6
L’obiettivo di ricerca prefissato è stato quello di descrivere dettagliatamente l’organizzazione de La Cromografica
ricercando sul campo le informazioni necessarie per averne una visione d’insieme. La scelta di una metodologia di tipo
qualitativo è scaturita dalla considerazione che un insieme di 68 individui, le risorse attualmente presenti in azienda,
non poteva rappresentare un campione sufficiente per sostenere uno studio quantitativo. Inoltre, a livello
macrosociologico, si tratta di uno studio di caso e quindi di un’indagine di tipo qualitativo. A tal proposito si è scelto
l’impiego di un questionario strutturato per rilevare atteggiamenti, tendenze, valori dell’azienda in questione. A questo
strumento si è deciso di affiancare ulteriori tecniche di indagine proprie della ricerca qualitativa: l’osservazione
partecipante, le interviste focalizzate e il test sociometrico.
L’indagine svolta segue una logica deduttiva: si parte da presupposti generali e teorici di carattere organizzativo ed
economico, per concludere con l’analisi dei risultati rilevati sul campo. In sintesi, il presente studio si può suddividere
in due parti generali.
La prima parte si apre con il primo capitolo dedicato alla descrizione delle maggiori teorie organizzative per proseguire,
nel secondo capitolo, con la discussione sul contesto sociale ed economico, affrontando i temi della globalizzazione e
dell’importanza delle nuove tecnologie e approfondendo l’analisi con la presentazione delle principali caratteristiche
della Net Economy, del settore del terziario, dell’ICT (Information and Communication Technology) e delineando infine
quali sono le maggiori caratteristiche (comunicazione, brand e marketing) che differenziano le moderne aziende
rispetto al passato.
Il terzo capitolo è interamente dedicato al vantaggio competitivo, così come è stato teorizzato da M.E. Porter,
soffermando l’attenzione sulle principali strategie competitive a disposizione di un’azienda: la leadership di costo, la
differenziazione e la focalizzazione. Di seguito, correlato ai tre precedenti aspetti, viene affrontato il fondamentale
concetto di catena del valore.
Il quarto e quinto capitolo sono interamente dedicati agli sviluppi storici ed economici del settore grafico-editoriale,
settore cui appartiene il caso in esame, con particolare attenzione alle nuove tecnologie introdotte nei processi
produttivi e ai principali servizi delle aziende operanti in questo settore. In particolare, nel quinto capitolo si analizza il
settore grafico-editoriale sia dal punto di vista produttivo che dal punto di vista strutturale, concludendo così la prima
parte della tesi dedicata agli aspetti legati al contesto socio-economico.
Nella seconda parte sono, invece, definite le premesse teoriche in forma di ipotesi, e vengono sviluppati gli argomenti
empirici. Nel sesto capitolo, infatti, s’introduce l’oggetto di studio, e i concetti di Qualità e sistema che fondano le
premesse per il modello ipotetico. L’ipotesi generale sottesa alla presente indagine presuppone l’esistenza di relazioni
causali tra i concetti di competitività, Qualità, cooperazione e integrazione aziendale, cultura e clima aziendale; alla
fine del capitolo viene esplicitata la metodologia d’indagine seguita e gli strumenti adottati per la rilevazione dei dati
empirici (questionario strutturato, interviste focalizzate, test sociometrico, osservazione partecipante). Nel settimo
capitolo vengono esposti i risultati d’indagine: l’osservazione partecipante ha permesso lo studio e la conoscenza de La
Cromografica dal punto di vista dei processi di produzione e della tecnologia impiegata in tali processi; i questionari
strutturati hanno rilevato gli aspetti organizzativi e culturali dell’azienda; le interviste focalizzate sono state necessarie
per rilevare informazioni di varia natura, dalla storia dell’azienda, alle scelte imprenditoriali relative agli investimenti,
alla conoscenza dettagliata dei dati tecnici di produzione; il test sociometrico, idoneo alle rilevazioni sulle dinamiche di
gruppo, è stato finalizzato come strumento di conferma dei dati rilevati nei questionari strutturati per investigare in
maniera più approfondita le tipologie di leadership.
Nelle conclusioni vengono infine esposti, in sintesi, i risultati dello studio, evidenziando quali aspetti delle ipotesi sono
stati confermati e quali inficiati, rilevando di conseguenza gli aspetti di successo e gli elementi critici de La
Cromografica. La presente tesi si conclude con l’apertura di nuove problematiche attinenti alle potenzialità del
management di gestire un sistema aziendale avente come obiettivo il miglioramento continuo e quindi il
perseguimento della Qualità.
Questa breve premessa termina nella speranza che il lavoro di ricerca ed analisi effettuato per stilare questa tesi di
laurea possa contribuire in minima parte ad arricchire le esperienze di ricerca sui temi organizzativi, e rivelarsi utile a
coloro che, impegnati nelle aree manageriali, credono nel miglioramento continuo, nella cooperazione e nello sviluppo
degli individui nel lavoro.
7
CAPITOLO PRIMO
TEORIE ORGANIZZATIVE A CONFRONTO
8
1.1 INTRODUZIONE
Il lavoro prende avvio con l’esame della realtà sociale e con l’analisi delle varie tappe evolutive alle quali è andata
incontro.
Nella lunghissima fase della società rurale, caratterizzata da una cultura che potremo definire tradizionale, il lavoro era
fondato sull’agricoltura e subordinato ad una serie di schiavitù, il potere apparteneva ai proprietari terrieri. Questo tipo
di società così solida si è scontrata, tra gli inizi del Settecento e la metà dell’Ottocento, contro un grosso sviluppo
tecnologico che ha mutato profondamente la vita politica e produttiva dando vita alla grande industria, cioè ad
agglomerati di 10, 50, 100 mila persone. Due ingegneri E. Ford e F. Taylor pongono le basi per una nuova
organizzazione del lavoro che poi si rispecchierà sull’intera società. Taylor propose alla società industriale ciò che oggi
si sta finalmente realizzando: l’efficienza, cioè la produzione di merce da parte di un’azienda, è uguale al prodotto
stesso, escluso il tempo di lavoro che occorre per produrlo.
