3
Introduzione
Cronache di poveri amanti uscì nel 1947 presso Vallecchi Editore, Firenze. Tuttavia l’idea
del romanzo risale per lo meno al 1940, quando Vasco Pratolini ne fa un primo accenno in una
lettera indirizzata ad Alessandro Parronchi: «Ho mandato per “Incontro” un racconto abortito e
nemmeno scritto; dovevano essere le ultime pagine delle Cronache che così mi mancano ancora»
1
.
E due mesi dopo lo annuncia allo stesso editore Vallecchi in una lettera di ringraziamento per aver
accettato la pubblicazione de Il tappeto verde: «Io vorrò restare fedele al credito che tu mi apri, e le
Cronache dovranno testimoniarti che, forse anche sbagliando, non ti avrò deluso»
2
.
Da un’altra lettera a Parronchi del 1945 la data si sposterebbe ancora più indietro, circa al
1937/38 («...e ci batto la testa da 7 anni...»
3
), e ce lo conferma Pratolini stesso in un’intervista
rilasciata a Mario Talli per «Paese-Sera» nel 1975:
La prima idea del romanzo l’ebbi nel 1937, in piena guerra di Spagna, le settimane della battaglia di
Santander... e in queste ore, manifestare contro il regime di Franco, e i suoi crimini recenti e antichi,
significava risalire non soltanto a quel 1937 ma a quel 1925 e più indietro ancora, ripetersi come il
fascismo si atteggi nel tempo in differenti maniere e come la sua faccia si scopra uguale...Averne
avuta l’idea non volle dir nulla. Mi ci provai anche a scriverlo questo romanzo, e come per sfidare
me stesso, feci in modo che ne venisse addirittura annunciato il titolo: “Cronache di poveri amanti”
4
.
Ma non ci cavai le gambe. E non tanto per una censura interiore o perché temessi la vera censura.
[...] Ma perché scarsi e molto intimisti erano allora i miei strumenti di espressione.
5
Il perché di questa lunga gestazione, quindi, è già in queste ultime parole. Ma Pratolini ne
era consapevole fin dal principio. Sono molte le occasioni in cui parla all’amico Parronchi
dell’intento di scrivere le Cronache che, per vari motivi di lavoro, familiari, di trasferimenti, è
1
V.Pratolini in Lettere a Sandro, a cura di A.Parronchi, Edizioni Polistampa, Firenze, 1992, Lettera N°26 del
10 ottobre 1940, p.30
2
Lettera di Vasco Pratolini del 4 dicembre 1940, pubblicata in Il mio cuore da Via de’ Magazzini a Ponte
Milvio. Vasco Pratolini tra immagini e memorie, Catalogo a cura di M.C.Chiesi, Comune di Firenze,
Assessorato alla Cultura – Gabinetto G.P. Vieusseux, I Cataloghi del Vieusseux – 3, nuova serie, Firenze
1992, p.10
3
V.Pratolini in Lettere a Sandro, cit. p. 132
4
Nel restrospizio de Le amiche pubblicato da Vallecchi nel 1943 e addirittura già nel 1938 «Cronache di
poveri amanti doveva essere il primo libro con cui esordire. La storia di un amore tra ragazzi del popolo: un
amore sfortunato. Vallecchi annunciò il libro addirittura, nel 1938, 9 anni prima della sua pubblicazione»
(V.Pratolini, Omaggio a via del Corno, «L’illustrazione Italiana», dicembre 1953, p.43)
5
V.Pratolini in La notte dell’apocalisse, a cura di M.Talli , «Paese Sera – Il nuovo corriere», 3 ottobre 1975,
N° 168, p.5
4
costretto a rimandare
6
. Ma anche quando ne ha il tempo non riesce a scrivere qualcosa che lo
soddisfi e comunque tutto quello che produce nei primi anni ’40 è da lui considerato come una
preparazione alla sua opera segreta
7
, come scrive a Piero Bigongiari nel 1942: «Anche i raccontini
che vado scrivendo, molto sotto l’urgenza dell’elzeviro per il giornale e del relativo compenso, se ti
capitano devi prenderli come esercitazioni, appunti, prospettive per le “Cronache”, capito?»
