Introduzione
delle ricerche di Kooharian (1953), che per primo dimostrò l’applicabilità del calcolo a
rottura tradizionale al caso di elementi costituiti da blocchi in pietra, e di Heyman
(1966 e 1982) che studiò il comportamento al collasso degli archi in muratura soggetti
a carichi verticali. I valori di resistenza limite ottenuti rappresentano un punto di
riferimento fondamentale per la seconda fase, poiché si confrontano con i risultati
derivanti da prove sperimentali in laboratorio, che sicuramente rappresentano un
modello fisico reale con tutte le incertezze intrinseche che nella prima fase sono state
superate tramite l’utilizzo di una teoria autorevole ed esatta come quella dell’Analisi
Limite. Il raggiungimento della condizione di collasso nella fase 2, si ottiene applicando
alle strutture processi di carico costituiti da forze verticali e da spinte orizzontali
gradualmente crescenti. Infine nella terza fase si valutano i benefici, in termini di
resistenza al collasso, portati dall’applicazione di materiali FRP che sono sempre più
utilizzati di recente nel campo dell’Ingegneria Civile e che costituiscono un ottimo
materiale resistente a trazione e capace di sopperire alla scarsa qualità della muratura
in termini di risposta meccanica alla trazione stessa.
Per meglio comprendere a fondo le problematiche connesse al comportamento della
muratura antica bisogna puntualizzare alcuni dettagli tecnici sulla struttura ad arco
realizzata durante l’esperienza di laboratorio. L’arco è realizzato da blocchetti di
calcestruzzo, ottenuti mediante casseri metallici speciali lavorati con macchina utensile
e sottoposti a fresatura, semplicemente appoggiati uno sull’altro senza interporre
malta di alcun tipo nei giunti e questo per simulare la scarsa qualità della malta
utilizzata per la costruzione delle strutture antiche. Inoltre la scelta del materiale base
calcestruzzo risulta essere coerente con le caratteristiche della muratura; entrambi i
materiali infatti sono caratterizzati da un ottima resistenza a compressione e allo
stesso tempo da una scarsa e quindi trascurabile resistenza a trazione.
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1.Il calcestruzzo
Capitolo 1
Il calcestruzzo
1.1 Composizione del calcestruzzo
Il calcestruzzo è un materiale artificiale che si ottiene impastando degli aggregati
naturali con un legante, il cemento, che reagisce chimicamente grazie alla presenza di
acqua. Gli aggregati formano lo “scheletro” lapideo del calcestruzzo, tenuto insieme
dal cemento. L’acqua serve sia a rendere possibili le reazioni chimiche della presa del
cemento, sia a conferire all’impasto la fluidità necessaria a consentirne la lavorabilità.
1.1.1 Il cemento
Il cemento di tipo Portland (dal nome di una pietra ) si ottiene cuocendo ad alta
temperatura (circa 1500 °C) una miscela di calcare ed argilla (nella proporzione di circa
1:3) e quindi macinando finemente il prodotto di cottura (Klinker). Dal punto di vista
chimico il cemento è una miscela di silicati ed alluminati di calcio che, anche in virtù
della finissima macinazione, sono in grado di reagire rapidamente con l’acqua
formando una massa dura, simile alla pietra. L’elemento di minor resistenza nel
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1.Il calcestruzzo
calcestruzzo è il legame tra gli inerti fornito dal cemento e quindi la resistenza dello
stesso è fortemente dipendente dalla qualità e dalla quantità di cemento impiegato.
Oltre certi limiti però all’aumentare del quantitativo di cemento i guadagni di
resistenza divengono sempre più modesti, ed anzi si riscontrano effetti negativi dovuti
ad una presenza in eccesso.
1.1.2 Gli aggregati
Gli aggregati si distinguono, in base alla granulometria, in sabbia, con dimensioni
inferiori ai 4‐5 mm, e in ghiaia, con dimensioni superiori a quelle della sabbia.
