1. PREMESSA
Lolium perenne L. è una delle specie erbacee più coltivate e più
diffuse nel Mondo. E’ diffusa in areali a diversa climatologia in tutti i 5
continenti. La sua molteplicità d’uso l’ha resa una delle specie
botaniche più studiate. Secondo il database di Agricola, tra il 1970 ed
il 1996, 3300 pubblicazioni scientifiche hanno riguardato questa
specie. In particolare, gran parte dell’attività scientifica ha riguardato
l’impiego del loietto inglese nella costituzione di turfs, cioè di
inerbimenti a scopo sportivo e ricreativo; di un certo rilievo è stato
anche l’interesse rivolto ad aspetti gestionali (capacità di ricaccio al
taglio) e fisiologici (accumulo di riserve di carboidrati, arido-
resistenza, bilanci idrici), sempre nell’ottica dell’impiego in campi da
golf, campi sportivi in genere, parchi urbani, giardini ecc. Minore
interesse, almeno negli ultimi anni, sembra essere stato rivolto
all’impiego foraggero del loglio perenne, in particolare in ambienti
semi-aridi; nonostante diversi risultati scientifici ottenuti dimostrino
che i genotipi di origine mediterranea sono più tolleranti alla siccità
delle varietà commerciali originarie di climi più umidi e freschi
(Australia, Nuova Zelanda, Centro Europa), allo stato attuale, le
varietà commerciali disponibili nel mercato sementiero non
soddisfano pienamente i requisiti richiesti ad una pianta da foraggio,
da utilizzare con animali al pascolo, in ambienti semi-aridi
mediterranei. In pratica, non ci sono cultivars pienamente affidabili
dal punto di vista colturale, sia nell’impiego in purezza che in
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miscuglio, per la costituzione di pascoli artificiali e per interventi di
miglioramento pascolo. Ciò che offre il mercato, in diverse
sperimentazioni, non ha superato il primo anno di insediamento, non
garantendo la persistenza del cotico nell’annata successiva. Tale
difficoltà di persistenza, rende quindi i materiali attualmente
commercializzati, scarsamente idoneo agli usi foraggeri convenzionali
in ambiente mediterraneo, in asciutto.
Nell’ambito del progetto VEGETATIO (Programma di Iniziativa
Comunitaria INTERREG III A, Sardegna-Corsica-Toscana), si è avviato
un programma di valorizzazione di risorse generiche autoctone, in
particolare attraverso un progetto di valutazione morfo-agronomica
di popolazioni sardo-corse di L. perenne L. .
Il lavoro presentato nella presente tesi ha come obiettivo quello di
studiare la variabilità dei principali caratteri morfo-agronomici di tali
popolazioni, di osservarne la capacità di persistere per più annate e,
infine, di stimare il potenziale inserimento di alcune accessioni
nell’ambito di programmi di valorizzazione che portino alla selezione
di nuovi materiali da avviare a certificazione varietale.
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2. IL CLIMA MEDITERRANEO
Nel corso dell’ultimo trentennio numerosi ed approfonditi sono stati
gli studi e gli approfondimenti legati alle tematiche riguardanti il
clima mediterraneo, la sua complessità e i suoi problemi (Arrigoni,
1968; Aschmann, 1973; Bentley e Talbot, 1951; Buddenhagen, 1988;
Donald, 1970; Giuliacci, 2009; Harlan, 1983; Heady, 1958; Miller,
1982; Mooney e Dunn, 1970; Rivoira, 1976; Roy et al., 1985; Franca,
1995, Sanna,F., 2009). In un ambito generale di cambiamento
climatico, conseguenza del surriscaldamento globale del pianeta, la
caratteristica principale del nostro clima rimane la presenza di aree,
anche a breve distanza tra di loro, caratterizzate da un microclima
locale, i cui limiti possono essere talvolta individuati non con poca
difficoltà e chiarezza, pur mostrando delle differenze anche
sostanziali.
