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Terenzio sosteneva che: “senectus ipsa morbus est”; la vecchiaia di per sé è
una malattia. Ciò non corrisponde a verità se la si interpreta nel senso che i
vecchi sono quasi sempre degli individui malati.
Tuttavia la vecchiaia implica un complesso di modifiche dell′organismo,
per cui la persona anziana ha caratteristiche anatomiche e fisiologiche ben
distinte da quelle dell′uomo giovane o nel pieno della maturità. Gli studi
sull′invecchiamento, sia dal punto di vista clinico che scientifico, si sono
sviluppati in maniera significativa solo negli ultimi decenni. In passato la
medicina si era caratterizzata per un atteggiamento scettico: riteneva senza
speranza la possibilità di incidere su un processo apparentemente maligno e
irreversibile come la vecchiaia. Questa posizione negativa era in linea con
una realtà sociale proiettata verso il giovanilismo, il rinnovamento rapido
della cultura e la trasformazione del modo di vivere. I valori del passato,
quelli a cui è legata l′esperienza dell’anziano dovevano essere dimenticati o
modificati. La medicina, e le discipline ad essa connesse venivano assorbite
dall′interesse per le nuove tecnologie, allontanando il proprio focus
dall′uomo ma soprattutto dall′anziano. Da qualche tempo, però, molto è
cambiato nelle dinamiche collettive, richiamando l′attenzione sulla
condizione dell′anziano.
È impossibile ritrovare una motivazione singola di questo nuovo interesse,
che sembra invece essere prodotto insieme da eventi demografici (
diminuzione delle nascite e aumento della vita media ), economici e di
organizzazione( carico pensionistico gravissimo e drastica riduzione del
mercato del lavoro a tutte le età ), culturali e psicologici( la sofferenza
dell′emarginazione silenziosa, sempre più insopportabile alla luce di una
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nuova razionalità sociale ) e medici( la crisi dell′atto terapeutico ad alta
intensità tecnologica, di fronte ai fenomeni di cronicizzazione e alle
malattie non curabili ). Il criterio di salute ha subito profonde modificazioni
negli ultimi anni; si è raggiunto il convincimento che il benessere psico-
fisico dell′uomo non può essere determinato come insieme di osservazioni
singole di parametri indipendenti, ma come equilibrio complessivo, che si
assesta a livelli diversi alle varie età, subordinato alla struttura genetica,
alla storia individuale, alla condizione di vita dei gruppi sociali
d′appartenenza. In questa prospettiva anche i processi di invecchiamento
non rappresentano un evento catastrofico, necessariamente associato a una
condizione di malattia: essi sono l′evoluzione naturale della struttura fisica
e psichica dell′individuo e come tali subiscono l′influenza delle condizioni
nelle quali la vita si sviluppa. L′anziano perde molta della sua libertà per
motivi sociali, economici, psicologici e fisici: questa deve essere
riconquistata, almeno per quella porzione più direttamente dipendente dalla
volontà del singolo e dalla sua capacità di controllare e migliorare lo stile di
vita. Egli, in quanto individuo sociale ha diritto alla salute: se conosce
meglio se stesso è anche capace di chiedere al sistema sanitario di non
essere trascurato e considerato un “malato necessario”, soltanto a ragione
dei propri anni. Difatti quando le persone anziane si dicono malate, anche
senza esserlo, esprimono un′errata percezione della loro condizione di
vecchiaia, non ascoltando le parole di Galeno, il quale considerava la
vecchiaia “…a metà strada tra la malattia e la salute, uno stato
normalmente anormale in maniera sconcertante e parte naturale della vita”.