Questi aggregati devono rispondere ad alcune caratteristiche per poter essere utilizzati
nella composizione del calcestruzzo. La sabbia dovrebbe essere preferibilmente silicea,
a grana ruvida e con elementi di diametro assortito, senza la presenza di parti fangose
o terrose. La sabbia naturale od artificiale deve essere costituita di grani resistenti non
provenienti da rocce decomposte o gessose, oltre a non contenere elementi dannosi
per il calcestruzzo, come materiale organico.
La ghiaia costituisce la parte grossa dell’impasto e influenza le sue proprietà. Essa
quindi non deve contenere impurità (fango, terriccio, polvere) ed è importante che
abbia superfici scabre e che non sia costituita di materiale gelivo o friabile.
1.1.3 L’acqua
L’acqua, combinandosi con il cemento nel fenomeno dell’idratazione, da luogo alla
“presa” che trasforma l’impasto in una massa solida. Tuttavia l’acqua deve svolgere
anche la funzione di lubrificante nell’impasto, rendendolo sufficientemente fluido da
essere lavorabile. Per questo motivo l’acqua impiegata nell’impasto deve essere in
quantità superiore a quella strettamente necessaria per l’idratazione del cemento.
Tuttavia si deve tenere presente che all’aumentare dell’eccesso di acqua peggiorano
sensibilmente le caratteristiche meccaniche del calcestruzzo.
L’acqua da usare nell’impasto deve essere il più possibile pura, quando è possibile si
consiglia quindi l’uso di acqua potabile. In particolare devono essere evitate acque
contenenti percentuali elevate di solfati e le acque contenenti rifiuti di origine organica
o chimica. La presenza di impurità infatti interferisce con la presa, provocando una
riduzione della resistenza del conglomerato.
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1.Il calcestruzzo
1.2 Granulometria degli aggregati
Per ottenere un buon calcestruzzo occorre che la miscela di aggregati abbia una
corretta granulometria, ottenuta mescolando in proporzioni opportune aggregati di
tipo diverso. Il controllo della granulometria si fa tracciando la curva granulometrica
della miscela che si ottiene riportando in un diagramma, in funzione del diametro, la
percentuale in peso degli inerti passanti in setacci con fori di diametro crescente. La
somma dei trattenuti cumulativi diviso cento è il cosiddetto modulo di finezza (MF) che
è tanto più elevato quanto è minore nel complesso la finezza dell’aggregato ed inoltre
individua con un parametro unico la distribuzione granulometrica di un aggregato nel
complesso. Un criterio valido per giudicare della qualità della curva consiste nel
verificare che essa si accosti quanto più possibile a una curva ottenuta empiricamente
(curva di Fuller e Thompson) che rappresenta la granulometria che si dovrebbe avere
per ottenere un conglomerato con il massimo grado di impacchettamento dei grani.
Questa curva empirica è caratterizzata dalla seguente espressione (1.1):
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D
max
d
100
P
(1.1)
dove, P è la percentuale di passante in peso nel setaccio di diametro d e D
max
è la massima
dimensione dell’aggregato presente nel conglomerato. La formulazione precedente (1.1)
fornendo però un calcestruzzo a massima densità non si adatta spesso alle esigenze di
lavorabilità richieste e quindi deve essere modificata così come proposto da Bolomey (1.2)
introducendo un parametro (A) funzione della lavorabilità e del tipo di aggregato avente a
disposizione. Inoltre tale formulazione tiene conto in maniera più esatta della percentuale di
materiale fine inglobando anche la percentuale di cemento costituente la miscela.
(1.2)
I valori assunti dal parametro A possono essere riassunti in Tabella 1.1 e come si vede
all’aumentare della lavorabilità esso cresce determinando un aumento di percentuale di
materiali fini nel conglomerato.
