passaggio dal vecchio trullo a
secco alla casa moderna. Le medesime soluzioni funzionali e
planimetriche, riscontrate per la casedda a trullo o di tipo mistiforme
(quando comprende elementi a base rettangolare) si osservano in una
forma secondaria, diffusa soprattutto, come abitazione associata al
vigneto, nel territorio di Ostuni, con propaggini più o meno estese nei
comuni attigui di Carovigno e San Michele. La si può designare
pertanto col nome di “casedda ostunese”, per distinguerla dalla più
famosa parente martinese. E’ una dimora del tutto identica alla casa a
trullo, eccetto che nella forma del tetto: al posto dell’apparecchio a
cono, ciascuna cellula innalza una cupola a sezione ogivale a bassa
calotta sferica. Può dirsi, in sostanza, la forma succedanea del trullo,
dove l’una dirada, l’altra affittisce la propria frequenza e con questa
varia prevalenza dell’una o dell’altra esse imprimono insieme una
particolare caratteristica all’estrema propaggine di sud-est della Murgia
dei Trulli, la stessa che giunge a impegnare la piana messapica e si
allarga in direzione del litorale adriatico.
1.3 La masseria nella storia
Le masserie pugliesi rappresentano l’espressione più emblematica
della cultura contadina, in quanto modelli di una civiltà ormai
largamente superata che ha notevolmente influito non solo
sull’organizzazione dello spazio rurale, ma anche, sull’intera vita
economica e sociale della Puglia (Quarta, 1996).
Originariamente il termine masseria è nato per designare,
nell’organizzazione della società rurale, il rapporto giuridico che
legava il proprietario terriero al “massaio”, all’amministrazione cioè di
un complesso di beni immobili, quali le costruzioni rustiche e i terreni
di ogni specie. Il termine masseria, però, è da ricondurre al significato
originario ed al concetto di massa che, nel latino classico, significa
blocco, riunione, conferimento di cose (massa deriva infatti dal latino
mansus, dal verbo maneo: dimorare, star fermo), mentre nell’originario
significato greco il riferimento è alla massa di farina impastata, al pane
d’orzo. “E comunque il termine masseria trova riscontro soltanto in
quelle strutture più complesse dell’habitat rurale facenti parte
dell’insieme di fondi rustici comunemente affidati al governo di un
massaio”. (Baccaro, 1998 –99, p. 35).
In Puglia, per secoli, agricoltura e pastorizia sono state le attività
prevalenti a supporto per lo sviluppo del commercio.