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studio di Heffernan e Ling (2001) riguarda il fatto che le persone estroverse ricordavano un
maggior numero di item inerenti la memoria prospettica e avevano punteggi maggiori nella
scala riguardante le tecniche e strategie di ricordo. L'ipotesi di base è quella secondo la
quale i soggetti estroversi, che hanno una vita sociale più intensa, hanno una maggiore
capacità di memoria rispetto agli introversi, perché sono "più allenati" ad utilizzarla.
L’obiettivo della mia ricerca è di vedere se la prestazione di memoria prospettica di una
coppia è peggiore rispetto a quella di un singolo, valutando anche se e quanto i tratti
caratteriali possano avere un ruolo determinante nel ricordare con successo ciò che si deve
fare.
Nel primo capitolo è presentata una breve rassegna dei principali studi sulla memoria
prospettica, distinguendo le fasi che la compongono, i tipi di intenzioni e di errori, e una parte
riguardante la metodologia.
Il secondo capitolo tratterà la dimensione sociale della memoria prospettica,
soffermandosi sui fattori sociali che maggiormente influiscono sul recupero delle intenzioni,
con un’attenzione particolare al ruolo dell’altro.
Il terzo capitolo presenta una rassegna degli studi effettuati per quanto riguarda la
personalità e la memoria prospettica e si sofferma sullo strumento di misurazione utilizzato
nella mia ricerca per valutare la personalità (Big Five Questionnaire).
Infine, nel quarto sarà descritto il lavoro sperimentale svolto. Saranno illustrate analisi e
discussione dei dati e verranno spiegate le conclusioni che è stato possibile trarre dai
risultati.
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CAPITOLO PRIMO
LA MEMORIA PROSPETTICA
Nel linguaggio comune viene impiegato il termine ricordare per rimandare alla
prospettiva temporale che si riferisce a “ricordare ciò che abbiamo fatto” o eventi del
passato; esiste però un altro tipo di memoria che si riferisce al ricordo di azioni che devono
essere compiute nel futuro, questa è la memoria prospettica. La componente prospettica
della memoria consente il ricordo di eventi che devono ancora accadere e per i quali le
persone hanno già in precedenza formulato delle intenzioni o dei piani. Infatti quando
parliamo di memoria prospettica possiamo definirla come il “ricordare delle azioni pianificate
da svolgere nel futuro”, cioè delle azioni per le quali le persone hanno precedentemente
compiuto dei piani o delle intenzioni. Nella vita di ogni giorno ci troviamo in situazioni che
coinvolgono la memoria prospettica: il malato deve ricordarsi di prendere le medicine dopo i
pasti, dobbiamo ricordarci di un appuntamento di lavoro o di pagare la bolletta della luce e
così via.
La memoria prospettica dunque è la memoria delle intenzioni: si tratta di ricordare di
svolgere un’azione predeterminata, in un certo momento nel futuro. Questa è una
componente cruciale nella vita quotidiana delle persone, tanto che ci preoccupiamo più di
dimenticarci un’azione da eseguire nel futuro, rispetto a dimenticarci un evento o un
contenuto passato. Questo anche perché le conseguenze di un fallimento della memoria
prospettica possono pregiudicare le relazioni sociali degli individui, o nuocere alla persona
sul piano della sua credibilità.
La memoria prospettica non è solo una forma di memoria, ma è un processo articolato
di cui fanno parte sia elementi prospettici che retrospettivi. È definita “l’insieme dei
meccanismi che permettono il recupero di un’azione intenzionale, pianificata
precedentemente, che potrà essere svolta solo al momento opportuno” (Brandimonte, 2004,
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pg. 38). Nella memoria prospettica c’è una componente retrospettiva, che riguarda il
contenuto delle azioni da svolgere nel futuro, e una componente prospettica, che si riferisce
al momento appropriato in cui attivare il ricordo, all’interno del quale vengono messe in atto
non solo funzioni cognitive, ma anche le funzioni che si riferiscono agli aspetti della
motivazione e della personalità di ognuno. Affinché la memoria prospettica possa funzionare
in modo ottimale, è necessario che entrambe le componenti (retrospettiva e prospettica)
funzionino e siano integrate tra loro. Se una delle due dovesse fallire, fallirebbe anche la
memoria prospettica in molte situazioni.
1.1 Componenti della Memoria Prospettica
Le persone possono ricordare ciò che hanno già fatto e quello che devono ancora fare,
nel primo caso entra in gioco la memoria retrospettiva, nel secondo la memoria prospettica.
Messe a confronto si può notare che le fasi dalle quali sono composte sono simili, anche
nella memoria prospettica troviamo, infatti, la codifica, che riguarda la formazione
dell’intenzione, e il recupero, che si riferisce al ricordare e poi mettere in atto l’azione
pianificata. Il vero recupero nella memoria prospettica è l’esecuzione dell’azione
programmata.