P
A
d
D
max
100 A () C
100 C
100
Tabella 1.1‐ Valori del parametro A
1.Il calcestruzzo
Valori di A per calcestruzzi con consistenza di:
Tipo di aggregato Terra umida Plastica semifluida Fluida superfluida
Alluvionali 8 10 12
Frantumati 10 12 14
1.2.1 La composizione di più granulometrie
Spesso, come nel caso dell’esperienza di laboratorio, sono fornite le granulometrie di
alcune classi di aggregati e non la composizione continua (in un’unica classe da 0 mm a
D
MAX
). Occorre quindi risalire alla combinazione ottimale di queste classi, prese in
diverse percentuali, che dia la granulometria migliore per il calcestruzzo (ossia più
prossima ad una delle curve teoriche viste nel paragrafo precedente).
L’attività di laboratorio in questa fase è consistita nella realizzazione per vagliatura
delle singole curve granulometriche per ogni dimensione di aggregato disponibile (0‐
4mm, 4‐8mm, 8‐12mm, 12‐22mm) e nell’ottica di un confronto esse sono state estese
assegnando una percentuale di passante anche per stacci non effettivamente utilizzati
ottenendo quelle che appunto sono denominate “curve granulometriche estese”
(Fig.1).
Fig.1 - Curve granulometriche dei diversi mucchi
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1.Il calcestruzzo
Le curve sono state determinate analizzando un campione di materiale essiccato in
forno ed a tal proposito è stato interessante notare l’effettiva presenza di acqua nel
mucchio considerato (Tabella 1.2) poiché esposto a fenomeni atmosferici, presenza
che come era prevedibile è risultata maggiore per materiali a grana fina caratterizzati
da una permeabilità minore.
Tabella 1.2‐ Percentuale del contenuto di acqua nei mucchi
Mucchio
Contenuto d'acqua in mucchio [ %
]
0-4 mm 9.2
4-8 mm 4.22
8-12 mm 2.26
12-22 mm 2.71
Tale contenuto di acqua, peraltro variabile nel tempo visto che la fase di getto ha
avuto una durata di circa tre settimane, ha prodotto chiaramente un errore nel
dosaggio degli inerti e fatto ancor più rilevante ha modificato il rapporto a/c di
progetto rendendo quindi necessarie delle correzioni manuali affidate al pesatore.
Analizzate le curve si è valutata quale delle combinazioni percentuali delle quattro
classi di aggregati presentava la minor distanza dalla curva ideale di Bolomey, così
come descritta nel precedente paragrafo, considerando D
max
=22mm ed un parametro
A=14 (Fig.2).
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1.Il calcestruzzo
Fig.2 – Confronto tra curva granulometrica del mix e curva teorica di Bolomey
In particolare, a seguito dell’analisi, la composizione percentuale degli inerti ottimale,
avente curva granulometrica in azzurro in Fig.2, è risultata essere quella in Tabella 1.3.
Tabella 1.3 ‐ Percentuali delle varie pezzature costituenti il mucchio
Percentuale mucchio
0 - 4 mm
(%)
4 - 8 mm
(%)
8 - 12 mm
(%)
12 - 22
mm (%)
50 10 10 30
1.3 Mix design
Il mix‐design è il progetto della miscela: permette di valutare il dosaggio dei singoli
elementi che entrano a far parte del calcestruzzo, sulla base delle caratteristiche che
quest’ultimo deve avere.
Due sono i principi fondamentali del mix‐design entrambi basati sulla determinazione
della quantità di acqua impiegata per il confezionamento del calcestruzzo. La quantità
minima di acqua richiesta dalla reazione chimica dell’idratazione del cemento è di circa
0.27 litri di acqua per ogni chilogrammo di cemento (rapporto acqua‐cemento
a/c=0.27). Tuttavia i valori del rapporto a/c comunemente usati sono sensibilmente
superiori, al fine di rendere lavorabile l’impasto. L’aumento di acqua rispetto al minimo
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