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INTRODUZIONE
Il protagonista di questo lavoro è un grande comunicatore, provocatore o come
meglio si definisce lui stesso: provokautore! Sto parlando del cantante emiliano Vasco
Rossi, il quale ha ricevuto la laurea honoris causa in Scienze della comunicazione, allo
IULM di Milano: al momento del conferimento del titolo il rettore ha detto “ogni laurea
costituisce il momento e l’atto finale di un percorso di vita e di studi che i giovani
seguono per acquisire competenze culturali e professionali mentre il riconoscimento
honoris causa taglia tutto il percorso di studi curriculari e va all’atto finale, assumendo
in esso, la vita e le opere del laureando per la loro unicità ed esemplarità”
(www.sorrisi.com).
Un uomo che si è fatto ascoltare perché aveva molto da dire e lo ha fatto non
attraverso giornali, TV, manifestazioni o partiti politici ma in modo insolito: con la
musica. Chi ha molto da dire, al più fa parlare anche gli altri. Vasco è odiato, amato,
giudicato e costruito.
Forse per evitare pregiudizi, prevenzioni e per meglio stimolare cambiamenti di
opinioni ritengo necessaria un piccola premessa. Dietro ad ogni artista c’è un uomo e io
non sono qui per analizzare le scelte di vita di Rossi Vasco ma per capire se Vasco Rossi,
il musicista, nelle sue canzoni ha realmente detto ciò che in genere gli viene attribuito,
se lancia un messaggio, in che modo lo fa e come è sopravvissuto alla critica e al tempo.
L’ascolto un testo avvolto dalla musica è un’azione naturale, trasporta sensazioni
spontanee, non ragionate o costruite. Anche chi è pigro, ozioso, ascolta e recepisce senza
sforzo e impegno il testo di una canzone.
Credo che se gli stessi concetti che ora vengono cantati, venissero riproposti in un
libro si assimilerebbero con molta più fatica e mancherebbe la metà delle sensazioni che
riescono a trasmettere. Sensazioni amplificate dalla parte strumentale,
dall’interpretazione del cantante sul palco, dal volume dei dischi.
Riflettendo è come se togliessero la colonna sonora a quei film che sono diventati
colossal del cinema. Con le note che suonano libere la parola è libera anch'essa e si
riveste di un veicolo emozionale incredibile. Le frasi vengono trasportate leggere dando
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l’effetto di una sposa che arriva in Rolls Royce invece che a piedi. Adattando queste
immagini alla rockstar emiliana, penso renda bene l’idea una frase di Don Andrea Gallo:
“Cosa poteva tirare fuori Dio da un paesino come Zocca? Ha dato le ali agli uccelli più
piccoli e le ha messe anche alla musica di Vasco” (cfr. Pozzetto, 2008).
Esistono due tipi di giudizio che si possono elaborare: quello sensibile e quello
cognitivo. Il primo tipo di giudizio, definito anche estetico, opera al di là della forma del
linguaggio e dei concetti. Si fonda sulle sensazioni, sensazioni immediate, in questo caso
basate sulla musica e sulla “musicalità” del testo. Possono riassumersi in un'unica parola
come “bello” o “brutto”.
Il giudizio cognitivo, invece, è di tipo astratto. L’obiettivo è quello di capire le
motivazioni, “perché” qualcosa piace o meno, perché qualcosa viene giudicato “buono”
o “cattivo”, sia a livello musicale sia sul piano dei contenuti. Userò soprattutto
quest’ultima prospettiva per fare luce, in modo oggettivo, sulla domanda che fa da titolo
alla mia tesi: Vasco Rossi lancia un messaggio o la società, nelle sue canzoni, è descritta
e si limita ad apparire così com’è?
Nella prima sezione prendo in esame l’itinerario dell’artista per ricostruire il
personaggio a tutti noto: analizzo il contesto in cui è nato e si è evoluto il fenomeno
Vasco Rossi. Attraverso un breve excursus lungo la sua formazione musicale e umana
focalizzo alcuni presupposti e situazioni che ne hanno condizionato lo sviluppo e il
successo professionale.
Ne ‘I promessi sposi’ di Alessandro Manzoni, Renzo e Lucia allo sfumare del
matrimonio sono costretti a dividersi oltre che per le minacce di Don Rodrigo anche per
la morale dell’epoca, secondo la quale non si poteva star insieme non essendo sposati.
Per la stessa ragione i due innamorati hanno fatto fatica a dichiarare apertamente il loro
amore. Il tutto visto in ottica moderna sembra esagerato ed anacronistico. Così
probabilmente, se Vasco Rossi a partire dagli anni ’80 non avesse vissuto la scalata
verso la fama con la fondazione di ‘Punto Radio’, una radio libera sul modello delle
centinaia che nascevano in quegli anni in Italia, se non si fosse fatto strada tra il servizio
di leva obbligatorio e giornalisti critici come Nantas Salvalaggio, o non fosse vissuto in
anni ribelli e caotici, non sarebbero nate canzoni come ‘Asilo republic’ il cui testo
ironico richiama un “bambino che si è buttato giù dalla finestra! oddio che cosa si può
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inventare, oddio che cosa dobbiamo dire...” (Asilo republic, in Colpa d’Alfredo, 1980) alludendo
chiaramente a Pinelli, militante anarchico trattenuto per accertamenti in seguito
all’esplosione di una bomba nel famoso attentato di Piazza Fontana.