È altresì vero che per molto tempo la psicologia gerontologica si è occupata
più degli aspetti deficitari che degli aspetti additivi della vecchiaia. È stato
studiato più il vecchio malato che il vecchio sano. Spesso si è commesso
7
l′errore di considerare come fisiologico e caratteristico dell′invecchiamento
un quadro che invece, pur essendo molto frequente in vecchiaia, è
espressione di una patologia o anche di errori nella conduzione esistenziale
individuale, nelle abitudini sociali, negli aspetti culturali, ecc. Non v′è
nessuna impressione cinestesica che ci riveli le involuzioni della
senescenza. È questo uno dei tratti che distinguono la vecchiaia dalla
malattia. Questa ci avverte della sua presenza, e l′organismo si difende
contro di essa in maniera a volte più nociva ancora dello stimolo stesso; la
malattia esiste con più evidenza per il soggetto che la subisce che non per
coloro che lo circondano, che spesso ne misconoscono l′importanza. La
vecchiaia appare agli altri più chiaramente che non al soggetto stesso: è
normale che la rivelazione della nostra età ci venga dagli altri, dato che in
noi è l′altro che è vecchio. E così, nella nostra società, la persona anziana è
designata come tale dal costume, dai comportamenti altrui e dal
vocabolario. Molti individui vi si approcciano con rassegnazione,
assumendo un atteggiamento che gli psichiatri chiamano “gribouillisme”
che consiste nel gettarsi nella vecchiaia a causa dell′orrore che ispira. In
questa condizione essi esagerano ogni defezione, ogni cosiddetto
“malanno” sconfinando spesso in patologie psicologiche. La situazione non
si verificava( e non si verifica! ) nelle società a carattere tradizionale dove
agli anziani era riservato di norma un grande rispetto. In esse il passaggio
allo status di anziano segnava spesso il raggiungimento del massimo
prestigio che un individuo potesse raggiungere. Si riteneva che coloro che
erano capaci di far fronte con successo alla vecchiaia attingessero alle
proprie risorse interiori, perdendo interesse per le gratificazioni esterne
offerte dalla vita sociale. Bisogna quindi auspicare un′incontro tra una
sensibilità umana sempre più attenta a questa problematica e una scienza in
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progresso continuo, affinché si possa affermare che invecchiare non è una
malattia.
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PRIMA PARTE: LA VECCHIAIA
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ESCURSUS ANTROPOLOGICO
SULL′′′ ESSERE ANZIANO:
″ …se il nostro destino non è di
essere immortali, bisogna
desiderare che l′uomo si
spenga quando è venuta la sua
ora, poiché in natura c′è una
misura per tutte le cose, vita
compresa″ .
( De Senectute, Cicerone)
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La vecchiaia può essere considerata una creazione della storia. I pochi
documenti di cui disponiamo non riguardano quasi mai gli anziani
direttamente. Ciò è da spiegarsi come una non suddivisione in fasi della
vita, caratteristica diffusa dei popoli primitivi. Proprio a causa di questa
scarsità di fonti, o meglio, a causa della incertezza delle stesse dobbiamo
riferirci alle descrizioni di esploratori, di storici e di antropologi che, tra la
fine del secolo scorso e l′inizio di questo, hanno raccolto importantissime
documentazioni sulla vita delle “ultime” popolazioni primitive. Anche se
questi documenti non risalgono realmente all′epoca primitiva sono da
ritenersi ugualmente validi. Bisogna premettere che ogni forma di
aggregazione sociale, anche la più piccola e la più semplice, crea al suo
interno un modello di uomo e conseguentemente di anziano.
Sono gli stili di vita( economico, sociale, religioso, politico, ecc.. ) a
caratterizzare tali modelli. Nelle società primitive preistoriche sopravvivere
a lungo doveva essere un fenomeno straordinario per tutti da non dover
essere considerato naturale. E’ molto probabile che attribuissero la
longevità a una protezione soprannaturale o a una certa partecipazione
dell′anziano al mondo del divino.
L′ipotesi che la posizione dell′anziano fosse stabilita su base culturale è
confermata anche dai popoli di tradizione orale. Un′aspetto che
accomunava gran parte delle popolazioni primitive è che l′esperienza e le
conoscenze del vecchio avevano molta importanza per l′intera comunità,
ma soprattutto per egli stesso. Così si spiega l′età avanzata della maggior
parte degli stregoni, delle streghe, o dei sacerdoti; in queste culture il
vecchio assumeva la posizione di massimo riferimento per tutti i membri,
posizione che gli garantiva grande rispetto tra di essi. Se l′anziano, grazie
alla sua memoria, era depositario del sapere, se conservava il ricordo del
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passato ed era l′unico a conoscenza delle tecniche con cui sfamare il
proprio gruppo, o far fronte alle avversità dell′esistenza, sistematicamente
risultava essere di status superiore e manteneva questo ruolo fino alla
morte. Tuttavia era il fattore economico( reperimento di risorse
alimentari..) che spesso superava d′importanza quello religioso o culturale:
qui il vecchio perdeva di significato non potendo più lavorare per sé e per
gli altri, diventava solo un peso per tutti il presente dominava, ad esso si
sacrificava l′avvenire.