Nella società industriale, caratterizzata da una cultura moderna, il lavoro all’interno dell’azienda era prevalentemente
operaio, ripetitivo, per niente centrato sull’iniziativa individuale, i lavoratori erano tutti semi analfabeti. Le aziende
adottano un modello orientato alla produzione; si fabbricano beni che vengono imposti alla società per mezzo della
comunicazione.
La produzione aziendale iniziata nel Settecento, ha raggiunto l’apice agli inizi del Novecento si è conclusa con la
nascita della società postindustriale, caratterizzata da una cultura post-moderna. Nell’era post-moderna il potere, che
nella società rurale apparteneva ai proprietari terrieri e che nella società industriale apparteneva ai proprietari
industriali, è passato nelle mani dei proprietari dei mezzi di informazione, di produzione estetica , etc., rivoluzionando
le aspettative e i bisogni degli individui. Nell’era post-moderna le informazioni viaggiano rapidamente da un polo
all’altro della terra. Gli esseri umani hanno esteso i loro sensi dall’udito, alla vista ed ora anche al tatto, possono
stringere rapporti interpersonali, in tempo reale, superando grosse distanze. Lo sviluppo tecnologico e scientifico,
l’elevata scolarizzazione e la conseguente ricerca di beni immateriali e di estetica sofisticata hanno creato una nuova
categoria di valori.
1
I lavori manuali sono stati sostituiti da macchine sempre più intelligenti, al lavoro umano sono richieste doti come la
flessibilità e la creatività. Ma l’esplosione di questa intellettualizzazione, la richiesta di trasparenza in tutte le fasi del
processo produttivo sono l’espressione di come l’uomo sia cambiato nel tempo e di come la soggettività e la sfera
emotiva abbiano acquistato dignità. Nella società postindustriale l’impresa gestisce attraverso la motivazione e,
l’organizzazione, quindi, non risulta più basata sul controllo; da qui nasce l’esigenza di formare individui capaci di
adattarsi ai nuovi valori e di inserirli nelle organizzazioni come elementi attivi e creativi.
1
Cfr. De Masi D., Il futuro del lavoro, Rizzoli, Milano 1999.
9
1.2 SOCIETÀ INDUSTRIALE E POSTINDUSTRIALE
È certamente difficile tracciare il passaggio dalla società industriale a quella postindustriale poiché tra queste non vi
sono linee nette di demarcazione. Vengono di seguito evidenziate le caratteristiche generali di entrambe le società,
una sorta di modelli ideali utili ai fini interpretativi, ma che non pretendono una raffigurazione completa ed esaustiva
della realtà. Quest’ultima è troppo complessa ed articolata, difficilmente imprigionabile in modelli rigidi e statici. Allo
stato attuale si assiste ad una compresenza di modelli coesistenti; non esiste, infatti, una netta demarcazione, né è
possibile storicizzarli.
L’intento è comunque quello di fornire, una fotografia dei due tipi di società in modo da individuarne le caratteristiche
essenziali. L’analisi prende avvio dall’autore che in modo più incisivo ne ha analizzato le peculiarità: Alvin Toffler, che
in un suo celebre libro descrive le caratteristiche di ognuna di esse e le loro differenze. L’evoluzione sociale, per
l’autore statunitense, ha attraversato tre ondate fondamentali:
2
• la “prima ondata”: rappresenta il lungo arco di tempo nel quale affonda le radici la società rurale;
• la “seconda ondata”: è costituita sui principi e sulle attività della società industriale;
• la “terza ondata”: fa riferimento al cambiamento di valori dell’era postindustriale.
La società, secondo Toffler, è un aggregato molto complesso di fattori di contenuto differente: fattori di tipo
economico, psicologico, politico e culturale. Da ognuno di questi singoli fattori è possibile isolare alcune forze, che
l’autore chiama “driven forces”,
3
cioè forze guida, le quali intervengono in modo preponderante e forniscono l’impulso
principale al cambiamento nella fase della “terza ondata”.
La società agricola, basata sulla coltivazione e sullo sfruttamento diretto delle risorse naturali, è tipicamente
conservativa: istituzioni, valori, stili di vita e sistemi di controllo sociale tendono a mantenere lo status quo. Le
istituzioni chiave sono la famiglia patriarcale, la comunità e la chiesa. La mobilità sociale è scarsa in quanto basata
sulle differenziazioni di nascita e di casta. In questo tipo di società il luogo di vita coincide con il luogo di lavoro.
La società industriale, che caratterizza l’epoca compresa tra la metà del Settecento e la metà del Novecento, è
economicamente basata sulla produzione e distribuzione di beni; è contraddistinta inoltre dalla nascita di grandi
agglomerati urbani: masse di lavoratori salariati si concentrano nelle città industrializzate creando in tal modo una
netta divisione tra luogo di lavoro e luogo di vita. La bottega artigiana, tipica della società agricola, è sostituita dalla
fabbrica e dall’ufficio. Gli addetti del settore secondario aumentano di numero rispetto agli addetti del settore primario
e terziario. Si assiste all’entrata di nuovi attori sociali: imprenditori, lavoratori, sindacati. Aumenta la produzione di
massa, stimolata dal consumismo, e con essa si sviluppano metodi di razionalizzazione e scientificizzazione
dell’organizzazione del lavoro.