8
***
Doveva essere il mio primo libro; fu invece il sesto, riuscii a scriverlo soltanto nel ’46, tutto di filato,
come rincorrendo i fatti che ormai sembrava si disponessero da soli sulla pagina, dopo che per
vent’anni li avevo nutriti di memoria e di fantasia.
9
Vediamo brevemente quali sono i motivi di questa lunga attesa, i fattori che poi hanno
contribuito all’evoluzione stilistica di Pratolini, da una letteratura di memoria, dalla prosa lirica,
strettamente autobiografica, ad una letteratura realistica, ben inscritta nella Storia.
6
Alcuni esempi tratti da Lettere a Sandro, a cura di A.Parronchi, cit.: «Non riesco nemmeno a lavorare per
conto mio, dopo “Mara” non ho fatto più nulla: io ho bisogno di “tranquillità” per lavorare, non so gli altri,
ma io sì: se sono per esempio come in questi giorni debole di poco nutrimento, e col pensiero di dover
trovare chissà dove i soldi per la pensione e addirittura per le sigarette, non riesco a lavorare, sento tutta la
zavorra che mi tiene fermo alla prima immagine inutile, non vado avanti. Cecilia ti potrebbe dire le ore e ore
deliberatamente passate a questo tavolino a riempire cartelle, sceme in una maniera impressionante. Mentre
invece il desiderio di lavoro mi si fa sempre più distinto, chiaro, sulle pagine delle Cronache da scrivere.
Anche gli elzeviri non riesco più a farne di nuovi con questo pensiero alle Cronache. [...] [Via de’
Magazzini] per me resterà come una parentesi “magica” nel mio travaglio di un linguaggio da poter prestare
alle Cronache, e come “memoria” ferma e compromessa di me». (Lettera Numero 79 datata Roma, 21 aprile
1942, p.74); «Io intanto prometterei alla rivista, di puntata in puntata, le Cronache: sarebbe un dono che la
rivista farebbe a me». (Lettera Numero 80 datata Roma, 2 maggio 1942, p.78); «Ho steso una piccola serie di
appunti, molto privati, che valgono appena per me, e varranno in definitiva solo se realizzati. Grosso modo:
ho finalmente in animo, in autunno, di mettermi seriamente a lavorare alle Cronache (e spero per questo con
tutte le mie pessimistiche forze, nella cattedra che dovrebbe darmi un importante alleviamento dal lavoro
delle collaborazioni. [...] Ma prima, nei mesi che mi rimangono, devo scrivere un racconto piuttosto lungo
[...] che completi il libro di racconti. Questo libro [Sarà Le amiche, pubblicato da Vallecchi nel ‘43] dovrà
essere appunto, come ti dissi, una introduzione alle “Cronache”, come lo fu “Il Tappeto” rispetto a “Via de’
Magazzini”, ma dovrà ugualmente avere vita autonoma, ecc., se l’avrà». (Lettera Numero 86 datata Roma,
20 giugno 1942, p.84); «Fino alla fine del mese devo lavorare a esaurire le collaborazioni, quindi mi metterò
seriamente alle “Cronache”: tutto qui è disposto perché io possa dedicarmici, se non lo farò dipenderà
soltanto da me, dalla mia incapacità». (Lettera Numero 112 datata Fermo, 19 aprile 1943, p.104)
7
Come scrive a Vallecchi: «Tu mi chiederai delle “Cronache” che ti avevo promesse per ottobre: ma non ce
l’ho. Le “Cronache” sono la mia opera segreta, c’impiegherò chissà quanto tempo, ma voglio che sia una
cosa imperfetta ma precisa al massimo. E’ per Vallecchi, ma Vallecchi mi deve dare il tempo, e rispettare la
mia necessità di lavoro». Vedi la lettera del 29 settembre, o ottobre 1941 citata in: M.C.Chiesi, Storie di titoli
e copertine:Pratolini scrive a Vallecchi, in «il Vieusseux», a V, n. 14, maggio-agosto 1992, p. 50
8
Lettera a Piero Bigongiari del 26 giugno 1942, in Il mio cuore da Via de’ Magazzini a Ponte Milvio. Vasco
Pratolini tra immagini e memorie, cit., p. 14
9
V.Pratolini, Testimonianze su “Cronache di poveri amanti” in A.Vannini, Vasco Pratolini e il cinema, La
bottega del cinema, Nuova Edizione, Firenze 1999, p. 57.