Quando il clima era duro, le circostanze difficili, le risorse insufficienti, la
vecchiaia degli uomini assomigliava a quella delle querce, che sopportano
inverni siderali ed estati torride; la maggior parte di loro soffrivava la fame
tutta la vita. Questo accadeva nelle civiltà più rudimentali( nomadi o
seminomadi ), dove non esisteva “l′insegnamento” dell′esperienza dei
vecchi, dove la stessa religione era poco sviluppata, lasciando spazio
solamente ad alcune pratiche sciamaniche. In questi popoli non veniva così
a crearsi una struttura sociale che accreditasse agli anziani maggior potere,
cosa che invece riconosciamo essere caratteristica prima di molte grandi
civiltà, sviluppatesi dopo i popoli primitivi. Il passare del tempo comporta
logorio e deperimento, convinzione che si manifestava nei miti e nei riti di
rigenerazione che hanno molta importanza in tutte le società ripetitive,
presso gli antichi, i primitivi, e perfino in alcune società rurali più avanzate.
Ciò che le caratterizzava era che la tecnica non progrediva: lo scorrere del
tempo non era considerato come annuncio dell′avvenire ma come un
allontanamento dalla giovinezza, che bisognava ritrovare. Su quest′idea,
che collega vecchiaia a giovinezza, molte culture hanno costruito i loro
miti, nel senso di una circolarità tra i due termini: la vecchiaia portava alla
morte, ma se la si raggiungeva si era certi di una nuova giovinezza. Noè
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ripete Adamo, gli animali dell′Arca quelli dell′Eden, l′arcobaleno indica
l′apertura di una nuova era[ … ].
Bisogna inoltre osservare che presso i suddetti popoli essere anziani
costituiva una rarità, diremo oggi una rarità statistica, e che anche solo per
quello venivano trattati con estremo riguardo: incutevano timore perché
ritenuti in contatto diretto con le divinità.
Quando un popolo o un gruppo di popoli aveva raggiunto un grado di
organizzazione superiore, che risultava spesso essere uno Stato di tipo
totalitario, cercava di risolvere le questioni legate alla spiritualità
dell′anziano( timori, credenze.. ) attribuendo ai vecchi un ruolo preciso,
stabilito da norme.
Il caso meglio conosciuto è quello dell′impero Inca, impero preistorico,
stando alla stretta definizione del termine, poiché non vi si conosceva la
scrittura. Di fatto si trattava, coi mezzi limitati dell′epoca, di un vero e
proprio regime totalitario imposto a beneficio dell′Inca e della sua famiglia,
con tutto ciò che questo rappresentava a proposito di reclutamento, di
organizzazione, di suddivisione dei compiti, di mobilitazione delle energie
a vantaggio dello Stato, di limitazione della libertà individuale e di
eliminazione dell′ozio. Ciascuno aveva il suo posto e la sua funzione, e il
vecchio era parte integrante della macchina statale. In questa società
precolombiana senza scrittura, i vecchi mantenevano il loro ruolo
tradizionale di archivio vivente, come lo storico/antropologo Garcilaso de
La Vega ci ha documentato: “Consiglieri dei sovrani, i vecchi, in quanto
più accorti, costituiscono in ciascuna tribù un consiglio informale e
circondano il principe ereditario per servirgli da guida”
1
. Le donne
anziane hanno compiti medici e levatrici; quelle che entravano come
1
Minois.G. , Storia della Vecchiaia , Editori Laterza , Roma 1988.
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vergini nel tempio del sole di Cuzco diventavano mamacuna, cioè matrone.
Erano molto onorate, incaricate di istruire le novizie; invecchiate nella
casa, venivano nobilitate con questo nome e con questa carica a causa della
loro età, come se si fosse voluto dire così che erano madri e capaci di
governare il convento. I vecchi del popolo erano a carico della comunità. I
magazzini pubblici fornivano le semente. C′era un tributo speciale sotto
forma di corvée che consisteva nel confezionare abiti e scarpe per i vecchi,
e gli Indiani ultracinquantenni erano esentati dalle imposte. Il sistema
sociale inca aveva la sua contropartita nella stretta proibizione dell′ozio e
della mendicità. Difatti tutti quelli che erano abbastanza in salute
svolgevano qualche attività ed era fonte di gran vergogna punire qualcuno
in pubblico per la sua pigrizia. Riassumendo si può dire che in questa
società gli anziani erano temuti, onorati e obbediti.
