ABSTRACT
INTRODUZIONE
I soggetti affetti da bulimia nervosa esperiscono ricorrenti episodi di abbuffate,
accompagnati dalla sensazione di perdita di controllo e seguiti da inappropriate
condotte compensatorie per prevenire l’aumento di peso. Questo disturbo alimentare
ha una base psicopatologica ma si ripercuote su molteplici aspetti della vita, causando
complicanze mediche e una compromissione del funzionamento in ambito
lavorativo/scolastico e sociale.
La quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM-5)
ha introdotto dei livelli di gravità per la bulimia nervosa, definiti dalla frequenza media
dei comportamenti impropri di compenso. Questo criterio di gravità sarebbe utile non
solo per trasmettere informazioni prognostiche, ma anche per indirizzare i pazienti al
più appropriato livello/tipo di trattamento e per tenere traccia dei loro progressi;
tuttavia, esso è stato aggiunto al DSM-5 in assenza di indagini empiriche e ricerche
pubblicate che attestino la sua validità.
OBIETTIVI
L’obiettivo del nostro studio è esaminare la validità e l’utilità clinica dei livelli di gravità
introdotti dal DSM-5 in un campione clinico di soggetti adulti con diagnosi di bulimia
nervosa, valutando se questi pazienti, raggruppati sulla base della gravità del disturbo
(definita dalla frequenza degli episodi di condotte compensatorie inappropriate),
presentino delle differenze significative su una gamma di variabili di interesse clinico.
Queste variabili includono le caratteristiche (comportamentali e attitudinali) cardine
della patologia alimentare (ovvero bulimia, impulso alla magrezza e insoddisfazione
dell’immagine corporea), quattro fattori trans-diagnostici (ovvero bassa autostima,
problemi interpersonali, perfezionismo e disregolazione emotiva) coinvolti nel
processo di mantenimento di tutti i disturbi alimentari, l’età di esordio della bulimia
nervosa, il BMI, la psicopatologia concorrente (ovvero ansia e depressione) e l’intensità
del disagio psichico esperito.
METODI
Nello studio sono stati inclusi 223 soggetti adulti di entrambi i sessi (femmine 86.1%)
con diagnosi di bulimia nervosa che si sono presentati per il trattamento della loro
patologia alimentare presso l’unità specialistica DCA dell’ASST di Monza – Ospedale
San Gerardo tra il 2014 e il 2020, senza prevedere criteri di esclusione specifici.
Tutti i partecipanti sono stati sottoposti ad una valutazione diagnostica, effettuata
dallo staff specialistico, e alla misurazione dell’altezza e del peso (per il calcolo del
BMI); inoltre, hanno compilato dei questionari (Eating Disorder Inventory-3 e Symptom
Checklist-90-R) per valutare le variabili considerate nello studio.
RISULTATI
Dai risultati si evince che i pazienti, classificati con bulimia nervosa di lieve, moderata,
grave ed estrema gravità, differiscono significativamente tra di loro in termini di
caratteristiche (attitudinali e comportamentali) cardine della patologia alimentare
(bulimia, impulso alla magrezza e insoddisfazione dell’immagine corporea) e nei
quattro fattori trans-diagnostici considerati (perfezionismo, bassa autostima,
disregolazione emotiva e problemi interpersonali). Un’altra differenza statisticamente
significativa è stata riscontrata nella psicopatologia concorrente considerata (ansia e
depressione) e nell’intensità del disagio psichico esperito, valutato con l’indice di
severità globale. Tuttavia, i gruppi di pazienti suddivisi per gravità sono risultati
statisticamente indistinguibili nelle caratteristiche demografiche, nell’età di esordio
della bulimia nervosa e nel BMI.
CONCLUSIONI
Complessivamente, i risultati del nostro studio sono in linea con i dati ottenuti dalle
ricerche precedenti e forniscono ulteriore supporto all’utilità e alla validità clinica dei
livelli di gravità della bulimia nervosa introdotti dal DSM-5. Tuttavia, date le possibili
limitazioni di questo studio, sarebbe utile condurre ulteriori ricerche sui livelli di gravità
della bulimia nervosa per confermare i nostri risultati e per aumentare le evidenze
riguardo la correlazione tra questi livelli di gravità e le caratteristiche principali e/o
associate della patologia.
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CAPITOLO 1: PSICOPATOLOGIA DELL’ALIMENTAZIONE
1.1 I DISTURBI DELL’ALIMENTAZIONE: UNA PANORAMICA GENERALE
1.1.1 EPIDEMIOLOGIA
I disturbi alimentari colpiscono circa il 5% della popolazione nei paesi occidentali e
hanno una prevalenza maggiore nelle femmine rispetto ai maschi (Halmi, 2018; Hay et
al., 2015; Kessler et al., 2013; Smink at al., 2014; Wade et al., 2006).
Lo studio epidemiologico dei disturbi alimentari presenta alcune difficoltà sul piano
metodologico, in quanto i pazienti affetti tendono a nascondere o negare la loro
malattia e/o ad evitare l’aiuto dei professionisti. Di conseguenza, molti studi
epidemiologici si basano solo sui registri psichiatrici o medici degli ospedali di afferenza
di una determinata area, tendendo così a sottostimare la frequenza dei disturbi
alimentari (Smink et al., 2012).