5
Tre sono i principali fattori: una spinta storico-ideologica (la Resistenza, il marxismo),
l’influenza del cinema e la lettura dei cronachisti medievali fiorentini.
Sul primo fattore bisogna fare subito un appunto: è vero che dal ’39 per Pratolini ci furono
dei profondi cambiamenti come il suo trasferimento da Firenze a Roma, poi a Napoli nel ‘45, la
partecipazione alla Resistenza e l’adesione al PCI, tutti elementi importanti che al primo impatto
potrebbero far pensare ad una frattura conseguente anche nella sua vita letteraria e stilistica. In
realtà ci accorgiamo, confrontando le varie esperienze di altri scrittori del periodo, anche quelli
considerati più vicini o addirittura padri del Neorealismo, che Vasco Pratolini ha interpretato le
aspirazioni del movimento indipendentemente e senza un programma letterario preciso dovuto a
particolari letture o direttive, come potrebbero essere considerate alcune pagine gramsciane
10
che
cominciavano a vedere la luce proprio nel primo dopoguerra, o come le teorie sul realismo artistico
di Lukács, in particolare il suo concetto di “tipicità”
11
.
La spinta al neorealismo nel momento culturale postbellico concise nell’evoluzione artistica e
sentimentale di Pratolini col momento in cui lo scrittore si apriva coscientemente alla realtà storica e
sociale come elemento necessario della propria ispirazione. Pratolini non si volse al ricupero della
realtà in una conversione suggerita dall’evoluzione della cultura nazionale, ma per motivi interni al
suo sviluppo di artista.
12
Elio Vittorini nel 1947 dalle pagine de «Il Politecnico» sosteneva che l’intellettuale non
deve «suonare il piffero» della rivoluzione
13
, ma il suo impegno consiste in un «engagement
naturale che agisce in lui al di fuori della sua volontà. Gli viene dall’esperienza collettiva di cui egli
è spontaneo portatore, e costituisce, segreto in lui stesso, l’elemento principale della sua attività»
14
.
Pratolini si trovava fin dall’inizio sulla strada giusta:
non aveva bisogno di andare verso il popolo come un qualunque altro piccolo borghese. Pratolini era
popolo, era nato ed era cresciuto e si era autoeducato come un membro genuino del sottoproletariato
di Santa Croce, soffrendo della miseria, dell’arretratezza, godendo delle gioie, sentendo il bisogno di
solidarietà comune a tante delle sue creature. Recentemente l’esperienza della Resistenza aveva
particolarmente svegliato in lui il senso delle proprie origini popolari.
15
Il secondo fattore che contribuisce all’evoluzione del nostro scrittore è sicuramente il suo
rapporto col cinema, rapporto che non si conclude solo con la sua lunga collaborazione a soggetti e
10
In particolare alcune pagine di Ordine nuovo e dei Quaderni del carcere.