Le circostanze della sua morte, ufficialmente attribuite ad un malore che lo ha portato
a precipitare dalla finestra, hanno destato numerosi dubbi, tanto che parte dell’opinione
pubblica ha avanzato il sospetto che Pinelli sia stato assassinato e che le indagini siano
state condotte con metodi poco ortodossi ed in modo non imparziale.
La canzone continua con “quando sua madre arriverà, s'incazzerà...” (ibidem, op. cit.)
riferendosi all’opinione pubblica che vuole maggior chiarezza ma è frenata ironicamente
dal bisogno di polizia e repressione “tranquilli qui non si può stare per niente... ci vuole un
agente!” (ibidem, op. cit.) con un finale intuibile in cui “i bambini dell’asilo non fanno più casino,
sono rimasti troppo pochi dopo i fuochi...” (ibidem, op. cit.) che come spiega lo stesso autore si
riferisce ai morti, le galere, alle botte nelle manifestazioni e all’eroina che in quegli anni
sarebbe arrivata ad addormentare le coscienze.
Un’altra canzone che descrive questi anni del tutto particolari è ‘…Stupendo’. Lo
stesso Vasco afferma che è dedicata alla sua generazione. Una generazione che diceva di
voler cambiare il mondo e voleva “al potere la fantasia”, l’immaginazione ed “eran
giorni di grandi sogni sai!?! Eran vere anche le utopie...” (…Stupendo, in Gli Spari Sopra, 1993).
Ma poi si percepisce l’amarezza di chi è rimasto indietro, di chi c'aveva creduto davvero
e con gli anni che passano non riconosce più le persone con cui era vissuto perché finite
a servire e lavorare per quello stesso potere tanto criticato “…non mi dire che è proprio così,
non mi dire che son quelli lì!” (ibidem, op. cit.).
Un contesto conosciuto, perciò, aiuta ad un'interpretazione più omogenea tra il
pubblico e ad una visione più simile a quanto voleva comunicare l’autore. Se
contestualizziamo la relazione testo-lettore diventa importante capire dove, quando,
come e perché viene costruito un certo testo, e questo prima di muoverci con deduzioni
o allusioni, spesso approssimative o fuori bersaglio.
Successivamente analizzerò il rapporto creatosi con le folle che, da semplici fan, si
trasformano nel “popolo del Blasco”. Blasco: come il soprannome che gli diede la nonna
di una sua amica di gioventù la quale, rincasando sempre tardi, riceveva l’urlo nonnesco:
“Scommetto che sei uscita con la combriccola del Blasco Rossi!” (www.vascorossi.net).
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Ancora non era esplosa la rockstar ma già iniziava a formarsi quell’alone di
“maledetto” che lo avrebbe accompagnato, o meglio caratterizzato, negli anni futuri.
Viene spontaneo domandarsi se l’anziana nonna storpiandogli il nome non sia stata
profetica. Quanti hanno “storpiato” la sua vita, la sua persona, mostrandoci un
personaggio che in fondo faceva anche comodo nonostante fosse...scomodo? Vasco
divertito ci costruì su la famosa canzone ‘Blasco Rossi’, dall’album ‘C’è chi dice no’ del
1987.
Alcune righe del testo sintetizzano ampiamente il concetto: ”...si mise a urlare: guardate
l’animale!!! La combriccola del Blasco era poco più di un pugno ma se si stringeva colpiva molto
duro!” (Blasco Rossi, in C'è chi dice no, 1987). E’ chiaramente un testo autobiografico e
realmente le pesanti parole dei suoi dischi arrivavano come bastonate.
É una rabbia dettata dai (pre)giudizi della gente, meno innocente della famosa nonna
prima citata, che lo porta a continuare col testo “fu così che per non fare troppo male lasciò il
bosco per un posto più sicuro!magari un po’ più buio...” (ibidem, op. cit.). Temuti ed additati
come pericolosi alla fine del pezzo i membri della combriccola finiscono per rifugiarsi
“...dentro un buco più profondo come il mare a vedere se quel tale arrivava fin là in fondo…”
(ibidem, op. cit.).
In una canzone ha rappresentato l’atteggiamento di chi, guardando l’uomo e non
l’artista, lo vedeva come “uno strano animale con delle voglie strane” (ibidem, op. cit.), e
quel tale a cui Vasco allude spesso anche in altri brani è il giornalista Nantas Salvalaggio
intervenuto pesantemente dopo l’apparizione del nostro alla trasmissione ‘Domenica In’
definendolo un “bell’ebete, anzi un ebete piuttosto bruttino, malfermo sulle gambe, con
gli occhiali fumé dello zombie, dell’ alcolizzato, del drogato fatto”. Unico dubbio: e se
fingeva? E se alcolizzato o drogato non lo era per niente?” (www.guidesupereva.it).