L′ingresso dei vecchi nella “storia” avviene con il fiorire della civiltà nella
Mezzaluna fertile: si cominciavano così ad avere testimonianze scritte sulla
condizione degli anziani. Il primo documento a riguardo è quello di uno
scriba egiziano che visse 4500 anni fa. Le sue parole sono grida di
sconforto, di dolore verso una condizione in cui egli stesso versava ( la
vecchiaia ! ) esprimendo un sentimento non così dissimile da quello
odierno: “Com′è penosa la fine del vecchio! S′indebolisce un po’ per
giorno: gli si abbassa la vista, gli orecchi diventano sordi, la forza declina,
il cuore non ha più riposo, la bocca diventa silenziosa, non parla più. Le sue
facoltà intellettuali diminuiscono e gli diventa impossibile ricordare oggi
ciò che è accaduto ieri. Tutte le sue ossa dolgono e le occupazioni a cui si
dedicava prima con piacere diventano faticose. La vecchiaia è il peggior
male che possa affliggere un uomo”
2
. Numerosi altri sono i papiri che
2
Minois.G. , Storia della vecchiaia , Editori Laterza , Roma 1988.
15
riportano lamenti e dolori sulla vecchiaia, concependola esclusivamente
come un fardello, un peso. I geroglifici stessi rappresentavano i termini
“vecchio” e “vecchiaia” con una sagoma ricurva che si appoggiava a un
bastone, e questo ideogramma apparse per la prima volta in una iscrizione
del 2700 a.C. Anche presso i Persiani di re Dario la vecchiaia era vista
negativamente: “[ … ] via via che il corpo invecchia, anche l′anima
invecchia e diventa incapace di tutto”
3
. Nonostante ciò presso le grandi
monarchie della Mezzaluna fertile( Persia, ..) il consiglio degli anziani era
un′istituzione quasi universale: aveva compiti perloppiù consultori ma
esercitava una discreta influenza anche in campo giudiziario. Erodoto, il
grande storico, ci racconta come presso i Persiani esistessero i “giudici
reali”, persone scelte fra tutti i persiani, che restavano in carica fino alla
morte continuando ad esercitare le loro funzioni anche nella vecchiaia, a
meno che non venissero riconosciuti colpevoli di ingiustizie.
Vecchi semiti e ariani del Vicino Oriente risentivano della decadenza fisica
e intellettuale legata alla loro età: la vecchiaia è un male per chi ci arriva, e
tutte le risorse della magia, della stregoneria, della religione e della
medicina venivano utilizzate per rimediarvi. Un primo sforzo fù rivolto a
cercare di capire le cause della decrepitezza. Come in molti altri campi,
sembra di dover imputare agli Egiziani i primi tentativi di risolvere il
problema, ancora oggi aperto.
Comune in quest′epoca prescientifica, dall′Egitto fino agli imperi orientali,
era di studiare il fenomeno-vecchiaia dal punto di vista della profilassi
trascurando la patologia. Si cercava soprattutto di porre rimedio agli effetti
superficiali, e di qui le varie leggende su fonti o medicamenti che
avrebbero dato all′uomo l′eterna giovinezza. Nonostante questo, sono state
3
Minois.G. , Storia della vecchiaia , Editori Laterza , Roma 1988.
16
rinvenute molte testimonianze di scribi dove viene sottolineato il rispetto
che si aveva per gli anziani, e si può essere quasi certi che tale rispetto era
più profondo allora, in questa antica società, di quanto non lo sia nelle
società moderne. Erodoto stesso ci descrive, come cosa straordinaria, la
venerazione di cui si circondavano i vecchi nell′Egitto antico. Essi non
venivano abbandonati perché il costume obbligava le figlie, e non i maschi,
a mantenere i genitori; la vecchiaia poteva essere un problema per chi figli
non aveva.
Nella storia del mondo ebraico si può osservare un’evoluzione della
condizione dell′anziano che parte dall′epoca del nomadismo, quando i
vecchi avevano un ruolo fondamentale e venivano considerati come i capi
naturali del popolo.