La divisione del lavoro e la misurazione dei tempi diventano le regole del modello organizzativo seguito dall’industria. Il
lavoro, così parcellizzato, fa crescere a ritmi precedentemente inimmaginabili la produttività, ma l’alienazione e lo
sfruttamento sono il prezzo da pagare. Toffler, descrive la società industriale analizzando in modo dettagliato gli
elementi
4
che la contraddistinguono:
• la “standardizzazione”, che si è compiuta nell’ambito dei prodotti e dei mezzi di produzione, nei sistemi
distributivi e nei gusti, è resa possibile attraverso il perfezionamento dei metodi di misurazione;
• la “specializzazione”, originata dalla divisione di un numero prefissato di prestazioni, che deve seguire ogni
lavoratore nel processo di operazioni parcellizzate della fabbrica ad impostazione tayloristica;
• la “sincronizzazione”, in altre parole, l’assoggettamento di tutti i tipi di attività, economiche e non, al vincolo
dei ritmi della catena di montaggio e, più in generale, alle cadenze temporali definite dall’inizio e dalla fine di
determinate azioni;
2
Cfr. Toffler A., The Third Wave, Pan Books, London 1981, p. 24.
3
Cfr. Toffler A., The Third Wave, Pan Books, London 1981, p. 28.
4
Cfr. Toffler A., The Third Wave, Pan Books, London 1981, pp. 60 ss.
10
• la “concentrazione”, che riguarda sia l’addensarsi di risorse produttive ed energetiche nelle città, sia l’aspetto
derivato dall’urbanesimo, dove nasce la specializzazione dell’area cittadina con spazi dedicati alla produzione,
zone abitate dal proletariato, luoghi dedicati alla finanza e quartieri per l’alta borghesia;
• la “massimizzazione”, intesa come chiave interpretativa del periodo industriale e sinonimo di efficienza,
diviene l’indicatore simbolo del successo delle industrie;
• la “centralizzazione”, da cui deriva la tendenza delle imprese di coordinare e organizzare le industrie
attraverso un unico blocco di potere centrale.
La peculiarità di Toffler sta proprio nella sua lettura della società industriale come la frattura tra la “prima” e la “terza
ondata”; la “seconda ondata” è da lui definita come una parentesi nella storia, nella quale l’uomo ha accumulato le
risorse e i beni.
La “terza ondata” è, quindi, il distacco dal gigantismo, dalla concentrazione, dalla standardizzazione,
5
da tutto ciò che
appartiene alla tradizione industriale e l’approdo, attraverso le conoscenze tecnologiche, alla riscoperta di una nuova
figura del lavoratore, ad una cultura che gradualmente si demassifica e ad una maggiore affermazione delle istanze
individuali.
6
La società industriale, così ben descritta da Toffler, viene superata dalla società postindustriale nella quale le risorse
principali sembrano essere costituite dall’intelligenza e dall’informazione. I servizi e la produzione di beni immateriali
prevalgono su quelli materiali. Aumentano quindi gli occupati nel settore del terziario, superando di numero quelli del
secondario (nel 1956, infatti, i colletti bianchi superano i colletti blu).
7
Si assiste, inoltre, ad una destrutturazione del
tempo e dello spazio, queste due dimensioni perdono il loro significato di vincolo. L’informazione, infatti, è rapidamente
diffusa e distribuita dai moderni mezzi di comunicazione, grazie alle nuove tecnologie informatiche e telematiche. Al
contempo, nel contesto aziendale, le imprese si orientano in strutture organizzative cosiddette “a matrice”,
abbandonando il sistema di comando gerarchico costituito attorno ad un unico referente. Si creano sempre maggiori
strutture a sistema multiplo di controllo a seconda dei singoli progetti di lavoro. Le organizzazioni di questo tipo
riescono ad essere strutture polivalenti con una forte capacità di adattarsi alle mutevoli condizioni del mercato e della
tecnologia.
Un altro illustre autore italiano ha descritto, evidenziandone le caratteristiche, i tre tipi di società che si sono susseguite
nel corso della storia: Domenico De Masi sottolinea la straordinaria durata del periodo rurale, che ha resistito per circa
novemila anni, rispetto alla breve durata della società industriale. È in ogni caso da mettere in evidenza come la fine del
mondo industriale abbia lasciato nel mondo postindustriale idee di cui ancora non ci si riesce a liberare definitivamente;
ad esempio il legame della paga su base oraria, la tendenza alla standardizzazione degli orari di lavoro e un
atteggiamento conservatore verso le nuove tecnologie.
I punti fondamentali del paradigma della società postindustriale, descritti in maniera dettagliata e puntuale da De Masi
sono i seguenti:
8
• la delega del lavoro ripetitivo, faticoso ed esecutivo, alle macchine, permette al lavoratore di dedicarsi al
lavoro ideativo, ad attività intellettive;
• la produzione di massa e in grande serie di beni materiali cede il posto alla produzione di beni immateriali,
come servizi, informazioni, simboli, estetica e valori;
• la destrutturazione del tempo e dello spazio, rese possibili dalle tecnologie, permettono di realizzare il sogno
dell’ubiquità; il luogo di lavoro non costituisce più una variabile indipendente del teorema organizzativo e
l’orario rigidamente sincronizzato non è più un’esigenza reale della produzione, sorgono, infatti, notevoli
possibilità offerte dal telelavoro;
• la globalizzazione, che assume diverse forme: economica, culturale, ecologica, civile , etc.;
5
Cfr. Toffler A., The Third Wave, Pan Books, London 1981, pp. 264-268 ss.
6
Cfr. Toffler A., The Third Wave, Pan Books, London 1981, pp. 286-289 ss.
7
Cfr. Bell D., The coming of Post-Industrial Society, Paperbaks Inc., New York 1976.
8
Cfr, De Masi D., Il futuro del lavoro, Rizzoli, Milano 1999, p. 197.
11
• la cultura si identifica come cultura post-moderna basata su valori differenti e per alcuni aspetti opposti a
quelli che erano seguiti nel periodo industriale;
• la nuova società è una società senza contadini né operai che ridurrà il livello di analfabetismo;
• il controllo e il potere sarà di chi detiene il diritto di poter programmare il proprio futuro e quello altrui:
sempre più forza, dunque, avranno i movimenti di opinione e i nuovi soggetti sociali;
• la flessibilità del lavoro e i suoi aspetti creativi tendono a sfumare la netta divisione tra tempo di lavoro, le
attività domestiche, il tempo di studio e il tempo libero;
• i rapporti virtuali prevalgono sui rapporti materiali, la nuova società si avvia ad essere un “villaggio globale”;
• il tempo libero prevale sul tempo di lavoro.