Le zone a clima mediterraneo sono comunque note per essere
caratterizzate da estati calde e aride e da inverni miti e piovosi, anche
se è complesso riuscire a classificare in maniera definitiva la durata e
la distribuzione dei periodi umidi e di quelli asciutti (Aschmann,l.c.).
Rivoira (l.c.) aveva posto l’attenzione sul fatto che fosse insufficiente,
dal punto di vista agronomico, caratterizzare il clima mediterraneo
sulla base del calcolo della sola incidenza percentuale sul totale
annuo delle precipitazioni che si verificano nel nostro emisfero, da
novembre ad aprile; secondo la classificazione proposta da
Aschmann (l.c.), è proprio questo l’intervallo di tempo durante il
quale, nelle regioni a clima mediterraneo, cadono il 65% delle
precipitazioni totali annue. Con tale classificazione vengono
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accomunate delle aree aventi delle differenze sostanziali riguardo la
produttività di colture asciutte. Sono indicate come appartenenti alla
stessa classe ben cinque aree a clima mediterraneo, le quali sono
comprese fra 30° e 44° di latitudine nord e tra 28° e 38° di latitudine
sud. Questi territori riguardano buona parte delle zone costiere del
bacino del mediterraneo (restano escluse le coste adriatiche italiane
e dalmate, le coste di Tracia e Macedonia, le coste egiziane e in gran
parte quelle della Libia), oltre a zone di nord e sud America (California
e Cile), alla parte meridionale dell’Africa e a due zone nel sud
Australia.
In queste zone si sono riscontrate differenze anche consistenti, nei
riguardi sia dei valori annui di precipitazione, sia nella distribuzione
durante i mesi “non piovosi” del restante 35% delle piogge annue
che, nelle zone dell’emisfero nord cadono tra maggio e ottobre, in
quello australe tra novembre e aprile (Aschmann, l.c.). Tutto ciò trova
giustificazione nel fatto che, nelle aree a clima tipicamente
mediterraneo, possono cadere dai 275 ai 900 mm di pioggia all’anno,
per cui nei sei mesi piovosi il quantitativo di precipitazioni oscilla tra i
178 e i 585 mm. Considerati questi fattori, il risultato che ne segue è
che la diversità climatica che si manifesta fra le cinque aree tipiche
influenza in modo sostanziale la produttività delle colture, e, in
particolare, di quelle in asciutto (Franca, 1995).
Un altro fattore da tenere in considerazione è la costituzione
orografica aspra e irregolare di alcune zone del bacino del
Mediterraneo, la quale favorisce la formazione di gradienti di
altitudine e microclimi locali che variano notevolmente da luogo a
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luogo, influenzando l’adattamento e il potenziale produttivo delle
specie e delle varietà (Buddenhagen, 1988). Questa notevole
variabilità climatica si riflette in una maggiore elasticità nella
differenziazione ecotipica delle forme erbacee a dormienza estiva e
invernale, rispettivamente legate a situazioni climatiche
mediterranee semiaride, tipiche delle regioni costiere del bacino del
Mediterraneo, e temperato-umide, che si possono riscontrare presso
i rilievi più importanti delle stessa area mediterranea (allineamento
montuoso in direzione est-ovest dei Pirenei, del Massiccio centrale,
delle Alpi e dei Balcani, oltre che Sierre spagnole e Appennini italiani)
(Knight, 1983); determinati ecotipi originari del massiccio dell’Atlante
presentano dormienza estiva o invernale (Knight, 1966).
Alcune zone del bacino del Mediterraneo si prestano ad avere
notevole importanza per il fatto che al loro interno non manca la
presenza di varianti ecotipiche, fattore collegato alla presenza diffusa
dei pascoli soprattutto nelle zone più marginali, nelle quali
l’allevamento semi-brado di tipo estensivo è una delle risorse base
dell’economia da secoli. In queste aree si renderebbe quindi
possibile la creazione di una banca del germoplasma per i breeders ,
nell’ottica di collezionare materiali dotati di capacità notevole di
adattamento a specifiche condizioni pedo-climatiche (Sanna, l.c.).