Erano portatori dello spirito divino, investiti di una missione sacra e guida
del popolo. In ogni città il consiglio degli anziani era onnipotente ed il suo
ruolo continuò a rafforzarsi anche nel periodo dei giudici. Il Patriarca, così
era chiamata la vetusta guida della tribù d′Israele, godeva di invincibilità
grazie alla protezione divina, conservava il potere e tutte le sue facoltà fino
alla morte. Il vecchio era onorato: testimonio della grande epoca, era
garante della fedeltà del popolo d′Israele che “ … resta fedele al Signore
finché vivono gli anziani che hanno conosciuto i tempi eroici della
conquista”
4
. Naturalmente tutto questo valeva per i capi e i loro
consiglieri; per la gente del popolo non c′era età in cui si ci metteva a
riposo, lavoravano come gli altri membri della comunità.
Gli Anziani erano eletti dagli apostoli, presiedevano le assemblee,
esercitavano il ministero della parola e dell′insegnamento: erano i
4
Bibbia , Gios.24,31.
17
personaggi più importanti della comunità, famosi per la loro saggezza e
non solamente vecchi.
A partire dal V ° sec. a.C. l′immagine dell′anziano comincia a decadere:
“Perché vivono gli scellerati? Invecchiare significa per loro rafforzare il
loro potere”
5
. La disintegrazione progressiva della grande famiglia tribale,
in cui erano mantenuti i genitori anziani che rappresentavano il legame con
gli avi, aveva fatto perdere loro sicurezza e prestigio.
Il vecchio e la vecchia erano esclusivamente a carico dei loro figli o nipoti
in linea diretta, e chi non ne aveva era ridotto alla mendicità. Soprattutto
l′anziano era dissacrato e banalizzato. L′influenza di culture vicine, in
particolar modo l′ellenismo, contribuiva a considerare il vecchio solamente
come uomo d′età, sofferente, diminuito nelle sue capacità, in attesa della
morte.
Nella Grecia arcaica, l′epoca eroica degli Achei, cantata in versi da Omero
nell′Iliade e nell′Odissea, i vecchi dovevano avere una posizione
invidiabile sempre che si considerino veritiere le fonti omeriche. Numerosi
sono i personaggi anziani che, nelle due opere, ricoprono ruoli importanti e
che possono essere considerati un riflesso della società del tempo. Al di là
di questo “doveroso” riferimento, diversa era la condizione dei vecchi nella
Grecia classica. L′anziano perlopiù attirava disprezzo, canzonature e
maltrattamenti. La mancanza di rispetto che i figli avevano per i genitori
d′età raggiungeva proporzioni elevate che andavano dal semplice
abbandono alle sevizie corporali e all′assassinio. La storia delle istituzioni
ci è testimone del declino del potere del padre di famiglia per effetto,
probabilmente di una maggiore indipendenza giuridica conquistata dai figli.
5
Bibbia , Giob.21,7.
18
C′erano numerose leggi ad Atene che imponevano l′obbligo di rispettare i
vecchi, ma il fatto che esse si ripetevano fa pensare che non venissero
rispettate. Gli anziani avevano quindi potere di consiglio; la parola che in
greco antico indica consigliere deriva dal termine che significa uomo dai
capelli grigi, quasi a voler sottolineare etimologicamente la posizione
subalterna che era riservata ai vecchi nel mondo ellenico. La vecchiaia era
considerata una tara a tal punto che in alcune città gli abitanti si
suicidavano a 60 anni. Tuttavia è in Grecia che si creavano per la prima
volta istituzioni di carità destinate a mantenere vecchi bisognosi.
La grande eccezione nel mondo greco era Sparta dove i vecchi avevano un
posto privilegiato; le stesse leggi sottolineavano ed esprimevano
energicamente il rispetto per gli anziani che avevano il compito di istruire e
consigliare i cittadini.
Gerousìa era il gran consiglio degli anziani , composta da trenta di essi
scelti a vita per acclamazione tra i cittadini ultrasessantenni: dirigevano
tutta la politica ma avevano un peso particolare nelle decisioni di politica
estera. Nel complesso la civiltà ellenistica dava prova di una mentalità più
aperta, o piuttosto di indifferenza: la questione dell′età non doveva
preoccupare gran che i pensatori del tempo dato che pochi sono i
riferimenti specifici alla vecchiaia. Riguardo alle istituzioni esse si
riassumevano nella monarchia, regime per cui il solo criterio di
reclutamento era la fedeltà al sovrano, qualunque fosse l′età di chi gli era
fedele. In questo periodo, caratterizzato dal mescolarsi di civiltà diverse e
che non teneva conto di alcuno pregiudizio di razza o d′età, il successo, il
potere erano aperti a tutte le personalità spiccate, giovani o vecchie che
fossero.