Occorre infine citare la definizione data da Daniel Bell alla società contemporanea. Bell infatti, è stato uno dei primi
autori ad utilizzare il termine “postindustriale”.
9
Egli ha tracciato quelli che dovevano essere gli elementi costitutivi dei
nuovi assetti e delle tendenze della società dopo l’evento considerato storicamente l’incipit del cambiamento: nel 1956
negli Stati Uniti i lavoratori impiegati nei servizi avevano superato coloro che lavoravano nei reparti produttivi delle
fabbriche. L’imponente società industriale si iniziava a sfaldare, mentre lentamente si formava la società del “dopo-
industria”, dove i servizi avrebbero occupato progressivamente uno spazio centrale.
Bell arriva a definire le componenti fondamentali che consentono di delineare il passaggio all’era postindustriale.
Queste sono, secondo l’autore, riassumibili in cinque punti:
1. il passaggio da un’economia prevalentemente basata sulla produzione di beni ad un’economia basata sui
servizi;
2. la preminenza della classe dei professionisti e dei tecnici nel settore occupazionale;
3. la centralità della conoscenza teorica come fonte di innovazione e di formulazione di politiche sociali;
4. il controllo della tecnologia e della valutazione tecnologica;
5. la creazione di una nuova tecnologia intellettuale che sostiene i processi di decisione.
In questo quadro, la tecnologia si mostra essenziale ma, al contempo, vincolata da un’imprescindibile esigenza di
sorveglianza e di valutazione continua. Tale azione è esercitata da coloro che dispongono della “conoscenza teorica” e
delle capacità tecnico-intellettuali.
9
Cfr. Bell D., The coming of Post-Industrial Society, Paperbaks Inc., New York 1976.
12
1.3 APPROCCI TEORICI DEGLI STUDI ORGANIZZATIVI
I tipi di società, di cui si sono precedentemente delineate le caratteristiche principali, sono contrassegnate da specifici
e distinti metodi di organizzazione delle attività economiche. Anche in questo caso, la categorizzazione, che viene
presentata, costituisce unicamente una traccia creata allo scopo di esporre i tratti essenziali di ognuna di esse.
Lo sviluppo degli studi organizzativi può essere schematicamente suddiviso in tre grandi fasi.
10
Va però osservato che
tali approcci non devono essere inquadrati in una sequenza temporale di sviluppo, poiché più orientamenti possono e
continuano a coesistere nello stesso periodo storico.
Approccio classico:
inizia a svilupparsi all’inizio del Novecento. Si diffondono, in questo periodo, grandi concentrazioni
capitalistiche che creano enormi entità produttive non più gestibili attraverso modalità di lavoro di tipo
artigianale. Incalza, dunque, la necessità e il bisogno di razionalizzare le modalità e le procedure operative. Si
sviluppa, di conseguenza, un filone di studi prescrittivi che ha come punto focale quello di individuare le regole
di un’organizzazione razionale; espone e detta quindi le regole da seguire per una buona organizzazione del
lavoro. È in tale periodo che sorge lo Scientific Management che fa riferimento a studi di tipo economico e
ingegneristico. La concezione di uomo che sottende tale approccio è quella dell’homo economicus e i maggiori
contributi teorici dell’approccio in questione provengono da F. Taylor, A. Smith, E. Ford.
Approccio neoclassico:
questo filone di studi prende avvio negli anni Trenta ed è di tipo descrittivo. Tale approccio mira a descrivere
cosa accade realmente nelle organizzazioni; mentre l’approccio classico fa riferimento a studi economici
ingegneristici, l’approccio neoclassico prende le mosse da scienze descrittive quali la sociologia e la psicologia.
La concezione dell’uomo che è alla base di tale approccio è l’homo sociologicus. Tutti gli studi che si rifanno a
tale orientamento sono volti ad indagare i meccanismi motivazionali, i cui punti focali sono l’accettazione, la
gratificazione sociale, l’autorealizzazione, i bisogni, etc.
I principali contributi teorici ed empirici di tale approccio provengono dalla Scuola delle Relazioni Umane, il cui
iniziatore è E. Mayo, ma anche da contributi di sociologi come Selznick, Merton, Gouldner, Crozier.
Approccio moderno e interdisciplinare:
quest’ultimo approccio si sviluppa a partire dalla fine degli anni Cinquanta. Si suddivide in diversi filoni, quello
decisionale, quello situazionale, anche detto della “Contingency Theory”, quello etnometodologico, quello della
“learning organization”, quello del “reingeering”. Le discipline di riferimento sono qui sia di tipo prescrittivo,
come l’economia e la logica formale, sia di tipo descrittivo, come la sociologia, la psicologia e l’antropologia.
10
Cfr. Morgan G., Images: le metafore dell’organizzazione, Franco Angeli, Milano 1997, p. 15 ss.
13
1.4 MODELLI ORGANIZZATIVI A CONFRONTO
In concomitanza con la rivoluzione industriale gli approcci organizzativi acquisiscono connotazioni meccanicistiche.
L’impiego di macchinari, in particolare nelle industrie, ha richiesto che le organizzazioni si adeguassero ai tempi e ai
ritmi scanditi dalle attrezzature avviandole inevitabilmente verso la burocratizzazione e la routinizzazione.
La società industriale presenta un modello meccanico di organizzazione,
11
caratterizzato da un’estrema
razionalizzazione del lavoro, da gerarchie burocratizzate e dall’organizzazione scientifica del lavoro messa a punto da
F. Taylor.
12
Tale modello è stato il paradigma normativo e progettuale su cui sono state plasmate le organizzazioni
formali, le grandi imprese e le industrie.