11
Cfr. G.Lukács, Saggi sulla questione del realismo, Torino, Einaudi, 1950
12
A.G.Costantini, Apprendistato e arte di Vasco Pratolini, Ravenna, Longo, 1986, p.165
13
E.Vittorini, Politica e cultura. Lettera a Togliatti, «Il Politecnico», n.35, Gennaio-Marzo 1947. Ora anche
in «Il Politecnico», Milano, Lerici, 1960, p.191
14
Quasta affermazione di Vittorini non uscì sulle pagine de «Il Politecnico», ma fu pronunciata dallo
scrittore alcuni mesi dopo la chiusura della rivista, in occasione delle Rencontres Internationales di Ginevra
nell’agosto 1948, riscontrabile tra l’altro in E.Vittorini, Diario in Pubblico, Milano, Bompiani, 1957
15
A.G.Costantini, Apprendistato e arte di Vasco Pratolini, cit., p. 168
6
sceneggiature per alcuni tra i più grandi registi del Neorealismo, come Rossellini, Visconti, Nanni
Loy e Lizzani; e che non rimane nemmeno ad un livello di esperienza e formazione culturale, come
si legge nel suo primo racconto Una giornata memorabile – in cui ampio spazio è dedicato alla
descrizione del «Cinema Garibaldi»
16
- o dato che «da ragazzo [gli] capitava di vedere molti film
perché vendev[a] caramelle e cioccolate all’Olimpia di via de’ Cimatori»
17
: è l’intera opera di
Pratolini, sia narrativa che saggistica, ad essere piena di riferimenti al cinema e al suo rapporto con
la letteratura.
Nel suo Per un saggio sui rapporti fra letteratura e cinema Pratolini mostra le capacità di
rappresentazione del reale proprie del film:
La cinematografia è quindi la sola arte in grado di possedere totalmente la vita dell’uomo nella sua
dimensione di spazio, di tempo e di luogo e nella sua immediatezza di gesto, di sguardo e di
emozione
18
Secondo Pratolini la peculiarità documentaria del cinema non ha fatto altro che portare alle
estreme conseguenze ciò che era presente già nelle altre manifestazioni artistiche, e cioé «la
tensione dell’uomo a conoscersi e a “vedersi”»
19
. La più giovane delle arti quindi risulta anche la
più antica «e in particolare precede, - anche se storicamente l’ha seguita, - la nozione stessa di
narrativa»
20
:
Il racconto, orale o scritto che sia stato, è sempre pervenuto alla conoscenza dell’uomo attraverso
un’operazione cinematografica [...]. Ora, se ciascuna delle altre espressioni artistiche è potenziale in
ogni individuo, e la sua estrinsecazione è rimessa allo sviluppo e all’educazione dell’intelletto, il
cinema è insito nella natura dell’uomo, è l’elemento fondamentale della sua esistenza, il più sensibile
e drammatico, più prezioso della vista e della favella. Il cinema è la memoria stessa dell’uomo – e
pertanto è, per così dire, la più antica delle arti, la matrice d’ogni creazione. Della narrativa in specie,
in quanto, come abbiamo visto, sembra averne addirittura anticipata la più esatta nozione
21
.
Tra cinema e letteratura, pur nella diversità di linguaggi, esisterebbe «un’affinità elettiva»
22
:
entrambi si propongono di dar conto della natura dell’uomo speculando unicamente sulle sue gesta, e
riescono edificanti e suggestivi in misura dell’immediatezza, della logicità e inconfutabilità ottenute
nel riprodurre la successione degli eventi.
23
16
Cfr V.Pratolini, Il tappeto verde, con una conversazione introduttiva a cura di F.P.Memmo, Roma, Editori
Riuniti, 1981, pp.41-61
17
Vasco Pratolini al cinema, intervista apparsa incompleta su «La Repubblica Firenze» il 18 febbraio 1989,
contenuta anche in A.Vannini, Vasco Pratolini e il cinema, cit., p. 21-22
18
A.Vannini, Vasco Pratolini e il cinema, cit., p. 51; poi in V.Pratolini, Per un saggio sui rapporti tra
letteratura e cinema, in «Bianco e nero», ix (1948), 4, pp.14-19
19
A.Asor Rosa, Il neorealismo o il trionfo del narrativo, in AA.VV., Cinema e letteratura del neorealismo, a
cura di G.Tinazzi e M.Zancan, Venezia, Marfilio, 1990, p.94
20
Ivi p.94-95
21
A.Vannini, Vasco Pratolini e il cinema, cit., p. 52
22
Ivi p. 53
23
Ibidem