La memoria prospettica è multidimensionale in quanto “non è semplificabile al mero
recupero di un’intenzione, poiché gli eventi mentali che entrano in gioco sono
qualitativamente diversi: cognitivi, emotivi, motivazionali e di personalità”. (Brandimonte,
2004). Inoltre la memoria prospettica è anche multicomponenziale (vedi ad es. Ellis, 1996;
Harris, 1984; Brandimonte e Passolunghi, 1994), nel senso che si riferisce alle componenti
prospettica e retrospettiva del ricordo prospettico.
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1.1.1 La componente retrospettiva
Si riferisce al contenuto dell’azione e dell’evento target o contesto di recupero (ricordarsi
cosa fare e quando farlo).
Il contenuto dell’azione, il “che cosa”, può essere descritto come un’azione mentale o
fisica che varia in relazione alla difficoltà dell’azione stessa e alla sua origine. Meno l’azione
da compiere riguarda una routine, più è probabile che richieda dei processi di pianificazione
sul come svolgerla. Generalmente, con l’aumentare della quantità di azioni che realizzano
l’intenzione, aumenta anche il numero di richieste che questa azione pone in termini di
codifica e ritenzione.
Il quando, il contesto del recupero, dipende da alcune caratteristiche della situazione
futura che dovrebbero stimolare il recupero dell’intenzione. Questa condizione può
comprendere molteplici elementi: una persona, un evento, un’attività, un luogo o un oggetto.
Se è interessato un solo elemento, il contesto si dice puro; in questo caso può essere sia
generale o categorizzato, sia specifico. È più probabile, tuttavia, che il contesto di recupero
coinvolga più di un elemento, in questo caso viene definito combinato. Anche qui può variare
da generale a specifico. Entrambi i contesti variano sia in relazione alla frequenza del loro
verificarsi entro un certo intervallo di prestazione, sia al numero di intervalli di prestazione. È
anche possibile che opportunità multiple vengano codificate come contesti di recupero
specifici separati, invece che come un unico contesto generale.
1.1.2 La componente prospettica
La componente prospettica si riferisce al recupero dell’azione che deve essere svolta al
momento adeguato e che spesso dipende da stimoli generati all’interno della persona
(ricordarsi che si deve fare qualcosa).
Questa componente comprende degli elementi importanti: le recollections. La parola fa
riferimento alle occasioni in cui un’intenzione ritardata viene ricordata prima del verificarsi del
contesto di recupero adeguato. Le recollections si presentano durante l’intervallo di
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ritenzione o durante l’intervallo di prestazione e possono originare da molti fattori: dall’atto
diretto o deciso della persona o di un altro individuo, o con visibile spontaneità, senza
l’intervento di un suggerimento diretto. Studi di laboratorio mostrano che i fallimenti nel
portare a termine un’intenzione possono dipendere sia da una frequenza bassa di
recollections durante un intervallo di ritenzione breve, sia dall’assenza di recollections in
prossimità del contesto di recupero. Per quanto riguarda i compiti nella vita reale, che
necessitano di un intervallo di ritenzione più lungo, il verificarsi o meno delle recollections
influenza il successo delle intenzioni. In letteratura si trovano due ipotesi riguardo le funzioni
delle recollections: la prima è che esse siano capaci di rafforzare l’intenzione nella mente del
soggetto, la seconda è che esse raffigurino delle occasioni in cui la traccia dell’intenzione è
riformulata o modificata in una maniera più vantaggiosa.
1.2 Fasi della memoria prospettica
Nel processo prospettico possiamo distinguere 5 fasi. Queste non necessariamente sono
distinte l’una dall’altra: possono verificarsi in parallelo o a cascata, e sono quindi inseparabili.
A. Formazione e codifica di intenzioni e azioni. Questa fase è associata soprattutto
con la ritenzione del contenuto dell'intenzione, ossia con il ricordo di un'azione (cosa
dobbiamo fare), un’intenzione (la consapevolezza che abbiamo deciso di fare qualcosa) e di
un contesto di rievocazione che contenga il criterio scelto per il richiamo (quando dovremmo
ricordare l'intenzione e quindi mettere in atto l'azione). Si tratta di uno stadio preparatorio che
può essere identificato sia con la componente retrospettiva descritta da Einstein e McDaniel
(1990), sia con quello che Koriat e Ben-Zur (1988) definiscono “encoding stage”. Il fallimento
nel recupero del contenuto dell’azione può essere dovuto al tipo di codice utilizzato al
momento della formazione dell’intenzione. Infatti, mentre l’intenzione codificata nella forma di
schemi di azione immaginati (immaginazione visuo-motoria) permette una traduzione più o
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meno diretta in azione, l’informazione codificata in formato preposizionale richiede un
ulteriore processo di traduzione. È altamente probabile, inoltre, che fattori motivazionali
interferiscano in questa fase, influenzando la codifica e quindi l'eventuale rappresentazione
dell'intenzione.