Nel modello meccanico, una buona organizzazione risulta quella in cui funzioni, compiti, strutture organizzative,
procedure, processi e mansioni sono dettagliatamente specificati e razionalizzati, allo scopo di assicurare la massima
efficienza, la massima prevedibilità e governabilità delle singoli parti. Vengono considerati solo gli aspetti formali
dell’organizzazione in cui ogni cosa è dettagliatamente definita: chi fa cosa, come, quando, i sistemi gerarchici e di
controllo.
Le persone, a cui sono assegnate le mansioni, sono come parti di ricambio per l’organizzazione: non è chiesto loro di
essere creative o intraprendenti, ma solo di rispettare i mansionari. Quanto più una mansione è descritta, semplice e
facilmente ricopribile, tanto più l’organizzazione risulta efficiente e razionale.
Da tali organizzazioni produttive ci si aspetta che funzionino come fossero delle macchine, in modo efficiente,
affidabile, prevedibile e routinizzato.
Alla struttura burocratica e piramidale della società industriale, all’organizzazione tayloristica del lavoro esecutivo, alla
fabbrica come luogo di produzione standardizzata di beni materiali, alle rigidità strutturali del mercato del lavoro, alla
netta separazione tra lavoro e non lavoro, tutte caratteristiche fondanti dell’era industriale, si contrappone un diverso
tipo di organizzazione sociale: il modello organico.
Il modello meccanicistico sottintende una teoria organizzativa che tiene esclusivamente conto del rapporto tra
obiettivi, strutture ed efficienza, il modello organico, invece, concentra la sua attenzione su problematiche diverse: la
sopravvivenza, i rapporti tra organizzazione ed ambiente e infine quella l’efficacia organizzativa.
La società postindustriale si caratterizza per la produzione di beni e servizi immateriali e per la preponderanza del
“sapere” e dell’innovazione tecnologica, quali motori dello sviluppo e della crescita economica.
Agli inizi degli anni Settanta, col mutare di alcuni fattori economici, tecnologici e sociali all’interno e all’esterno
dell’impresa si è imposto un cambiamento dei prevalenti principi di organizzazione del lavoro. Le prescrizioni
tayloristiche, la burocrazia autoritaria e tutte le caratteristiche del modello industriale vengono messe in discussione e
soppiantate da nuovi principi organizzativi. Si dimostra che è possibile fermare il processo di frammentazione del
lavoro, progettare mansioni che contengano allo stesso tempo lavoro manuale e intellettuale; cominciano ad essere
progettati ruoli con minime specificazioni critiche che consentono responsabilità e consapevolezza dei risultati,
vengono modificate, se non abolite, forme di controllo gerarchico e si sperimentano nuove forme di partecipazione alla
progettazione organizzativa e alla fissazione degli obiettivi.
Negli anni Settanta, dunque, si è assistito ad una vera rivoluzione che ha consentito il superamento del modello
meccanico caratterizzante le organizzazioni della società industriale.
Il profilo del nuovo modello organico,
13
della società postindustriale, è basato su fondamenti e principi totalmente
diversi rispetto a quelli che hanno caratterizzato il modello meccanico: allude ad una metafora in cui l’organizzazione è
assimilata ad un organismo ad alto grado di complessità dove le singole parti, interagendo tra loro, svolgono funzioni
specializzate. L’organizzazione non è più soltanto l’insieme di norme che garantiscono il controllo, non è più una
divisione rigida e parcellizzata del lavoro.
L’organizzazione formale di un modello organico risulta invece caratterizzata da una minima definizione di strutture,
procedure e ruoli, che si contraddistingue per la centralizzazione del controllo strategico e per il decentramento del
controllo operativo.
11
Cfr Butera F., L’orologio e l’organismo, Franco Angeli, Milano 1988.
12
Cfr Taylor F., W., L’organizzazione scientifica del lavoro, Etas Kompass, Milano 1967, p. 166 ss.
13
Cfr Butera F., L’orologio e l’organismo, Franco Angeli, Milano 1988.
14
È opportuno precisare, come già fatto in precedenza, che i due modelli, finora descritti, costituiscono dei modelli ideali
il cui scopo è unicamente quello di fornire un’interpretazione, che sia la più verosimile possibile, della realtà, senza
pretendere di raffigurarla in toto. Nei contesti aziendali è infatti possibile trovare caratteristiche rappresentanti l’uno o
l’altro modello oppure è possibile riscontrare una loro compresenza.
Le organizzazioni non scelgono a priori il modello sul quale improntare la loro attività, il più adatto risulterà essere
quello in funzione dei compiti e dell’ambiente e, più in generale, del contesto nel quale è inserita l’azienda. Il
management, dunque, deve preoccuparsi di studiare la soluzione più adatta, e di creare organizzazioni flessibili in
grado di far fronte ad eventuali cambiamenti.
L’approccio organizzativo di tipo meccanicistico si dimostra particolarmente utile solo quando si è in presenza di un
compito molto chiaro, di un ambiente sufficientemente stabile e si vuole produrre lo stesso prodotto numerose volte.
Tale modello è altresì limitato quando l’organizzazione si trova ad operare in un ambiente mutevole, dà vita a una
burocrazia troppo rigida ed incapace di recepire la realtà o dà luogo ad effetti non previsti e disumanizzanti.
L’approccio meccanicistico tende, dunque, ad essere abbandonato dalle aziende operanti in condizioni ambientali
incerte e turbolenti, lasciando il posto ad approcci organici e flessibili.
15
1.5 PRINCIPI ESSENZIALI E ORGANIZZATIVI DELL’ORGANIZZAZIONE SCIENTIFICA DEL LAVORO
Lo studio accurato e scientifico dei tempi unitari di produzione e la razionalizzazione formale di ogni singolo aspetto
della vita di fabbrica sono state le caratteristiche fondanti dell’Organizzazione Scientifica del Lavoro (OSL).
Molti sono stati i contributi che hanno accompagnato i cambiamenti nell’organizzazione man mano che si sviluppa la
rivoluzione industriale.