La pubblicazione della quinta edizione del Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi
Mentali (DSM-5) nel maggio 2013 ha ulteriormente modificato la situazione, dato che
ha abbassato le soglie temporali per definire l’anoressia nervosa e la bulimia nervosa,
ha introdotto il binge-eating disorder quale disturbo a sé stante e ha suddiviso la
categoria residua (Eating Disorder Not Otherwise Specified - EDNOS) in due categorie
indipendenti: i disturbi alimentari altrimenti specificati (Other Specified Feeding or
Eating Disorder - OSFED) e i disturbi alimentari non altrimenti specificati
(Unspecified Feeding or Eating Disorder - UFED) (American Psychiatric Association -
APA, 2013). Nel precedente DSM-IV, gli EDNOS rappresentavano la diagnosi più
frequente negli studi condotti sia su campioni comunitari che su campioni clinici
(Micali et al., 2013; Smink et al., 2012); le modifiche apportate nel DSM-5 avevano
quindi lo scopo principale di ridurre la frequenza degli EDNOS, aumentando quella dei
disturbi specifici. Di conseguenza, i dati epidemiologici di incidenza e prevalenza sono
alterati da questa nuova classificazione (Smink et al., 2012).
Negli ultimi anni si sta assistendo ad una maggiore incidenza della patologia
alimentare, dovuta principalmente ad un abbassamento dell’età di esordio. Se, infatti,
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fino a 15-20 anni fa l’età d’esordio corrispondeva tipicamente all’adolescenza,
attualmente si osservano casi che si manifestano già verso i 9-10 anni (Smink et al.,
2012). L’esordio precoce può essere in parte spiegato dall’abbassamento dell’età del
menarca che si è osservato negli ultimi decenni, ma è legato anche ad un’anticipazione
dell’età in cui gli adolescenti sono esposti alle pressioni socioculturali alla magrezza,
attraverso i mezzi di comunicazione come internet (Swanson et al., 2011).
Storicamente, i disturbi alimentari erano considerati una patologia che affliggeva
principalmente gli individui caucasici dei paesi industrializzati quali Europa occidentale
e Nord America; tuttavia, studi recenti hanno mostrato che i casi sono in aumento
anche in altre etnie facenti parte di paesi a basso reddito (Pike et al., 2014).
1.1.2 DEFINIZIONE E CARATTERISTICHE
I disturbi della nutrizione e dell’alimentazione sono caratterizzati da un’alterazione
delle abitudini alimentari o dei comportamenti ad esse correlati, a cui consegue un
disordine nel consumo e nell’assunzione del cibo che compromette significativamente
sia la salute fisica che il funzionamento psicosociale (APA, 2013; Athey et al., 2003;
Fairburn & Harrison, 2003). Essi sono considerati disturbi psicosomatici in quanto la
loro manifestazione fisica cela l’esistenza di una sofferenza mentale importante e
spesso radicata nel tempo che si ripercuote sull’organismo del paziente (Ágh et al.,
2016; Swanson et al., 2011).
Tale nucleo psicopatologico, comune alle differenti tipologie di disturbi alimentari,
include un’eccessiva focalizzazione dell’attenzione sul peso e sulla forma fisica (APA,
2013; Dakanalis, 2011; Fairburn & Cooper, 2011; Fairburn & Harrison, 2003; Halmi et
al., 2008) e una persistente disregolazione del comportamento alimentare, che può
portare a diete restrittive, come nel caso dell’anoressia nervosa, o ad abbuffate
incontrollate se si parla di binge-eating o bulimia nervosa; nel caso di quest’ultima, le
abbuffate sono accompagnate da condotte compensatorie per controllare l’aumento
del peso corporeo (Fairburn & Cooper, 2011).
Nel DSM-5, rispetto all’edizione precedente, i disturbi del comportamento alimentare
sono stati riuniti in un unico capitolo insieme ai disturbi della nutrizione (APA, 2013).
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Essi comprendono, nel loro insieme:
Disturbi alimentari dell’infanzia:
1. Pica
2. Disturbo di ruminazione
3. Disturbo evitante/restrittivo dell’assunzione di cibo (ARFID)
Disturbi alimentari dell’adulto (e dell’adolescente):
1. Anoressia nervosa
2. Bulimia nervosa
3. Disturbo da binge-eating o disturbo da alimentazione incontrollata
Vi sono inoltre altre due categorie, che nel DSM-IV rientravano negli Eating Disorder
Not Otherwise Specified – EDNOS: i disturbi dell’alimentazione e della nutrizione
altrimenti specificati (Other Specified Feeding or Eating Disorder – OSFED) e i disturbi
dell’alimentazione e della nutrizione non altrimenti specificati (Unspecified Feeding or
Eating Disorder – UFED).
Nonostante alcune caratteristiche comportamentali e psicologiche siano comuni, tali
disturbi differiscono sostanzialmente per decorso clinico, esito e necessità di
trattamento. Pertanto, i criteri diagnostici che li classificano sono reciprocamente
esclusivi, in modo che durante un singolo episodio sia possibile porre solamente una
diagnosi (APA, 2013).
Secondo la teoria cognitivo-comportamentale transdiagnostica (Fairburn et al., 2003), i
disturbi del comportamento alimentare sono essenzialmente dei “disturbi cognitivi”
che condividono un nucleo psicopatologico caratterizzato dall’eccessiva valutazione
della forma del corpo e del peso e dal loro controllo. Questa teoria non identifica i
disturbi alimentari come entità diagnostiche differenti, bensì come un’unica entità,
ossia il disturbo alimentare, il quale può assumere diverse sfaccettature.
In pazienti con un alto livello di controllo si svilupperà l’anoressia nervosa; invece, nei
pazienti in cui la capacità di controllo non è così marcata la restrizione farà insorgere
l’abbuffata, portando alla bulimia nervosa; infine, nel caso in cui l’abbuffata non riesca
a strutturarsi il paziente svilupperà il binge-eating disorder.