B. Intervallo di ritenzione. Si tratta dell'intervallo intercorrente tra la codifica e l'inizio di un
potenziale intervallo di prestazione (fase successiva). Questi intervalli possono essere di
diversa durata (da pochi minuti ad alcuni giorni) e contenuti. Generalmente, più è il tempo in
cui dobbiamo ritenere l’intenzione e più ci sarà la possibilità che questa decada. Per parlare
di memoria prospettica è necessario che si presenti un ritardo nella realizzazione
dell’intenzione, un periodo che intercorre tra il pensiero di fare qualcosa ed il compimento
dell’azione. Se l’intervallo di ritenzione è molto lungo, l’intenzione deve essere riformulata più
di una volta prima che la persona la possa portare a termine. Il soggetto per prima cosa si
forma l’intenzione, secondariamente si obbliga di ricordare di fare qualcosa e, quando il
contesto di recupero è lontano, si impone di fare quella determinata cosa, man mano che il
recupero si avvicina.
C. Intervallo di prestazione. E’ la fase più studiata dell’intero processo, in quanto è
l’unica componente realmente prospettica. Coincide con il periodo durante il quale
l'intenzione ritardata può e deve essere recuperata. Per chiarire la differenza tra questa fase
e quella precedente si può fare un esempio: “lunedì decido che mercoledì mattina andrò a
trovare un amico”. L'intervallo di ritenzione è di due giorni (da lunedì a mercoledì), mentre
l'intervallo di prestazione dura approssimativamente tre ore (se consideriamo che la mattina
vada dalle 9 alle 12). E’ bene sottolineare che ricordarsi di compiere l’azione non significa
compierla, infatti, questa è una fase puramente mnemonica in cui ha luogo l’evento
“ricordare il futuro” che precede il compimento dell’azione. Purtroppo questa fase può essere
studiata solo indirettamente, attraverso la fase successiva, e questo porta a degli errori di
valutazione. Infatti, a volte, i soggetti non compiono l’azione, non perché l’hanno dimenticata,
ma per motivi diversi, quali stress, emozione, stanchezza. I diversi contesti e punti di vista
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hanno portato gli studiosi ad utilizzare termini differenti per definire questa fase. Si è parlato
di “remember to remember” (Reed, 1979), “remember to do things” (Harris, 1984),
“remember to recall” (Wilkins e Baddeley, 1978), “remembering intentions” (Loftus, 1971),
“future intentions" (Ellis, 1988) o “componente prospettica” (Einstein e McDaniel, 1990).
D. Esecuzione dell'intenzione. E' la fase in cui viene messa in atto l'azione stabilita
nell'intenzione ritardata. Per Shelton e Levy (1981) si parla di “compliance” quando si porta a
termine un compito nel modo in cui esso è stato assegnato. La non-compliance, e quindi il
fallimento del compito, si verifica se la persona dimentica cosa deve fare oppure quando
deve farlo. La maggior parte degli studi sulla compliance sono stati condotti nell’ambito della
professione medica; “dimenticare” risulta essere la maggior fonte di non-compliance.
E. Valutazione del risultato. La valutazione prevede un confronto del risultato ottenuto
con il contenuto retrospettivo. Può avvenire che le persone non possiedano le conoscenze o
le abilità essenziali per realizzare il compito prospettico, o possono intervenire dei fattori che
provocano un'interruzione all’azione in corso. In questi casi risulta necessaria una ricodifica
dell’intenzione (Newell, Simon, 1972).
Alle cinque fasi riconosciute da tutti, Koriat, Ben-Zur e Sheffer (1988) ne aggiungono una
sesta, quella della cancellazione. Questa fase è necessaria alla verifica del risultato, che
viene definita da Brandimonte (1991) con il termine di output monitoring, parola che descrive
il controllo di quali azioni sono già state compiute e quali devo essere ancora portate a
termine. Se questa fase dovesse fallire potrebbe indurre a due tipi di errori: la persona può
non compiere l’azione, ricordando di averla già fatta o la persona mette in atto l’azione due
volte ricordandosi di non averla ancora compiuta. Per questo controllo entrano in gioco due
tipi di processi: quelli on-line, che avvengono quando un’azione viene portata a termine e ne
viene quindi cancellata la rappresentazione in memoria, oppure viene etichettata come
eseguita; e quelli retrospettivi, che si verificano quando il contesto di recupero per eseguire
l’intenzione rinviata (ri)appare. Questo secondo processo pare dipendere, almeno in parte,
dal primo.