Al principio del capitalismo industriale, D. Diderot e A. Smith apportano visioni contrastanti. D. Diderot ne sottolinea i
lati positivi e fruttuosi, A. Smith, al contrario, ne descrive quelli negativi e distruttivi.
D. Diderot
14
crede, infatti, che la routine nel lavoro costituisce un insostituibile mezzo di apprendimento; grazie alla
ripetizione ed al ritmo, i lavoratori possono raggiungere nel loro compito “l’unità del braccio e della mente”.
15
Nel
quinto volume dell’Encyclopedie, l’autore descrive il modo di operare di una cartiera sottolineandone l’ordine derivante
dalla routine. L’esistenza di ritmi di lavoro ben scanditi, permette di comprendere come accelerare e rallentare i
passaggi, attuare variazioni e sviluppare nuove tecniche.
A. Smith,
16
da parte sua, ritiene che la routine uccida lo spirito. L’esempio pratico fornito da tale autore è quello di una
fabbrica di spilli. Egli confronta la produttività di uno spillettaio che segue il processo produttivo dall’inizio alla fine, con
la produttività di una fabbrica che lavora attraverso una divisione del lavoro e che scompone la produzione in tanti
piccoli atti ognuno seguito da un lavoratore diverso. Pur riconoscendo l’enorme differenza di produttività, a vantaggio
della seconda analisi, sottolinea come la routine porti ad un’autodistruzione causata dalla perdita del controllo del
proprio lavoro.
Altri esponenti emblematici dell’approccio classico sono stati il francese H. Fayol, l’americano F.W. Mooney e l’inglese
L. Urwick. Tutti e tre gli autori presentano come idea centrale la convinzione che la gestione di un’organizzazione sia
un processo di pianificazione, comando, coordinamento e controllo: un modello organizzativo caratterizzato da
mansioni definite con precisione, strutturato in senso gerarchico con linee di comando definite. La loro opera
rappresenta la base su cui si sono fondate molte tecniche gestionali moderne come ad esempio la Direzione per
Obiettivi (MBO), il Planning Programming Budgeting System (PPBS) e altri metodi caratterizzati dall’importanza data
alla pianificazione razionale ed al controllo.
Un altro grande esponente, forse il più noto teorizzatore di tale approccio, è stato F. Taylor, precursore di quella che
oggi viene identificata come la scuola dell’Organizzazione Scientifica del Lavoro (o Scientific Management o OSL).
Tale autore appare anche come uno degli organizzativisti più oltraggiati e criticati, ma è tuttavia uno degli studiosi che
ha avuto maggiore influenza. I suoi principi di Organizzazione Scientifica del Lavoro sono stati seguiti da progettisti del
lavoro per tutta la prima metà del XX secolo. Sottolineando che molti di questi principi restano oggi ancora validi,
Taylorli riassume in cinque semplici punti:
17
1. Far slittare la responsabilità relativa all’organizzazione del lavoro dal lavoratore al dirigente; i dirigenti
dunque sono gli unici a preoccuparsi della pianificazione e della progettazione del lavoro, lasciando agli
operai la sola realizzazione pratica.
2. Usare metodi scientifici nell’individuazione del modo più efficiente di lavorare; la mansione dell’operaio deve
essere progettata di conseguenza, specificando dettagliatamente come il lavoro debba essere fatto.
3. Selezionare la persona più adatta per espletare la mansione.
4. Addestrare l’operaio a fare il lavoro in maniera efficiente.
5. Tenere sotto controllo la produttività dell’operaio per assicurarsi che vengano seguite e rispettate le
procedure lavorative preordinate e che vengano ottenuti i risultati attesi.
Nell’applicazione di questi principi Taylor focalizza l’attenzione sullo studio dei tempi e dei metodi attraverso cui
standardizzare le attività lavorative. Il suo approccio scientifico richiede che anche la più semplice delle operazioni
14
Cfr. Diderot D., La filosofia dell'Encyclopedie, Laterza, Bari 1966.
15
Cfr. Diderot D., La filosofia dell'Encyclopedie, Laterza, Bari 1966, p. 375.
16
Cfr. Smith A., La ricchezza delle nazioni, 1776, Newton, Roma 1995.
17
Cfr. Taylor F. W., L’organizzazione scientifica del lavoro, Etas Kompass, Milano 1967.
16
venga osservata nel dettaglio, ne vengano corretti ed eliminati i movimenti inutili e venga misurato il tempo
effettivamente impiegato per tale operazione con la massima precisione; trovare la modalità più efficiente è l’obiettivo
da perseguire applicando tale procedura.
L’approccio tayloristico della progettazione organizzativa è riscontrabile ancora oggi in tutte quelle produzioni basate
su catene di montaggio o su processi produttivi controllati e monitorati rigidamente dai computers. Si considerino ad
esempio le catene di fast food
18
che servono cibi altamente standardizzati; qui il lavoro è spesso organizzato nel
minimo dettaglio, sulla base di mansionari che individuano le procedure e i compiti più efficienti al fine di realizzare il
risultato ottimale.
L’impatto dei metodi scientifici tayloristici sui luoghi di lavoro è stato enorme: ha reso possibile l’accrescimento della
produzione e la sostituzione di artigiani specializzati con lavoratori non qualificati. Questi dunque i principali motivi del
largo successo ma, al tempo stesso, anche oggetto di critiche legate al fatto che l’aumento di produttività spesso è
ottenuto pagando alti costi umani e riducendo molti lavoratori a veri e propri automi. Questo tipo di metodologia
organizzativa ha fatto emergere problemi umani ben visibili fin dai suoi albori. I principi sottostanti a tale metodologia,
la separazione delle fasi di progettazione e pianificazione da quella dell’esecuzione del lavoro (una sorta di separazione
tra mano e cervello) vengono considerati gli elementi più pericolosi della teorizzazione tayloristica.