Ogni cosa che sentiamo è un opinione, non un fatto. Ogni cosa che vediamo è una
prospettiva, non la realtà, ma Vasco rispose alla provocazione nella conclusione della
canzone con un “vieni giù in fondo al mare! Che ti do l’animale!!” (ibidem, op. cit.), decidendo di
dare un’immagine di sé camaleontica e accomodante nei confronti della critica. Drogato,
arrabbiato, romantico, donnaiolo, triste o euforico, lui c’era sempre. Non si possono
racchiudere in un solo uomo tutte le censure, le ribellioni o le colpe.
E quindi mi vien da pensare che la sua trasgressione più grande sia stata nel dare agli
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altri ciò che essi volevano. Ciò che faceva comodo, e non è da escludere che si sia
divertito. Concludendo l’episodio, la dura stroncatura accrebbe la fama del cantante, che
rispose alle critiche anche con la canzone ‘Vado al massimo’, dove il verso “quel tale
che scrive sul giornale” (Vado al massimo, in Vado Al Massimo, 1982), è con quasi assoluta
certezza rivolto proprio al giornalista. Il suo rock nel tempo diventa un traduttore
universale in grado di coagulare in una massa unica e omogenea milioni di persone, in
grado di unire trasversalmente le generazioni.
Prima di passare alla seconda parte del lavoro, quella in cui esporrò le mie
impressioni, analizzerò il protagonista visto da se stesso, attraverso ciò che lo ha portato
a scrivere i suoi famosi testi e a quello che voleva raccontare, a prescindere da quello
che è arrivato alla gente.
Nella seconda sezione d’informazioni farò un'analisi specifica del linguaggio
verbale e musicale prendendo in considerazione i pezzi più rappresentativi per capire
con quale codice è riuscito ad arrivare al cuore dei fan e nella penna dei critici, oggi
concordi nel decretarne il valore. Completerò la trattazione prendendo in considerazione
il ruolo giocato dai mass media. Come i mezzi di comunicazione di massa, quali
internet, TV e giornali, hanno aiutato, oppure ostacolato l’ascesa del mito della rockstar
italiana.
Una rockstar che ha detto la sua sulla televisione di oggi attraverso numerose
interviste e con un corto animato uscito a fine maggio 2010 in cui possiamo sentire e
vedere rappresentata l’ultima sua canzone, ‘Ho fatto un sogno’. Racconta d’aver visto
“della gente che si occupava degli affari miei, e mi diceva ‘stai facendo male’ e mi diceva ‘ti devi
vergognare’...” (Ho fatto un sogno, in Tracks inediti e rarità, 2009) sembra che ancora a distanza di
anni ci sia chi “si inserisce nelle mie faccende personali, dicono che devono salvare che mi
devono aiutare a vivere come secondo loro pare...” (ibidem, op. cit.).
A distanza di anni il tono delle sue canzoni è sempre lo stesso, preciso e forte ma ciò
che cambia è il soggetto. Guarda alla realtà, racconta ciò che vede, sempre in prima
persona perché chi lo canta in auto la sera, ai suoi concerti, nell’ipod o fischiettando per
la strada, possa sentirsi ora autore di quelle parole. Come lo stesso cantante dice “è la
voce di chi non ha voce, la voce di chi non hai i mezzi per farsi sentire e forse nemmeno
la voglia di provarci” (www.vascorossi.net).
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É come pensare al film “Quinto potere” nella scena cult in cui il protagonista urla
“sono incazzato nero e tutto questo non lo accetterò più!” denunciando come la
televisione “serva solo per ammazzare la noia” e che non c’è nulla di reale a cui credere
perché lui che ci lavorava lo sapeva e parlava da uomo agli uomini illusi dall’altra parte
dello schermo.
L’ultimo capitolo prima delle conclusioni è costituito dall’analisi delle sue
canzoni dividendole per argomenti. I modi di esprimere i suoi concetti dal ’78 ad oggi
sono gli stessi? E i soggetti? Svilupperò un'analisi orizzontale che approfondirà
concettualmente le tematiche e i protagonisti dei testi per esaminarne i contenuti in
generale, e un’analisi verticale in cui ci esporrò l’evoluzione nel tempo, il modo e la
scelta con cui Vasco ha deciso i temi dei suoi testi.
All’alba dei 60 anni Vasco Rossi appare deluso dalla realtà, non dalla vita. Non è più
di fronte ad uno specchio, non si mette più a nudo davanti a tutti per confessare le sue
debolezze e i suoi errori come ha fatto per trent’anni di rock tra la rabbia per chi lo
escludeva o strade sbagliate e storie finite. Non ce n'è più la necessità.
Nella terza sezione sviluppo le conclusioni. Vasco Rossi, il rocker definito da sempre
“maledetto”, adorato e disprezzato al tempo stesso, lancia veramente dei messaggi
pericolosi o fa semplicemente comodo crederlo.