Tale fattore rappresenterebbe un impulso vitale per lo sviluppo delle
spesso deboli economie locali, e per poter affrontare il problema
della scarsità di materiali autoctoni presenti nel mercato. Tali
argomentazioni trovano riscontro nel fatto che, l’ampia gamma di
specie foraggere annue e perenni, presenti nei pascoli naturali
dell’Europa meridionale e dell’Asia minore, hanno trovato delle
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nicchie congeniali ovunque si manifestino condizioni climatiche simili
(Harlan, 1983).
È del tutto dovuta al caso la diffusione delle specie originarie dei
pascoli del bacino del Mediterraneo nelle altre quattro zone aventi
clima mediterraneo; soprattutto all’inizio, tale passaggio sembra che
sia dovuto ai movimenti dei colonizzatori europei del secolo scorso, i
quali esportavano sementi e bestiame in terre non abitate o utilizzate
solo come terreni di caccia o pesca da popolazioni da sempre dedite
solo a queste primordiali attività produttive (Buddehagen, l.c.).
L’affinità climatica tra alcuni di questi nuovi territori e la “terra
madre” ha col tempo favorito la colonizzazione, da parte di queste
specie foraggere leguminose e graminacee di origine europea, della
maggior parte dei pascoli naturali di California, Cile, parte del sud
Australia e Sud Africa (Donald, 1970; Harlan, 1983). Col tempo sono
stati fatti dei passi in avanti di una certa importanza, tanto che
queste foraggere possono essere annoverate tra le componenti
strutturali dei pascoli di queste zone, rivestendo per altro, in zone ad
agricoltura particolarmente avanzata quali California e sud Australia,
un’importanza economica che oltrepassa quella dei paesi europei o
medio orientali di origine (Buddenhagen, l.c.). Questi risultati sono
stati raggiunti anche per l’impegno di ricercatori australiani e nord
americani, che già dagli anni ’50 iniziarono una ricerca, lungo le
regioni del bacino del Mediterraneo, con l’obiettivo di creare una
collezione ad ampia variabilità genetica utile per ogni specie di
importanza foraggera, in modo da poter selezionare e introdurre
nuove varietà di specie foraggere nei loro paesi.
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In questo ambito, la Sardegna può certamente ambire ad essere
oggetto di studio da parte dei ricercatori che si occupano delle
varietà locali di interesse tecnico-foraggero, per il fatto che presenta
determinate condizioni climatiche e pedologiche, in un territorio non
eccessivamente esteso, ma che allo stesso tempo presenta una
notevole ricchezza nel patrimonio genetico, e non mancano certo
fattori quali i microclimi locali, legati alla variabilità orografica del
territorio e alla forte ventosità che lo caratterizza per lunghi periodi
dell’anno.
Arrigoni (1968) svolse lunghi e minuziosi studi sulla fitoclimatolologia
della Sardegna, e pose l’attenzione in particolare sull’entità delle
precipitazioni piovose, analizzando i risultati offerti da ben 222
stazioni pluviometriche sparse su tutto il territorio. I dati fanno
riferimento ad un periodo di tempo compreso tra i 25 e i 42 anni, e
possono consentire di stabilire un range ben definito, per il quale il
limite minimo di precipitazioni medie annue è superiore ai 400 mm,
mentre il limite massimo raggiunge i 1400 mm. Per quanto concerne
la variabilità climatica è interessante notare che, con una distanza di
appena 30 km, si ha una notevole differenza tra Campuomu (863
mm) e Cagliari (433 mm), situazione abbastanza emblematica che
ben rappresenta la tematica dei microclimi. Arrigoni (1968) arrivò a
stabilire che in poco meno del 15% delle stazioni considerate si ha un
range pluviometrico compreso tra fra i 400 e i 600 mm annui, anche
se non bisogna dimenticare che i dati fanno riferimento a medie
pluriennali, per cui non sono da escludere stagioni influenzate da
lunghe siccità, che climaticamente accomunano queste zone più a
quelle con clima arido sub desertico che non a quelle temperate. Non
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