Nel corso degli anni però questo approccio è stato sviluppato e perfezionato sotto molti punti di vista, resistendo alle
numerose critiche, ed è stato accolto dalle organizzazioni di numerosi paesi. Sebbene i sopraindicati aspetti negativi
dell’Organizzazione Scientifica del Lavoro siano ancora oggi riscontrabili in molti luoghi di lavoro, le caratteristiche
peculiari del taylorismo lo fanno risultare comunque un ottimo metodo per garantire il controllo di ciò che avviene nelle
organizzazioni e la conseguente massimizzazione del profitto.
18
Cfr. Morgan G., Images: le metafore dell’organizzazione, Franco Angeli, Milano 1997, p. 32.
17
1.6 LA SCUOLA DELLE RELAZIONI UMANE
Il taylorismo è stato l’esempio più limpido della razionalizzazione formale di fabbrica, frutto di strategie di efficienza
aziendale volte al conseguimento di una produzione di massa e su larga scala. Come si è visto tutti i modelli riferibili al
paradigma taylorfordista sacrificano, in nome dell’efficienza, le potenzialità intellettuali e creative dei lavoratori; questi
sono tenuti a svolgere semplici lavori parcellizzati e monotoni, disciplinati da un controllo verticistico.
I limiti dei principi organizzativi tayloristici iniziano ad essere evidenziati verso la fine degli anni Venti. Durante questo
periodo vengono intraprese indagini che concentrano la loro attenzione su altri aspetti propri della situazione
lavorativa. La necessità di soddisfare il fattore umano, attraverso la creazione di un ambiente di lavoro socialmente
gradevole e tollerante, comincia ad emergere da importanti ricerche tese a verificare l’esistenza e la consistenza di
dinamiche informali che vengono a costituirsi nei gruppi di lavoro. Tali studi restano famosi per aver messo in evidenza
caratteristiche del lavoro fino a quel momento totalmente trascurate. Tra queste, una delle indagini storiche della
sociologia organizzativa che occorre menzionare è senza dubbio quella condotta nello stabilimento di Hawthorne, della
Western Electric di Chicago, sotto la guida di Elton Mayo.
19
In origine, tale studio, doveva analizzare la relazione tra le
condizioni lavorative e l’incidenza della fatica sulla noia dei dipendenti. L’analisi concentrò successivamente l’attenzione
su variabili di natura sociale esterne al lavoro come, ad esempio, l’importanza dei bisogni sociali, la costituzione di
gruppi informali sul luogo di lavoro, l’esistenza di un’organizzazione, parallela a quella formale, basata su rapporti
amicali e sulle loro interazioni.
20
Tale studio mette in evidenza dunque l’importanza di una nuova dimensione nelle organizzazioni, ovvero la
componente umana. Il nuovo approccio si basa sull’assunto che gli individui, così come gli organismi biologici,
raggiungono la loro massima efficienza lavorativa quando i loro bisogni sono soddisfatti. In polemica con
l’organizzazione razionale, gli studi di Mayo sottolineano l’importanza di fattori psicologici e sociali e la necessità di
politiche aziendali che ne tengano conto. L’approccio di Mayo si inserisce tra i contributi della Scuola delle Relazioni
Umane, in netta contrapposizione con la visione tayloristica e con il principio del “one best way” teorizzato
dall’Organizzazione Scientifica del Lavoro. La presa in considerazione del fattore umano e la rivalutazione di questi,
proposta da Mayo e dalla sua scuola, rendono evidente la necessità di armonizzare l’ambiente di lavoro con le esigenze
psicologiche degli operai.
In altre parole, per la Scuola delle Relazioni Umane, il compito delle politiche aziendali dovrebbe essere quello di
conciliare la propria mission di efficienza produttiva con gli aspetti sociali ed emotivi dei gruppi di lavoro, aspetti
totalmente trascurati dall’impostazione tayloristica, rigida ed unidirezionale.
19
Cfr. Mayo E., The human Problems of an Industial Civilization, Viking, New York 1933 (trad. it I problemi umani e socio-politici della civiltà
industriale, Utet, Torino 1969).
20
Cfr. Mayo E., The human Problems of an Industial Civilization, Viking, New York 1933 (trad. it I problemi umani e socio-politici della civiltà
industriale, Utet, Torino 1969, p. 232).
18
1.7 L’ELEMENTO INFORMALE DELLA COOPERAZIONE AZIENDALE
A seguito di quanto precedentemente anticipato, le elementari relazioni informali devono muoversi coerentemente alle
aspettative aziendali operative e alle esigenze emotive di identificazione dei lavoratori. L’obiettivo da raggiungere
consiste nell’incentivare il rendimento dei dipendenti facendo in modo che nella pratica aziendale venga accolta
l’esigenza di una loro valorizzazione sotto il profilo umano, emozionale e relativo alla soddisfazione intrinseca delle
proprie mansioni.
La collaborazione e l’integrazione funzionale è la semplice e più diretta risoluzione di tutti quei conflitti derivanti dal
mancato soddisfacimento di queste esigenze, personali ed organizzative, che, inasprendosi, alterano da una parte la
stabilità produttiva e dall’altra la giusta valutazione dei fattori sociologici e psicologici, costitutivi dell’individuo
all’interno del gruppo di lavoro.
Tale discorso assume ancora più senso se inserito nella cornice concettuale di C. Barnard, altro precursore di studi
organizzativi miranti all’approfondimento della struttura informale di un sistema di lavoro. Questo autore fonda il
proprio pensiero, di carattere manageriale, sulla concezione cooperativa del sistema aziendale, interpretando
l’organizzazione informale come un complesso insieme di relazioni spontanee che si costituiscono tra gli attori.
È questa una struttura composita e necessariamente connessa, oltre che preesistente, a quella dell’impresa. C.
Barnard riconosce che i rapporti informali creano le condizioni in cui può sorgere l’organizzazione formale.
21
Senza il
sostegno di tale substrato informale, gli individui avrebbero difficoltà a conformarsi al disegno formale e ad accettarne
le regole, e risulterebbe impossibile mobilitare consensualmente un insieme di persone per un fine che non sentono
intimamente loro.
C. Barnard afferma che il fine dell’organizzazione non ha alcun significato per l’individuo. “Ciò che ha significato per lui
è la relazione fra lui e l’organizzazione – quali sacrifici gli impone, quali benefici gli assicura”.
22
Da tale distinzione, tra i
fini organizzativi ed i moventi individuali, ne consegue che non ci si può limitare a perseguire soltanto i fini impersonali
dell’organizzazione, ma che vanno tenuti presenti anche i moventi dei singoli membri. È necessario, dunque, riuscire a
mobilitare l’insieme di individui per un fine che non è il loro, offrendo contemporaneamente incentivi sufficienti a
soddisfare la loro motivazione personale a partecipare.
L’autore distingue i tipi di incentivi offerti da un sistema cooperativo:
23
• materiali: sono quelli di tipo monetario, ma che comprendono anche le condizioni fisiche generali, i
benefici di posizione, la sicurezza del posto , etc.;
• non materiali: sono costituiti da gratificazioni morali, stima, prestigio, familiarità di metodi e di
atteggiamenti all’interno del sistema cooperativo.
Più specificatamente, è possibile affermare che C. Barnard intende per incentivi non materiali non soltanto la
gradevolezza psicologica dei rapporti informali, ma anche l’importanza delle gratificazioni fondate sulla dimensione
morale dell’agire cooperativo. L’enfasi riposta su questo secondo tipo di incentivi conduce l’autore a dedicare largo
spazio alle iniziative di persuasione che le organizzazioni possono mettere in atto per incentivare e muovere verso una
cooperazione totale.
21
Cfr. Bonazzi G., Storia del pensiero organizzativo, Franco Angeli, Milano 1998, p. 80.
22
Cfr. Barnard C., The Functions of the Executive, Harvard College, Mass. 1938 (trad. it. Le funzioni del dirigente, Utet, Torino, 1970, p. 86).
23
Cfr. Barnard C., The Functions of the Executive, Harvard College, Mass. 1938 (trad. it. Le funzioni del dirigente, Utet, Torino, 1970, p. 86), p. 136.
19
1.8 LA SCUOLA MOTIVAZIONALISTA
Le teorie motivazionali, che prendono piede successivamente a quelle di stampo tayloristico, vedono l’individuo come
un organismo che lotta per soddisfare i suoi bisogni, al fine di arrivare ad una crescita ed a uno sviluppo completo.
Nella teoria organizzativa classica le esigenze produttive hanno importanza primaria, nella Scuola Motivazionalista,
invece, l’obiettivo da raggiungere consiste nell’incentivare il rendimento dei dipendenti, tenendo conto della loro
realizzazione sotto il profilo umano ed emozionale. La tesi dei motivazionalisti presuppone che, i fini di
un’organizzazione sono meglio perseguiti se sono soddisfatte le esigenze di crescita personale degli individui che vi
lavorano.
Di notevole interesse è l’apporto offerto da uno dei maggiori esponenti della Scuola Motivazionalista, A. Maslow, il
quale afferma che il comportamento umano è motivato da bisogni ordinabili su una scala che vede una sequenza che
va da quelli fisiologici, a quelli psicologici, a quelli sociali.
24
Più precisamente, dal livello più basso e semplice, fino ad arrivare a quello più alto e complesso, i bisogni considerati
sono:
25
1. bisogni fisiologici, riguardanti la sopravvivenza immediata;
2. bisogni di sicurezza, riguardanti la sopravvivenza sul lungo periodo;
3. bisogni sociali, riguardanti l’esistenza di un ambiente sociale gradevole;
4. bisogni dell’ego, riguardanti il riconoscimento sociale del proprio status;
5. bisogni di autorealizzazione, riguardanti la ricchezza psicologica interiore che ogni individuo può trarre dal
proprio lavoro.
La soddisfazione di un bisogno collocato a un livello superiore presuppone e necessita la precedente soddisfazione di
uno collocato ad un livello inferiore. Comincia, dunque, a prospettarsi la necessità di riprogettare le mansioni e la
generale struttura organizzativa per giungere ad un equilibrio tra bisogni umani e motivazioni ad agire. Si afferma
l’idea della necessità di integrare i bisogni degli individui con quelli dell’organizzazione.
Parallelamente, psicologi dell’organizzazione quali C. Argyris, F. Herzberg e R. Likert hanno dimostrato la possibilità di
modificare le strutture burocratiche, gli stili di leadership e in generale l’organizzazione del lavoro.
26
Tali cambiamenti
darebbero origine a mansioni arricchite e motivanti che riuscirebbero a stimolare e ad incoraggiare il lavoratore
adeguandosi al disegno organizzativo della struttura in cui operano e a sviluppare al massimo la loro creatività.
I dipendenti di un’organizzazione, secondo tale approccio, diventano delle risorse dotate di valore ed in grado di
contribuire attivamente alle attività. Tutti gli studi condotti sono volti a dimostrare come l’arricchimento del contenuto
del lavoro, uno stile di direzione più partecipativo e più democratico conducano al miglioramento del clima interno, alla
diminuzione di assenteismo, turnover e conflitti, favorendo migliori prestazioni lavorative.
A partire dagli anni Sessanta, gli esperti di management e di organizzazione del lavoro si sono sempre più preoccupati
di progettare aziende in grado di aumentare la produttività e la soddisfazione dei dipendenti. Infine va osservato come
una buona gestione delle risorse umane diviene una delle variabili cruciali affinché vi sia integrazione tra gli aspetti
umani e quelli propriamente tecnici del lavoro.
24
Cfr. Maslow A., Motivation and Personality, New York, Harper and Brothers 1954.
25
Cfr. Bonazzi G., Storia del pensiero organizzativo, Franco Angeli, Milano 1998, p. 99 ss.
26
Cfr. Bonazzi G., Storia del pensiero organizzativo, Franco Angeli, Milano 1998, p. 101 ss.